Max Scheler e la Biologievorlesung (1908/09)

1. Introduzione

Il testo del fenomenologo tedesco Max Scheler noto come Biologievorlesung (1908/09) è apparso nel 1993 a cura di M.S. Frings nel vol. XIV della Gesammelte Werke scheleriana. Esso raccoglie i frammenti superstiti degli appunti elaborati da Scheler per il ciclo di lezioni sui Fondamenti gnoseologici della biologia (Die erkenntnistheoretischen Grundlagen der Biologie) tenuto in qualità di Privatdozent presso l’Università di Monaco nel semestre invernale dell’anno accademico 1908-1909. Il testo appartiene al novero dei documenti che testimoniano il progressivo avvicinamento di Scheler al movimento fenomenologico.1 A livello storiografico la sua importanza risiede principalmente nel fatto che esso contribuisce a fare luce su di una fase del percorso intellettuale scheleriano di difficile interpretazione per lo studioso contemporaneo perché contrassegnata dall’assenza di pubblicazioni. Infatti, dopo l’uscita dell’articolo Kant und die moderne Kultur. Ein Gedenkblatt nel 1904 sulla Allgemeine Zeitung, si osserva da parte dell’autore un “silenzio” quasi decennale: l’articolo Über Selbsttäuschungen appare solo nel 1912 sulla Zeitschrift für Psychopathologie e rivela il nuovo profilo filosofico di Scheler, quello del fenomenologo realista vero e proprio ispiratore del circolo di giovani studiosi riunitosi a Gottinga attorno alla sua figura.2 Per quanto riguarda l’ampiezza del frammento pervenutoci, il ventaglio dei temi trattati nonché la sistematicità e la profondità argomentative messe in campo − seppur nei limiti propri di un autore tacciato da sempre di scarsa propensione all’approfondimento dell’analisi −, la Biologievorlesung (1908/09) è paragonabile solo a due scritti del periodo 1905-1911. Il primo è il lungo frammento della Logik, un’opera di ispirazione neokantiana, specificamente marburghese, che Scheler avvia nel 1904 progettando tre volumi di cui completerà però solo il primo – peraltro ritirato dalle stampe nel 1906. Il secondo scritto è il saggio Lehre von den drei Tatsachen steso a cavallo fra il 1911 ed il 1912.

Nonostante numerosi siano i suoi aspetti di interesse, la Biologievorlesung (1908/09) è ancora oggi in larga parte inesplorata. Pochi sono infatti gli studi specialistici ad essa dedicati.3 In questo articolo intendo apportare un contributo in questa direzione, proponendo una lettura del frammento incentrata su due punti: 1) dimostrare il relativamente progredito stato di avanzamento della proposta ivi espressa dall’autore rispetto alla sua vera e propria prima produzione fenomenologica compresa nell’arco temporale che va dal 1911-1912 al 1922, anno dell’aperto distacco dalla Chiesa cattolica e dal corrispondente orizzonte culturale; 2) far emergere la sistematica unità dei temi epistemologico, ontologico e fenomenologico, articolata qui in un primo tentativo di sviluppare attraverso un’analisi descrittiva delle strutture intenzionali della coscienza implicate nella conoscenza intellettiva un’ontologia della scienza moderna intesa quale prodotto di una visione di mondo storicamente situata. Prima di avviare la lettura del frammento mi siano concesse alcune considerazioni introduttive, a cui seguirà una schematica ricostruzione della struttura dell’articolo.

1.2. Prolegomeni alla lettura del testo

Voglio innanzitutto ricordare i rapporti dell’autore con il fondatore della fenomenologia classica, Edmund Husserl. Come è stato dimostrato da approfonditi studi storiografici, in vari luoghi della propria opera, fra cui il saggio del 1922 Die deutsche Philosophie der Gegenwart, Scheler ha deliberatamente falsato dati relativi ai primi incontri personali avuti con Husserl, forse allo scopo di dimostrare un autonomo percorso di elaborazione della tematica fenomenologica.4 In un noto passaggio tratto dalla prefazione alla prima edizione unitaria (1916) del suo capolavoro, Der Formalismus in die Ethik und die materiale Wertethik, Scheler scrive che

dobbiamo agli importanti lavori di Edmund Husserl la coscienza metodologica dell’unità e del senso dell’atteggiamento fenomenologico. […] Ma per quanto concerne il modo di concepire, comprendere e realizzare questo atteggiamento nonché e, a fortiori, per quanto riguarda la sua applicazione agli insiemi dei problemi qui trattati, l’autore si sente in obbligo di reclamare, per ogni singolo punto, una responsabilità esclusiva ed un’esclusiva paternità.5

Sebbene in un’accezione fortemente critica, questa rivendicazione di autonomia avanzata dal Nostro viene confermata da Husserl. Nei carteggi con Adolph Grimme e Roman Ingarden, risalenti rispettivamente al 1917-1918 e al 1927-1931, Husserl rileva come Scheler si sia appropriato della fenomenologia e del suo metodo asservendoli ai propri fini intellettuali.6 Ciò nonostante, è ad Husserl che Scheler deve in larga parte la sua carriera accademica. Nel 1910, infatti, quando quest’ultimo perde la posizione di docenza a Monaco a seguito di uno scandalo pubblico che coinvolge la prima moglie Amelie von Dewitz-Krebs − la quale accusa pubblicamente Scheler di condotta amorale per una presunta relazione con la moglie di un collega −, è Husserl a scrivere per lui una lettera di referenza in cui sostiene che Scheler è un ricercatore di primissimo livello, indipendente e rigoroso dal punto di vista scientifico. Come rileva Eugene Kelly, l’atteggiamento apparentemente incongruo tenuto da Husserl nei confronti di Scheler e della sua proposta fenomenologica risulta comprensibile solo se interpretato alla luce della profonda evoluzione che la riflessione di entrambi gli autori ha conosciuto.7

Sul piano strettamente filosofico, l’opera che ha dato avvio all’intero movimento fenomenologico, le husserliane Logische Untersuchungen, è stata a più riprese criticata di idealismo dal giovane Scheler pre- e proto-fenomenologo. Nella Logik egli l’accusa di promuovere una concezione platonica degli oggetti e delle leggi logiche.8 In Biologievorlesung (1908/09) Scheler discute brevemente le erronee implicazioni di questo presunto idealismo platonico per quanto concerne la teorizzazione del rapporto fra necessità logica e necessità fisica.9 L’accusa di idealismo è una costante della ricezione scheleriana degli scritti fenomenologici di Husserl. Tuttavia, già a partire dal 1912, quindi anteriormente alla pubblicazione del primo libro delle Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1913) che segna la nascita della fenomenologia come idealismo trascendentale nonché la rottura fra Husserl e gran parte degli esponenti cosiddetti realisti del movimento fenomenologico, Scheler non parlerà più di idealismo platonico, accusando Husserl di promuovere un idealismo di stile moderno, specificamente nella versione cartesiana del primato della percezione interna su quella esterna.10 La mutata cifra critica viene taciuta dal Nostro: Scheler contrappone ora a scritti quali Philosophie als strenge Wissenschaft (1911) il “corretto” oggettivismo delle Logische Untersuchungen.

A proposito di oggettivismo, occorre osservare come l’attiva partecipazione di Scheler ai circoli realisti di Monaco e Gottinga si sia progressivamente concretata nell’assimilazione del tema dell’eidetica. L’eidetica può essere definita come un’analisi semantica di carattere descrittivo interessata all’aspetto ideale (eidetisch) o essenziale (wesentlich) dei significati.11 Essa presuppone l’intenzionalità o direzionalità all’oggetto come caratteristica-base della coscienza umana, che i fenomenologi interpretano come un “vissuto” (Erleben), un’esperienza cioè in prima persona – che è sempre esperienza “di qualcosa”, per l’appunto esperienza intenzionale. Tanto il primo Husserl fenomenologo quanto i cosiddetti realisti di Monaco e Gottinga interpretano l’eidetica come applicabile sia alla materia sia alla forma dell’idea o essenza, vale a dire, rispettivamente, alle sue qualità contenuto-dipendenti e contenuto-indipendenti. L’idea o essenza è intesa qui come l’oggetto o correlato intenzionale della coscienza, il quale “si dà” (selbst gibt), si manifesta in un’intuizione di tipo non senso-percettivo bensì ideale (essenziale). Da un punto di vista metodologico, le descrizioni eidetiche si avvalgono di tre operazioni: la variazione immaginativa, la riduzione eidetica e l’astrazione formale. La prima operazione coincide con la generazione a livello di immaginazione delle variazioni potenzialmente infinite di una particolare istanza del significato analizzato. La seconda operazione sposta l’attenzione analitica dalle qualità specifiche delle variazioni immaginative per focalizzarla sull’idea o essenza che identifica le qualità invarianti o costanti delle variazioni immaginative. La terza operazione consente di astrarre dalla materia ideale (essenziale) e concentrare l’attenzione analitica sulla sua forma. I realisti di Monaco e Gottinga identificano fenomenologia ed eidetica e, con ciò stesso, bypassano l’accezione della fenomenologia quale psicologia descrittiva centrale in Husserl sino all’avvio del programma della fenomenologia come idealismo trascendentale dove l’analisi descrittiva è reinterpretata come analisi noetico-noematica di un atto-processo (noesi) e di ciò che è inteso da esso (noema).12 In estrema sintesi, seguendo la schematica ricostruzione di Barry Smith,13 possiamo dire che i realisti, Scheler con essi, propugnano una fenomenologia orientata all’oggetto sostenuta da un marcato anti-psicologismo critico anche verso il lascito brentaniano che sopravvive nella fenomenologia husserliana – intesa come psicologia descrittiva – fino al 1913. L’anti-psicologismo dei realisti di Monaco e Gottinga radicalizza così la critica che nel primo libro delle Logische Untersuchungen, i Prolegomena zu reine Logik, Husserl stesso aveva mosso alle tendenze psicologiste interne alla tradizione filosofica moderna e contemporanea che egli stima accomunate da una concezione delle leggi logiche e degli oggetti logici come, rispettivamente, regolarità empiriche e contenuti della vita psichica individuale e/o collettiva.14

Per quanto concerne il tema del ciclo di lezioni qui in esame, quello per la biologia è un interesse che Scheler coltiva lungo l’intero corso della propria vita.15 Con l’adesione al movimento fenomenologico Scheler sembra guadagnare quegli strumenti teorici e metodologici che gli sono necessari per interrogarsi con rigore su una serie di questioni fondamentali quali l’essenza dell’organizzazione vivente, la possibilità di rintracciare un ordine apriori nella complessità dei fenomeni biologici e i limiti dell’approccio scientifico allo studio degli stessi. Come noto, le prime due questioni vengono magistralmente affrontate da Scheler nella conferenza Die Sonderstellung des Menschen tenuta a Darmstadt il 27 aprile 1927.16 Tuttavia, già nel corso del primo decennio del secolo l’autore avvia una profonda riflessione intorno alle summenzionate questioni.17 Scheler si confronta con i più avanzati settori della ricerca teorica e sperimentale nel campo delle scienze della vita e con gli orientamenti filosofici della Lebensphilosophie tedesca e francese (non solo Nietzsche, Simmel e Dilthey, ma anche Bergson, Fouillée e Guyau) e dell’evoluzionismo (soprattutto Spencer). In Biologievorlesung (1908/09) il tema dell’organizzazione biologica, della sua origine e del ruolo giocato in quest’ultima da fattori evoluzionistico-causali è centrale e viene sviluppato entro un serrato confronto critico con la posizione di un esponente di spicco del neodarwinismo quale Ernst Haeckel.

