L’ontologia formale nella prima fenomenologia di Max Scheler

1. Introduzione

Due considerazioni sono cruciali per introdurre il presente contributo dedicato alla ricostruzione della dimensione formale dell’ontologia elaborata dal fenomenologo realista Max Scheler fra il 1908-1909 ed il 1922, nel corso cioè della sua prima fase produttiva d’interesse fenomenologico.1 La prima considerazione concerne l’interpretazione dell’ontologia formale tipica dei maggiori rappresentanti dei Circoli realisti di Monaco e Gottinga, costituitisi fra il 1902 ed il 1907 a seguito dell’apertura alla fenomenologia husserliana di allievi ed ex-allievi di T. Lipps aderenti all’Akademischer Verein für Psychologie, fondato dallo psicologo nel 1895.2 La seconda considerazione riguarda la concezione delle forme statiche e dinamiche dell’oggetto percettivo maturata da Scheler fra il 1908-1909 ed il 1922: ripercorrere tale concezione è fondamentale per capire l’approccio dell’autore alla dimensione in senso stretto formale-categoriale dell’ontologia fenomenologica.

I maggiori rappresentanti dei Circoli realisti distinguono un’ontologia formale «pura» che indaga la regione formale analitica dell’essere logico, dell’«oggettività in generale» (Gegenständlichkeit überhaupt) da ontologie formali generali interessate alle forme o categorie oggettive dell’essere reale, organizzato in sommi generi materiali.3 Questa distinzione approfondisce la primissima interpretazione husserliana dell’ontologia formale come scienza «pura», dominio-indipendente delle forme o categorie oggettuali, interpretazione avanzata già nel primo libro delle Ricerche logiche, i Prolegomeni ad una logica pura del 1900. Husserl propone infatti qui di allargare il significato della contemporanea nozione metalogica di categoria, come classe di modelli isomorfi che interpretano una teoria formale, tramite una fondazione intenzionale del tradizionale significato filosofico-descrittivo della nozione come classe di predicati, appreso attraverso i maestri F. Brentano e C. Stumpf. Husserl giunge per questa via alla fondamentale distinzione fra «categorie di significato» (Bedeutungskategorien) e «categorie oggettive» (gegenständliche Kategorien). Questa distinzione sarà poi approfondita con sotto-classificazioni a partire dal primo libro delle Idee.4

Diversamente dagli altri rappresentanti dei Circoli realisti,5 Scheler dà centralità alla materia pre-intenzionale ─ la materia come hyle nella terminologia introdotta da Husserl nel § 85 del primo libro delle Idee ─ nel contesto della sua prima fenomenologia della percezione sensoriale, interpretando i contenuti per l’appunto sensoriali come segni-indice che «puntano a» la cosa reale extra-mentale.6 Questa interpretazione, influenzata dagli allora più avanzati risultati della ricerca scientifica nei settori delle scienze della vita e delle scienze psicologico-comportamentali, ha alla base un modello proto-biosemiotico delle funzioni psicologiche, in particolare di quelle sensoriali, elaborato entro uno stringente confronto con specialmente i modelli di Brentano e Stumpf.7 Ai nostri fini, quanto va rilevato è che, tramite il rinvio indessicale della materia sensoriale, Scheler concepisce le forme percettive statiche e dinamiche come realisticamente fondate sull’identità sostanziale della cosa. Inoltre, poiché considera la percezione sensoriale come la componente intuitiva delle ontologie positive, sia ordinarie o naturali sia scientifiche,8 su tali basi egli può elaborare una comprensione realista delle forme categoriali oggettive del discorso positivo. In altre parole, tali forme categorizzano per Scheler il «fatto naturale» (natürliche Tatsache) ed il «fatto scientifico» (wissenschaftliche Tatsache) come oggetti reali. Secondo l’autore anche l’oggetto ideale, vale a dire l’essenza ideata (Wesenheit) della fenomenologia, è un fatto, benché «puro» (reine Tatsache):9 essa è cioè il fenomeno o auto-datità dell’essere essenziale dell’oggetto reale, la cui esistenza nel mondo attuale è metodologicamente «ridotta» (riduzione eidetica). In questo senso, anche l’ontologia formale fenomenologica tratta di forme oggettive reali, nella misura in cui queste categorizzano l’oggetto reale puro, vale a dire l’essenza ideata.

Alla luce delle considerazioni appena effettuate, occorre osservare come anche per Scheler l’essere dell’oggetto si distingua in un essere reale ed in un essere logico, che è quello dei «fatti fenomenologici in senso ampio», i quali «risiedono nell’essenza di un oggetto in generale», la cui «fenomenologia è il fondamento della logica pura».10 Nell’opera Problemi di religione l’autore articola tale distinzione come distinzione fra un ordine predicamentale ed un ordine sovra-predicamentale o trascendentale dell’essere, fondamento di tutte le differenze categoriali dell’essere reale.11 In quanto segue è nostro primario obbiettivo ricostruire l’analisi scheleriana delle forme categoriali dell’oggetto reale, tanto come oggetto positivo, ordinario e scientifico, quanto come oggetto ideale o essenziale. Intendiamo inoltre fare luce sulla «teoria pura dell’oggetto» (reine Gegenstandslehre), secondo quelli vedremo essere i suoi due principali sviluppi rintracciabili nella prima produzione fenomenologica dell’autore. A tale scopo, il presente contributo ha la seguente struttura: i §§ 2 e 3 esaminano l’ontologia formale scheleriana dell’oggetto positivo, tanto come fatto naturale (§ 2), quanto come fatto scientifico (§ 3); il 4 è dedicato all’ontologia formale dell’oggetto essenziale. Conclusivamente, si presenta l’ontologia formale dell’oggetto logico secondo l’originale approccio proposto dall’autore.

