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La nascita della civiltà greca dopo il crollo della civiltà achea solleva il ricorrente problema del rapporto tra tradizione e innovazione, e ancora più in generale dell'atteggiamento nei confronti della storia. Fino a che punto la storia è maestra e quando invece essa diventa un fardello che paralizza le possibilità di sviluppo?
Interi capitoli della storia del pensiero umano vengono talvolta reinterpretati come riflessioni sul linguaggio, tanta è la difficoltà nel distinguere la realtà dal modo in cui ne parliamo. L'incontro con culture e lingue differenti spesso ci mette di fronte al problema della «parola mancante», dei limiti della comunicazione, delle diversità delle concezioni del mondo. Come si pongono questi problemi in un'epoca come la nostra in cui le distanze fisiche tra le culture si azzerano e sembra porsi l'alternativa tra un mantenimento folcloristico delle differenze e la ricerca di una comunicazione globale che porta all'appiattimento?
Il valore della «competizione», esaltato dalla cultura greca, acquista nell'età moderna uno spessore particolare nelle teorie economiche liberiste, dove compare sotto la forma della «concorrenza». La distinzione di Esìodo tra una buona e una cattiva Contesa può essere applicata anche in questo caso, o forse la sua connotazione moraleggiante ne denuncia l'intrinseca fragilità?
L'esaltazione religiosa dell'eros nella cultura greca sembra contrastare singolarmente con innumerevoli tradizioni (inclusa quella cristiana) che presentendo la possibile carica distruttiva dei rapporti amorosi li hanno incanalati entro precisi limiti istituzionali. È possibile distinguere in queste distanti posizioni la parte svolta dal realismo da quella giocata dalla percezione di un valore originario e universale dell'eros?