Lo spazio del corpo e lo spazio del mondo. Husserl, Fink e la fenomenologia ermeneutica

La correlazione tra uomo ed essere

Per Husserl alla base del mondo personale intersoggettivo, vi è la spazialità del corpo che riguarda essenzialmente il Leib, il corpo vivente come auto-percezione psico-fisica con le sue essenziali qualità cinestetiche.1 Il Leib, inteso in questo modo, non solo si caratterizza per la sua unità psico-fisica animale e la sua differenza dai corpi inanimati (Körper) ma anche ed essenzialmente, per la facoltà spirituale di poter riflettere su sé stesso. Questo tratto distintivo si costituisce, in un grado superiore rispetto all’animalità, come il darsi di un corpo proprio-personale che nell’immediatezza di sé si pone necessariamente in relazione agli altri e alle cose in un ambiente circostante (Umwelt). In questa cornice, lo spazio del mondo e quello del corpo proprio sono correlativi, si richiedono necessariamente in modo reciproco. In tale correlazione il corpo proprio chiama immediatamente in questione – come vedremo – il corpo dell’altro, l’esperienza dell’altro che consente concretamente il dischiudersi dello spazio del mondo personale-relazionale.

Anche per Fink, la figura della nostra correlazione al mondo e della sua spazializzazione è una figura centrale. Essa ha però in primo luogo, a differenza di Husserl, come cercheremo di discutere, una fondamentale declinazione ontologica. In Zur ontologischen Frügeschichte von Raum, Zeit, Bewegung, Fink afferma che «il tempo è forse solo una delle dimensioni dimenticate e svalutate dalla filosofia ontologica – forse ci si deve interrogare in egual modo sul rapporto altrettanto problematico tra essere e spazio, tra essere e movimento – o, per esprimersi in una frase, tra essere e mondo».2

Ma già dai primi scritti degli anni ’30, segnati dalla sua collaborazione con Husserl, attorno ai quali insisteranno le nostre considerazioni, per Fink il mondo nella sua trascendenza è lo spazio originario in cui si trovano ogni ente e ogni soggetto, nella forma enigmatica per cui, proprio grazie al loro differire dal mondo nel suo sottrarsi, l’ente e il soggetto sono l’un l’altro correlati. In questo significato enigmatico di origine, va collocata la cosiddetta interpretazione meontica, non-ontica della riduzione fenomenologica, in cui viene in luce gradualmente – già in questi anni – la sostanziale differenza con Husserl.

L’argomento fondamentale da prendere in considerazione, la posta in gioco,3 riguarda la discussione radicale del presupposto della posizione del fenomenologo come spettatore non coinvolto nello spettacolo del mondo (der unbeteiligter Zuschauer) nell’attuazione della riduzione trascendentale. Si tratta di un tema profondamente legato al problema della rielaborazione di quel testo husserliano, estremamente controverso, costituito dalle Meditazioni Cartesiane che sfocia nel progetto di una rielaborazione sistematica delle cinque Meditazioni. Tale progetto si svolge – com’è noto – a partire dal tentativo concreto di Fink, di scrivere – con il commento di Husserl e su sua precisa sollecitazione – una VI Meditazione, dove il tema fondamentale è appunto quello di discutere lo "sguardo fenomenologico", lo sguardo sul senso della correlazione tra uomo ed essere nel suo essere nel mondo, assieme al chiarimento della cifra interpretativa del mondo in relazione a tale correlazione.4

Bisogna innanzitutto premettere che la riduzione fenomenologica sta a indicare per Husserl il concetto autentico del proprio metodo se, non, addirittura, semplicemente, quello della fenomenologia. Tramite la riduzione si può dischiudere quel campo che Husserl definisce come campo della soggettività trascendentale. Si tratta però di un percorso plurale dalle diverse vie d’accesso. «Non esiste una modalità sistematica fissata e definita ma piuttosto solo un sistema fenomenologico»5 . Il terreno della soggettività trascendentale si caratterizza come quello relativo ad un territorio di ricerca preciso: il territorio delle regioni dell’esperienza soggettiva nella loro differente molteplicità e diversità strutturali. Diversità che riguardano le indagini fenomenologiche attorno alle diverse modalità dell’esperienza percettiva, del ricordo, della fantasia e dell’immaginazione, dei valori, indagini che non sono quindi affatto rivolte alla definizione di un presunto quanto vuoto, vacuo Io-Penso rivelato nella sua purezza. Si tratta invece per Husserl di mettere in atto, tramite la riduzione fenomenologica, un progetto di esperienza razionale della realtà che si rivolge appunto al campo delle operazioni intenzionali della vita di coscienza nelle sue differenti dimensioni, quella logico-cognitiva, quella pratica e quella estetica.6

Va sottolineato che, per Husserl, qualcosa diviene per noi reale solo nel suo manifestarsi a una coscienza, non si tratta, dunque, tramite la riduzione, di mostrare una costruzione prodotta da una coscienza. La riduzione fenomenologica ha invece il senso di tematizzare la coscienza nella modalità in cui si costituisce il reale, e per tale ragione viene definita "trascendentale".7 Si tratta inoltre, fondamentalmente, della tematizzazione del costituirsi di una processualità che prima ancora di divenir consapevole di sé stessa è innanzitutto vita anonima, vita fungente della coscienza con il suo proprio decorso, in cui il reale le si manifesta nelle sue complesse sfaccettature in una sorta di pre-consapevolezza.8 La riduzione fenomenologica consente dunque l’accesso consapevole a tale processo nelle regole del suo fungere intenzionale.

