Il filosofo, sentinella

In uno dei momenti più belli, e altrettanto sfingici, delle Beiträge zur Philosophie: vom Ereignis,1 opera del 1936-38 del filosofo tedesco Martin Heidegger, l’essere-uomo è chiamato ad un triplice compito (Aufgabe). Tale avvenimento sconvolgerebbe la sua esistenza,2 perché dice rispetto alla propria determinazione della sua essenza.3 Non si tratta di ricercare una sua definizione, al modo di un’essenza sostanzializzata, riducendo la domanda «chi è l’uomo?» a quella «che cosa è?» (Was?).4 Assumere il Dasein come la parola-chiave per orientare la questione sull’essenza dell’uomo è già partire dalla premessa che «esistere» è un mettere in gioco il nostro proprio Essere.5 Se la nostra essenza è in gioco in ogni esistere, la domanda «che cosa è?» non ci permette di accedere a questo movimento, ma lo restringe a quella struttura denominata «onto-teo-logia».6

1. La domanda radicale

In favore della promozione del movimento, ci spostiamo allora da una ricerca sull’essenza sostanziale, Wesen, a quella verbale, west.7 L’essere-umano è, noi siamo, ossia, ogni unicità è assunta come un dispiegamento, un avvenimento essenziale (Wesung) dell’Essere.8 La domanda tramite la quale mettiamo in evidenza questo movimento è quella con l’impostazione del «come» (Wie?).9 Attraverso questo specifico domandare, non trasformiamo il domandato in un tema-oggetto10 appropriato asetticamente da un metodo. Ricercare la nostra essenza tramite la battuta del «come» è mettere in gioco questo nostro «fare», noi stessi11 ed il nostro Essere. Si tratta allora di un meditare (Besinnung).12 Senza un punto fisso sostanziato, l’essenza è ricercata in movimento come un «occorre essenzialmente» (west), e il compito non è assunto come una definizione concettuale, ma come un modo di dispiegare la nostra essenza.

È a partire dall’avvenimento essenziale dell’Essere che l’uomo è,13 e fare la domanda sul «come» di questo riferimento è già circoscrivere la nostra essenza tramite il triplice compito figurato dalle Beiträge. Nel fondamento del Dasein, l’essenza dell’uomo è dispiegata come il ricercatore (Sucher), il sostenitore (Wahrer) e il guardiano (Wächter),14 ed ogni dispiegamento la risuona tramite un compito specifico. È mediante questa differenza che il fondare dell’essere-umano nel Dasein non è l’avventura di una volta sola, ma un movimento di ripetizione15 insistente.16

Il compito del ricercatore è quello in favore dell’Essere (Seyn), cioè, del suo darsi come «fondazione tempo-spaziale».17 Ereignis è la parola-guida18 di un pensiero che si preoccupa di dispiegare l’avvenimento essenziale dell’Essere (Seyn) partendo dalla sua verità, ossia, come intreccio di tempo-gioco-spazio. È un pensiero che non dimentica del tempo19 o lo accantona dalle sue considerazioni.20 Parliamo qui della misura viscerale dell’avvenimento dell’esistenza, la nascita del fondare stesso tramite il darsi di tempo-spazio.

Il compito del sostenitore è quello riguardo alla verità dell’Essere (Sein). Ci riferiamo al senso dell’Essere, ossia, ad un intreccio preciso di tempo-spazio in un’unicità specificamente circoscritta. La struttura onto-teo-logica è un suo esempio. Lì l’intreccio sta sotto il regno dell’egemonia del presente. Sostenere la verità dell’Essere (Sein) è allora non perdere di vista che ognuna è già un’unicità di un avvenimento essenziale più viscerale, quello del darsi del tempo-gioco-spazio (Zeit-Spiel-Raum).21

Il compito del guardiano è quello rispetto alla misura di questo riferimento tra la verità del Seyn e il senso del Sein, la trasposizione dal darsi dell’Essere alla sua circoscrizione in una unicità di senso. Si tratta qui di un movimento simbiotico senza prima e dopo, senza causa ed effetto. Tramite la figura del Dio ultimo (letzten Gottes), e dei cenni del suo passaggio silenzioso che nutre l’avvenimento del darsi dell’Essere, ci riferiamo alla morte.22 Fondato nel Dasein, l’essere-umano ricerca e sostiene la trasposizione dal Seyn al Sein in quanto custodia la morte, la legge più antica,23 la misura più estrema24 della nostra esistenza. Assumerci come Dasein, come «l’apertura e fondazione di sé stesso a partire da e in quanto verità del Seyn»,25 è assumerci come mortale, è fare risuonare questa legge in misura che rege l’andamento del nostro fare (Tun).26