2. Le categorie del fatto naturale

Scheler tratta della dimensione formale-categoriale delle ontologie positive nel contesto di uno studio fenomenologico più generale, finalizzato allo sviluppo di una filosofia fenomenologica delle «visioni di mondo» (Weltanschauungen).12 Come si è recentemente osservato,13 tale studio, avviato sin dai primi anni ’10, secondo quanto testimonia in particolare il manoscritto edito postumo La dottrina dei tre fatti risalente al biennio 1911-1912, anticipa le indagini husserliane sul «mondo della vita» (Lebenswelt), così come l’analisi della «quotidianità» (Alltäglichkeit) e dell’«essere nel mondo» (in-der-Welt-sein) del primo Heiddeger. A nostro avviso, il carattere distintivo dello studio scheleriano risiede, principalmente, nell’interpretazione data alla nozione di visione di mondo: seguendo von Humboldt, un autore studiato sin dai primissimi anni ’10,14 per Scheler la visione di mondo è una struttura formale linguistica o, più basilarmente, pre-linguistica, vale a dire semiotica, che organizza dati intuitivi, sia cognitivi sia valoriali, inter-individuali. Questa interpretazione semiotico-linguistica della Weltanschauung sottrae il progetto di una filosofia (fenomenologica) delle visioni di mondo alla nota critica mossa da Husserl in La fenomenologia come scienza rigorosa contro, in particolare, il programma di Dilthey, secondo quanto lo stesso Scheler sottolinea.15

La visione di mondo naturale coincide con l’ambiente dinamico, la cui struttura formale, la triadicità del segno-indice naturale, implica il riferimento ad un terreno qualitativo realisticamente fondato, a correlati e ad una relazione d’interpretazione. Questa struttura è caratteristica anche dell’ambiente generalizzato scientifico, dove il rinvio indessicale è però «ridotto», così che la referenza reale ha qui la natura convenzionale tipica del segno-simbolo.16 In L’essenza della filosofia Scheler parla espressamente di una «relatività d’esistenza» dell’essere dell’ambiente (Umweltsein) rispetto alla bioorganizzazione o ad una relazione d’interpretazione in generale.17 Coerentemente egli connota quindi l’oggetto reale positivo, il fatto, come un oggetto «esistenzialmente relativo».18 Vale a dire, tematicamente, vincolato all’azione di mediazione del segno (Zeichen), che rende il morfismo soggetto-predicato della proposizione o, epistemicamente, del giudizio una relazione di semplice congruità contestuale, perché «significante per» un terzo.

Per quanto riguarda più specificamente il fatto naturale, l’autore non tratta in modo sistematico il tema delle forme categoriali naturali. Tuttavia, in un fondamentale passo contenuto nel § 3.B di L’essenza della filosofia egli indica una triade di «natürliche Dasein-Formen»: la «cosa» (Ding), l’«evento» o «processo» (Begebenheit) e le «intuizioni spaziali e temporali naturali» (natürliche Raum- und Zeitanschauung). Il termine Begebenheit non compare nei testi dei primi anni ’10, dove Scheler usa il termine Vorgang, tipico del registro fenomenologico – utilizzato da Husserl sin a partire dalle Ricerche logiche. La mutata terminologia non sembra riflettere un mutamento sostanziale di prospettiva teorica: lo si può evincere dalla lettura del frammento edito postumo sul tema Fatto puro e relazione causale (fenomenologia e spiegazione causale), in cui l’autore distingue sì fra il fenomeno soggettivo dell’«unità processuale» (Vorgangseinheit) e l’«evento» reale, ma usa il termine Ereignis per indicare il secondo, che non coincide così con la Begebenheit.19 La categoria del Ding esprime l’interno principio formale della cosa reale extra-mentale (Sache) in quanto esperito come «pura cosa», res, vale a dire, stando all’analisi scheleriana, come unità-di-resistenza opposta al comportamento a finalità adattativa del vivente. Scheler utilizza anche il composto Milieuding,20 significativo perché sottolinea come il fatto naturale sia identificabile formalmente solo e solamente all’interno della struttura dell’ambiente dinamico. Il recupero della necessità oggettiva della cosa come fondamento del nesso causale è contrapposto ai teorici «moderni» della «legalità causale» (Kausalgesetzlichkeit):21 il Vorgang, come seconda categoria dell’ontologia generale del discorso ordinario, è un rapporto di azione/passione fra un agente ed un paziente, un rapporto cioè «fra cose». Il frammento Fatto puro e relazione causale chiarisce come l’obbiettivo critico di Scheler sia qui principalmente la categoria kantiana di causa: recuperando le nozioni classiche di agente e paziente, Scheler afferma che l’azione dell’agente è condizione necessaria e sufficiente per il darsi della passione del paziente, per cui è dall’esperienza dell’unità dell’azione che dipende l’esperienza ordinaria del processo causale. Ciò implica (l’esperienza di) una netta distinzione fra la cosa-causa che agisce e la cosa-effetto che patisce.22 Anche l’analisi della terza categoria dell’ontologia generale ordinaria, le «intuizioni spaziali e temporali naturali» è impostata da Scheler in chiave anti-moderna: in particolare nel § III. 4a della Biologievorlesung del 1908-1909 ed in Fatto puro e relazione causale Scheler esamina il fondamento dinamico o causale delle forme intuitive naturali dello spazio e del tempo.

3. Le categorie del fatto scientifico

Nel primo paragrafo della seconda sezione di La dottrina dei tre fatti Scheler sostiene su basi ontologiche la difesa di un realismo scientifico connotato come «costruttivo». Tale posizione è contrapposta dall’autore al fenomenismo degli empiriocriticisti, da un lato, all’oggettivismo logico di O. Külpe, dall’altro. Come noto, quest’ultimo è profondamente influenzato da H. Lotze, che nella sua Logik del 1874 aveva introdotto la distinzione fra «giudizio», come prodotto di un atto del giudicare e «stato di cose», il referente cioè extra-mentale che verifica il giudizio. La distinzione, sviluppata in termini originali da Stumpf, è poi trattata in modo sistematico dalla scuola fenomenologica, da Daubert, Reinach ed Husserl in particolare.23 È in risposta al modo in cui Külpe concepisce lo stato di cose che Scheler recupera l’osservazione del neokantiano P. Natorp, secondo cui l’oggetto della conoscenza scientifica non è l’oggetto in senso ordinario, per il Nostro il fatto naturale: l’oggetto o fatto scientifico è infatti lo stato di cose.