Dal punto di vista fenomenologico, la vita di coscienza, alla quale corrisponde per Husserl la struttura dell’intenzionalità come "coscienza di qualcosa", è suddivisa in compimento d’atto e contenuto d’atto (Aktvollzug e Aktinhalt). Un atto verso qualcosa ha un correlativo contenuto d’atto, esemplificata da Husserl nella relazione cogito-cogitatum,9 Com’è noto, l’analisi fenomenologica del tipo di atto, o la descrizione della sua modalità d’essere, incluse le relazioni motivazionali con atti di altri tipi (ad es. osservo un paesaggio per ammirarne la bellezza), si definisce "noetica", quella del tipo di contenuto (ad es. il paesaggio correlativo al mio guardare), o senso d’essere dell’oggetto intenzionale si definisce "noematica".10 Attraverso lo schema trascendentale noetico-noematico l’io si rapporta all’essere e un essere si manifesta per un io, tale modalità correlativa è la condizione necessaria grazie a cui l’io fa esperienza del mondo reale che Husserl chiama appunto idealismo trascendentale e che viene dunque tematizzata in virtù della riduzione trascendentale.

Il punto necessario di avvio per la riduzione fenomenologica, l’operazione fondamentale che consente la tematizzazione fenomenologica di tale correlazione, è quello della messa in discussione dell’atteggiamento naturale nei confronti del mondo,,11 e cioè della messa in discussione di quella credenza ingenua nell’ esistenza del mondo come realtà autonoma e separata dal soggetto conoscente, una credenza spontanea in cui – sia per Fink che per Husserl – noi siamo necessariamente situati come presupposto ineludibile del nostro essere nel mondo. In estrema sintesi, dopo aver attuato la sospensione della fede ingenua nel mondo, notoriamente definita da Husserl epoché, l’esercizio della riduzione è in grado di accedere al territorio della soggettività trascendentale: quello della corrispondenza reciproca tra l’oggetto che si manifesta e il modo in cui si manifesta descrivendone il loro vincolo intenzionale.12 Si tratta di una correlazione secondo cui vi è per ogni cosa del mondo un riferimento soggettivo: non allora una semplice corrispondenza, ma un legame essenziale-intenzionale che è in grado di venire pienamente alla luce grazie all’esercizio e all’attuazione della riduzione fenomenologica.

Lo spettatore trascendentale

La tematizzazione fenomenologica può volgersi però anche riflessivamente attorno alle stesse modalità del proprio agire, può rivolgersi dunque criticamente rispetto alla figura del fenomenologo che compie la riduzione in quanto spettatore disinteressato (quello di unbeteiligter Zuschauer).13 La prima esecuzione della riduzione fenomenologica con il conseguente ingresso nel campo dell’esperienza trascendentale non sa ancora nulla di tale spettatore. L’individuazione e l’identificazione dello spettatore come tale, è un primo passo oltre quella che si rivela essere essa stessa una sorta di ingenuità. Tramite tale individuazione emerge l’anonimità stessa dell’io fenomenologicizzante, il quale, attuando l’esercizio dell’epoché, mostra sì la vita trascendentale come essenzialmente priva di interessi e pregiudizi, ma, così operando, lascia del tutto non tematizzata la propria stessa attività. Emerge così, a sua volta, oltre a quella dell’atteggiamento naturale, un’ingenuità trascendentale. Ci si pone in questo modo in un grado più elevato di riflessione trascendentale, un grado che rappresenta l’autocritica stessa della fenomenologia che tematizza il proprio operare: è una sorta di fenomenologia della fenomenologia, una interpretazione della fenomenologia tramite l’esposizione di sé stessa (Auslegung). Husserl parla a riguardo di una «ermeneutica della vita di coscienza», di un volgersi ermeneutico all’interno della fenomenologia trascendentale.14

Ma nell’atteggiamento naturale, secondo Husserl, la vita è guidata essenzialmente dall’interesse; vivere è semplicemente sinonimo del vivere nell’interesse. Si tratta, come nell’etimologia latina del termine, dell’inter-esse, di un essere nel mezzo, un essere immersi tra le cose. L’inter-esse, l’essere interessato a qualcosa da parte dell’io ha per Husserl lo stesso significato di esservi rivolto intenzionalmente.15 Abbiamo a che fare inoltre con un atteggiamento tendenzialmente aperto e quindi già di per sé correlato ad una totalità di possibili oggettualità e ad una connessione continua di rimandi significanti. Tale dimensione è chiamata da Husserl orizzonte aperto di esperienza, che, come tale, è costantemente rinnovabile. L’orizzonte correlativo a tale atteggiamento è definito come mondo. La riduzione fenomenologica si rivolge dunque all’origine di tale correlazione tra noi e il mondo, al nostro inter-esse nel mondo e cerca di disvelarne l’aspetto strutturale.16

Nel saggio del 1933 Die phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwärtigen Kritik, Fink afferma che «la domanda fondamentale della fenomenologia […] si può formulare come la domanda sull’origine del mondo».17 Il tema dell’origine è anche uno dei temi principali della tesi di dottorato di Fink dove la riduzione fenomenologica, tramite cui il mondo viene ridotto a fenomeno, assume il proprio significato dall’etimo latino. È il significato del reducere, quello del ricondurre all’origine, verso la «vita conferente senso della soggettività trascendentale», attraverso «una messa in revoca del dimenticare che avvolge per ragioni d’essenza l’esperienza umana» verso la «restituzione della sua origine».18

Nel Manoscritto K III 6 del 1930, Husserl afferma che «ogni essere soggiace al concetto del mondo, alla legge del mondo, che non è un concetto generale, bensì "concetto" in un senso nuovo, che, in quanto regola universale, regola l’essere di tutte le cose nella loro concepibilità e quindi nella loro forma particolare. Il mondo ci è dato come validità del mondo, o come legge del mondo, e non, quindi come qualcosa che è, bensì come ciò entro cui e a partire da cui ogni essere può essere inteso; come tale il mondo "fornisce un terreno" a tutto ciò che è»19 e dove le «diverse oggettualità si implicano e si fondano reciprocamente».20 Vedremo come, anche per Fink con la fenomenologia, la domanda sull’essere del mondo si trasforma nella «domanda sull’essenza della soggettività trascendentale per la quale da ultimo il "mondo" ha validità»,21 ma con esiti profondamente differenti rispetto alla fenomenologia husserliana.