Ricercatore, sostenitore e guardiano, questi tre compiti del dispiegamento dell’essenza dell’essere-umano, sono radunati qui sotto la parola-guida "sentinella" tramite il significato di «stare in ascolto».27 L’essere-umano non è assunto come una sentinella, come se fosse una sorta di essenza sostanziale. Ci riferiamo al suo proprio darsi nell’andamento della sentinella, cioè, in una prospettiva verbale28-avverbiale. «Stando in ascolto» del linguaggio del darsi dell’Essere,29 la misura di quest’avvenimento, la nostra essenza è dispiegata in due andamenti separati, però prossimi.30 Come poetare, mettendo in opera l’Essere,31 cioè, l’articolazione di tempo-spazio, ogni fare poetico è già in complicità e una testimonianza da questa sentinella al passaggio dalla legge, cioè la morte, alla misura del darsi dell’Essere. «Poeticamente abitiamo il mondo»,32 perché insistentemente lo abitiamo come le sentinelle al passaggio della morte.33 Come pensare, mettendo in questione l’Essere tramite il suo senso e la sua verità,34 il domandare è orientato verso il darsi dell’articolazione tempo-spaziale e la fondazione dell’essenza dell’uomo. Se nel poetare mettiamo la verità in opera, il pensare dice quest’avvenimento essenziale,35 mettendolo in questione, ossia, promovendo l’apertura per un altro mettere in opera. In questa prossimità-separazione, poetare e pensare sono circoscritti in un doppio vincolo cui l’intreccio risuona la nostra essenza di sentinella del passaggio della morte, legge più antica del darsi del tempo-gioco-spazio, del darsi della verità dell’Essere.

Nelle prossime righe, rivolgeremo la nostra attenzione verso il delineamento di questi due differenti modi d’articolare l’andamento sentinella della nostra essenza. Nominate come «il primo inizio e l’altro inizio del pensiero», in queste sentinelle ciò che si trova in gioco è l’articolazione tempo-spaziale. Come la mettiamo in questione e la operiamo risuona il modo come «stiamo in ascolto» del passaggio della morte riverberando il modo in cui esistiamo con gli altri e nell’inaugurazione di mondo.

2. Tempo-gioco-spazio: accordatura dell’esistenza

Nel groviglio delle premesse appena sollevate, gioca un ruolo decisivo la Grundstimmung, l’accordatura fondamentale. Oltre ad una sua interpretazione psicologica,36 ciò che stiamo promuovendo qui è un luogo investigativo in cui è ricercata la propria misura del dispiegamento e dell’articolazione tempo-spaziale. È questo che adoperiamo tramite la parola-guida Stimmung,37 l’accordatura del darsi della verità dell’Essere e, così, della nostra esistenza. La trasposizione evidenziata è quella del darsi dell’articolazione tempo-spaziale ad una sua circoscrizione in tempo-spazio tramite il passaggio dalla legge alla misura di questo avvenimento essenziale. Sotto questo profilo, liberando così la Stimmung da una riduzione alla disposizione psichica-emozionale, la sentinella è questo «stare in ascolto» della morte. Mettendo in questione l’Essere e in opera la sua verità, tali modi di dispiegare la nostra essenza vanno in complicità con l’articolazione tempo-spaziale. Cambiando uno di questi elementi, l’altro è tramutato in una sorta di simbiosi e ciò risuona la sentinella della nostra essenza in un altro andamento. I nomi di questi «stare in ascolto» sono il primo e l’altro inizio del pensiero.

Il punto di partenza è dunque l’Essere e la ricerca sul movimento simbiotico tra Sein e Seyn,38 tra il senso e la verità, tra il fondamento tempo-spaziale e la fondazione di tempo-gioco-spazio.39 In favore di tale movimento, l’essenza dell’uomo è sentinella, e ciò che è affermato di tale dispiegamento non deve essere trattato come una diagnosi filosofica. In questo modo, quando è evidenziato da Heidegger che il «primo inizio del pensiero» appartiene ad un arco di realizzazione filosofica che va da Anassimandro fino a Nietzsche40 non significa che questa sia l’unica chiave di lettura orientatrice di una narrazione storico-filosofica. L’oltrepassamento è complice dell’inaugurazione dell’opportunità di fare lavorare i propri limiti in cui ci troviamo in favore di un altro discorso, di altri limiti. Allora, non si tratta di un’azione giudicatoria, ma di un’edificazione narrativa circa l’articolazione tempo-spaziale in favore di un’altra. Ogni articolazione è un «stare in ascolto» del passaggio della morte risuonata come un andamento in cui è dispiegata la nostra essenza facendola divenire sentinella.

«Il primo inizio pensa l’Essere come presenza […]»,41 ossia, «sperimenta e mette la verità dell’ente senza domandare per la verità come tale».42 Questo significa, «che nel primo inizio, il "tempo" in quanto presenza e anche stabilità […] forma l’aperto a partire da quale l’ente come l’ente (l’Essere) ha la verità».43 La verità è ridotta alla certezza del giudizio, alla "oggettività", "realità" dell’adeguazione tra la dichiarazione e l’ente oggettivato.44 Da una parte, il tempo è qualcosa di misurabile,45 perché si trova entificato davanti a noi. Dall’altra parte, questa proiezione è possibile perché il tempo e lo spazio sono assunti come delle intuizioni pure della ragione.46 Il tempo del primo inizio è quello del presente e lo spazio è quello della presentificazione. La domanda per la verità dell’Essere, cioè, il movimento del darsi tempo-spaziale, è già circoscritta in una precisa risoluzione, non falsa, ma cui il problema riposa nel fatto che si prova ad esaurire qualcosa di inesauribile.47