Come per l’ontologia formale generale naturale, anche in questo caso l’autore individua una triade categoriale senza tuttavia proporne un’analisi sistematica: lo «stato di cose» (Sachverhalt), il «portatore» (Träger) e la «regolarità di svolgimento» (Regelmäβigkeit des Verlaufs) del processo. Il Sachverhalt è il fatto identificato formalmente dalla relazione triadica generalizzata del simbolo.24 Scheler sottolinea il carattere convenzionale della referenza del simbolo nei linguaggi formalizzati delle scienze matematiche e matematizzate contemporanee: «“Universalità”, “verificabilità”, “comunicabilità”. I fatti che non soddisfano questa condizione […] esistono naturalmente tanto quanto i fatti scientifici. Ma non sono “fatti scientifici”».25 L’autore aggiunge quindi un’osservazione decisiva: i fatti scientifici «non diventano “fatti” innanzitutto tramite la validità universale dei giudizi che li fissano. Diventano, invece, fatti “scientifici” innanzitutto con il riconoscimento da parte dell’istituzione degli studiosi».26 L’oggetto della scienza, come oggetto di un’impresa conoscitiva collettiva, dipende allora, sotto il rispetto della sua necessità formale, da processi di significazione simbolica istituzionalizzata dove sono «condizioni sociali», le condizioni cioè d’intellegibilità comunitaria e di divulgazione dei risultati della ricerca, a determinare le «regole» d’uso degli apparati simbolici, quindi l’individuazione di domini oggettivi che hanno comunque un fondamento reale: come Scheler sottolinea, il simbolo generalizza la referenza reale del segno-indice naturale. Il Träger è la seconda categoria dell’ontologia generale scientifica: il «portatore» è l’instance di uno stato di cose. Diviene qui esplicito il carattere costruttivo del realismo scientifico scheleriano:

Mentre i «fatti» della scienza sono «stati di cose», i portatori di questi fatti sono solo oggetti intesi simbolicamente. Questi oggetti ricevono innanzitutto un preciso contenuto con la definizione scientifica […] la definizione scientifica o artificiale ricava liberamente dalla sfera del significato unità completamente nuove, solo dirette a questo oggetto mediante la massima finalità nella connessione degli stati di cose. Perciò questa definizione non è mai «vera» o «falsa». Vi viene costruita un’unità di significato, alla quale deve corrispondere un oggetto che non può mai essere «dato», in base a relazioni essenziali tra oggetto, essere, cosalità materiale, unità corporea, ecc. […] è così scientificamente possibile definire, ancora in modo molto diverso, la retta, se si premette una definizione costruttiva, ad es. che la retta sia solo la linea determinata con due punti.27

La terza categoria dell’ontologia generale scientifica, la «regolarità di svolgimento» del processo, è esaminata dall’autore in Fatto puro e relazione causale entro un confronto con la categorizzazione ordinaria del nesso causale. Qui Scheler rileva come in scienza si proceda ad una «costruzione» di «portatori» degli stati di cose «essere-causa di» ed «essere-effetto di» tramite la ricerca di «contesti di regolarità della successione» (Zusammenhänge der Regelmäβigkeit des Abfolge) di cause ed effetti.28 Il significato di quest’affermazione diventa chiaro alla luce di alcuni passaggi della seconda sezione della Biologievorlesung del 1908-1909, nei quali Scheler riflette sul rapporto fra il principio di «legalità naturale» e quello di «uniformità» della natura. In particolare, l’autore stabilisce qui l’autonoma fondazione del primo principio rispetto al secondo in virtù dell’appello ad una genesi per «somiglianza» (Ähnlichkeit), tramite cioè il riferimento ad un comune terreno qualitativo, dei domini di predicazione nella concettualizzazione scientifica, che è una concettualizzazione di natura estensionale.29 Contro ontologie scientifiche logiciste à la Kulpe, Scheler, anticipando su questo punto la critica di Reinach a G. Frege,30 distingue fra predicazione «distributiva» basata sull’appartenenza di classe (principio di uniformità) e predicazione «cumulativa» (principio di legalità naturale) basata, a suo avviso, sulla relazione di somiglianza, individuando nella seconda la forma di predicazione propria del discorso scientifico. Scheler riflette allora sulla relazione d’inclusione fra collezioni cumulative di elementi che non sono classi.31