Lo spazio intersoggettivo e il sottrarsi del mondo

Nella VI Meditazione Cartesiana, Fink sostiene che «sino a che ci troviamo nell’atteggiamento naturale, il mondo vale per noi a buon diritto come l’unità totale (Alleinheit) dell’ente in generale in quanto assolutamente essente, nel quale ogni ente individuale è incluso e fuori del quale nulla è o può essere. Nella esecuzione della riduzione fenomenologica riconosciamo però che ciò che crediamo sia l’unità irrelativa e in ultima istanza indipendente dell’ente non rappresenta in verità che uno strato astratto nel divenire costitutivo».22 Queste considerazioni sottolineano quanto detto in un importante passaggio precedente del testo, dove si affermava che «non c’è la soggettività trascendentale qui, e il mondo là, mentre fra entrambi si giocherebbe la relazione costitutiva, ma piuttosto che il divenire della costituzione è l’autorealizzazione effettuale della soggettività costituente nella realizzazione effettuale del mondo».23

Questa autorealizzazione emerge però, secondo Fink – ed è un punto decisivo –, nella sua assoluta indeterminatezza, sottraendosi alle concrete determinazioni del nostro rapporto intenzionale con il mondo. Il peso dato a tale auto-occultamento dell’origine è la questione centrale per intendere meglio le differenze e il confronto con Husserl. L’indeterminatezza ontologica in cui permane la soggettività trascendentale nella propria autorealizzazione, deriva dal fatto che essa stessa, nella misura in cui precede, fondandolo, il senso dell’orizzonte di tutto l’essere che è il mondo, si trova posto al di fuori dell’essere stesso, si sottrae ad esso, e in questa accezione – che approfondiremo – per Fink, il mondo non è seiend, ma vorseiend, non è essente ma pre-essente. La tematizzazione dell’epilogo aporetico che avviene dopo l’effettuazione della riduzione viene indicato da Fink come un ritorno inevitabile sul terreno del mondo in una seconda mondanizzazione che in quanto tale si rivela essere del tutto carente sul piano trascendentale.24 Ma, come viene affermato nella VI Meditazione: «tuttavia dobbiamo porre la soggettività trascendentale quasi come se fosse un ente. Non abbiamo altra possibilità di dischiuderla e spiegarla, se non tematizzandola in base al filo conduttore analogico dell’idea di essere».25

Come accennato nelle nostre considerazioni introduttive, per Husserl, invece, il tema fondamentale del mondo, così come viene a svilupparsi attorno alla discussione con Fink, è invece quello positivo messo innanzitutto in campo dalla dimensione della Leiblichkeit, della corporeità proprio-personale che dischiude la spazialità come terreno comune intersoggettivo. Ma per la definizione del mondo come spazio intersoggettivo, si deve iniziare qui necessariamente da un diverso tipo di carenza, una carenza strutturale che riguarda la modalità stessa del manifestarsi del mondo inteso come mondo interpersonale.

Husserl sostiene in Ideen II che «io posso esperire me stesso "direttamente", ma per principio non posso percepire la forma intersoggettiva della mia realtà».26 Per Husserl l’appercezione dell’altro non può costitutivamente avvenire così come accade in un normale decorso di esperienza percettiva.27 A conferma essenziale di ciò nel § 50 della V Meditazione cartesiana viene affermato che «se vi fosse la possibilità di accedere direttamente all’altro in ciò che gli è essenzialmente proprio, allora l’altro sarebbe meramente un momento dell’essenzialmente mio e, in definitiva, io e l’altro non saremmo che la medesima cosa».28 E su questo presupposto, a nostro giudizio fondamentale, che nella Krisis Husserl parla di una «necessaria e insieme pericolosa duplicità di significato del mondo».29 Una differenza che coinvolge appunto la differenza essenziale tra l’auto-percezione e la percezione dell’altro:30 in base a tale presupposto Husserl si domanda, «ognuno mentre si auto-appercepisce nella sua singolarità di uomo, come ha coscienza di mondo?» Ma poi afferma: «allora ci accorgiamo che l’auto-coscienza e la coscienza dell’estraneo sono inseparabili a priori».31

Si tratta del tema fondamentale della V Meditazione: io sono per l’altro così come l’altro è per me. La costituzione dell’altro non è la costituzione di un’immagine che sarebbe di mia appartenenza, ma è la costituzione di una radicale trascendenza che costituisce me stesso e l’altro con uguale valore (Paarung), l’implicazione di costituente e costituito è qui, e solamente qui, reciproca.32 Solo sulla base di questa costitutiva trascendenza si può dare l’effettiva manifestazione dell’altro nella sua viva ed espressiva proprio-corporeità tramite cui io comprendo il corpo vivente come tale e comprendo tutto ciò in unità con un comune campo percettivo in cui anche l’altro è situato - orientato come fisicamente vivente (leiblich). Lo comprendo però a partire da me e dal mio campo percettivo in cui ciascun corpo vivente ha il significato di un analogo del mio, come se io mi muovessi là etc., lo intendo dunque essenzialmente come una mia auto-modificazione.

Nella inerenza reciproca tra me e l’altro di dischiude allora anche la spazialità come mondo circostante comune (Umwelt). In tale dimensione il Leib si configura come quella unità naturale psicosomatica situata alla base del formarsi stratificato del volere, in cui il corpo vivo diviene organo del volere:

la mia mano mossa spontaneamente e immediatamente, spinge, afferra, solleva ecc. Le cose meramente materiali possono essere mosse solo meccanicamente, (…) solo i corpi vivi possono essere mossi spontaneamente e immediatamente ("liberamente"), e cioè attraverso l’io libero e la propria volontà che al corpo vivo ineriscono.33

Il Leib si muove dunque non solo meccanicamente ma anche in base a libere motivazioni. La mia sfera motivazionale-volitiva è, per Husserl, inscindibilmente intrecciata con la mia realtà proprio-corporea. In tale intreccio si costituisce la struttura stessa della mia soggettività personale. La motivazione mette in luce un aspetto essenziale del corpo proprio: la libertà del suo essere soggetto individuale, vale a dire il suo potersi muovere e orientare secondo la propria autodeterminazione, autodeterminazione perfettamente sintetizzata dalla nota espressione husserliana dell’Ich kann, dell’io posso: «questo io ha la "facoltà" ("io posso") di muovere liberamente questo corpo vivo, oppure gli organi in cui esso si articola, e per mezzo di loro percepire un mondo esterno».34