La Grundstimmung del primo inizio, ossia, l’accordatura della risoluzione48 del tempo-gioco-spazio, è quello che Heidegger nomina come «Er-staunen» (stupore).49 Non si tratta di affermare che il tempo è vissuto (Erlebniszeit)50 come stupore, ma che il dispiegamento del tempo e dello spazio come stupore ci inaugura già una situabilità compresa come presenza. Il tempo e lo spazio sono misurabili dall’egemonia del presente,51 perché essi sono già dispiegabili in quest’accordatura. Il mondo inaugurato dall’accordatura dello stupore è quello in cui gli enti sono da meravigliare, da venerare in un persistente «essere davanti a» noi. Non riusciamo a togliere lo sguardo su ciò che ci stupisce, è sempre presente a noi anche quando non lo è; la sua assenza è pure presenza quando lo ammiriamo e lo veneriamo. A partire da questa costanza, la sua misurazione è necessaria, è frutto della propria manutenzione dell’essere accordato nell’ammirazione. Quanto più controllo esercitiamo su quello che ammiriamo, più possiamo promuovere, fino all’esaurimento, lo stupore che accorda il nostro riferimento all’altro ente, alla totalità dell’ente, cioè, al mondo. Il tempo presente è il tentativo misurabile di non mettere fine a questo stupore, provando a estenderlo sempre di più, fino all’infinito.

All’interno di questa Grundstimmung, il pensiero è plasmato e promuove una temporalità e una spazialità precise che inaugurano il mondo in una temporizzazione e spazializzazione specifiche, quella del presente. La verità è assunta come quella dell’adeguazione, della certezza del giudizio; il metodo sottomette il tema ricercato; la forma del discorso è sistematica. Quest’archetipo di matrice filosofica-metafisica, raffinato e promosso in nome di un tipo di «scienza»,52 non si pone la domanda dell’Essere e perciò non pensa.53 Questo non significa che niente è prodotto, ma che niente è veramente creato (Schaffen).54 L’Essere è messo in opera, ma la sua verità è dimenticata al lungo dell’operare. L’abitare poetico è ridotto ad un’imitazione di una struttura onto-teo-logica, cioè, dell’egemonia del presente. La verità dell’Essere è dimenticata in favore di un suo senso ben preciso, quello dell’entificazione. Il pensare è ridotto all’esercizio di riproduzione di questa struttura, di questo metalinguaggio che misura il darsi dell’Essere attraverso una gerarchia di sviluppo tecnico.55

La morte non è allora «ascoltata» in complicità con il darsi di tempo-spazio, ma è assunta come una sua nemica. Appresa come un mero cessare, la morte è compresa come un evento, inevitabile, però possibile di essere combattuto. Tale guerra contro la morte è sostenuta da una struttura con la quale rinchiudiamo nel presente l’articolazione tempo-spaziale. A partire da questo panorama, l’infinitudine non è soltanto auspicabile; per mezzo di tale desiderio, promuoviamo ancora una volta l’egemonia del presente. In favore di avere più tempo a disposizione, come se il tempo fosse qualcosa che ora ce l’abbiamo, ora non ce l’abbiamo, in favore di mantenere l’occupazione dello spazio, combattiamo la morte, la evitiamo, proviamo a posticiparla come se fosse un oggetto disponibile alla nostra manipolazione. Tutto un commercio si è creato basato sull’ideale che la morte è la rovina ad una piena realizzazione delle nostre potenzialità. Ci è offerta la promessa di una «gioventù eterna» e così l’illusione che abbiamo posticipato la morte. Attraverso la struttura onto-teo-logica, nutriamo tal ideale ed esso è nutrito a sua volta da tale commercializzazione. Dove la morte è la nemica, l’altro mortale diventa altrettanto ostile ed è intravisto come l’impedimento della nostra continuità tempo-spaziale. Dove l’articolazione di tempo-spazio è rinchiusa in un’egemonia, si chiude l’opportunità di sperimentarla in un altro modo. Dove non c’è un luogo all’altro di un’articolazione tempo-spaziale, l’altro mortale è soltanto una variazione negativa del riconoscimento di un sé.56 È un’alterità57 (differenza come presenza) e una diversità58 (differenza della presenza),59 mai un semplicemente altro (differenza come radicalmente altro) che viene.

In questo «primo inizio del pensiero», il dispiegarsi dell’essenza dell’essere-del-uomo è nell’andamento della sentinella della presenza, in favore della sua supremazia strutturale, dell’egemonia del presente, a spese di ridurre tutto e assolutamente tutto ad essa. Barattiamo l’esperienza della verità dell’Essere con la sicurezza della costanza della presentificazione. Barattiamo l’esperienza di una creazione radicale, quella che mette in opera e in questione l’articolazione di tempo-spazio, con la mera riproduzione e imitazione, ogni giorno più raffinate e affascianti, ma altrettanto sterili. E, soprattutto, ci rifugiamo nella famigliarità della diversità e dell’alterità in modo da evitare l’esperienza viscerale di accogliere con ospitalità assoluta60 la venuta dell’altro.