4. Le categorie del fatto puro (essenza)

Nel sesto capitolo del Formalismo Scheler presenta la sua teoria del «mondo» (Welt) come struttura dell’ontologia fenomenologica: sotto il rispetto formale, tale struttura è la diadicità della correlazione intenzionale di coscienza fra l’atto mentale coscientemente vissuto e l’oggetto, quindi l’unità di senso da questo istanziata. In generale, ai fini di evidenziare il proprium dell’analisi scheleriana della struttura mondana, è utile richiamare la critica che l’autore muove all’antinomia cosmologica di Kant: il mondo non è per Scheler un’«idea» in senso kantiano, ma una struttura di relazioni fra essenze ideate (Wesenszusammenhänge) accessibili all’attività di tipo spirituale della persona (Person).32 Si noti che nel primo libro delle Idee Husserl afferma invece che il mondo è rappresentabile a livello concettuale tramite un’idea in senso kantiano: la sua intuizione qua fenomeno non può mai essere compiutamente realizzata. È probabilmente contro questa posizione che nel § A.3.d del sesto capitolo del Formalismo Scheler tematizza la distinzione fra «microcosmi» e «macrocosmo» personali, indicando nel macrocosmo la forma dei mondi-di-persona:33 come egli chiarisce nel corso del paragrafo, i microcosmi sono mondi che corrispondono a «portatori» finiti dell’organizzazione del persona-Leib ─ come noto, il Leib è il corpo vivente, animato. Il macrocosmo è invece il mondo che corrisponde ad un’attività personale assolutamente attiva, quella del Dio persona: lo studio di tale attività, affrontato da Scheler in parte già nel biennio 1915-1916, come testimoniano in particolare i frammenti sul tema Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee contemporanei alla seconda parte del Formalismo, viene successivamente approfondito nell’opera del 1921 Problemi di religione. Ad avviso dell’autore, tuttavia, il macrocosmo non garantisce ancora l’esistenza di un unico mondo inter-personalmente condiviso: è solo la sua realtà, il suo essere-reale a farlo. Questa tesi sembrerebbe imporre l’esplorazione di una fondazione metafisica della struttura formale della Welt: di fatto, invece, l’argomentazione scheleriana è su questo punto di carattere strettamente fenomenologico, interessando l’analisi di un vissuto di «rivelazione positiva» del Dio persona, che si comunica all’essere umano facendosi daseiende Person, persona cioè esistente.34 Scheler contrappone questa soluzione a quelle che giustificano l’unità e la realtà del mondo a partire dall’unità della coscienza logica (idealismo trascendentale), dello spirito assoluto (idealismo dialettico), di un inconscio sovra-personale (metafisica dell’inconscio), oppure a partire dall’unità della scienza (neokantismo) e della «radice spirituale» della cultura (spiritualismo).

In Problemi di religione l’autore introduce una nuova figura che co-fonda la realtà della struttura mondana, la «rivelazione naturale» della Persona divina: la coscienza sacrale-religiosa ante-confessionale («naturale») esperisce la realtà, tanto fisica quanto psichica e storico-sociale, come un «campo di espressione» (Ausdrucksfeld) del divino, nel quale Questi si rivela «naturalmente», per il tramite cioè di una «lingua delle cose» (Sprache der Dinge). La realtà stessa nella sua struttura di relazioni causali diventa così portatrice di relazioni del segno, un dato che l’analisi scheleriana acquisisce dallo studio descrittivo della coscienza sacrale-religiosa. In particolare, Scheler mostra come tale coscienza sperimenti il reale alla luce della sua relativa «nullità» di «creatura» (Kreatur), così che esso, come un Fingerzeig, un indice, «punta a» la sua causa, che è causa prima creatrice.35 Il rinvio dell’indice-reale ha in questo caso carattere analogico.36 Nell’opera del 1921 Scheler sembra quindi suggerire la triadicità come struttura formale non solo dell’ambiente, ma anche del mondo.37

A tutti gli effetti, è una triade categoriale quella che l’autore presenta nel paragrafo conclusivo di L’essenza della filosofia, la cui prima edizione (1917) è però di ben quattro anni precedente la pubblicazione di Problemi di religione: in realtà, fra la fine degli anni ’10 ed i primissimi anni ’20 l’analisi scheleriana si era già concentrata sul tema dei segni-di-persona, secondo l’espressione usata da A. Zhok,38 muovendo da qui per giungere ad affrontare poi il plesso problematico dell’interpersonalità e, in particolare, la questione della rivelazione dell’esistenza del Dio persona. Ciò chiarito, la triade della prima ontologia formale fenomenologica di Scheler comprende il «qualcosa» (Etwas), l’«ente assoluto»/«ente relativo» (absolut Seiende/relativ Seiende) e la «coappartenenenza» (Zusammengehören) di essere essenziale ed essere esistenziale. Il «qualcosa» è l’esistente qualificato, qualitativamente distinto dall’altro da sé. In altri termini, è il fatto fenomenizzato non come unità-di-resistenza o «pura cosa», ma come unità qualificata o «essenza pura» perché ideata. Per capire come l’argomentazione di Scheler si incentri non sull’«essere» che non è non essere («essere assoluto»), come sostiene ad es. P. Gorevan,39 ma sul «qualcosa che è» e che non è non ente, è utile ricostruirla entro un confronto con l’analisi della forma dell’Etwas (aliquid) affrontata dalla fenomenologa realista E. Stein in Potenza ed atto.

Come noto, in quest’opera Sten propone un percorso di superamento del punto di partenza coscienzialistico della speculazione moderna. Ciò tramite una duplice «apertura» della sfera «immanente» dell’essere logico verso la sfera «trascendente» dell’essere reale, compiuta per mezzo di una riflessione condotta sulle modalità dell’atto e della potenza: la sua fonte primaria sono le Quaestiones Disputatae de Potentia di Tommaso. Per Stein, che dopo aver «scoperto» la sostanzialità del soggetto pensante (apertura orizzontale) ne mostra la contingenza (apertura verticale) riflettendo sul carattere temporale dell’autocoscienza immediata di quest’ultimo e indicando, secondo la soluzione tomista, nell’Atto Puro eternamente immutabile il fondamento necessario delle sostanze contingenti, sostanza individuale dell’io compresa,40 la forma dell’«oggetto» o «qualcosa» contiene i due aspetti del «che cosa» (das, was ist) e del «come» (das, was es ist). Tale distinzione è realizzata attraverso l’introduzione della terza forma dell’«essere» (Sein). Come in Stein, anche in Scheler il qualcosa è il seiendes Etwas, il qualcosa essente: l’autore sottolinea in questo modo l’essere indipendente dalla coscienza del qualcosa, la sua cioè esistenza reale.41 A differenza di Stein, tuttavia, l’autore critica l’identificazione «moderna» di oggetto e qualcosa, rilevando come essa vada ripensata alla luce di un recupero post-moderno dell’idea classica dell’essere come fondamento di tutte le differenze categoriali.42 È in questo senso che egli afferma che «la prima e più immediata evidenza, che è anche quella già presupposta nella costituzione del senso delle parole “dubbio su qualcosa” […] è però l’intuizione evidente che afferma in forma di giudizio che in genere qualcosa è, o detto più drasticamente che “non c’è il nulla”».43