Corpo vivo e soggetto sono dunque la medesima cosa, vi è tra l’io e il Leib piena identità, assoluta intimità: nel suo rivelare l’io puro come radicato nella sua realtà psicosomatica, l’Ich kann si rivela come la vera nuova cifra del trascendentalismo husserliano.35 Su tale sfondo va intesa anche quella caratteristica essenziale della spazializzazione che salda l’io assieme al proprio Leib: la sua facoltà cinestetica. Un soggetto costituisce lo spazio in quanto può muoversi in esso ed effettualmente si muove in esso. In riferimento a tutto ciò, Husserl nelle Meditazioni Cartesiane descrive l’apparire dell’altro come un’apparizione che «richiama l’aspetto che avrebbe il mio corpo, se io fossi là»,36 riprendendo ciò che aveva sostenuto in Ideen II, dove affermava che tutto questo avviene «in un adesso» aggiungendo che poiché, «in quanto presente intersoggettivo è identico per i diversi soggetti che stanno in un rapporto di reciproca intesa, i soggetti non possono avere lo stesso qui (lo stesso presente spaziale intersoggettivo) e le stesse manifestazioni».37

Emerge così, grazie alla funzione del sistema cinestetico, anche il legame necessario tra spazio e temporalità. Esso consiste infatti nella modalità del collegamento tra lo spazio e il tempo: attraverso il movimento, ciò che prima si trovava lì si trova adesso in un altro luogo, e ciò che adesso si trova qui si trovava prima lì e si troverebbe, se mi muovessi in una certa direzione, in quell’altra posizione. Questo avviene sia in rapporto alle cose che mi circondano ma anche e più fondamentalmente in rapporto agli altri. L’alterità scaturisce allora non solo dalla mia impossibilità costitutiva di coincidere spazialmente con l’altro ma di poter coincidere invece tramite questa differenza in una dimensione spazio-temporale di presente comune, di un mondo comune. La differenza con l’altro inizia dunque necessariamente da una irriducibile esperienza spaziale, «l’indice di questa situazione fenomenologica è l’impenetrabilità dei diversi corpi coevi»,38 impenetrabilità fondata sull’appartenenza ad un mondo comune spazio-temporale che, in quanto tale non è assolutamente mio, né assolutamente dell’altro.

Husserl, Fink e la fenomenologia della fenomenologia

Vi è però una decisiva differenza attorno al senso intersoggettivo dell’appartenenza al mondo tra Husserl e Fink. Tale differenza si gioca interamente attorno alla tematizzazione del percorso intrapreso dalla riduzione fenomenologica, attorno all’ermeneutica fenomenologica, attorno alla fenomenologia della fenomenologia.

Mentre Husserl parla del concetto naturale di mondo anche come di una sorta di anonima abitualità da parte di una comunità di soggetti (Lebenswelt),39 Fink, diversamente, cerca di mostrare come già nella stessa vita dell’atteggiamento naturale vi siano forti motivi di rottura che scaturiscono dall’impatto stesso dell’uomo con il mondo. Si tratta quindi di sottolineare l’esistenza di un’uscita dall’appaesamento (Heimlichkeit) nel mondo già nella dimensione dell’atteggiamento naturale, ed è proprio nella rottura con tale abitualità che si rivela già per Fink un primo passo verso la riduzione. Questo accade ad es. nell’ evento della morte che si pone per eccellenza come la frattura radicale del vivere umano e nella paura nei confronti della morte che trova rappresentazione nei vissuti religiosi e il non voler morire come presupposto nella fede in una vita oltre la morte psichica. Nella frattura radicale della consuetudine, il conosciuto diviene improvvisamente il proprio opposto e tale rottura con la normalità conduce improvvisamente ad un mondo estraneo e si relaziona non più alle singole cose, ma al mondo nella sua interezza. Questa metamorfosi si compie nello stesso mondo in cui siamo di casa. Come accade ad es. per il dolore provato nei confronti dalla scomparsa improvvisa di una persona a noi cara, non si tratta di un’esperienza che provenga da altrove ma scaturisce dallo stesso mondo che ci è familiare. L’estraneo emerge da una autentica meraviglia come una detonazione che sconvolge il conosciuto e se ne appropria totalmente.40

Con l’effetto di spaesamento che ci sottrae il mondo, viene meno la naturale confidenza con l’abituale ma in questo modo, paradossalmente, assieme alla sottrazione totale della Heimwelt, emerge anche il significato stesso di mondo nella sua totalità. Dalla riflessione attorno a tale effetto di spaesamento, può prendere avvio per Fink la meraviglia che da inizio al filosofare.

Husserl, al contrario, ritiene che la morte e la vita facciano interamente parte della normale esistenza umana. Vi è a riguardo un importante annotazione a margine delle considerazioni di Fink: «Vi sono svariate forme del vivere di fronte alla morte come pericolo estremo che non sono però viste come un trovarsi di fronte ad una scelta di trasformazione radicale, totale. Altrimenti detto: la morte nell’orizzonte di una vita pienamente e degnamente vissuta nelle proprie possibilità, la morte nell’orizzonte di una serena vecchiaia, in cui essa si compie come desiderato compimento della vita stessa (la condizione di soddisfazione ideale degli antichi patriarchi). La morte in battaglia, nella volontà carica d’odio di distruggere il nemico. La morte per la patria. Non è la morte ciò che si ha dinnanzi a sé come quell’orizzonte nella forma della vita senza più alcuna speranza. Come potrebbe essere tutto ciò – si chiede Husserl – un motivo per l’epoché filosofica?».41