Per quanto concerne i limiti dell’approccio scientifico allo studio dei fenomeni vitali, la riflessione scheleriana è animata da una profonda necessità di difendere un pluralismo prospettico che si reputa minacciato dall’onnipervasività delle categorie concettuali della scienza e, soprattutto, dall’“anonimia” in cui queste versano quali pregiudizi culturali del mondo moderno.18 In generale, Scheler ritiene che la scienza sia incapace di una radicale auto-fondazione, un compito questo che egli stima adeguatamente svolto solo da una filosofia critica che, come quella fenomenologica, si basi sull’analisi eidetica dei significati adottati nelle teorie scientifiche − interpretate come sistemi di giudizi.19 Questa è la posizione che l’autore difende anche in Biologievorlesung (1908/09) relativamente alle scienze della vita. Tuttavia, in un successivo ciclo di lezioni che Scheler tiene all’università di Colonia nel 1926-1927 sul tema L’essenza dei fenomeni vitali (Das Wesen der Lebenserscheinungen) la questione epistemologica, in particolare il problema dei limiti della conoscenza scientifica dei fenomeni vitali, diventa una questione di secondaria importanza.20 La discussione scheleriana si concentra ora sulla possibilità di una teoria critica della conoscenza del vivente che si dimostri capace di affrontare il paradosso del condizionamento biologico dei principi e delle categorie adottate dal conoscente.21 Un fattore decisivo in questo passaggio mi pare sia l’elaborazione a partire dal 1923 della teoria delle metascienze, una teoria che fa parte del programma di metafisica la cui delineazione impegna Scheler sino alla morte − avvenuta per infarto il 18 maggio del 1928. La descrizione eidetica diventa ora funzionale allo sviluppo di una metafisica di primo genere, le cosiddette metascienze, in cui gli assiomi che strutturano formalmente le discipline scientifiche vengono prima tematizzati attraverso uno studio eidetico per essere poi connessi, tramite ragionamenti inferenziali, ai risultati positivi, empirici raggiunti dalle stesse.22 Ciò al fine di conseguire una conoscenza critica del dominio oggettuale delle varie discipline estesa tanto all’essere dell’essenza quanto all’essere dell’esistenza.

1.3. Struttura dell’articolo

Il presente articolo ha la seguente struttura: il § 2 è dedicato all’esame delle sezioni I, III e IV di Biologievorlesung (1908/09) e tenta di evidenziare una continuità di temi e argomentazioni con gli scritti scheleriani successivi, compresi fra il 1911-1912 ed il 1922. Il § 3 si concentra sulla sezione II del frammento, indagata sotto una lente sistematica. A tale proposito, il mio obiettivo è esplicitare la presenza di un progetto critico in formazione volto a fondare la scienza moderna su basi ontologiche grazie agli strumenti forniti dall’analisi eidetica. Rispetto alla tarda teoria delle metascienze questo progetto è certo carente di un’adeguata formulazione della problematica critica. Ciò nonostante, soprattutto se considerato alla luce degli sviluppi che lo interesseranno sino al 1921, esso rivela caratteri originali che dipendono dall’uso fatto della teoria delle visioni di mondo (Weltanschauungstheorie). Questa teoria viene recepita da Scheler fra il primo ed il secondo decennio del secolo da autori quali Wilhelm Dilthey, Heinrich Gomperz e Wilhelm von Humboldt.23 La conclusione dell’articolo tenta di ricostruire l’analisi scheleriana del concetto di forma vitale (Lebensform), un concetto centrale in Biologievorlesung (1908/09) che, tuttavia, non trova qui adeguata trattazione.

2. Dalle forme in generale ai movimenti istintivi: l’eidetica del bios in Biologievorlesung (1908/09)

2.1. Forme in generale

La prima sezione di Biologievorlesung 1908/09 è intitolata forme in generale (Formen überhaupt) ed è organizzata in tre sottosezioni: un’introduzione fenomenologica (Phänomenologische Vorbemerkung) e due paragrafi dedicati, rispettivamente, alla distinzione fra forma propria e forma di relazione (Eigenform und Beziehungsform) e agli individui cosmici (Kosmische Individuen). Come si intuisce facilmente anche da queste poche informazioni, a livello contenutistico la sezione è assai variegata, spaziando da (l’analisi de) il concetto di forma oggettuale, i suoi modi e livelli di datità, alla distinzione fra materia e forma in oggetti connotati come viventi ed in oggetti connotati come non viventi, ai concetti di evoluzione biologica ed evoluzione geologica sino alla critica della teoria scientifica dell’evoluzione naturale. Secondo quanto recita il titolo, l’elemento unificante di un tale vasto insieme di soggetti sono le forme oggettuali, interpretate quali «elementi base della nostra visione di mondo»,24 una caratterizzazione che Scheler discuterà in termini relativamente estesi nel saggio Vom Wesen der Philosophie pubblicato per la prima volta nel 1917, quindi nel 1921 con il nuovo titolo Vom Wesen der Philosophie und die moralischen Bedingungen des philosophischen Erkennens.25

Scheler distingue innanzitutto la forma dai qualia, in particolare dai qualia sensoriali: la forma non coincide con questi dati qualitativi pre-intenzionali che mancano di strutturazione oggettuale, i quali possono variare solo entro una forma a cui l’esperiente ha già avuto accesso.26 La forma non è riducibile neppure alla struttura o relazione d’ordine che organizza i qualia come componenti dell’oggetto intenzionale. Essa non può quindi essere interpretata come il risultato di una connessione associativa (assoziative Verbindung) che struttura, ordina od organizza i dati qualitativi nell’oggetto, secondo quanto sostengono i fautori dell’associazionismo in psicologia. In tale contesto Scheler ripropone un esempio classico: la melodia di una canzone composta da una molteplicità di toni, la quale viene colta dall’ascoltatore come una e medesima anche quando la canzone è eseguita a diverse altezze tonali.27 Una prima descrizione positiva del dato intuitivo vede nella forma una caratteristica, una proprietà (Merkmal; Eigenschaft) dell’oggetto, che Scheler interpreta secondo lo schema approfondito da Husserl nella terza ricerca logica, quindi come un intero (Ganzen) composto di parti (Teilen), vale a dire le qualità oggettuali.28 A questo punto Scheler delimita, circoscrive il dato descritto, secondo un procedimento, quello della riduzione eidetica, che il Nostro in risposta ad una critica mossa da Wilhelm Wundt alle husserliane Logische Untersuchungen paragonerà al metodo adottato dalla teologia negativa.29 La forma, chiarisce Scheler, non è né una qualità, né un intero, né una relazione, né un sentimento, né un atto sintetico della coscienza e neppure un’unità teleologica (teleologische Einung).30 Una serie di concettualizzazioni più o meno tradizionali vengono così rifiutate. Innanzitutto, una certa fenomenologia affetta da «pregiudizi sensualistici».31 Dalla lettura di Lehre von den drei Tatsachen sappiamo che questa fenomenologia sensualistica è quella del primo Husserl, a cui Scheler imputa di aver amplificato l’errore del maestro Carl Stumpf e di certi esponenti della psicologia della Gestalt, fondando l’idea sui dati fenomenali della senso-percezione.32 Scheler dimentica tuttavia la triplice articolazione del dato come reale (real), come intenzionale (intentional) e come reel, parte cioè della coscienza soggettiva, che Husserl stabilisce intorno al 1907 e che gli consente, fra le varie cose, di superare quel tipo di fondazione accusata da Scheler di sensualismo.33 Gli altri obiettivi della critica scheleriana sono Brentano, la filosofia meccanicista legata alle teorie psicologiche dell’associazione, Cartesio, Aristotele e soprattutto Kant.

In Biologievorlesung 1908/09 troviamo una prima succinta formulazione della celebre critica che nel Formalismus Scheler muoverà alla concezione kantiana del formale. La forma non coincide con le leggi a priori dell’appercezione o sintesi soggettiva dell’oggetto. Nel frammento qui in esame Scheler scrive che «[in Kant e nella tradizione kantiana – ndr] è erroneo quanto segue: a) che l’atto sintetico in generale […] all’inizio crea o costituisce la forma; b) che le forme della percezione esterna (siano esse estetiche o teoretiche) derivino in generale dalla datità di una percezione interna e che solo a partire dai dati di quest’ultima vengano trasposte nella sfera esterna».34 L’autore aggiunge che la confusione fra forma e legge sintetica è quanto inficia la comprensione kantiana delle forme estetiche della temporalità e della spazialità, la quale si rivela altresì corretta lì dove esse sono interpretate come forme dell’ordinamento dei dati qualitativi, come tali considerate irriducibili alla relazione d’ordine dei suddetti.35 Come avrò modo di illustrare nella conclusione di questo articolo, nelle sue linee essenziali, la parte costruttiva della teoria scheleriana, secondo cui temporalità e spazialità sono generi di una forma più originaria che, per l’appunto, in-forma il vissuto o coscienza che il vivente ha del proprio ambiente circostante, può essere considerata già presente in Biologievorlesung 1908/09 benché non sufficientemente sviluppata.