Provando a destituire la supremazia e l’egemonia di questo «stare in ascolto», non meramente negandolo, ci è proposta da Heidegger la delineazione per un «altro inizio del pensiero». Si tratta qui di lavorare i limiti circoscritti come «primo inizio» in favore di un altro dispiegamento della nostra essenza sentinella. Ci sono dunque quattro Grundstimmungen di questo «altro inizio»: l’Erschrecken (lo sgomento), la Verhaltenheit (riservatezza), in rapporto stretto con l’Ahnung (il sospettare), e infine la Scheu (la timidezza).61 L’articolazione d’esse viene non come una riunione del tipo dialettico, dove una è risolta nell’altra, ma sono mantenute in riferimento tensionale a partire da quello che è nominato Fuge.62 Ora, bisogna innanzitutto notare che questo termine proviene dal contesto musicale. La Fuga rappresenta quindi quell’articolazione costruita da una contrapposizione di una voce all’altra voce. Partendo da questa inspirazione musicale, circoscriviamo Fuge come il modo di articolare il discorso, non sistematicamente, ma tramite l’inaugurazione di un luogo narrativo in cui risuona quella tensione propria dell’auspicato darsi del tempo-spazio. Così, non è un caso che ogni Fuge63 elencata nelle Beiträge «deve articolare la fondazione della verità dell’Essere».64 L’articolazione delle Fugen è quella trama discorsiva del tempo-spazio e tutto quanto è già un dispiegamento accordato da una Stimmung.

Se nel primo inizio ci è proposto lo stupore, quel meravigliarsi davanti all’ente, persistentemente mantenuto tramite una temporizzazione e una spazializzazione dell’egemonia del presente, «l’altro inizio sperimenta la verità dell’Essere e domanda per l’Essere della verità per fondare primariamente l’avvenimento essenziale (Wesung) dell’Essere […]».65 Nella ricerca per la domanda dell’Essere, ciò a cui si rivolge l’altro inizio è quindi la propria fondazione del tempo-spazio, cioè, il dispiegare essenziale dell’Essere. Non si tratta di un tempo e di un spazio già determinati, sia a partire dall’egemonia del presente, sia per mezzo del calcolo, ma del darsi dell’intreccio in cui la donazione avviene. Per realizzare tal compito, di mettere in questione l’Essere in questo stampo, il pensiero dell’altro inizio è dispiegato in primo luogo dalla Grundstimmung dello sgomento (Erschrecken). Non consiste più di un incantamento (Verzauberung)66 davanti all’ente, ma piuttosto di un’accordatura che ci spinge a tornare indietro (Zurückfahren) quando ci troviamo davanti a quello che ci sbigottisce. «Lo sgomento lascia l’uomo tornar indietro davanti a ciò che è l’ente, mentre prima per lui l’ente era appena l’ente […]».67

Infatti, il «tornar indietro» non sarebbe tuttavia assunto come un retrocedere (Zurückweichen) nel senso di un aprir mano di qualcosa, tipo un lasciar perdere (Aufgeben) della volontà.68 Da questo punto di vista, non si tratta di un disinteresse, ma di un allontanamento. Per questo, lo sgomento è quello che ci prepara alla riservatezza (Verhaltenheit) e non all’abnegazione. Accordandoci in questa situabilità del «passo indietro», lo sgomento ci porta alla prudenza, a non lasciar incantarci sfrenatamente dall’ente davanti a noi. Così, la riservatezza non è figlia dell’ammirazione, ma dello sgomento. In questo retrocedere della prudenza si apre la tensione del darsi dell’Essere, la Verweigerung, la ricusa, quel negarsi oscillante del rivelarsi nel velarsi. Accordati dalla riservatezza e dallo sgomento, corrispondiamo già all’auspicata vibrazione del darsi dell’Essere ascoltando il linguaggio del suo avvenimento essenziale, la morte. La testimonianza d’esso è l’apertura di un attimo-luogo (Augenblicksstätte)69 in cui la nostra essenza sentinella mette in opera l’Essere mettendolo insistentemente in questione.

Per integrare questo spartito musicale, portiamo qui la Grundstimmung della timidezza (Scheu). Non la circoscriviamo come un’inibizione (Schüchternheit), ma come la condizione del proprio tacere (Verschweigung): ascoltiamo il messaggio (il linguaggio del suo avvenimento essenziale) del darsi dell’Essere, cioè, il suo clamore (Zuruf)70 a partire dal momento in cui tacciamo. Tal accadimento non è dunque un atteggiamento di stare senza parlare, ma un dispiegare di una precisa accordatura, quella della timidezza. Ci apriamo all’altro di noi, all’altro ente intra-mondano, nell’apertura al clamore dell’Essere e tutto quest’accordato da una timidezza, da un non imporsi, ma da un lasciar che l’altro venga e sia.