Secondo Husserl non sono dunque le situazioni estreme della vita che possono radicalmente spezzare la normalità. Le situazioni limite sono possibilità stesse delle modificazioni della normalità. Non sono esse a dare origine al filosofare. Innanzitutto, l’esperienza dell’estraneo come tale, risveglia anche l’interesse al proprio come proprio. Questa è la motivazione genuinamente passiva per l’irrompere dell’estraneo nel proprio orizzonte e per l’inizio della filosofia presso i greci nella misura in cui l’originaria sete di conoscenza intraprende la scoperta di ciò che è in comune nelle relative differenze.42 Per Husserl, «io mi attengo a quel che è più prossimo ad un mondo di interscambi commerciali come quello greco», in cui il proprio mondo diviene consapevole di sé di fronte ad altri mondi familiari-estranei. Vi è nelle differenze reciproche una essenziale invarianza che è quella della correlazione tra un identico mondo e le pluralità dei mondi familiari: l’invarianza intesa come universale mondo della vita. L’idea rivoluzionaria della filosofia greca che sta alla base della razionalità europea, è per Husserl quella della scoperta di un cosmo riconoscibile nel suo ordine come l’insieme irrelativo di tutti i mondi familiari: «è proprio lo stesso sole, lo stesso mondo, la stessa terra, lo stesso mare e così via, che viene mitologicizzato in modi così diversi dai diversi popoli in conformità con le loro tradizioni».43

Secondo Husserl, Fink accentua invece semplicemente l’istituirsi individuale-originario del decidersi per la filosofia ma non riflette attorno all’esser situati storicamente in cui tale istituirsi può accadere. Vi è invece nell’origine storico-concreta della filosofia greca, l’auto-motivazione stessa del filosofo, il manifestarsi della sua vocazione. Quella vocazione per la quale «il filosofo […] necessita in primo luogo e originariamente di una propria forte decisione, per così dire di un istituirsi originario come auto-creazione. Nessuno può capitare per caso nella filosofia».44 La rottura con l’esistente è dunque quella tra l’istituzione personale provocata dalle decisione individuale del dedicarsi interamente alla filosofia e l’istituirsi storico che sta alla base di tale atteggiamento vale a dire in quella situazione concretamente determinata in cui viene messo in discussione un mondo familiare abituale. Per Husserl, «l’istituirsi storico fonda quello personale».45

Ma vi è inoltre attorno alla auto-determinazione del filosofo-fenomenologo una differenza essenziale tra Husserl e Fink nella distinzione tra il soggetto trascendentale e l’uomo, il soggetto empirico. Husserl parla esplicitamente di un duplice significato di io quando nella riflessione, l’io stesso viene tematizzato e in tal modo suddiviso in Soggetto-Oggetto. Nelle lezioni del semestre invernale 1923/24, Husserl si domanda: «qui cominciano a risaltare due significati distinti di "io" […] Io sono un oggetto della mia esperienza mondana tra gli altri: Da questo tipo di io non devo distinguere quell’altro io che, in questa situazione, è il soggetto dell’esperienza, l’io-soggetto dall’io-oggetto?».46 A tale questione Husserl vi è una risposta pienamente affermativa nella seconda delle Meditazioni cartesiane, dove viene sottolineata la positività operativa della riduzione fenomenologica:

nella conseguente rigorosa attuazione della riduzione fenomenologica, permane per noi, sul versante noetico, la pura vita infinitamente aperta della pura coscienza e, sul correlativo versante noematico, il mondo preso di mira puramente in quanto tale. Così facendo l’io che medita fenomenologicamente, diventa spettatore disinteressato di sé stesso non solo rispetto ai casi particolari, ma anche rispetto all’universalità di ogni oggettualità in cui egli è incluso, che è per lui nel modo in cui essa è per lui. Io nel mio atteggiamento naturale, sono anche e sempre un io trascendentale, ma ne divento cosciente soltanto attuando la riduzione fenomenologica.47

L’unità dell’io è dunque garantita all’auto-riferirsi dello stesso io, il soggetto empirico in quanto tale e quello trascendentale che attua la riduzione fenomenologica.48 Secondo Husserl «se il correlato d’orizzonte dell’atteggiamento naturale è il mondo, allora quello dell’atteggiamento trascendentale è l’avere il mondo del soggetto trascendentale. Questo è il tema universale della fenomenologia come scienza eidetica della soggettività trascendentale. Il mondo diviene fenomeno per un cogito e temporaneamente si dischiude assieme anche l’intero avere il mondo di questo cogito, l’universale cogitatum di ogni possibile cogitatio. Chiarire tale avere il mondo è il compito della teoria della costituzione trascendentale». Questo compito è dunque per Husserl ciò che deve realizzarsi nell’applicazione radicale dell’epoché operata tramite la riduzione fenomenologica e in virtù della quale lo spettatore trascendentale, lo spettatore disinteressato, si auto-costituisce.49

Mentre la rappresentazione dell’epoché in Ideen I suscitava l’impressione che si potesse con un balzo raggiungere un io puro come residuo privo di mondo da cui iniziare l’approccio trascendentale, la nuova rappresentazione della riduzione che si conferma definitivamente negli anni ’30, mostra come il tema dell’atteggiamento naturale non sia quello di un ego solipsistico ma, è invece, come si è visto per l’auto-determinarsi della vocazione filosofica, quello dell’orizzonte più esteso di un’umanità storica. L’orizzonte tematico in cui lo spettatore disinteressato discute radicalmente l’atteggiamento naturale non è altro per Husserl che quello trascendentale della totalità delle monadi, della comunità degli individui nella loro irriducibile unità proprio corporea (Monadenall). La sfera della totalità trascendentale deve dunque essere allargata a quella dell’intersoggettività trascendentale come già veniva sottolineato nelle lezioni del 1924/25:

facendo questo percorso, io, che sono il soggetto che opera questa riduzione fenomenologica, non ottengo soltanto me stesso come io trascendentale – ottengo, includendo nel metodo anche la soggettività estranea, l’intersoggettività trascendentale, o, come potremmo anche dire, l’io trascendentale totale, in quanto comunità trascendentale dei singoli io trascendentalmente colto.50