Nella seconda sottosezione Scheler distingue fra forma propria (Eigenform) e forma di relazione (Beziehungsform) nei termini di due modalità del darsi della forma come dato intuitivo: una modalità diretta o autentica (echt) ed una modalità indiretta o apparente (scheinbar).36 La distinzione riguarda l’apprensione della forma che può essere o primaria e fondativa per quelle subordinate dei qualia e della loro relazione d’ordine, oppure derivata e fondata sull’apprensione (primaria) dei limiti imposti da strutture altrimenti formate, le quali coesistono all’interno dello stesso ordine spaziale. Gli esempi portati dall’autore sono due e si riferiscono entrambi alla forma di relazione: le linee che delimitano la figura di un uomo disegnata su un foglio di carta che si trova sopra un tavolo su cui è richiamata l’attenzione dell’esperiente e la forma del mare colta distinguendo l’acqua dalla riva.37 Scheler introduce quindi un’altra distinzione: quella fra tre livelli di datità (Stufen der Gegebenheit) della forma. Il primo livello è quello della forma dei qualia, il secondo è quello della forma degli stati di cose (Sachverhalte), il terzo e ultimo livello è quello delle cose (Dinge).38

A questo punto il discorso si interrompe bruscamente a causa forse della perdita di materiale. Il testo riprende con la presentazione dei concetti di massa e di atomo come concetti trasversali alle scienze fisiche e a quelle chimiche. Secondo Scheler, la massa e l’atomo fisici sono misure di movimento che non implicano forme corporee, le quali in-formano invece gli oggetti chimici.39 Partendo dall’idea di corpo chimico l’autore mette in luce il riduzionismo implicito nella spiegazione meccanicista dei processi fisiologici propugnata da Emile Du Bois-Reymond e dagli altri fisiologi sperimentalisti attivi presso la scuola berlinese di Johannes Müller fra la seconda metà del XIX sec. e l’inizio del XX sec. Contro l’idea che gli eventi ed i processi fisiologici che interessano i corpi organici possano essere spiegati e predetti con strumenti matematici di tipo statistico applicati ai sottostanti eventi e processi fisico-chimici − ritenuti indipendenti dai primi in quanto fondamentali −, Scheler avanza l’ipotesi della superposizione. Secondo questa ipotesi le leggi biologiche influenzano la manifestazione degli eventi e dei processi fisico-chimici che si svolgono all’interno del corpo organico.40 Il testo prosegue con una serie di riflessioni sul medesimo soggetto, dalle quali Scheler deriva due risultati sul piano d’interesse della fenomenologia, quello ideale o essenziale: la forma vitale (Lebensform) non è indipendente dal suo sostrato e non può né esistere, né essere conosciuta come forma esterna alla materia. Ne segue, rileva Scheler, un nesso essenziale fra la caratterizzazione di materia e forma vitale: se si intende la materia come eterna o, alternativamente, come creata, così deve esserlo la forma – che, quindi, nel primo caso è forma eterna (ewig) e nel secondo è forma creata (geschaffen).41

La seconda sottosezione del testo si conclude con un’analisi dei concetti di origine (Ursprung) e sviluppo (Entstehung) del vivente.42 Secondo Scheler, occorre differenziare i due concetti chiarendone il rispettivo contenuto semantico attraverso l’analisi eidetica: questo è il grande contributo che la fenomenologia può dare alla teoria dell’evoluzione biologica. Una volta analizzati i due concetti con gli strumenti descrittivi dell’eidetica, è possibile affrontare la questione metafisica legata all’origine del vivente. Vale a dire: il vivente ha un proprio livello d’essere (Seinsstufe) oppure condivide quello del non vivente?43 Se è il secondo caso ad essere vero, allora, per lo meno di principio, il vivente potrebbe essersi sviluppato a partire da sostanze e forze inorganiche, fisiche e chimiche. La risposta di Scheler alla summenzionata questione è articolata. Muove dall’evidenza fenomenologica del coordinamento irriducibile fra materia fisico-chimica e forma vitale per giungere a negare la possibilità dello sviluppo della vita, rifiutando quindi l’idea di un essere comune al vivente e al non vivente. Qui l’obiettivo critico di Scheler è il monismo di Ernst Haeckel, una posizione metafisica che lo scienziato neodarwiniano elabora in età avanzata, la quale vede nella Substanz, nell’unione cioè di materia ed energia, l’unico principio dell’essere.44 Come è stato dimostrato,45 questo tipo di monismo implica un programma di ricerca sistematico che Haeckel sviluppa lungo l’intero arco della propria carriera. Tale programma abbraccia per lo meno tre piani argomentativi: un piano teorico-sperimentale con la cosiddetta teoria carbogena, un piano modellistico con gli alberi evolutivi e, infine, un piano metafisico con il monismo della Substanz. Consapevole della sistematicità del programma haeckeliano, Scheler discute non solo il concetto di Substanz, ma anche gli assunti concettuali alla base della teoria carbogena e degli alberi evolutivi.

La teoria carbogena afferma l’identità chimico-strutturale fra diamante e monera, una presunta forma primitiva pre-cellulare (anucleata) di essere vivente. Secondo Haeckel, la teoria fornisce un’evidenza scientifica all’unificazione dell’essere del vivente e del non vivente, dimostrando che alla base della chimica inorganica e di quella organica c’è la stessa struttura elementare. Scheler insiste sulla debolezza teorica di questa posizione, mostrando come le scienze chimiche siano condizionate dalle funzioni e dai modi della sensibilità, da ultimo da come i corpi vengono percepiti dall’esperiente nel contesto del proprio ambiente circostante. Ciò non toglie che esse non possano dirsi condizionate dalla particolare organizzazione del sistema sensoriale umano oppure dal decorso effettivo delle sue funzioni.46 Quindi, osserva Scheler, a differenza dell’universo che è un “individuo cosmico”, un sistema chiuso dal punto di vista della sua interpretabilità da parte dell’esperiente – l’osservatore secondo la terminologia scientifica moderna –, i mondi corporei sono sistemi aperti al conferimento di significato.47 Seppur limitandosi alle scienze chimiche, l’autore esprime qui un’idea-chiave di quella che sarà la sua epistemologia sino al 1922.48 Ritroveremo quest’idea trattata in modo più esteso nella seconda sezione del testo.

Per quanto riguarda gli alberi evolutivi, il modello haeckeliano si basa su di un criterio morfologico-tipologico probabilmente derivato da Goethe, il quale è diverso da quello dell’ancestor comune utilizzato negli alberi (neo)darwiniani e (neo)lamarckiani.49 Nella parte centrale e in quella conclusiva della terza sottosezione Scheler insiste sul punto per cui se le varietà biologiche possono essere spiegate tramite dinamiche adattative, lo stesso non accade a livello delle specie, contrariamente a quanto assumono sia i modelli haeckeliani sia quelli (neo)darwiniani e (neo)lamarckiani. Infatti, stando al Nostro, le dinamiche adattative, intese come fattori evoluzionistico-causali, devono essere integrate con fattori metafisici: in un contesto generale di analisi eidetica della forma vitale, sarebbe allora dato giustificare l’organizzazione biologica specifica su un piano che non concerne semplicemente la sua attuale realizzazione ma ogni sua possibile manifestazione in generale.50 Ai fini del presente articolo è interessante notare come Scheler connetta a questa linea argomentativa una critica delle teorie epistemologiche di Kant, Spencer e del pragmatista William James. A suo avviso, infatti, muovendo da erronee o inaccurate rappresentazioni del rapporto fra forma vitale e mondo corporeo, un rapporto che abbiamo visto implica per Scheler nessi essenziali, questi autori hanno frainteso il concetto di natura, specificamente la sua interpretazione entro quella che impareremo a conoscere come la visione di mondo della scienza moderna.51

2.2. Fenomenologia della vita e dell’evento organico

Dal punto di vista dei temi trattati la terza sezione di Biologievorlesung (1908/09) è molto più omogenea della prima, ragione per cui l’analisi ivi condotta raggiunge un livello di dettaglio che non è dato trovare in nessuna altra parte del testo. Sebbene il titolo reciti Fenomenologia della vita e dell’evento organico (Phänomenologie des Lebens und organischen Geschens), tre delle quattro sottosezioni in cui la sezione è stata organizzata sono dedicate ad un’analisi descrittiva del movimento (Bewegung) e della trasformazione di stato (Zustandsänderung) intesi come modificazioni di un dato fondamentale che riguarda l’evento (das Geschens) a prescindere cioè dalla sua caratterizzazione come evento fisico oppure organico: il cambiamento (Wechsel). Nella prima sottosezione (Bewegung [Wechsel, Bewegung, Veränderung]) Scheler distingue l’evento in generale dall’evento organico, precisa il rapporto fra cambiamento, movimento e trasformazione di stato avviandone l’analisi in contrapposizione critica alle posizioni di Kant, Bergson e del matematico e fisico teorico francese Henri Poincaré. L’evento, ci spiega Scheler, è l’oggetto che “cambia”: corrisponde ad uno stato di cose inserito negli ordini della temporalità e della spazialità presupposti nell’esperienza del cambiamento e, quindi, dell’evento. L’evento organico mostra (aufweist) il vivente in quanto oggettivato – per l’appunto nell’evento – da un atto di percezione esterna.52 Il cambiamento non viene descritto. Scheler si limita ad indicare il tipo di esperienza che ce lo rivela, l’esperienza cioè dell’indistinzione di movimento e trasformazione di stato. Questa esperienza viene vissuta, per esempio, quando si guarda una teca brulicante di pesci oppure oggetti illuminati ad intermittenza.53 Movimento e trasformazione di stato sono invece descritti come modificazioni del cambiamento. Il primo è infatti un cambiamento reversibile; il secondo un cambiamento irreversibile. La reversibilità ed il suo opposto indicano qui la possibilità ovvero l’impossibilità che l’evento riassuma la configurazione inizialmente esperita tanto nell’ordine della spazialità (reversibilità), quanto in quello della temporalità (irreversibilità). Secondo Scheler, Kant ha colto questi dati eidetici operando una serie di distinzioni che, tuttavia, non risultano espresse in modo chiaro perché affette da una formulazione ancora troppo radicata nel dato empirico.54 Bergson, invece, commette l’errore di ridurre il movimento alla trasformazione di stato, lì dove, d’altro canto, Poincaré non indaga affatto la distinzione fra le modificazioni dell’evento.55

