«Sentinella, quanto resta della notte?»

A cavallo del millennio, dopo aver insegnato Metafisica in Gregoriana per una quindicina di anni e aver seguito un buon numero di dottorandi, mi è venuta l’idea di organizzare una serie di incontri filosofici con i miei ex-studenti.

Avevo in mente il modello elaborato da un gruppo di gesuiti, docenti presso le Università dell’America Latina, che avevo iniziato a frequentare nel 1999. Ci riunivamo ogni anno per una settimana, per discutere di alcuni temi filosofici, quali la religione popolare, l’interculturalità, la giustizia, ecc… Apprezzavo in particolare il metodo: ogni partecipante aveva a disposizione una mezza giornata circa per presentare il proprio lavoro scritto, simile a un articolo di rivista filosofica per forma e dimensioni e dedicato a un tema concordato l’anno precedente. Il testo, inviato previamente a ogni membro del gruppo veniva esposto per sommi capi durante l’incontro, poi ognuno si ritirava in solitudine per riflettere e dopo un’ora ci si riuniva nuovamente per la discussione. Ogni testo, dunque, veniva analizzato in tre fasi: 1. lettura e individuazione di uno o due concetti specifici; 2. riflessione individuale nella tranquillità della casa che ci accoglieva, di norma un luogo di ritiro sperduto nella campagna; 3. discussione di gruppo consapevole e basata sulla riflessione comune, a differenza di quanto spesso accade nei congressi filosofici, in cui troppo spesso prevale il desiderio di fare sfoggio della propria erudizione, a prescindere dal tema affrontato.

Tra gli studenti incontrati in Gregoriana non mancavano certo i candidati idonei per questo tipo di lavoro e non ho incontrato alcuna difficoltà ad avere adesioni. Dopo questa fase preliminare, si rendeva necessario trovare un luogo adatto al progetto. Un po’ per caso, sono venuto a conoscenza di una casa gestita da una religiosa a Guzzano, un paesino sulle alture a ovest di Pianoro, non lontano da Bologna. Una delle strade finisce in un sentiero che conduce a una piccola tenuta e di lì in poi vi è il nulla.

La casa Santa Marcellina era perfetta per noi: mensa per mangiare e camere per dormire, una cappella, una sala per riunioni, una tettoia per proteggerci dal sole durante le discussioni e tanto verde, boschi e prati. Insomma, era un assaggio di paradiso e noi l’abbiamo scelto per fare nostro un modo antico e romano di filosofare: alcuni amici, un testo, un prato, un po’ di pane e di vino, niente di troppo e niente d’inutile, ma piuttosto una grande libertà di pensiero per parlare di cose a cui il mondo non attribuisce importanza.

Gli incontri riunivano persone che già si conoscevano, avendo lavorato insieme da studenti in Gregoriana. Stavamo realizzando una sorta di percorso post-dottorale in un ambiente sereno e senza altra pretesa se non approfondire un tema che la vita culturale in Italia indicava difficile e importante. Il gruppo era composto da insegnanti di filosofia, per lo più inseriti in centri di formazione religiosa cristiana di livello superiore, ma anche in università statali. Molti tra i partecipanti ai primi incontri sono stati chiamati poco dopo a dirigere strutture ecclesiali importanti, dipartimenti o addirittura facoltà ecclesiastiche e così il gruppo ha via via cambiato fisionomia. E se inizialmente studiosi erano solo italiani (gli incontri erano pensati soprattutto per loro, spesso abbandonati alla solitudine della docenza in seminario), ora vengono anche da altri orizzonti.

I membri che compongono il gruppo attuale si occupano della formazione dei futuri responsabili di comunità cristiane e delle persone impegnate con prospettive umanistiche e teologiche. Gli incontri, dunque, sono dedicati all’analisi dei problemi della cultura contemporanea, abitualmente esclusi dall’attenzione dei responsabili dei seminari.

L’esperienza di Guzzano è innanzitutto culturale ed ecclesiale ed è animata da persone convinte che la fede cristiana non può essere auto-referenziale. Le comunità cristiane sono inserite nel mondo, dunque l’obiettivo non è l’autosufficienza al contrario di ciò che molti vorrebbero dal cristianesimo, ma la costruzione di una riflessione libera, seria e competente, che non si astrae dagli impegni e dalle responsabilità dell’insegnamento, cioè da una chiara inquietudine per gli studenti che nel futuro avranno la responsabilità di formare altri cristiani attivi nel mondo, i quali, a loro volta, saranno responsabili della formazione delle loro comunità. È proprio questa sorta di inquietudine a caratterizzare il tono dei nostri incontri.