A differenza di Fink, Husserl inoltre intende l’esercizio dell’epoché e quello conseguente della riduzione trascendentale come fondato sulla libertà stessa della ragione sempre in grado di motivare sé stessa: Lo spettatore disinteressato non è allora un presunto teoreta libero dal mondo ma colui che esercita una libera curiosità non essendo sospinto da alcuna necessità costrittiva. Questa libera curiosità scientifica riguarda l’essere della soggettività.51 Si tratta dunque di una curiosità rivolta ai vissuti intenzionali della soggettività. Al modo in cui essi conferiscono la validità di oggetto esistente all’oggetto percepito non soltanto nella percezione, bensì «soltanto in quanto conferiscono questa o quella validità, in quanto prendono di mira l’esistente in quanto esistente, l’esser-valore in quanto esser-valore Si tratta di un puro interesse all’essere soggettivo».52

Come si è visto, Fink sottolinea invece il fatto come, nella ricerca trascendentale, lo spettatore non possa essere di per sé tematico. Serve così una riflessione di più alto grado che riguarda l’analisi fenomenologica: una fenomenologia della fenomenologia. Si pone dunque il problema di tematizzare il fungere stesso del fenomenologo, del lato anonimo, inconsapevole della sua operatività. Ma per Husserl solo nel compimento della riduzione fenomenologica può apparire il senso di tale scissione tra un io naturalmente atteggiato e quello fenomenologico. Solo in tale compimento l’atteggiamento naturale si rivela come tale e si mostra la correlazione essenziale tra i due io. Solo dopo il compimento concreto della conoscenza dell’idealità trascendentale del mondo viene abbandonata definitivamente (endgültig aufgegeben) l’ingenua assolutizzazione del mondo tipica dell’atteggiamento naturale.53 Si apre in questo modo il compito razionale idealmente (kantianamente) infinito dello spettatore fenomenologico come quello di sottoporre a sempre rinnovata autocritica il residuo ineliminabile della riduzione, di ogni effettiva riduzione nel suo divenire tematica.

Ben diversamente si pone la questione per Fink che radicalizza, introducendo il concetto di pre-essere o meontico, la critica dell’analitica esistenziale heideggeriana di Essere e tempo, secondo cui la modalità d’essere dell’ente che chiamiamo mondo non può essere intesa nel senso positivo dell’ente.\^[Cfr. l’appendice I alla lettera di Heidegger a Husserl nel '27 in HUA IX, pp. 601-602.] Nella VI Meditazione, Fink afferma che: «l’eidetica che lo spettatore fenomenologico deve praticare nel suo esperire teorico è essenzialmente un eidos relativo all'"essere trascendentale" e cioè un eidos di qualcosa che propriamente non è».54

Il Vor-seiend, di cui Fink, come si è visto, sottolinea la dimensione aporetica come quella di una dimensione paradossalmente non essente, possiede sempre per Husserl, al contrario, l’aspetto strutturale dell’esperibilità: il pre-essente non è dunque origine occulta dell’essere, ma equivale semplicemente a tutto ciò che non è ancora entrato nell’ambito dell’esperienza, tutto quel che per principio è esperibile. Di conseguenza, il discorso attorno ad una educazione trascendentale deve essere inteso illuministicamente come un continuo, radicale chiarimento della razionalità umana attraverso la fenomenologia, la quale è situata concretamente nel mondo storico non come un sistema filosofico ma in una costante apertura sistematica.55 Per Fink, invece, «la soggettivizzazione ultima della soggettività percipiente, attraverso la quale essa diventa oggetto di sé stessa, radicalmente, somiglia allo sforzo dell’ego di saltare oltre la propria ombra». La riflessione fenomenologica in questo modo «regredisce a una soggettività sconosciuta che rompe con ogni familiarità dell’ego con sé stesso e conduce ad una sfera al di là dell’umanità, a una "Hintermenschlichkeit", a un essere dietro l’essere umano».56 Husserl annota rispetto a ciò: «In che senso l’ego, che nello svolgimento naturale della vita percettiva si perde nelle cose, è tuttavia familiare a sé stesso? In che senso il soggetto anonimo della percezione si conosce?».57

Non si tratta dunque di collocare l’esistenza del mondo nella possibilità disgiuntiva di essere e non-essere per prendere una decisione circa l’esistenza del mondo o per dimostrarla scientificamente. Come si è visto, per Husserl, la sospensione dell’atteggiamento naturale porta piuttosto a interrogare l’essere del mondo, a renderlo tematico, come mondo che ha validità per il soggetto meditante.58 In contrapposizione a Fink, viene sottolineato, tramite l’epoché, il passaggio dalle validità d’orizzonte singolari ad un orizzonte universale di ogni validità. Si tratta di un presupposto che non è un semplice presupposto guadagnato per induzione, ma un presupposto già da sempre fungente fattualmente in ogni esperienza di sé e dell’altro nel nostro essere nel mondo. Husserl approfondisce tale dimensione parlando del mondo sia come totalità di oggetti reali sia come quella evidente inclusione universale che comprende la mia esistenza umana.59

Per Fink, invece tale evidenza si rivela in tutta la sua contingenza: «l’evidenza apodittica di sé si riferisce al mio essere solo finché ho esperienza di me stesso e mentre ho tale esperienza. Se questa esperienza di sé ha luogo, io devo necessariamente essere. Ma io posso concepire il mio non-essere come non-più-essere o come non-ancora-essere. Io mi trovo di fatto come essente, ma in quanto è questo fatto puro, la mia esistenza è casuale».60 Diviene allora necessario riconsiderare il senso di una "funzione esistenziale" della fenomenologia trascendentale rispetto ad un mondo del quale facciamo costitutivamente parte senza che questo fatto possa essere definibile come ragione della sua apertura. In una radicale rottura – come sottolinea van Kerckhoven – «con la base stessa di ogni realismo mondano (quello della familiarità del mondo), l’idealismo trascendentale costitutivo si trova paradossalmente senza garanzia nell’essere, eretto su ciò che viene all’essere, estraneo senza familiarità preliminare, come sospeso su di un abisso».61 Per Husserl, al contrario, «solo se ho spiegato costitutivamente e ho reso comprensibile il mio essere umano e quello dell’altro questo discorso riceve il suo senso autentico».62 Non è dunque in primo luogo attraverso le strutture pre-ontologiche della fatticità dell’esserci, ma fenomenologicamente attraverso "l’implicazione intenzionale" dell’esperienza intersoggettiva che va esplicitata la spazialità del mondo e quella del mio costitutivo appartenervi.63

Il testo riprende la relazione tenuta il 18 aprile 2024 al seminario teoretico-ermeneutico a cura di Gian Luigi Paltrinieri, Davide Spanio e Emanuele Trizio, presso il Dipartimento di Filosofia e dei Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.