Le considerazioni svolte nella prima sottosezione vengono riprese ed approfondite nelle due successive sottosezioni. Di maggior interesse è la prima, in cui Scheler individua tre componenti conoscitive del movimento che prescindono dalla sua caratterizzazione come movimento organico oppure inorganico: l’identificazione (Identifikation) immediata o mediata dell’oggetto in movimento, la continuità (Kontinuität) dello spostamento e la tendenza (Tendenz) o agentività. Egli mostra che la condizione necessaria per il movimento come cambiamento vissuto è la co-datità di almeno due delle suddette componenti conoscitive, da cui è possibile derivare la terza. Per esempio, la tendenza risulta derivabile dal darsi di identificazione e continuità.56 Troviamo qui sviluppato un aspetto dell’analisi della tendenza che Scheler non tratta nel primo capitolo del Formalismus, lì dove descrive il dato nei termini più generali di una qualsivoglia esperienza vissuta, quindi con riferimento anche ma non solo all’intenzionalità motoria.57 Come la sottosezione dedicata alle componenti conoscitive del movimento, anche la terza sottosezione (Zusatz zu Bewegung und Zustandsänderung) si interrompe improvvisamente, forse a causa della perdita di materiale. Ad ogni modo, la sua parte finale è di notevole interesse. Scheler vi affronta l’analisi dell’orientamento (Richtung) come carattere che dà “concretezza” al movimento. Secondo l’autore, un movimento è concreto quando è orientato: il vissuto di orientamento dipende dalla trasformazione di stato dell’oggetto in movimento, quindi, come ci viene spiegato, dalla connessione fra una determinata qualità dell’oggetto e uno dei loci spaziali che questo occupa in un movimento continuo.58 Anche nel caso dell’orientamento, in Biologievorlesung (1908/09) Scheler specifica la descrizione di un dato che nel primo capitolo del Formalismus viene esaminato ad un livello più generale, il livello della qualificazione imposta dall’orientamento ai diversi vissuti di tendenza.59

La quarta e conclusiva sottosezione (Bewegung als Tatbestand im Lebensphänomen) tratta del movimento e della trasformazione di stato come fenomeni vitali. Per quanto riguarda il movimento, Scheler lo descrive come un genere dello spostamento tendenziale, in cui il mutamento di posizione (spostamento) è esperito come risultante da una tendenza. L’autore rileva inoltre come il movimento organico sia un dato unitario predato rispetto alla distinzione fra fisico e psichico.60 Qui il riferimento critico sembra essere la psico-fisica di Gustav Theodor Fechner: come vissuto, precisa Scheler, il movimento non è frutto di un’operazione mentale di coordinamento diretta ad un percetto esterno, per esempio la visione dello spostamento della mia mano, e ad un vissuto interno affettivo, per esempio la cinestesia generata dal movimento della mano. Nel vissuto di movimento esterno ed interno sono direzioni immediatamente identificate dall’esperiente. Ciò vale anche nel caso di un malfunzionamento degli apparati e degli organi coinvolti nell’esercizio effettivo del comportamento motorio. A questo punto Scheler tocca un argomento che acquisirà centralità nella sua produzione successiva: il vissuto della resistenza (Wiederstand). In Biologievorlesung (1908/09) Scheler descrive la resistenza come il dato che rende l’idea dell’alterità, dell’essere-altro, a differenza di quanto farà in scritti di poco posteriori come Reine Tatsache und Kausalbeziehung (Phänomenologie und Kausalerklärung) risalente al biennio 1911-1912, nei quali essa coincide con un dato eidetico più circoscritto, quello della realtà.61 Nel movimento vissuto «esperiamo un fenomeno positivo, quello della “resistenza”, che fuori come entro il corpo-vivo è esattamente lo stesso fenomeno e nuovamente non ha nulla a che fare con la sensazione. Il fatto però che lo sperimentiamo e che di principio possiamo esperire l’“altro”, presuppone una nostra capacità di questa identificazione immediata all’interno di un atto che è indifferente alle forme della percezione esterna e interna».62 Da questa analisi Scheler ricava la distinzione fra percezione di sé (Selbstwahrnehmung) e percezione dell’altro (Fremdwahrnehmung) come distinzione indifferente a quella fra le due fondamentali direzioni dell’esperienza soggettiva, la direzione esterna che dà accesso all’essere fisico e la direzione interna che dà accesso all’essere psichico. Questo passaggio testimonia come già nel 1908-1909 Scheler ha avviato l’elaborazione di un nucleo tematico che risulterà poi decisivo per la teoria dell’intersoggettività esposta nell’appendice a Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle von Liebe und Haβ (1913), nella quale egli critica l’approccio all’esperienza dell’alter ego basato sul ragionamento per analogia proposto, fra i vari, da Theodor Lipps. La sezione si conclude con l’analisi della forza vitale (Lebenskraft), della tendenza e della trasformazione di stato come fondamenti fenomenologici rispettivamente del concetto meccanico di forza, del concetto meccanico di tempo e dei concetti termodinamici di conservazione della quantità di energia e di entropia. Riguardo alla trasformazione di stato, Scheler individua quattro proprietà essenziali:

  1. L’indipendenza dalle trasformazioni di stato fisiche esterne che solo «in concreto […] possono influire sulla trasformazione di stato dell’organismo».63
  2. La crescita per cui la trasformazione è qualitativa e «non necessita di alcun apporto energetico»64 specifico.
  3. L’individualità per cui la trasformazione è globale e non modifica lo stato «nel modo della somma delle trasformazioni di stato delle sue parti».65
  4. La complessità per cui organismo e specie si trasformano insieme e lo stato non si modifica «in un dato momento univocamente determinato per mezzo del suo stato precedente + lo stato dell’ambiente inanimato».66

Come rilevato dall’autore, queste quattro proprietà sono compatibili con l’essenza della trasformazione di stato, che abbiamo visto coincidere con l’irreversibilità del cambiamento.67

2.3. Movimenti istintivi

La quarta sezione di Biologievorlesung (1908/09) tratta dei temi del movimento istintivo e dell’istinto considerati da Scheler temi centrali per la filosofia della biologia, i cui principi, osserva il Nostro citando una serie di pubblicazione contemporanee fra cui L’èvolution créatrice di Bergson e i Principles of Phychology di William James, possono essere infatti chiariti mediante un’analisi descrittiva del movimento istintivo.68 Il punto di partenza dell’analisi scheleriana è l’identificazione di movimento istintivo e movimento animale implicita nell’uso linguistico ordinario dell’espressione “movimento istintivo”. Quest’identificazione si dimostra erronea alla luce di evidenze scientifiche che attestano il carattere istintivo di talune espressioni del conoscere e dell’agire umani, così come certe capacità di apprendimento, scelta ed intelligenza negli animali. Scheler discute criticamente due concezioni del movimento istintivo: quella che lo riconduce alla pulsione, sostenuta fra i vari da Wilhelm Wundt, e quella che lo riconduce al riflesso, fra i cui esponenti viene citato Spencer. Entrambe queste concezioni sono rifiutate come riduzioniste. In particolare, Scheler mostra come, a differenza della pulsione, l’istinto nasce da un conatus intrinseco alla natura dell’agente: la sua espressione comportamentale è un movimento funzionale e non abituale. Questo movimento ha un fine unitario, diversamente dal riflesso che è una reazione a stimoli locali che operano su determinate parti del corpo organico.69 In questo contesto tematico Scheler critica la posizione del fisiologo Jacques Loeb, che interpreta l’istinto come una catena di riflessi priva di un locus stimolatorio.

La sezione si conclude con due riflessioni. Scheler individua innanzitutto un nesso essenziale fra l’istinto e la forma vitale: alle diverse fasi di formazione degli organismi corrispondono diversi istinti, che mutano dunque in funzione della forma.70 Considerando poi il movimento istintivo come componente anche del comportamento umano, l’autore menziona i caratteri del controllo, della finalità e dell’automatismo, insistendo sul punto per cui l’istinto è un tipo di sapere e di agire indipendente nelle sue modalità d’esercizio dall’intelligenza che distingue il sapiens dagli altri esseri viventi. Come ci spiegherà più diffusamente nell’articolo del 1913 Zur Idee des Menschen, lo sviluppo dell’intelligenza e della conoscenza intellettiva nel sapiens è inversamente proporzionale al regresso dell’istinto, inteso come un sapere operativo contestuale alla dinamica adattativa che coinvolge l’organismo ed il suo ambiente circostante.71

3. Biologia e fisica: la forma vitale descritta nel contesto di un’ontologia della scienza moderna

L’analisi effettuata nel precedente paragrafo ci restituisce un quadro non molto coerente, in cui è il confronto con la produzione scientifica contemporanea e, in misura minore, con la tradizione filosofica occidentale a fornire a Scheler l’occasione per approntare un primo tentativo di indagine eidetica del territorio biologico. In Biologievorlesung (1908/09) quest’indagine è affrontata con un certo livello di dettaglio solo nella terza sezione. In generale, comunque, all’analisi scheleriana pare mancare un’unità di fondo, fermo restando che la percezione di tale mancanza possa essere in buona parte dovuta alla natura frammentaria del testo – che per giunta restituisce meri appunti di lezione non rielaborati dall’autore. Anche dopo un’attenta ricognizione testuale sembra mancare un filo conduttore che lega la prima e le ultime due sezioni del testo. In altri termini: in che modo Scheler intende collegare il concetto di forma oggettuale e, specificamente, quello di forma vitale trattati nella prima sezione alla fenomenologia dell’evento organico, della vita e dei movimenti istintivi delineata nelle ultime due sezioni?