I testi che seguono sono stati scelti tra quelli esaminati nelle ultime edizioni dell’esperienza di Guzzano. Il titolo scelto per la raccolta esprime un tema a nostro avviso fondamentale, tant’è che è ritornato più volte negli anni: la filosofia tra sentinella e profezia. Ci inseriamo in una tradizione di cui don Giuseppe Dossetti è stato rappresentante illustre; il suo discorso del 18 maggio 1992, «Sentinella, quanto resta della notte?» (Isaia 21,11), chiedeva quanto tempo si doveva aspettare perché il sole tanto atteso sorgesse all’orizzonte delle nostre società. La notte dei cristiani è una realtà e non mancano gli scrittori che ne denunciano la lunga durata. La speranza non è però vana e chiama in causa il nostro impegno. Il compito della Chiesa, diceva Dossetti è «della formazione delle coscienze, non a una soggezione passiva o a una semplice religiosità, ma a un cristianesimo profondo e autentico e quindi a un’alta eticità privata e pubblica»1. Si tratta di coscienza ed etica, da cui il cristianesimo riceve la sua specificità. L’inquietudine viva nella cultura contemporanea, più attratta dalla decostruzione che dalla costruzione di un pensiero condiviso e di una vita comune, non può spegnere un tale compito. Ecco perché mettiamo in relazione i termini «sentinella» e «profezia». Non ci saranno, in seno alla nostra cultura che appare tanto chiusa e mortale, semi positivi di vita?

Gli articoli pubblicati qui sono raggruppati a due a due. I due primi considerano la nostra storia recente. Abbiamo vissuto durante gli ultimi mesi il dramma dell’epidemia del covid-19. Il primo articolo («Silenzio e covid-19»), di Emmanuele Campagnoli, dottore in filosofia con uno studio sul concetto di «indifferenza» in Jean-Luc Marion, docente al seminario di Lodi-Crema, riprende la testimonianza di alcuni parrocchiani della sua zona sul modo di vivere il dramma, le domande radicali che si pongono e la speranza che potrebbe nascere da una tale situazione. L’articolo di Manuel Palma Ramirez, dottore in filosofia con una ricerca sulla «scommessa» di Pascal, Preside della Facoltà di Teologia San Isidoro della sua arcidiocesi, affronta poi la domanda classica sull’utilità o l’inutilità della filosofia. Vale la pena filosofare quando i nostri popoli soffrono tanto nella loro carne, per la vita? Il nostro mondo si lascia invadere dalla tecnica e dalle sue promesse di un domani radioso. Questa sarebbe l’unica risposta possibile a misura umana?

Vengono poi due articoli di filosofia fondamentale, sull’essenza dell’essere umanamente. Laura Meirelles, dottoressa dell’Università di Juiz de Fora (Brasile) con una laurea su Paul Ricœur e un dottorato in filosofia alla Gregoriana sull’ermeneutica tra Heidegger e Derrida, propone un articolo su Heidegger e gli affetti. Il filosofo tedesco è uno degli autori più acuti del xx secolo sulla questione del linguaggio, del suo fondamento negli atteggiamenti del Dasein. Davide Galimberti, dottore in filosofia con un esame dell’ontologia di Claude Bruaire, docente di scienze religiose e di filosofia in un liceo milanese, presenta un autore meno conosciuto di Heidegger ma anche di grande acume e ampie vedute, Claude Bruaire precisamente, la cui antropologia permette di accogliere il vissuto agitato di oggi con uno sguardo filosofico che non perde nulla delle nostre esperienze.

La filosofia non è un’attività che si fa da sola, senza tradizione culturale e senza condivisione. Ilaria Malaguti, dottoressa in filosofia con una dissertazione sulla «normatività» in Maurice Blondel, docente di filosofia all’Università degli Studi di Padova, figlia di un professore di filosofia dell’Università degli Studi di Bologna e mamma di due ragazzi, conosce esistenzialmente le problematiche della trasmissione della riflessione e soprattutto della responsabilità che coinvolge la pratica filosofica. Paul Gilbert, professore di metafisica per tre decenni alla Gregoriana di Roma, riflette sul mestiere di docente. Riferendosi a una pubblicazione recente in Francia, fa memoria della sua pratica di trasmissione del pensiero, con un’attenzione particolare alle relazioni reciproche tra un maestro e i discepoli.

I due ultimi articoli trattano di temi che evidenziano alcune problematiche recenti in filosofia. Manifestano l’eccellenza dell’ipotesi della nostra pubblicazione in relazione con il tema della sentinella. Daniel Dos Santos, dottore con una tesi su Michel Henry all’università Comillas de Madrid, docente di filosofia presso l’Instituto Teológico San Pablo Apóstol di Loeches (Madrid), parla dell’affettività e della sua importanza nella vita spirituale secondo due autori morti circa venti anni fa: Charles Bernard, per molti anni docente di spiritualità alla Gregoriana e Michel Henry, celeberrimo fenomenologo e docente di filosofia all’Università di Montpellier. L’ultimo articolo, di Luca Margaria, dottore con una investigazione su Levinas e Ricœur, docente di filosofia allo Studio Teologico e all’Istituto di Scienze religiose di Fossano, tratta della giustizia riparativa, un tema che, assumendo una rilevanza crescente nella riflessione attuale sulla giustizia, rinnova i parametri dell’antropologia essendo particolarmente attento alle vittime della cattiveria umana.

Indice


  1. Aggiornamenti sociali, 45, 1994, 491-492. Vedi anche Metronomie, 11, Giugno-Dicembre 2004, p. 1-14, https://www.cittametropolitana.bo.it/statistica/Home/Archivio_Metronomie↩︎