  1. Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana (d’ora in poi HUA e numeraz. sgg.) Band XV, Hrsg. I. Kern, M. Nijhoff, Den Haag 1973; Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, HUA I, Hrsg. S. Strasser, M. Nijhoff, Den Haag 1950; Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, HUA IV, Hrsg. Marly Biemel, M. Nijhoff, Den Haag 1952; Ding und Raum. Vorlesungen 1907, HUA XVI, Hrsg. U. Claesges, M. Nijhoff, Den Haag 1973. Per la discussione di questi testi attorno al tema personale della Leiblichkeit in Husserl, cfr. V. Venier, L’esistenza in ostaggio. Husserl e la fenomenologia personale, FrancoAngeli, Milano 2011. ↩︎

  2. E. Fink, Zur ontologischen Frügeschichte von Raum, Zeit, Bewegung, M. Nijhoff, Den Haag 1957, p. 42. In Mondo e Finitezza del 1966, il mondo viene definito da Fink come «il distinguersi da tutto ciò che in esso accade nel suo ineffabile sottrarsi, e nella conseguente impossibilità di essere considerato a partire dalla cosa: è necessario invece «pensare la cosa a partire dal mondo». Nel suo differire dall’ente il mondo consente secondo Fink la spazialità reciproca tra noi e il mondo per cui «noi non incontriamo mai cose prive di mondo; sempre quando siamo aperti verso la cosa essente, […] siamo anche già precedentemente aperti verso il mondo. Tutte le cose hanno il carattere autoevidente di accadimenti (Vorkommissen) "nel mondo"» (cfr. Welt und Endlichkeit, Königshausen und Neumann, Würzburg 1990, p. 25 e p. 11). Nelle parole di Fink risuona ineludibilmente il tema centrale nella conferenza di Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, del mondo come del «costantemente inoggettivo» (conferenza tenuta per la prima volta a Friburgo nel ’35, replicata a Zurigo nel ’36 e ripresa poi in tre conferenze sempre nel ’36 a Francoforte e il cui testo viene pubblicato in Holzwege nel 1950, tr. it. a cura di P. Chiodi in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 30). ↩︎

  3. Si tratta del sottotitolo dell’importante lavoro di Guy van Kerckhoven, Mondanizzazione e individuazione. La posta in gioco nella Sesta Meditazione cartesiana di Husserl e Fink, tr. it. di M. Mezzanzanica, Il Melangolo, Genova 1998, che riprenderemo nelle nostre considerazioni conclusive. ↩︎

  4. Cfr. E. Fink, VI Cartesianische Meditation. Teil I: Die Idee einer transzendentalen Methodenlehre; Teil II: Ergänzungsband; Hrsg. G. van Kerckhoven, H. Ebeling, J. Holl, Husserliana, Dokumente 2/1, 2/2, (d’ora in poi Hua Dok e num. sgg.), Kluwer, Den Haag 1988. ↩︎

  5. Cfr. S. Luft, Phänomenologie der Phänomenologie. Systematik und Methodologie der Phänomenologie in der Auseinandersetzung zwischen Husserl und Fink, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 2002, p. 5. ↩︎

  6. Cfr. U. Melle, Husserl’s Phenomenology of Willing, in J. G. Hart, L. Embree (eds.), Phenomenology of Values and Valuing, Kluwer, Dordrecht-Boston-London 1997, p. 171 e V. Venier, Fenomenologia delle emozioni. Scheler e Husserl, Mimesis, Milano 2016, pp. 50-51. ↩︎

  7. Cfr. E. Franzini, Fenomenologia. Introduzione tematica al pensiero di Husserl, FrancoAngeli, Milano 1991, pp. 49-50 e V. Costa, Esperienza e realtà. La prospettiva fenomenologica, Morcelliana, Brescia 2021, pp. 9-11. ↩︎

  8. Cfr. D. Zahavi, Self-Awareness and Alterity. A Phenomenological Investigation, Northwestern University Press, Evanston 1999. ↩︎

  9. Ad es. cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, HUA VI, Hrsg. W. Biemel, M. Nijhoff, Den Haag 1959, p. 79. Non bisogna però confondere la nozione di atto (cioè la modalità dell’intenzionalità di un vissuto) con quella di azione. Gli atti possono essere del tutto passivi e involontari, come ad es. accade per i vissuti emozionali. Il termine rinvia piuttosto all’attualità del modo di coscienza che è in vigore, ovvero nel quale io in questo momento vivo (cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologische Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, HUA III, hrsg. K. Schuhmann, M. Nijhoff, Den Haag 1977, §§ 87 sgg.). ↩︎

  10. Cfr. Ibidem, cap. III. ↩︎

  11. Cfr. Ivi, cap. I. ↩︎

  12. Una corrispondenza di cui Husserl già parla nelle lezioni sull’Idea della fenomenologia del 1907, tra fenomeno di conoscenza (Erkenntnisphänomen) e oggetto di conoscenza (Erkenntnisobjekt) (cfr. E. Husserl, Die Idee der Phänomenologie, HUA II, M. Nijhoff, Den Haag 1973, p. 12 e V. Venier, Epoché. Husserl e lo scetticismo, «Lebenswelt», 14 (2019), p. 52). ↩︎