In assenza di delucidazioni da parte dell’autore è legittimo avanzare qualche ipotesi interpretativa. A tale proposito, alla luce di quanto osservato in apertura del § 2.1, mi sembra opportuno focalizzare l’attenzione sul concetto di evento organico. Alla sua descrizione Scheler dedica infatti quasi nella sua interezza la terza sezione del testo. Rivelandosi come evento, la vita giunge in qualche modo a datità come un oggetto organizzato dalle forme intuitive della temporalità e della spazialità. La forma vitale oggettivata nella percezione dell’evento organico è allora forse una peculiare formazione spazio-temporale? Esaminando la prima sezione di Biologievorlesung (1908/09) non abbiamo incontrato definizioni della forma vitale. A dire il vero, è l’intero testo a non fornire delucidazioni in merito. Ciò nonostante, la lettura della seconda sezione mi pare dia spunti interessanti, soprattutto se incentrata sulla chiave sistematica presentata nell’introduzione di questo articolo. Infatti, ricostruendo il modo in cui Scheler ripensa determinate questioni epistemologiche in termini di ontologia della conoscenza scientifica, un’ontologia che il Nostro elabora ad un livello eidetico, è dato capire come egli descriva la componente formale dell’evento non in termini di tempo e spazio ma in quelli di variazione (Variation), di cui i primi sono generi. La variazione nell’evento organico non è descritta in Biologievorlesung (1908/09). Lo è invece in alcuni passi del Formalismus, che sarà dunque utile richiamare. Quello che invece è (relativamente) ben esplicitato in Biologievorlesung (1908/09) è il percorso seguito dall’autore per cogliere la forma dell’evento. Tale percorso include la distinzione fra scienze pure e scienze empiriche, specificamente fra logica e meccanica, che Scheler fonda su (la distinzione fra) l’attività, rispettivamente, della ragione e dell’intelletto, interpretate alla luce della corrispondente costituzione oggettuale. Con l’obiettivo di ricostruire questo percorso, in quanto segue la mia interpretazione si svincolerà in un certo qual modo dal tipo di approccio alla lettura del testo sin qui perseguito, incentrato sul restituire l’originale progressione tematica ed argomentativa.

3.1. Meccanica, modernità e civilizzazione tecnica

La seconda sezione di Biologievorlesung (1908/09) si apre con la formulazione di due questioni decisive per impostare la trattazione del tema generale della sezione, il rapporto cioè fra metodo e ontologia scientifici. Alla luce di una fondazione fenomenologica, si chiede infatti Scheler, fino a che punto l’oggetto della scienza fisica è condizionato dalla vita? Inversamente, fino a che punto la vita può essere spiegata in termini fisici?72 Le due questioni sono inizialmente affrontate attraverso l’opposizione fra il sistema concettuale delle discipline fisiche e quello delle discipline biologiche: la scienza fisica utilizza concetti di natura quantitativa; la scienza biologica utilizza invece concetti di natura qualitativa. Argomentando a favore dell’irriducibilità reciproca dei due sistemi concettuali, Scheler critica come riduzionista la posizione difesa da autori quali Bergson e William Stern, per i quali le grandezze fisiche risultano interpretabili alla luce dei concetti biologici di qualità ed individualità. Tuttavia, assolutizzare il sistema concettuale alla base di una determinata disciplina è un modus operandi che Scheler critica non solo nell’epistemologia biologista dei suddetti autori ma anche e soprattutto nella disciplina della meccanica. Secondo Scheler, i rappresentanti di questa disciplina sorta in età moderna promuovono un riduzionismo di carattere opposto a quello di Bergson e Stern, nel quale concetti quantitativi extra-meccanici sono ricondotti a concetti meccanici attraverso l’applicazione di misure di massa e moto nel calcolo dei valori, per esempio del campo elettromagnetico e dell’energia termica.73

Il riduzionismo meccanicista è collocato da Scheler nel contesto di una determinata fase dello sviluppo storico della scienza fisica, la quale coincide con l’età moderna. La connessione fra primato della spiegazione meccanica e modernità non è affrontata dall’autore su di un piano storiografico, essendo invero esplicitata seguendo un percorso argomentativo articolato in due passaggi. Il primo di questi consiste nell’evidenziare il nesso essenziale che lega la spiegazione meccanica dei fenomeni naturali e la funzione generale del sentire (spüren) propria dell’organismo come tale. Il secondo coincide con il mostrare la rilevanza epistemologica del summenzionato nesso. Iniziando dal primo, la meccanica propone una spiegazione dei fenomeni naturali incentrata sulla misura del movimento, focalizzandosi infatti sul moto delle masse corporee. La centralità attribuita al moto dalla meccanica è per Scheler null’altro che un’espressione quantitativa idealizzata attraverso l’adozione del linguaggio simbolico della geometria matematica della centralità che il movimento ha nella sensorialità degli organismi, quindi nel modo in cui questi si adattano al proprio ambiente circostante.74 Il nesso essenziale che lega spiegazione meccanica e funzione del sentire concerne allora il mantenimento alla base della spiegazione meccanica della logica adattativa che regola ogni espressione del sentire organico. Si avvia qui un percorso che, vedremo, già in Biologievorlesung (1908/09) porterà Scheler a ribaltare il rapporto fra senso comune e scienza impostato in età moderna da autori come Galileo, Descartes, Boyle e Locke sulla base della distinzione fra qualità primarie o innate e qualità secondarie o relative al percipiente dei corpi, dove le prime sono notoriamente di natura matematica, quindi proprietà quantificabili e misurabili. Per ora occorre limitarsi ad osservare come, secondo Scheler, l’individuazione del nesso essenziale fra spiegazione meccanica e funzione del sentire consenta di rispondere alla questione riguardante l’estensione del condizionamento esercitato dalla biologia del conoscente sulla scienza fisica. Quest’ultima è condizionata «non certo dalle forme e dai tipi di apparato sensoriale, né dalla sua peculiare struttura, neppure dai modi delle funzioni sensoriali. […] La meccanica si trova tuttavia implicata in un nesso essenziale con la funzione del sentire».75

Il secondo passaggio assume quanto sin qui detto e ne rivela le ricadute sul piano epistemologico. Se è vero, come è vero, che la meccanica ha avuto un impatto decisivo sull’elaborazione del metodo scientifico, il metodo ipotetico-deduttivo, allora la logica adattativa alla base della spiegazione meccanica regola in qualche modo ogni genere di spiegazione scientifica. Secondo Scheler ciò è evidente se si riflette sulla sua finalità predittiva. Muovendo da ipotesi, infatti, la spiegazione scientifica mira a predire l’accadimento di eventi in natura. Essa esprime così in una forma altamente idealizzata una tendenza al controllo della natura che è caratteristica dei sapiens.76 Per meglio dire, come Scheler ha premura di chiarire, una tendenza al controllo che è caratteristica dei sapiens come specie biologica in cui la civilizzazione ha in buona parte sostituito l’evoluzione naturale. Il linguaggio e, più in generale, la cultura sono stati messi al servizio della sopravvivenza e del miglioramento delle condizioni di vita dei membri della specie. Per Scheler, dunque, la predizione scientifica degli eventi naturali non è altro che una declinazione della tendenza al controllo della natura che l’essere umano ha sviluppato nel corso della sua evoluzione come organismo esposto alla pressione selettiva derivante dalla non sempre costante disponibilità di risorse ambientali. A differenza degli altri organismi, il principale strumento adattativo dell’essere umano non è l’evoluzione organica (modificazione dell’organizzazione genetica, funzionale e/o anatomico-morfologica del corpo) ma lo sviluppo della cultura. Scheler insiste sulla cultura tecnica, dove la produzione di artefatti via via più raffinati serve anche – ma non solo – quella specifica declinazione della tendenza al controllo della natura che è tipica della scienza moderna.77 Come in parte anticipato, l’indagine scheleriana non si limita qui a stabilire una connessione fra meccanica, più in generale scienza, modernità e civilizzazione tecnica, ma punta a ricostruire, attraverso una descrizione fenomenologica, il modo in cui l’oggetto scientifico è costituito. Dire che la spiegazione scientifica si serve di un metodo sulla cui base è dato predire il corso degli eventi naturali non è sufficiente. Occorre infatti capire come questo avvenga e ciò, secondo Scheler, è possibile descrivendo i processi costitutivi di sintesi o identificazione oggettuale tipici della scienza. Vediamo allora di ricostruire anche questo aspetto dell’indagine scheleriana.

3.2. Il carattere segnico della conoscenza intellettiva

In Biologievorlesung (1908/09) Scheler non opera una chiara distinzione fra scienze pure e scienze empiriche, trattando pressoché esclusivamente delle seconde (scienze biologiche, scienze fisiche, scienze chimiche, ecc.). Tuttavia, in alcuni passi della seconda sezione egli fa riferimento alla logica, che viene connotata come una scienza pura e razionale.78 Per Scheler, che non ha qui ancora elaborato il proprio concetto di persona trattato per la prima volta ampiamente solo nella seconda parte del Formalismus (1916), la ragione consiste nel complesso degli atti spirituali e, intesa come ragione teoretica, esprime un tipo di conoscenza pura, apodittica, fondata sul vero. Come ci spiegherà in scritti successivi, per esempio in Die Idole der Selbsterkenntnis, il vero coincide con l’articolazione in forma predicativa dell’evidenza eidetica, articolazione che si ha nell’atto del giudicare. Nella seconda sezione di Biologievorlesung (1908/09) accanto alla coppia logica/ragione Scheler introduce quella scienze naturali meccaniche/intelletto.79 A differenza della ragione, l’intelletto consiste non solo di atti spirituali ma anche di atti di scelta (Akten der Wahl). La scelta valuta e, valutando, seleziona porzioni del vero su cui l’interesse del conoscente si concentra perché ad esse è stato conferito un (nuovo) significato di tipo assiologico descritto da Scheler sotto la categoria di valore dell’utilità. Abbiamo così nuove unità di significato: mezzi funzionali al raggiungimento di uno scopo definito contestualmente al comportamento performato dal conoscente oppure scopi che fondano la funzionalità comportamentale del mezzo.80