L’introduzione della seconda categoria del fatto puro è significativamente realizzata da Scheler tramite la distinzione di due enti che condividono l’essere del qualcosa, il quale, quindi, è ben altro dall’essere assoluto che si predica univocamente di cui parla Gorevan. Al contrario: l’analogia entis è al «cuore» dell’ontologia formale scheleriana del fatto puro. La distinzione è quella fra un «ente assoluto» (absolut Seiende) che «è in modo esclusivo»44 ed un «ente relativo» (relativ Seiende) che è non non-ente, il quale è quindi sempre pro alio, benché possa essere anche, in senso però soltanto derivato, un ente in sé e per sé.45 È partendo non dall’essere dell’ente finito bensì dal suo relativo non non-essere, secondo il duplice senso predicativo ed esistenziale, che Scheler introduce la terza categoria della «coappartenenza» di essere essenziale ed essere esistenziale. Espresso tematicamente: «ogni ente possibile possiede necessariamente un essere essenziale o un quid (essentia) e un’esistenza (existentia)».46 Un’analisi della categoria della “coappartenenza” è svolta in Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, dove Scheler distingue fra la «coappartenenza» di essenza ed esistenza nella sfera d’essere relativa ed il loro «co-essere» (Zusammensein) nella sfera d’essere assoluta.47 L’autore riflette quindi sulla natura «ontica» della distinzione fra i due aspetti del come e del che cosa nel relativo non non-essere dell’ente finito e sulla natura meramente intellettiva della stessa distinzione nell’essere dell’ente assoluto.48

5. Conclusione. La «reine Gegenstandslehre» scheleriana: problemi aperti

A conclusione di questo contributo dedicato alla ricostruzione dell’ontologia formale nella prima fenomenologia di Max Scheler, presentiamo brevemente l’interpretazione data dall’autore alla «teoria pura dell’oggetto» problematizzando quella che ci sembra essere la sua principale implicazioni teoretica, riguardante una concezione dell’ontologia come disciplina che tratta anche dell’ordine sovra-predicamentale delle relazioni trascendentali. In Problemi di religione Scheler sottolinea la coincidenza fra l’«autentico» della coppia di valori «pre-logici» autentico/apparente su cui in precedenza, in particolare nell’articolo Gli idoli della conoscenza di sé, aveva fondato i valori «logici» vero/falso e la nozione del verum ontico, introdotta nell’opera del 1921 a fondamento del criterio di evidenza fenomenologica, quindi della stessa nozione logica di verità.49 In questo modo, a livello di riflessione fondamentale, l’autore stabilisce una linea di continuità fra la sua primissima e la sua più tarda produzione fenomenologica anteriori al 1922.

In questa direzione, vale a dire rispetto ad un’indagine volta ad una fondazione realista dell’oggettività logica, coesistono nell’opera scheleriana due percorsi di ricerca a nostro parere inconciliabili. Il primo percorso è basato su una particolare versione del principio ontoteologico assimilata dall’agostinismo dei padri oratoriani francesi, L. Laberthonnière in particolare. Il secondo percorso è basato invece su un’originale versione ontologica del principio di dualità formale: Scheler si serve dell’immagine dei due «linguaggi», quello «interno» della coscienza che reciproca in una «lingua oggettiva delle cose stesse» (gegenständliche Sprache der Dinge selber) il linguaggio «esterno» delle cose, per cui fra cosa e oggetto sussiste una relazione di omomorfia ma duale.50 In questa relazione, indicata dall’autore come Seinsrelation, una relazione cioè dell’essere, la forma reale è dualizzata dalla forma oggettiva logica, che le è infatti speculare. Naturalmente, la fedeltà al metodo fenomenologico impone a Scheler di derivare la prima forma per «astrazione» dalla corrispettiva essenza fenomenologica: quest’ultima è ricavata dall’analisi descrittiva di strutture d’intenzionalità che sostengono l’esperienza geneticamente primaria del reale, tanto per soggetti individuali quanto per soggetti collettivi, vale a dire, secondo Scheler, l’esperienza sacrale-religiosa e quella metafisica.51 La questione teoreticamente rilevante qui riguarda a nostro avviso l’ipostatizzazione (primo percorso) o meno (secondo percorso) di una realtà extra-naturale per l’oggettività logica. In altri termini, quale tipo di realismo è abbracciato da Scheler a livello fondamentale? Un realismo di tipo logico, per cui è la realtà extra-naturale dell’oggetto sussistente, l’archetipo o esemplare divino dell’essenza reale, a fondare possibilità e conoscibilità del vero, oppure un realismo di tipo naturale, dove è la corrispondenza duale fra cosa ed oggetto ad essere «trascendentale», vale a dire fondativa per l’evidenza fenomenologica e quindi per la stessa verità logica?

Ci pare che prima del 1922 la produzione filosofica scheleriana non offra evidenze testuali sufficienti per sciogliere questa alternativa. Lo sviluppo successivo al 1922 di un complesso programma di ricerca metafisica, di cui l’ontologia fenomenologica rappresenta solo una parte, la parte cioè «generale», accanto alle parti «speciali» della cosmologia (teoria delle metascienze), della psicologia (metaantropologia, metafisica della conoscenza) e della teologia (metafisica dell’Assoluto) metafisiche,52 se indagato nelle sue profonde radici filosofiche, può invece contribuire a gettare nuova luce sulle questioni sollevate, che vanno al «cuore» teorico della prima proposta fenomenologica dell’autore.