Una riservatezza, promossa dallo sgomento e mezzo per una timidezza, è l’accordatura non soltanto per una precisa temporizzazione e spazializzazione, ma per salvaguardare il riferimento tra l’ente e la verità dell’Essere,71 ossia, che la fondazione tempo-spaziale non si riduca ad un’accordatura dello stupore. Così, l’uomo non è assunto come quello che è nel tempo e nello spazio, circoscritti dall’egemonia del presente, ma lui diventa «il fondatore e il custode della verità dell’Essere»,72 cioè, del gioco di tempo-spazio. Noi diventiamo, nell’accadere della nostra essenza, le sentinelle di questo gioco viscerale.

E così siamo arrivati all’ultima Grundstimmung, il sospetto (Ahnung). Non si tratta qui di una mera diffidenza o di qualcosa che possa essere anticipato e, per questo, passibile di essere calcolato nelle sue possibilità di avvenimento. Non è una predeterminazione di ciò che potrebbe venire, ma «percorre e misura tutta la temporalità: o tempo-gioco-spazio del Da».73 La sospetta non è un modo per negare o diffidare quello che si disvela, ma per fare risuonare quello che si ricusa nel nodo dello svelarsi. Ossia: la sospetta accorda il pensare a promuovere la tensione del gioco tra tempo-spazio senza cadere nella richiusura di un tempo spazialmente misurabile. Da qui è inaugurato il luogo per un altro mettere in opera la verità dell’Essere. L’egemonia del presente è sospetta non in quanto misura di un darsi di tempo-spazio, ma nel suo ingigantimento. Fa parte del darsi dell’Essere la ricusa e dove c’è solo presente, questa ricusa è professata come una negazione e non come un’apertura ad un altro tempo-spazio, in un altro gioco, in un’altra accordatura, tramite un altro ascolto.

È precisamente su questa dimensione di negazione che l’intreccio delle quattro Grundstimmung dell’altro inizio è una guida per fare lavorare i limiti della morte assunta come mero cessare. Lo sgomento, la riservatezza, il sospettare e la timidezza ci accordano tempo-spazialmente non a partire dalla presenza del presente e nemmeno dell’assenza del presente (la mera negazione della presenza), ma tramite l’apertura all’altro. Nell’ascolto del passaggio della morte, l’esistenza è accordata non da una limitazione di corta o lunga scadenza, ma da un confine che ci apre al radicalmente altro. Alla luce del presente, la morte è la sua negazione; alla luce dell’intreccio di sgomento, riservatezza, sospettare e timidezza, la morte è l’annuncio della venuta dell’altro, cioè, dell’apertura alla sua ospitalità. Imporci all’altro è già una conseguenza di un tempo-spazio accordato da un’imposizione e che ci circonda in un’egemonia. L’altro è sempre assunto come la negazione di questa condizione. Aprirsi alla gratuità della sua venuta è lasciare che l’altro venga senza anticipazione, è destituirci della posizione di supremazia, è resistere alla tendenza all’egemonia in favore di una differenza radicale. Promossa dall’intreccio delle Grundstimmungen, questo è il modo di sentinella dell’altro inizio. Lì, la morte è ascoltata come la figura della venuta dell’altro per eccellenza. Liberare la morte dall’aridità desertica è liberare l’esperienza del suo ascolto dell’egemonia in favore della nadificazione (Nichtung), cioè, in favore della discontinuità (destituzione) dell’ente74 e verso l’apertura al radicalmente altro. Così, ogni fare umano è un grido di resistenza contro la riduzione all’aridità.75 A partire dal passaggio dalla legge alla misura, come figura del radicalmente altro, la morte è il tavolo del gioco di tempo-spazio.

Tramite queste considerazioni, possiamo affermare allora che ogni Stimmung è intrecciata all’altra in una semplicità che non si riassume in un’unità.76 È propriamente quest’intreccio semplice, però non risolto in definitivo, che accorda il pensare per lasciarlo riflettere il darsi del tempo-spazio e non soltanto frettolosamente una e unica temporizzazione-spazializzazione. È per mezzo di quest’intreccio che mettiamo in opera l’articolazione di tempo-spazio creandola. L’essenza sentinella dell’uomo è questo dispiegamento in un frammezzo (Zwischen).77 Non si tratta di trovarsi esclusivamente nello «stare in ascolto» del primo o dell’altro inizio, ma nel transito78 tra l’uno e l’altro. Mettendo in gioco il nostro l’Essere, la nostra essenza non è dispiegata o al modo del pensare o del poetare, ma d’entrambi in complicità con l’accordatura fondamentale.