Intesa come distinzione ragione/intelletto, quella fra scienze pure e scienze empiriche è una distinzione che nel testo acquista una natura oppositiva. Decisiva in questo senso e l’introduzione di una nuova coppia concettuale, la coppia intuizione/segno. Per quanto riguarda l’intuizione, Scheler parla qui di Anschau, scelta terminologica che esplicita il suo riferirsi al tipo di intuizione eidetica tipica della fenomenologia. Conferma di questo si ha lì dove egli individua una componente sensoriale non nell’intuizione tout court – che, infatti, come intuizione eidetica, prevede un ruolo attivo per l’immaginazione, non per la sensorialità –, ma nella conoscenza intuitiva dove l’idea è inserita entro un rapporto di validazione o inveramento che coinvolge anche il giudizio e, attraverso la mediazione delle funzioni sensoriali che ne consentono la rappresentazione cognitiva, la cosa (Ding) intesa come un esistente reale extra-intenzionale. Secondo quanto Scheler ci spiega, lì dove presente, questa componente sensoriale della conoscenza intuitiva «ha solo lo scopo di fornire segni ai nostri movimenti e alle nostre azioni, i quali ci consentono di comportarci in un certo modo».81 Ecco allora che, in quanto opposta all’intuizione eidetica, la conoscenza intuitiva mantiene un rapporto con il reale che è mediato dai sensi, i quali ci rappresentano la cosa in virtù di una funzione di rinvio che è il contenuto sensoriale stesso a portare. Ciò, naturalmente, all’interno della dinamica comportamentale. La sensazione-segno (o sensazione-indice) con le sue relazioni semantiche struttura allora quella che potremmo indicare come una conoscenza percettivo-motoria della cosa. L’intelletto fornisce questo tipo di conoscenza, la cui legge di direzione (Richtungsgesetz), la direzionalità cioè al reale, è idealizzata (idealisiert) e assolutizzata (verabsolutiert) nella spiegazione meccanica e, più in generale, in quella empirico-scientifica.82

Lasciando per il momento da parte la questione dell’idealizzazione/assolutizzazione della legge di direzione della conoscenza intellettiva, questione che intendo recuperare nel prossimo paragrafo dal momento che essa rappresenta a mio avviso un punto decisivo per comprendere la rielaborazione in chiave antimoderna a cui Scheler sottopone il rapporto fra senso comune e scienza, concentriamoci ora sulla costituzione della cosa. A tale proposito, nella seconda sezione di Biologievorlesung (1908/09) Scheler svolge un’analisi molto dettagliata. Il primo aspetto dell’analisi scheleriana che vorrei richiamare è il rapporto fondativo stabilito fra idea (o essenza) e identificazione. L’autore osserva che l’idea intesa come oggetto eidetico soddisfa il principio di identità e che, come ogni genere di relazione, anche l’identificazione, per esempio quella della cosa come oggetto della conoscenza intellettiva, implica l’identità dell’idea. «L’identificabilità appartiene all’essenza dell’oggetto. L’identità non è una “relazione”. Piuttosto, sono le relazioni stesse una certa categoria di oggetti».83 Il senso dell’implicare fondativo che Scheler sembra avere in mente qui è quello di un intero la cui esistenza è necessaria affinché esistano le sue parti. In scritti successivi al testo qui in esame Scheler raramente richiama la struttura formale intero-parti (mereologia) che Husserl introduce nella terza ricerca logica. Ciò nonostante, nei passaggi che stiamo esaminando le porzioni dell’idea selezionate nel contesto del rapporto di validazione sembrano essere ricondotte a parti di un intero. L’essere di questo intero va presupposto, è necessario cioè che sia, affinché (implicazione fondativa) sia anche l’essere delle sue parti selezionate.84 Se prendiamo in considerazione un secondo aspetto dell’analisi scheleriana vediamo come l’implicazione fondativa appena menzionata serva all’autore per chiarire come operano le relazioni del segno nell’identificare l’oggetto intellettivo. Dietro al darsi immediato della cosa esse costruiscono uguaglianze e somiglianze fra oggetti fenomenali, istanziazioni cioè della qualità data quale contenuto sensoriale. Come ci spiega l’autore:

Non è necessario che rappresentazioni simili debbano essere state nella coscienza affinché si giunga alla cosiddetta riproduzione tramite somiglianza. […] Per ciò è sufficiente piuttosto che una cosa A (per esempio una sfera di pietra rossa) sia stata data all’individuo in un fenomeno qualsiasi (contenuto visivo sfera rossa) che abbia attivato in lui determinati stimoli e processi nervosi r~α~; e che una cosa B (altra sfumatura di rosso e più grande, vetro), la quale è obbiettivamente simile ad A, eserciti in parte gli stessi stimoli r~αβ~: allora sarà dato all’individuo un fenomeno, che nel fenomeno è identico ad α. Cioè la somiglianza effettiva non sussiste fra fenomeni (rappresentazioni), ma fra le cose».85

Su tali basi Scheler critica la posizione del padre dell’empirismo logico, Hans Cornelius, e quella della contemporanea psicologia associazionista, mostrando in particolare come la coscienza della costruzione della somiglianza (Ähnlichkeitsbewußtsein) fra oggetti fenomenali – la sfera di pietra rossa, per riprendere l’esempio fatto da Scheler – sorge quando l’identità fondante – quella delle idee della sfera, della pietra e del rosso – è nascosta (unterdrückt) perché non intenzionata dal conoscente. La coscienza costruttiva è dunque in realtà una coscienza che dissocia (Dissoziation) qualità originariamente unite. Per esempio, le diverse sfumature del rosso che il conoscente vede in una sfera di pietra.86

3.3. Spiegazione scientifica e visione di mondo naturale: i processi scientifici di idealizzazione e assolutizzazione della legge di direzione della conoscenza intellettiva

Nel precedente paragrafo abbiamo discusso la legge di direzione della conoscenza intellettiva e abbiamo sottolineato come, secondo Scheler, due siano i processi mediante cui questa legge diventa normativa a livello di spiegazione scientifica e del particolare metodo sul quale quest’ultima si basa: i processi di idealizzazione e assolutizzazione. Allo scopo di approfondire la trattazione scheleriana di tali processi occorre fare un passo indietro e tornare al momento soggettivo della scelta indicato dall’autore come distintivo della conoscenza intellettiva rispetto a quella razionale. A questo proposito, la seconda sezione di Biologievorlesung (1908/09) fornisce un concetto chiave, quello della Hinsicht. Scheler individua tre componenti in questo concetto, una componente conoscitiva, una componente soggettiva ed una componente di scelta, benché lo connoti come un concetto oggettivo. La Hinsicht è infatti una relazione – e abbiamo visto come per Scheler le relazioni appartengano alla categoria dell’oggetto: il genere a cui la Hinsicht appartiene è quello delle relazioni conoscitive, essendo una relazione intenzionale con un polo soggettivo ed un polo oggettivo. La sua caratteristica specifica è la scelta dell’oggetto, intenzionato per suo tramite dalla coscienza.87 Dal punto di vista fenomenologico, la Hinsicht è ciò che accomuna senso comune e scienza: è la relazione intenzionale fondata sull’identità di un’idea necessariamente predata al conoscente (come lo è un intero rispetto alle sue parti). Essa è strutturata in accordo a tutti quei momenti della conoscenza intellettiva che abbiamo sin qui ricordato: gli atti spirituali e i correlati oggetti eidetici, l’interesse comportamentale, la selezione di porzioni dell’idea intesa come vero, la loro valutazione utilitaristica, la rappresentazione sensoriale dei significati selezionati e valutati, la loro sintesi segnica nella cosa oggetto della conoscenza percettivo-motoria che è propria dell’intelletto. Come operano i processi di idealizzazione e assolutizzazione sulla Hinsicht? A quanto sin qui ci è dato sapere, essi concernono la legge di direzione della conoscenza intellettiva, quindi il momento della sintesi segnica dell’oggetto reale.

Il processo di idealizzazione concerne il livello d’essere dell’oggetto, che nella spiegazione scientifica coincide con gli stati di cose istanziabili in singoli portatori cosali. Per esempio, l’aumentare della pressione, quindi il diminuire del volume, in un gas: quando riprodotti in una determinata situazione sperimentale, questi stati di cose possono essere osservati in questo singolo gas manipolato durante l’esperimento dal ricercatore.88 Idealizzare l’oggetto della conoscenza intellettiva intesa come conoscenza percettivo-motoria significa allora sostituire nella sintesi segnica lo stato di cose alla cosa. Questa sostituzione avviene grazie all’uso del simbolo matematico che generalizza la funzione di rinvio della sensazione-segno. In Lehre von den drei Tatsachen Scheler parlerà di una riduzione scientifica (wissenschaftliche Reduktion) che interessa il riferimento cosale del segno.89 Il processo di assolutizzazione segue quello di idealizzazione. Grazie all’adozione del simbolismo matematico lo scienziato dispone di un principio funzionale generalizzato che rende indipendente (assolutizza) l’evento naturale dalla sua esistenza reale, che è interpretata ora come solo una fra le possibili istanziazioni dello stato di cose di cui l’evento naturale è il portatore (a prescindere dalla sua esistenza reale).90

Sulla base di questa descrizione dei processi di idealizzazione e assolutizzazione Scheler ribalta la posizione moderna riguardo al rapporto fra senso comune e scienza: «Neghiamo nuovamente che il tentativo di ricondurre la natura alla legalità meccanica possa in qualche modo dirsi un successo dell’intelletto razionale come puro intelletto e che, pertanto, la causalità meccanica restituisca la vera immagine della natura. La visione meccanica della natura […] è piuttosto solo l’idealizzazione e l’assolutizzazione di una forma di comprensione che è attiva già nella visione di mondo naturale».91 A partire dai primissimi anni Dieci l’autore adotterà l’espressione wissenschaftliche Weltanschauung per riferirsi alla visione meccanica della natura (mechanische Naturansicht) che si trova alla base delle ontologie elaborate nelle diverse discipline e nei diversi settori disciplinari della scienza moderna, secondo una dipendenza di cui, si è osservato, Scheler rintraccia le radici storiche agli albori della modernità nella fase di elaborazione del metodo scientifico. La transizione terminologica appena ricordata riflette un percorso di riflessione che Scheler matura nel corso del primo decennio del secolo confrontandosi con l’interpretazione data a e l’uso fatto de il concetto di visione di mondo da autori quali Dilthey, Gomperz e von Humboldt.92 Tale percorso di riflessione condurrà il Nostro ad individuare diversi impianti categoriali alla base del senso comune e della scienza.93