  1. La periodizzazione standard della produzione filosofica scheleriana è la seguente: 1) periodo produttivo giovanile (1899-1906); 2) periodo produttivo centrale (1908/1909-1922); 3) periodo produttivo finale (1923-1928). Posticipare a dopo il 1906 l’adesione più o meno esplicita di Scheler alla fenomenologia risponde a recenti studi relativi al periodo che vede Scheler spostarsi da Jena a Monaco (1906). Sul tema si vedano: W. Henckmann, Die Anfänge von Schelers Philosophie in Jena, in C. Bermes, W. Henckmann, H. Leonardy (hrsg. von), Denken des Ursprungs, Ursprung des Denkens. Schelers Philosophie und ihre Anfänge in Jena, Königshausen & Neumann, Würzburg 1998, pp. 11-33, pp. 15-16; G. Mancuso, Il giovane Scheler, LED, Milano 2007, pp. 148-161. Del biennio 1908-1909 è il primo corso sulla biologia teorica tenuto presso l’università di Monaco in cui Scheler, anche se critico verso la fenomenologia di Husserl, ne acquisisce e mette in pratica i principali strumenti teorico-metodologici. Si veda: M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), Gesammelte Werke (da ora in poi citata come GW), XIV, hrsg. von M.S. Frings, Bouvier, Bonn 1993, pp. 257-367; G. Mancuso, Lineamenti per un’ontologia generale della natura: la Biologievorlesung del 1908/09, «Discipline Filosofiche», XX/2 (2010), pp. 133-157. La crisi religiosa che allontana Scheler dal credo cattolico, annunciata pubblicamente nel 1922, influenzerà la sua successiva produzione filosofica, come testimonia il ciclo di lezioni tenuto nel 1923 all’Università di Colonia. Strumenti bibliografici indispensabili per approcciare nell’insieme l’opera scheleriana sono: W. Hartmann, Max Scheler. Bibliographie, Frommann, Stuttgart 1963; E. Avé-Lallemant, Bio-Bibliographischer Anhang, in P. Good (hrsg. von), Max Scheler in gegenwartgeschehen der Philosophie, Francke, Bern-München 1975, pp. 267-284; E. Avé-Lallement, Max Scheler, in E. Avé-Lallemant (hrsg. von), Die Nachlässe der Münchner Phänomenologen in der Bayerischen Staatsbibliothek, Harrassowitz, Wiesbaden 1975, pp. 41-125; G. Ferretti, Scheler. Introduzione bibliografica, in A. Bausola (a cura di), Questioni di storiografia filosofica. La storia della filosofia attraverso i suoi interpreti, IV, La Scuola, Brescia 1978, pp. 93-101. Per una recente puntuale esposizione di struttura e contenuti della GW scheleriana si veda: W. Henckmann, Geist und Buchstabe. Zur Edition von Schelers Nachlass in der Ausgabe der Gesammelten Werke, Traugott Bautz, Nordhausen 2017. ↩︎

  2. Cf. G. Fréchette, Essential Laws: On Ideal Objects and their Properties in Early Phenomenology, in D. Seron, S. Richard, B. Leclercq (eds.), Objects and Pseudo-Objects: Ontological Deserts and Jungles from Brentano to Carnap, De Gruyter, Berlin 2015, pp. 143-166, § 1. Si vedano anche: E. Avé-Lallemant, Die Antithese Freiburg-München in der Geschichte der Phänomenologie, in H. Kuhn, E. Avé-Lallemant, R. Gladiator (hrsg. von), Die Münchener Phänomenologie. Vortrag des internationalen Kongresses in München 13-18 April 1971, Nijhoff, Den Haag 1975, pp. 19-38; E. Avé-Lallemant, Die Nachlässe, cit.; B. Smith, Realistic Phenomenology, in L. Embree (ed.), Encyclopedia of Phenomenology, Springer, Dordrecht 1997, pp. 586-590; S. Besoli, L. Guidetti (a cura di), Il realismo fenomenologico, Quodlibet, Macerata 2000. ↩︎

  3. Cf. A. Ales Bello, Il senso delle cose. Per un realismo fenomenologico, Castelvecchi, Roma 2013, § III.5. ↩︎

  4. Cf. R. Poli, Descriptive, Formal and Formalized Ontologies, in D. Fisette (ed.), Husserl’s «Logical Investigations» reconsidered, Kluwer, Dordrecht 2003, pp. 183-210; J.F. Courtine, Husserl et la réhabilitation de l’ontologie comme ontologie formelle, in C. Esposito (a cura di), Origini e sviluppi dell’ontologia (secoli XVI-XXI), IX, Turnhout-Bari 2009, pp. 353-378; A. Ales Bello, Ontology and Phenomenology, in R. Poli, J. Seibt (eds.), Theory and Applications of Ontology - Philosophical Perspectives, Springer, Dordrecht 2010, pp. 287-328. ↩︎

  5. Cf. G. Fréchette, Phenomenology as Descriptive Psychology: The Munich Interpretation, «Symposium: Canadian Journal of Continental Philosophy», XVI/2 (2012), pp. 150-170. ↩︎

  6. Cf. M. Properzi, Materia e forma nella prima estetica fenomenologica di Max Scheler, «Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia», IX/2 (2018), pp. 162-177. ↩︎

  7. Cf. M. Scheler, Gli Idoli della conoscenza di sé, in L. Boella (a cura di), Il valore della vita emotiva, Guerini e Associati, Milano 2009, pp. 47-154, pp. 73-77; M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, trad. it. di R. Guccinelli, Bompiani, Milano 2013, § VI. A.3.b. ↩︎

  8. Scheler considera l’osservazione sperimentale (Beobachtung) scientifica come una generalizzazione della senso-percezione ordinaria. Sul tema si vedano: M. Scheler, La dottrina dei tre fatti, in V. D’Anna (a cura di), Max Scheler. Scritti fenomenologici, Franco Angeli, Milano 2013, pp. 67-106, p. 86; M. Scheler, Fenomenologia e teoria della conoscenza, in V. D’Anna (a cura di), Max Scheler. Scritti sulla fenomenologia e l’amore, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 56-106, p. 56. ↩︎