3. Filosofo: la doppia sentinella

Fino a questo punto, abbiamo adoperato la parola-chiave sentinella per riassumere l’avvenimento dell’essenza dell’essere-umano nella fondazione del Dasein. Il ricercatore, il sostenitore e il guardiano, la nostra essenza è dispiegata alla luce di questo triplo compito. Non si tratta di un’esperienza sostanziale della nostra essenza, alla quale adeguiamo la nostra identità, ma un avvenimento essenziale dell’Essere a cui ci corrispondiamo nel suo ascolto. Tal esperienza di donazione dell’Essere è quella dell’articolazione di tempo-spazio. Nel dispiegarsi della nostra essenza, realizziamo per eccellenza il compito più viscerale: quello di «stare in ascolto» del passaggio della morte, misura del darsi di tempo-spazio. L’esperienza, che facciamo della sentinella, circoscrive il nostro essere-nel-mondo con gli-altri in un’inaugurazione di mondo nella sua totalità. Un cambiamento radicale, sia di visione di mondo sia di come conduciamo le nostre relazioni con gli altri, si trova simbioticamente collegato al cambiamento di questo «stare in ascolto». Si tratta di quella decisione (Entscheidung)79 radicale che non è ridotta alle banali scelte tra oggetti disponibili. La decisione, in cui si trova in gioco l’ascolto del linguaggio del darsi dell’Essere, è quella in cui è deciso il ritmo e l’andamento con i quali assumiamo i compiti dispiegati della nostra essenza. È la decisione che accorda la nostra esistenza accordandoci alla donazione ascoltata dell’Essere.

Un trasmutamento radicale, perché ci chiama integralmente ad un’altra opportunità di accordatura, evoca ad una decisione altrettanto radicale e, più fondamentalmente, alla custodia del luogo in cui esso avviene. Ogni essenza umana è dispiegata secondo il compito della sentinella, ma il filosofo è quello che assume la sentinella come compito. Non è un suo lavoro determinare un tipo di gerarchia tra le sentinelle. Tal azione potrebbe portare ad una ideologizzazione tipologica. Prendere la sentinella come compito è quello di «stare in ascolto» dell’avvenimento essenziale dell’Essere e, concomitantemente, di vigilare la richiusura archetipica-strutturale salvaguardando il luogo del decibilità (Entschiedenheit)80 radicale. Il lavoro di questa doppia sentinella, come ascolto e come vigilanza che salvaguarda, fa della voce del filosofo un richiamo agli altri essere-umani. Si tratta di non fargli dimenticare di quello compito della sentinella e di non barattare il luogo della decibilità con la famigliarità della riproduzione e dell’imitazione raffinate, però sterili. Il filosofo ci chiama a riprendere quella decisione radicale in una vertente viscerale, cioè, a partire dal frammezzo. Senza la richiusura di «un’ascolto» al modo del primo inizio, senza un’utopia di un puro altro inizio del pensiero, l’essenza dell’essere-umano è decisa in questa tensione simbiotica cui la risoluzione è una possibilità d’ascoltare il passaggio della morte. Il filosofo non dimentica la notte anche se la sua anima è verso l’aurora81 ed in questo frammezzo vigila e salvaguarda il luogo della decibilità. Resistendo alla richiusura, il filosofo, nella doppia vigilanza, assume il compito di proteggere il luogo della decisione, cioè, della libertà per ogni fondamento,82 per ogni articolazione tempo-spaziale.

4. Conclusione

Lo scopo del nostro articolo è stato quello di evidenziare come la sentinella è una parola-chiave tramite la quale leggiamo il proprio dispiegarsi dell’essenza dell’essere-umano. Lo spostamento verso l’avvenimento essenziale dell’Essere, cioè, attraverso un fare investigativo che mette in questione il suo proprio darsi, ci ha permesso di adoperare sentinella in una funzione verbale-avverbiale. Si trattava di proporre che i modi, poetare e pensare, con cui è dispiegato il riferimento tra l’Essere e l’umano, risonano in differenti andamenti secondo un preciso «stare in ascolto». È stato affermato che quello del «primo inizio» ci permetteva d’articolare il tempo-spazio all’interno dell’egemonia del presente, offrendo così un modus operandi della riproduzione e dell’imitazione. Quella dell’«altro inizio», tuttavia, ci apriva l’opportunità per destituire questa richiusura egemonica in favore di un richiamo ad un’altra articolazione di tempo-spazio, della verità e del riferimento tra l’Essere e l’umano.

In quanto l’essenza è dispiegata come sentinella, e assumendo come compito la vigilanza e il salvaguardare, il filosofo si trova impegnato a proteggere il luogo della decibilità radicale a partire dalla quale noi creiamo e ricreiamo le nostre visioni di mondo, il nostro rapporto con gli altri, rimettendoci a decidere visceralmente a partire dal passaggio della morte. Il filosofo si offre come la voce che ci chiama a ricordare che la mortalità è il clamore per eccellenza della venuta di un’altra esistenza, di un altro ascolto, di un altro fare che mette in opera l’Essere e lo questiona. Non si tratta di una limitazione delle nostre infinite potenzialità, quella che le cesserebbe, ma il confine radicalmente altro a partire da cui la nostra essenza è dispiegabile. Combattere la morte è rinchiudere il suo passaggio nell’aridità. Resistere all’aridità di questo deserto è assumere la mortalità come un richiamo alla venuta dell’altro. Allora, l’ospitalità assoluta è, innanzitutto, una decisione radicale in merito all’articolazione tempo-spaziale in cui l’altro è reinventato.83 Il filosofo, in questa doppia sentinella, salvaguarda il luogo della libertà e, ciò che è più importante, della venuta gratuita e non anticipabile dell’altro. Filosofo, sentinella dell’altro.