4. Conclusione

In questo articolo ho proposto una lettura del testo Biologievorlesung (1908/09) incentrata intorno a due punti: la dimostrazione di una continuità tematica e argomentativa con altri scritti appartenenti alla prima produzione fenomenologica scheleriana e la messa in risalto di un progetto critico di eidetica della scienza moderna ancora in formazione, nel quale l’autore tenta di interconnettere in modo sistematico i temi epistemologico, ontologico e fenomenologico. A conclusione della lettura proposta vorrei richiamare l’attenzione sul modo in cui Scheler tratta della forma dell’evento, la variazione (Variation), in Biologievorlesung (1908/09), stabilendo un collegamento con il modo in cui egli presenta la forma dell’evento organico nel Formalismus. Come già ricordato, infatti, non è dato trovare in Biologievorlesung (1908/09) alcun passo in cui la variazione dell’evento organico viene discussa, benché essa rappresenti il vero e proprio trait d’union fra le quattro sezioni del testo. Iniziando dalla forma dell’evento, la variazione (Variation) appartiene secondo lo Scheler di Biologievorlesung (1908/09) alle categorie della logica pura, dal momento che in-forma ogni genere di cambiamento, sia esso movimento o trasformazione di stato.94 Viene definita come la possibilità di sostituire un oggetto con un altro oggetto in riferimento alla stessa identità, quella dell’idea o essenza. La variazione contiene il momento dell’essere-altro, l’idea dell’alterità (Idee der Andersheit), insieme ad un atto del divenire-altro (anderswerden) in cui, precisa l’autore, «non c’è traccia del tempo».95 Essa non presuppone neppure il concetto di funzione, che è infatti un determinato genere di dipendenza stabilita fra una molteplicità di divenienti-altro.96

Nel Formalismus Scheler collega stimolo e variazione: «Lo “stimolo” è solo ciò che muta gli stati del corpo-proprio e che pone in atto nell’essere vivente una serie di reazioni in variazione. Anche il concetto obbiettivo di stimolo […] deve essere sempre connesso all’unità del corpo-proprio e alle sue variazioni».97 Quale forma dell’evento organico attivata da un’azione di stimolo esterna vissuta a livello di coscienza corporea, la variazione è descritta dall’autore come «costitutiva per l’essenza del processo vitale», che consiste infatti «nel processo nelle variazioni dinamiche che condizionano sia le modificazioni dell’organismo, sia quelle dell’ambiente».98 A mancare in Biologievorlesung (1908/09) è allora non solo un’adeguata trattazione della forma vitale ma anche una fenomenologia dell’esperienza stimolatoria che, secondo quanto abbiamo appena visto, Scheler tratta poi come strettamente collegata alla prima. A conclusione del percorso analitico affrontato in questo articolo mi sia quindi concessa un’ultima citazione tratta dal capolavoro scheleriano, dedicata al concetto di stimolo e all’urgenza di chiarificarlo attraverso la descrizione eidetica.

Un ultimo errore basilare inerente ad un concetto di stimolo ampiamente diffuso è che il concetto, invece di venire riferito alle reazioni provocate da uno “stimolo” (inteso nel suo significato più originario, peraltro linguisticamente rilevabile), venga determinato in modo che il cosiddetto stimolo sensoriale o “stimolo di sensazione” sia colto quale essenza dello stimolo stesso. Si perviene così progressivamente all’affermazione che “non esistono affatto” colori e suoni qualitativamente indipendenti dall’organismo e dai suoi stimoli. […] Analogamente anche i valori devono allora porsi come “manifestazioni soggettive” che altro non sarebbero “propriamente” nomi di stati vitali mutevoli (sentimenti sensoriali). […] Non è però un universo privo di valori quanto si nasconde o si maschera dinanzi alla vita dispiegantesi in sentimenti sensoriali meramente soggettivi: ad un sentire che si differenzia si apre invece progressivamente un regno di qualità di valore!99


  1. Di relativamente recente pubblicazione a cura di Karl Schumann sono gli appunti di Johannes Daubert (integrati da quelli di Alexander Pfänder) relativi alla prima conferenza tenuta da Scheler presso l’Akademischer Verein für Psychologie di Monaco sul tema della fenomenologia dello spazio. Si veda: K. Schumann, Max Scheler. Sulla fenomenologia dello spazio. Conferenza del luglio 1907, in: S. Besoli, L. Guidetti (a cura di), Il Realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Quoadlibet, Macerata 2000, pp. 89-92. Altre conferenze presso il Verein sono tenute da Scheler nell’estate del 1908. Gran parte degli argomenti ivi sviluppati sono confluiti nella prima edizione (1912) dell’articolo «Über Selbsttäuschungen», ripubblicato nel 1915 nella collezione Die Abhandlung und Aufsätze: Vom Umsturz der Werte in versione estesa e con il nuovo titolo «Die Idole der Selbsterkenntnis». Si veda: M. Scheler, Gli idoli della conoscenza di sé, in: M. Scheler, Il valore della vita emotive, trad. it. di L. Boella, Guerini e Associati, Milano 1999. ↩︎

  2. Alexander Koyré connota il circolo come una «setta scheleriana». Sul tema si veda: G. Caronello, Scheda biografica, in: M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di Fondazione di un personalismo etico, trad. it. di G. Caronello, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1996, pp. 97-103, p. 99. ↩︎

  3. Fra questi segnalo: G. Mancuso, Lineamenti per un’ontologia generale della natura e per una teoria biologica della conoscenza: la «Biologievorlesung» del 1908-1909, in: S. Besoli, G. Mancuso (a cura di), Un sistema, mai concluso, che cresce con la vita. Studi sulla filosofia di Max Scheler, Quodlibet, Macerata 2010, pp. 133-158. ↩︎

  4. Cfr. W. Henckmann, Die Anfänge von Schelers Philosophie in Jena, in: C. Bermes, W. Henckmann, H. Leonardy (hrsg. von), Denken des Ursprungs, Ursprung des Denkens. Schelers Philosophie und ihre Anfänge in Jena, Königshausen & Neumann, Würzburg 1998, pp. 11-33. Per esempio, Scheler anticipa di un anno – dal 1902 al 1901 ─ l’incontro avvenuto ad Halle in occasione di una riunione dei collaboratori dei Kantstudien↩︎

  5. M. Scheler, Prefazione alla prima edizione, in: M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, trad. it. di R. Guccinelli, Bompiani, Milano 2013, pp. 3-4. ↩︎

  6. E. Husserl, Briefwechsel, vol. III, hrsg. von K. Schumann, Kluwer, Den Haag 1994. ↩︎

  7. Cfr. E. Kelly, Max Scheler, in: S. Luft, S. Overgaard (Eds.), The Routledge Companion to Phenomenology, Routledge, London 2011, pp. 40-49, p. 41. ↩︎

  8. Cfr. M. Scheler, Logica (1904/1906), trad. it. di G. Mancuso, Quodlibet, Macerata 2011. ↩︎

  9. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), in: M. Scheler, Gesammelte Werke, vol. XIV, hrsg. von M.S. Frings, Bouvier, Bonn 1993, pp. 257-367, pp. 310-311. ↩︎

  10. Cfr. M. Scheler, Gli idoli, cit., pp. 91-92. ↩︎

  11. Cfr. R. Sokolowski, Introduction to Phenomenology, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 177-184. ↩︎

  12. Cfr. G. Fréchette, «Phenomenology as Descriptive Psychology: The Munich Interpretation», in: Symposium: Canadian Journal of Continental Philosophy, vol. 16, n. 2, 2012, pp. 150-170. ↩︎

  13. Cfr. B. Smith, Realistic Phenomenology, in: L. Embree (Ed.), Encyclopedia of Phenomenology, Springer, Dordrecht 1995, pp. 586-590. ↩︎

  14. Cfr. R.M. Smid, Münchener Phänomenologie ─ Zur Frühgeschichte des Begriffs, in: H. Spiegelberg, E. Avé-Lallemant (hrsg. von), Pfänder Studien, Nijhoff, Den Haag 1982, pp. 109-154. ↩︎

  15. Cfr. D. Verducci, «La phénoménologie de la vie et la philosophie selon Max Scheler», in: Analecta Husserliana, vol. 50, 1997, pp.165-180. Scheler avvia i propri studi universitari iscrivendosi alla facoltà di medicina di Monaco e segue corsi di biologia anche dopo il trasferimento a Berlino. Qui studia filosofia entrando in contatto con due esponenti di spicco della Lebensphilosophie tedesca: Georg Simmel e Wilhelm Dilthey. Con il trasferimento a Jena, dove diventa allievo dello spiritualista Rudolph Eucken, Scheler consolida i suoi interessi a cavallo fra filosofia e scienze della vita. ↩︎

  16. Il testo della conferenza viene pubblicato nel 1927 in Der Leuchter e poi, in versione rivista ed ampliata, l’anno successivo con il nuovo titolo Die Stellung des Menschen im Kosmos. Si veda: M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo. Traduzione dall’edizione originale del 1928, trad. it. di G. Cusinato, Franco Angeli, Milano 2009. ↩︎

  17. Cfr. M. Scheler, Tentativi per una filosofia della vita, in: M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo e altri saggi, a cura di R. Padellaro, Milano 1970, pp. 121-152, ripresa in: M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di M.T. Pansera, Roma 1997, pp. 81-114. ↩︎

  18. Cfr. M. Scheler, Fenomenologia e teoria della conoscenza, in: M. Scheler, Scritti sulla fenomenologia e l’amore, a cura di V. D’Anna, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 56-106. ↩︎

  19. Cfr. M. Scheler, L’essenza della filosofia, in: M. Scheler, L’eterno nell’uomo, trad. it. di R. Premoli de Marchi, Bompiani, Milano 2009, pp. 223-305. ↩︎

  20. Dei sei quaderni che compongono la Biologievorlesung del 1926-1927 il primo quaderno e alcuni frammenti del secondo sono stati pubblicati come parte dei Manuskripte zu den Metaszienzien. Si veda: M. Scheler, Manuskripte zu den Metaszienzien, in: M. Scheler, Gesammelte Werke, vol. XI, hrsg. von M.S. Frings, Francke, Bern-Münich 1979, pp.125-184, pp. 164-184. Gli ultimi cinque quaderni sono stati editati più di recente. Si veda: W. Henckmann, Schelers Biologie-Vorlesung von 1926/1927, in D. Gottstein, H.R. Sepp (hrsg. von), Polis und Kosmos. Perspektiven einer Philosophie des Politischen und einer philosophischen Kosmologie, Königshausen & Neumann, Würzburg 2008, pp. 251-271. ↩︎