  9. Cf. M. Scheler, La dottrina, cit., p. 67; M. Scheler, Fenomenologia, cit., p. 56; M. Scheler, Il formalismo, cit., § II.A. ↩︎

  10. M. Scheler, La dottrina, cit., pp. 81-82, corsivi originari. ↩︎

  11. Cf. M. Scheler, Problemi di Religione, in L’eterno nell’uomo, trad. it. di P. Premoli De Marchi, Bompiani, Milano 2009, pp. 306-877, p. 521. ↩︎

  12. È importante chiarire le fonti da cui il Nostro attinge la nozione di «visione di mondo» fatta propria. Fondamentale è l’incontro con la «filosofia delle visioni di mondo» (Weltanschauungsphilosophie) di W. Dilthey e, soprattutto, con la «teoria delle visioni di mondo» (Weltansichtslehre) di W. von Humboldt, elaborata dal linguista come analisi fondamentale della disciplina scientifica della linguista comparata da lui stesso avviata. Sul tema si veda: T. Borsche, Denken ─ Sprache ─ Wirklichkeit. Grundlinien der Sprachphilosophie Wilhelm von Humboldts, in E. Wicke, W. Neuser, W. Schmied-Kowarzik (hrsg. von), Menschheit und Individualität, Deutscher Studien, Weinheim 1997, pp. 65-81, pp. 74-75. Per la ricezione scheleriana della teoria si veda: M. Scheler, L’essenza della filosofia, in L’eterno, cit., pp. 223-305, pp.253-255. A partire dalla metà degli anni ’20 Scheler inizierà a confrontarsi sistematicamente con il nuovo significato dato alla nozione da M. Weber e dalla sua scuola. Per questo si veda: M. Scheler, Teoria della Weltanschauung, sociologia e posizione della Weltanschauung, in R. Racinaro (a cura di), Lo spirito del capitalismo e altri saggi, Guida editori, Napoli 1988, pp. 125-144. ↩︎

  13. Cf. K. Mulligan, How to Marry Phenomenology and Pragmatism. Scheler’s proposal. In M. Baghramian, S. Marchetti (eds.), Pragmatism and the European Traditions Encounters with Analytic Philosophy and Phenomenology Before the Great Divide, Routledge, New York 2018, pp. 37-64. ↩︎

  14. Cf. M. Scheler, Sull’idea dell’uomo, trad. it. di R. Padellaro, ripresa in M.T. Pansera (a cura di), La posizione dell’uomo nel cosmo, Roma 1997, pp. 51-79. ↩︎

  15. Cf. M. Scheler, L’essenza, cit., pp. 251-257. ↩︎

  16. Cf. M. Scheler, La dottrina, cit., p. 94. Per le nozioni di ambiente dinamico (Umwelt-milieu), bioorganizzazione e doppio adattamento (Einpasung) si veda: M. Properzi, Materia e forma, cit., pp. 164-166. ↩︎

  17. «In qualsiasi modo questa struttura dell’essere dell’ambiente appaia all’uomo, è in ogni caso propria dell’essere che le corrisponde la sua relatività, anche strutturale, all’organizzazione biologica specifica dell’uomo, quale specie particolare della vita universale […] la conoscenza «scientifica» […] si limita a quelle che sono le forme strutturali della «visione di mondo naturale» ─ anche se non necessariamente ai contenuti strutturali» (M. Scheler, L’essenza, cit., p. 281, corsivi originari). ↩︎

  18. Cf. M. Scheler, Fenomenologia, cit., pp. 74-81; M. Scheler, L’essenza, cit., p. 271, pp. 279-281. ↩︎

  19. Cf. M. Scheler, Fatto puro e relazione causale (fenomenologia e spiegazione causale), in Scritti fenomenologici, cit., pp. 105-127, pp. 122-124. ↩︎

  20. M. Scheler, Il formalismo, cit., p. 289. ↩︎

  21. Cf. M. Scheler, Biologievorlesung, cit., pp. 301-313. ↩︎

  22. Cf. M. Scheler, Fatto puro, cit., pp. 109-110. ↩︎

  23. Cf. «Sachverhalt», in J. Ritter, K. Gründer (hrsg. von), Historisches Wörterbuch der Philosophie, VIII, Swabe & Co AG, Basel 1992, pp. 1102-1116. ↩︎

  24. Scheler sintetizza in «due regole» il processo di significazione simbolica: «1. Tutti i «fatti» devono essere determinati in modo univoco per mezzo di simboli scelti e nessi fra simboli. 2. Questa cosa deve verificarsi in un modo il più possibile economico, cioè così che in ciò venga utilizzato il minimo dei simboli» (Scheler, La dottrina, cit., p. 97). È in particolare da E. Schröder che l’autore assimila la semiotica dei linguaggi formali simbolici scientifici, come testimonia in particolare il frammento superstite del primo libro della Logica, un testo che Scheler ritira dalle stampe nel 1906. Qui egli recupera infatti il principio di «economicità» nell’uso del simbolo esposto da Schröder, fra i vari luoghi, anche nell’Introduzione al primo libro delle Vorlesungen über die Algebra der Logik del 1980 studiata dal giovane Scheler. ↩︎

  25. M. Scheler, La dottrina, cit.; p. 97. ↩︎

  26. Ivi, p. 98. ↩︎

  27. Ivi, pp. 95-96, corsivi originari. ↩︎

  28. Cf. M. Scheler, Fatto puro, cit., p. 109. ↩︎

  29. Cf. M. Scheler, Biologievorlesung, cit., pp. 305-306. ↩︎

  30. Cf. A. Reinach, Vortrag über Phänomenologie, in (a cura dei suoi studenti), Gesammelte Schriften, Niemeyer, Halle 1921, pp. 379-405. ↩︎