  1. Cf. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie: vom Ereignis, 20033, GA65 (GA= Gesamtausgabe, Frankfurt am Main). ↩︎

  2. La nozione di «esistenza» è adoperata qui in un senso specifico, rivista da Heidegger come «Il Da-sein come es-istere: essere-rientrato in e sporgersi nell’apertura dell’Essere» (GA65, p. 303). Non si tratta di una filosofia esistenziale, ma del cammino verso la verità dell’Essere. Cf. GA65, p. 87-88. 302-303; M. Heidegger, Wegmarken, 1996, GA9, p. 326. ↩︎

  3. Cf. GA65, p. 20. ↩︎

  4. Cf. M. Heidegger, Das Ereignis, 2009, GA71, p. 157. ↩︎

  5. Cf. M. Heidegger, Sein und Zeit, 1977, GA2, p. 16. ↩︎

  6. Cf. M. Heidegger, Identität und Differenz, 2006, GA11, p. 63. ↩︎

  7. Cf. GA65, p. 54. ↩︎

  8. Cf. GA65, p. 286-287. ↩︎

  9. M. Heidegger, Was heiβt Denken, 2002, GA8, p. 35-36. ↩︎

  10. Un atteggiamento tipico delle scienze. Cf. M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, 19852, GA12, p. 167-168. ↩︎

  11. Cf. GA65, p. 66-69. ↩︎

  12. Cf. GA65, p. 228-229. ↩︎

  13. «L’Ente è. L’Essere occorre essenzialmente» (GA65, p. 30). ↩︎

  14. Cf. GA65, p. 294-295. ↩︎

  15. Cf. J. Caputo, Radical Hermeneutics: Repetition, Deconstruction, and the Hermeneutic Project, Indiana University Press, Bloomington 1987, p. 3. ↩︎

  16. Cf. GA65, p. 232. ↩︎

  17. Cf. GA65, p. 407-408. ↩︎

  18. «Allora, "Ereignis" dal 1936, parola-guida del mio pensiero» (GA9, p. 316). ↩︎

  19. Cf. H. Bergson, La pensée et le mouvant. Essais et conférences, Paris 19344, p. 11-12. ↩︎

  20. Cf. J. Caputo, Radical Hermeneutics, it. alla nota 15, p. 18. ↩︎

  21. Cf. GA65, p. 5, 22. ↩︎

  22. Cf. GA65, p. 40. ↩︎

  23. Cf. GA65, p. 408; M. Heidegger, Zum Ereignis-Denken, v. I, 2013, GA73.1, p. 791. ↩︎

  24. Cf. GA65, p. 406. ↩︎

  25. GA65, p. 67. ↩︎

  26. Cf. GA9, p. 361. ↩︎

  27. Cf. M. Cortelazzo – P. Zolli, Il nuovo etimologico: Dizionario etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna 19992, p. 1503. ↩︎

  28. Cf. GA12, p. 189-190. ↩︎

  29. Cf. GA12, p. 29-30, 189; GA65, p. 26-27. ↩︎

  30. Cf. GA9, p. 312. ↩︎

  31. Cf. M. Heidegger, Holzwege, 20032, GA5, p. 62. ↩︎

  32. «…dichterisch, wohnet der Mensch…» (M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, 2000, GA7, p. 206). ↩︎

  33. Cf. GA7, p. 200. ↩︎

  34. Cf. GA65, p. 11. ↩︎

  35. Cf. GA9, p. 312. ↩︎

  36. Portare una tale dimensione all’interno del fare umano non è una novità promossa da Heidegger. È opportuno anche richiamare qui il filosofo francese Henri-Louis Bergson (1859-1941). Anche se proveniente da un contesto del «biologismo» e della «filosofia della vita» (Cf. H. Bergson, Les deux sources de la morale et de la religion, Alcan, Paris 194238, p. 51-52; 302-303, 313-314, 332-333), due linee filosofiche criticate da Heidegger (Cf. GA65, p. 53, 213-214, 276, 315-316, 362, 425-426, 461, 479), Bergson rivolge la sua attenzione alla dimensione «sopra-intellettuale» dell’emozione attribuendo ad essa la vera dimensione creativa del fare umano (Cf. Ibid., p. 40-42). Ciò che vogliamo evidenziare qui non è tanto una familiarità nella realizzazione filosofica tra i due autori ma piuttosto lo sforzo di riesporre una nozione in favore di una riproposta per l’integralità del pensiero. A nostro parere, assumere l’emozione sotto l’aspetto psicologico è già assimilarla nell’interiore di una dimensione intellettuale, sottomettendola allo stesso livello di un’intellettualità. Da questo punto di vista, delineare la Stimmung psicologicamente è già circoscriverla di un pensiero scientifico che dispiega ed è dispiegato a partire da una determinata concezione di tempo e spazio. ↩︎