  21. Cfr. M. Scheler, Manuskripte zu den Metaszienzien, cit., pp. 164-165. ↩︎

  22. Cfr. ivi, p. 125. ↩︎

  23. Cfr. M. Properzi, «Ontologia formale e teoria della negazione dialettica nella prima fenomenologia di Max Scheler. Un percorso di studio dalla fenomenologia alla teoria delle categorie», in: Acta Philosophica, vol. 29, n. 1, 2020, pp. 115-136. ↩︎

  24. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 259 (trad. it. nostra). ↩︎

  25. «Una prima caratteristica di ogni visione naturale del mondo è il fatto che il soggetto che si trova in essa ritiene che il mondo che lo circonda in quel momento, o ogni possibile ambiente umano, siano l’essere stesso del mondo – e ciò in ogni dimensione, spaziale, temporale, interiore ed esteriore, rispetto al divino come agli oggetti ideali. In tutte queste dimensioni esiste infatti un “ambiente” che, per quanto possieda un contenuto particolare che varia a seconda dei diversi soggetti singoli o collettivi (popoli, razze, il genere umano naturale) e a seconda dei diversi gradi di organizzazione della vita, tuttavia partecipa ad una struttura essenziale che lo rende un “ambiente”. Questa struttura dell’ambiente naturale è il sistema delle forme naturali di esistenza (cose, avvenimenti, concezione naturale dello spazio e del tempo), e il sistema ad esso corrispondente delle forme naturali della percezione, del pensiero e della lingua (il sano senso comune dell’uomo e il linguaggio ordinario)». M. Scheler, L’essenza della filosofia, cit., pp. 279, corsivi originari. ↩︎

  26. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 259. ↩︎

  27. Cfr. ibid. ↩︎

  28. Cfr. ivi, pp. 259-260. ↩︎

  29. «Molti di coloro che applicano questo metodo [la riduzione eidetica – ndr] (nel nostro campo o in un altro), sono troppo poco consapevoli del fatto che esso (come puro metodo) in fondo non è altro che quello della cosiddetta “teologia negativa”. […] Addirittura, la fenomenologia in generale è stata impiegata per la prima volta come atteggiamento e metodo – nel corso della storia del neoplatonismo di Plotino – proprio in ambito teologico». M. Scheler, Problemi di religione, in: M. Scheler, L’eterno nell’uomo, cit., pp. 307-877, p. 453. ↩︎

  30. Cfr. Biologievorlesung (1908/09), cit., pp. 259-261. ↩︎

  31. Ivi, p. 260. ↩︎

  32. Cfr. M. Scheler, La dottrina dei tre fatti, in: Max Scheler, Scritti fenomenologici, a cura di V. D’Anna, Franco Angeli, Milano 2013, pp. 67-106, p. 81. ↩︎

  33. Come è stato rilevato, «intorno al 1907 Husserl chiarisce che la distinzione fra fatto ed essenza può effettivamente essere trovata all’interno della sfera della “pura coscienza” concepita come una sfera interna della vita egoica. […] Poichè un’essenza non possiede il suo essere come una parte “reel” del flusso di coscienza, ciò che è essenziale non può essere immanente nel senso “fenomenologico” forte del termine». B.G. Tassone, «The relevance of Husserl’s Phenomenological Exploration of Interiority to Contemporary Epistemology», in: Palgrave Communications, vol. 3, 2017, n. 17066 (trad. it. nostra). Occorre precisare che, secondo Husserl, l’essenza non è immanente se è essenza oggettuale. Lo è invece se è essenza-atto, parte “reel” della coscienza soggettiva. ↩︎

  34. Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 261 (trad. it. nostra). ↩︎

  35. Cfr. ivi, p. 262. ↩︎

  36. Cfr. ivi, pp. 262-263. ↩︎

  37. Cfr. ivi, 262. ↩︎

  38. Cfr. ibid. ↩︎

  39. Cfr. ivi, pp. 263-264. ↩︎

  40. Cfr. ivi, p. 264. ↩︎

  41. Cfr. ivi, p. 265. ↩︎

  42. Cfr. ivi, pp. 265-266. ↩︎

  43. Cfr. ivi, p. 266. ↩︎

  44. Cfr. E. Haeckel, I problemi dell’universo: prima traduzione italiana autorizzata dall’autore del dott. Amedeo Herlitska, a cura di E. Morselli, Unione tipografico-editrice, Torino 1904. ↩︎

  45. Cfr. B. Dayrat, «The Roots of Phylogeny: How Did Haeckel Build His Trees?» in: Systematic Biology, vol. 52, n. 4, 2003, pp. 515-527. ↩︎

  46. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 269. ↩︎

  47. Cfr. ivi, pp. 270-272. ↩︎

  48. Cfr. M. Properzi, «Il giovane Scheler e l’epistemologia», in: Dialegesthai. Rivista Telematica di Filosofia, vol. 20, 2018, https://mondodomani.org/dialegesthai/mpr01.htm↩︎

  49. Cfr. Cfr. B. Dayrat, The Roots of Phylogeny, cit., pp. 515-517. ↩︎

  50. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., pp. 273-283. ↩︎

  51. Cfr. ivi, pp. 275-279. ↩︎

  52. Cfr. ivi, p. 314. ↩︎

  53. Cfr. ivi, p. 315. ↩︎

  54. Cfr. ivi, pp. 315-316. ↩︎

  55. Cfr. ivi, pp. 316-317. ↩︎

  56. Cfr. ivi, p. 318. ↩︎

  57. Cfr. M. Scheler, Il formalismo, cit., pp. 52-69. ↩︎

  58. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 323. ↩︎

  59. Cfr. M. Scheler, Il formalismo, cit., pp. 55-56. ↩︎

  60. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 325. ↩︎

  61. Cfr. M. Properzi, «Materia e forma nella prima estetica fenomenologica di Max Scheler», in: Rivista internazionale di filosofia e psicologia, vol. 9, n. 2, 2018, pp. 162-177. ↩︎

  62. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 325 (trad. it. nostra). ↩︎

  63. Ivi, p. 342 (trad. it. nostra). ↩︎

  64. Ibid. (trad. it. nostra). ↩︎

  65. Ivi, p. 343 (trad. it. nostra). ↩︎

  66. Ibid. (trad. it. nostra). ↩︎

  67. Cfr. ivi, pp. 343-347. ↩︎

  68. Cfr. ivi, p. 354. ↩︎

  69. Cfr. ivi, pp. 355-356. ↩︎

  70. Cfr. ivi, pp. 358-359. ↩︎

  71. Cfr. ivi, pp. 360-361. ↩︎

  72. Cfr. ivi, p. 285. ↩︎

  73. Cfr. ivi, p. 287. ↩︎

  74. In Biologievorlesung (1908/09) Scheler pare comprendere movimento e accrescimento sotto un’unica chiave interpretativa, non incontrando così alcuna difficoltà nel trattare di funzioni organiche generali, condivise cioè fra regno vegetale e regno animale. Ciò gli consente, per esempio, di parlare di movimento anche per quanto riguarda il regno vegetale. Il riferimento è al tropismo di alcune piante, che Scheler intende come una forma di motilità geo- e foto-indotta. Nel corso degli anni Venti l’autore rivede la centralità che nella sua posizione ha il movimento come elementare funzione organica. In Die Stellung des Menschen in Kosmos l’accrescimento (Hineinwachsen) prende il posto del movimento: le due funzioni sono presentate come indifferenziate solo per quanto riguarda il regno vegetale. Si veda: M. Properzi, «Materia e Forma», cit., pp. 174-175. ↩︎

  75. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 287 (trad. it. nostra). ↩︎

  76. Cfr. ivi, p. 291. ↩︎

  77. Cfr. ivi, pp. 291-295. ↩︎

  78. Cfr. ivi, p. 291. ↩︎

  79. Cfr. ivi, pp. 291-292. ↩︎

  80. Cfr. ivi, p. 292. ↩︎

  81. Ivi, p. 293 (trad. it. nostra). ↩︎

  82. Cfr. ivi, p. 294. ↩︎

  83. Ivi, p. 289 (trad. it. nostra). ↩︎

  84. Cfr. ivi, pp. 289-291. ↩︎

  85. Ivi, pp. 300-301 (trad. it. nostra). ↩︎

  86. Cfr. ivi, pp. 298-302. ↩︎

  87. Cfr. ivi, pp. 289-290. ↩︎

  88. Cfr. ivi, p. 304. ↩︎

  89. Cfr. M. Scheler, La dottrina, cit., p. 94. ↩︎

  90. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 305. ↩︎

  91. Ivi, p. 307 (trad. it. nostra). ↩︎

  92. Dopo il 1921 il principale termine di paragone dell’autore per quanto riguarda l’interpretazione e l’uso del concetto di visione di mondo diventano Max Weber e la sua scuola. Si veda: M. Scheler, Teoria della Weltanschauung, sociologia e posizione della Weltanschauung, in Lo spirito del capitalismo e altri saggi, trad. it. di R. Racinaro, Guida editori, Napoli 1988, pp. 125-144. ↩︎

  93. «Ciò [il sistema delle forme naturali di esistenza e il sistema corrispondente delle forme naturali della percezione, del pensiero e della lingua – ndr] deve essere studiato in dettaglio nella disciplina della “fenomenologia della visione naturale del mondo” e deve essere nettamente distinto tanto dalla teoria delle categorie della scienza quanto dalla teoria delle forme dell’essere e della conoscenza, di cui si occupa la filosofia in quanto filosofia, quando ha già raggiunto il suo oggetto specifico e si trova di fronte ad esso in un atteggiamento conoscitivo». M. Scheler, L’essenza della filosofia, cit., pp. 279-281, (corsivi originari). Si veda anche: M. Properzi, «L’ontologia formale nella prima fenomenologia di Max Scheler», in: Dialeghestai. Rivista Telematica di Filosofia, vol. 20, https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/martina-properzi-02↩︎

  94. Cfr. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), cit., p. 289. ↩︎

  95. Ivi, p. 290 (trad. it. nostra). ↩︎

  96. Cfr. ivi, pp. 290-291. ↩︎

  97. M. Scheler, Il formalismo, cit., p. 199, corsivi originari. ↩︎

  98. Ivi, pp. 199-200, corsivi originari. ↩︎

  99. Ivi, pp. 201-203, corsivi originari. ↩︎