  31. M. Scheler, Biologievorlesung, cit., p. 305. ↩︎

  32. Cf. M. Scheler, Il formalismo, cit., p. 767; M. Scheler, L’essenza, cit., pp. 227-233. Sull’idea di «persona» in Scheler si veda: Cf. D. Verducci, La persona tra compimento e realizzazione secondo Max Scheler, in G. Cusinato (a cura di), Max Scheler. Esistenza della persona e radicalizzazione della fenomenologia, Franco Angeli, Milano, pp. 177-202. ↩︎

  33. Cf. M. Scheler, Il formalismo, cit., p. 771. Il sesto capitolo appartiene alla seconda parte dell’opera, pubblicata per la prima volta separatamente nel 1916, tre anni dopo la prima parte apparsa nella prima uscita dello Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung insieme ad Idee I. La prima edizione unitaria del Formalismo risale al 1916. ↩︎

  34. La forma «positiva» di autorivelazione della Persona divina è analizzata dall’autore già nei frammenti Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee. Questa forma di rivelazione si compie tramite le «parole» e la «testimonianza» degli «uomini religiosi in senso eminente», i «santi», nonché, originariamente, attraverso il Mediatore. L’opera di «trasmissione» delle verità di fede compiuta dal Mediatore e dai Santi è descritta da Scheler nella figura della «sequela» (Nachahmung). Il problema della storicità dell’incontro, il problema cioè di come il Mediatore ed i Santi possano esercitare la loro opera di comunicazione delle verità di fede nei confronti di discepoli non contemporanei, è risolto da Scheler attraverso le figure della «tradizione» e della ri-presentazione intuitiva immediata della personalità degli uomini religiosi in quelle dei loro discepoli. In quest’ultimo caso la trasmissione delle verità di fede è affidata alla «parola» e alla «testimonianza» di discepoli che hanno compiuto, direttamente o a loro volta indirettamente, la «sequela» vivente della personalità dei Santi. Si veda: M. Scheler, Problemi, cit., pp. 841-855. In quest’opera Scheler svolge un’approfondita indagine sui rapporti fra religione e filosofia, in particolare fra religione e metafisica. Dopo una rassegna delle principali concezioni del tema, la quale gli fornisce criteri per la classificazione di teorie storicamente elaborate, egli descrive il rapporto fra religione e filosofia nei termini di una «conformità» (Konformität). La tesi centrale è quella «dell’indipendenza e del fondamento in sé della religione (anche della religione naturale)», la quale impone comunque «una determinazione del rapporto tra la sua essenza e la metafisica» (ivi, p. 405). Ciò nel senso di una scoperta condotta con autonomi mezzi razionali della necessità per la metafisica di appellarsi da ultimo ad una conoscenza rivelata, vale a dire non «spontanea», della personalità come natura propria della causa prima del cosmo, attiva sull’ordine esistenziale dell’essere delle cose quale «causa creatrice». Scheler difende il primato della coscienza religiosa anche da una prospettiva genetica. Si veda: ivi, pp. 411-413. ↩︎

  35. Cf. ivi, pp. 439-447. ↩︎

  36. Cf. D. Verducci, L’analogia depotenziata. Ovvero: elementi di metafisica fenomenologica nella filosofia di Max Scheler, in V. Melchiorre (a cura di), Studi di filosofia trascendentale, Vita e Pensiero, Milano 1993, pp. 215-258. ↩︎

  37. Cf. M. Properzi, Ontologia formale e teoria della negazione dialettica nella prima fenomenologia di M. Scheler. un percorso di studio dalla fenomenologia alla Teoria delle Categorie, in «Acta Philosophica», in corso di pubblicazione. ↩︎

  38. Cf. A. Zhok, Intersoggettività e fondamento in Max Scheler, la Nuova Italia, Firenze 1997, pp. 170-171. ↩︎

  39. Cf. P. Gorevan, Non-Being in Scheler’s Thought, in «Acta Philosophica», 4/2, 1995, pp. 323-331. ↩︎

  40. Cf E. Stein, Potenza e atto. Studi per una filosofia dell’essere, trad. it. di A. Caputo, Città Nuova, Roma 2003, pp. 65-66. ↩︎

  41. Cf. M. Scheler, L’essenza, cit., p. 304. ↩︎

  42. Cf. ivi, p. 293. ↩︎

  43. Ivi, p. 291, corsivi originari. ↩︎

  44. Ivi, p. 295, corsivi originari. ↩︎

  45. Cf. Ibidem↩︎

  46. Ivi, p. 299, corsivi originari. ↩︎

  47. Cf. M. Scheler, Absolutsphäre und Realsetzung der Gottesidee, in GW, X, cit., pp. 179-240, p. 203. ↩︎

  48. Cf. M. Scheler, L’essenza, cit., p. 303. ↩︎

  49. «L’evidenza è criterio di “verità” solo in quanto entra in gioco quel “verum” insito nelle cose stesse, che si esprime nell’antico principio: “omne ens est verum” […] Se invece sono in questione quel “vero” e quel “falso” che spettano soltanto alle proposizioni e ai giudizi, l’evidenza non è criterio di verità […] A questo “vero” non si oppone il falso (che in generale si dà solo nella sfera dei giudizi e delle proposizioni), bensì l’apparente (e il suo supporto, il fantasma), che c’è laddove un oggetto non è ciò che significa (ciò che corrisponde all’esigenza di significato immanente in esso stesso). Dal lato degli atti del soggetto, all’apparente non corrisponde l‘errore, che corrisponde soltanto al falso della sfera dei giudizi, bensì l’inganno, che dunque appartiene alla sfera prelogica della conoscenza» (M. Scheler, Problemi, cit., p. 729, corsivi originari). ↩︎

  50. Cf. ivi, p. 685. ↩︎

  51. Cf. M. Scheler, Problemi di religione, cit., pp. 411-413. ↩︎

  52. Cf. M. Scheler, Schriften aus dem Nachlaß, Bd. 2: Erkenntnislehre und Metaphysik, GW, XI, hrsg. von M.S. Frings, Francke, Bern-München 1979. ↩︎