  37. In questa linea che sostiene la dimensione tempo-spaziale della Stimmung conferire: C. Pasqualin, Il fondamento «patico» dell’ermeneutico: affettività, pensiero e linguaggio nell’opera di Heidegger, Inschibboleth, Roma 2015, p. 476-494; O. F. Bollnow, Das Wesen der Stimmungen, Klostermann, Würzburg 2009, p. 131; M. Heidegger, Hölderlins Hymnen «Germanien» und «Der Rhein», 1980, GA39, p. 104-113. ↩︎

  38. Cf. M. Casanova, «A linguagem do acontecimento apropriativo», Natureza Humana (on line), 4, 2002/2, p. 317. ↩︎

  39. Dal senso del Sein, ora parliamo della ricerca per la verità del Seyn (Cf. GA65, p. 11). Dall’orizzonte del tempo dispiegato comprensivamente dal Dasein, in cui le strutture fondamentali sono il fondamento (Grund) della sua esistenza (Cf. GA65, p. 87-88, 302-303; GA9, p. 326), ora ci muoviamo alla ricerca della fondazione (Gründung) (Cf. GA65, p. 9) del tempo-gioco-spazio (Zeit-Spiel-Raum), cioè, della verità del Seyn, in cui l’Essere (Sein) dell’ente, tal intimo riferimento, è «ciò che si mostra» in un senso, ossia, nell’orizzonte del tempo. ↩︎

  40. Cf. GA65, p. 232. ↩︎

  41. GA65, p. 31. ↩︎

  42. GA65, p. 179. ↩︎

  43. GA65, p. 188. ↩︎

  44. Cf. GA65, p. 185. ↩︎

  45. Cf. GA65, p. 376. ↩︎

  46. Cf. I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, trad. P. Carabellese, Laterza, Roma-Bari 20095, p. 223-225. ↩︎

  47. Cf. GA65, p. 378. ↩︎

  48. Cf. GA65, p. 33. ↩︎

  49. Cf. GA65, p. 20. ↩︎

  50. Cf. GA65, p. 74. ↩︎

  51. Cf. S. Agostino, Confessioni, trad. S. Sgargi, Barbera, Siena 2007, p. 441. ↩︎

  52. Cf. GA 12, p. 167-168; GA65, p. 81. ↩︎

  53. Cf. GA8, p. 9. ↩︎

  54. Cf. GA65, p. 11, 101. ↩︎

  55. Cf. GA12, p. 150. ↩︎

  56. G. W. F. Hegel, Wissenschaft der Logik, Rheinische-Westfälische Akademie der Rheinische-Westfälische Akademie der Wissenschaften, Düsseldorf 1978, p. 266. ↩︎

  57. Cf. J. Derrida, De la grammatologie, Minuit, Paris 1967, p. 221. ↩︎

  58. G. W. F. Hegel, Wissenschaft der Logik, cit. alla nota 56, p. 267. ↩︎

  59. Cf. J. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, Galilée, Paris 1987, p. 137. ↩︎

  60. Cf. J. Derrida, Spectres de Marx, Galilée, Paris 1993, p. 266-267. ↩︎

  61. Cf. GA65, p. 16. ↩︎

  62. Cf. A. Caputo, «Heidegger dopo i Beitrage zur Philosophie», Paradigmi, 47, 1998, p. 377. ↩︎

  63. «der Anklang (la risonanza), das Zuspiel (il lancio), der Sprung (il salto), die Gründung (la fondazione), die Zukünftigen (i venturi), der letzte Gott (il Dio ultimo)» (GA65, p. 6). ↩︎

  64. GA65, p. 14. ↩︎

  65. GA65, p. 179. ↩︎

  66. Cf. GA65, p. 108. ↩︎

  67. GA65, p. 15. ↩︎

  68. Cf. GA65, p. 15. ↩︎

  69. Cf. GA65, p. 236. ↩︎

  70. Cf. GA65, p. 408-409. ↩︎

  71. Cf. GA65, p. 15-16. ↩︎

  72. GA65, p. 16. ↩︎

  73. GA65, p. 22. ↩︎

  74. GA65, p. 483. ↩︎

  75. Cf. J. Fante, Chiedi alla polvere, Einaudi, Torino 2004, p. 151. ↩︎

  76. Cf. GA65, p. 21-22. ↩︎

  77. Cf. GA12, p. 21-22. ↩︎

  78. Cf. GA65, p. 22. ↩︎

  79. Cf. GA65, p. 101. ↩︎

  80. Cf. GA65, p. 22-23. ↩︎

  81. Cf. G. Dossetti, Sentinella, quanto resta della notte?, Aggiornamenti sociali, 45, 1994, p. 19. ↩︎

  82. Cf. GA9, p. 165. ↩︎

  83. J. Derrida, Psyché. Inventions de l’autre, cit. alla nota 59, p. 137. ↩︎