  13. Una riflessione esemplificata dal sottotitolo esplicitamente kantiano della VI Meditazione, come L’idea di una dottrina trascendentale del metodo↩︎

  14. Cfr. E. Husserl, Phänomenologie und Anthropologie (1931) Vortrag in den Kantgesellschaften von Frankfurt, Berlin, Halle, in Aufsätze und Vorträge. 1922-1937, HUA XXVII, Hrsg. T. Nenon, H.R. Sepp, Kluwer, Den Haag, 1988, p. 177. ↩︎

  15. Cfr. E. Husserl, Phänomenologische Psychologie. Vorlesungen Sommersemester 1925, HUA IX, Hrsg. W. Biemel, M. Nijhoff, Den Haag 1968, pp. 411 sgg. ↩︎

  16. Cfr. S. Luft, Phänomenologie der Phänomenologie, cit., pp. 41-46. ↩︎

  17. E. Fink, Die Phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwartigen Kritik, in Studien zur Phänomenologie 1930-1939, M. Nijhoff, Den Haag 1966, p. 101. Nella Prefazione al saggio uscito per la prima volta in «Kant Studien», 38 (1933), Husserl scrive che «in esso non c’è un’affermazione che io non possa far pienamente mia, che io non possa riconoscere esplicitamente come una mia convinzione» (cfr. E. Husserl, Vorwort zu Eugen Fink, Die Phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwartigen Kritik, HUA XXVII, p. 183). ↩︎

  18. Cfr. E. Fink. Vergegenwärtigung und Bild. Beiträge zur Phänomenologie der Unwirklicheit, in Studien zur Phänomenologie, cit., p. 12; tr. it. a cura di N. Zippel, Presentificazione e immagine. Contributi per una fenomenologia dell’irrealtà, in Studi di Fenomenologia (1930-1939), Lithos, Roma 2010, p. 62. La tesi di dottorato di Fink, i cui relatori sono Husserl e Heidegger, esce per la prima volta nel 1930 nel n. 11 dello Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung. L. Landgrebe parla della riduzione come l’accesso husserliano alla metafisica dell’origine del mondo, in quanto esibizione «delle operazioni intenzionali della soggettività». (Cfr. Der Weg der Phänomenologie, Gütersloher Verlag, Gütersloh 1978, p. 60, tr. it. di G. Piacenti in Itinerari della fenomenologia, Marietti, Torino 1974, p. 85). ↩︎

  19. Manoscritto cit. in G. Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Edmund Husserl, Bompiani, Milano, pp. 61-62. ↩︎

  20. Ibidem, pp. 50-51. ↩︎

  21. Cfr. Die phänomenologische Philosophie, cit., pp. 119-120. ↩︎

  22. Hua Dok I, p. 156. ↩︎

  23. Ivi, p. 49; tr. it. cit. a cura di A. Marini in VI Meditazione cartesiana, FrancoAngeli, Milano 2009, p. 55. ↩︎

  24. Cfr. L. Bisin, Essere e mondo. Il problema del fondamento nel pensiero di Eugen Fink, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», Luglio-Dicembre 2000, Vol. 92, p. 509. ↩︎

  25. VI Meditazione cartesiana, tr. it. cit., p. 83. Nel manoscritto Z-XV 26a-b del 1931, cit. in Ronald Bruzina, The Trascendental Theory of Method in phenomenology. The Meontic and Deconstruction, in «Husserl Studies», 14 (1997), p. 77, Fink afferma che se «si cerca di spiegare la soggettività assoluta costituente seguendo la guida del concetto mondano dell’essere, […] il pericolo inevitabile è che questa spiegazione fallisca. […] Il concetto di costituzione non può essere reso comprensibile se la soggettività trascendentale è pensata come essente e di conseguenza la costituzione viene compresa come una relazione tra un essente e un altro che è già in essere o viene posto in essere. È solo la costruzione meontica (non-ontica) della soggettività assoluta che mostra la costituzione come una relazione me-ontica, non-ontica; come relazione tra origine e ciò che è originato». Nel Manoscritto Z-IX V/3a, (Ivi, p. 80), Fink aggiunge che: «la filosofia meontica non [è] un volo nel Nulla, ma piuttosto fedeltà al mondo nel senso più profondo: il tempo finito ed essente non viene abbandonato (messo da parte) per riguardo a una affondare mistico nel Nulla, ma viene invece tratto fuori dal Nulla, "creato"». Come nota L. Bisin, in I luoghi dell’umano: Mondo e "mondi possibili" in Eugen Fink, in V. Melchiorre (a cura di), Forme di mondo, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 181: «l’esperienza del paradosso consegnata ai testi degli anni Trenta, svela dunque per Fink l’irriducibilità del mondo a fenomeno, configurandosi come una sorta di impresentabile condizione di ogni pensare». ↩︎

  26. HUA IV, tr. it. a cura di V. Costa con una Introduzione di E. Franzini, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volume II, Einaudi, Torino 2002, p. 204. ↩︎

  27. Il carattere essenziale del formarsi dell’appercezione è quello per cui le appercezioni sono vissuti intenzionali che sono coscienti in sé di qualcosa che non è dato in esse in originale. L’appercezione della cosa può trovare o non trovare soddisfazione (Erfüllung) nella sintesi di riempimento percettivo (cfr. E. Husserl, Analisen zur passiven Synthesis (1918-1926), HUA XI, Hrsg. M. Fleischer, M. Nijhoff, Den Haag 1966, pp. 336-337). Tale forma di riempimento è invece costituzionalmente impedita nell’esperienza percettiva dell’altro: il costituirsi di tale impossibilità come condizione per l’esperienza dell’altro è chiamata da Husserl – com’è noto – empatia (Einfühlung); cfr. HUA IV, p. 200 e V. Venier, L’esistenza in ostaggio, cit., p. 13. ↩︎

  28. HUA I, p. 139. ↩︎

  29. HUA VI, tr. it. cit., a cura di E. Filippini in La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, il Saggiatore, Milano 1961, p. 485. ↩︎

  30. Cfr. Ivi, pp. 484-485. ↩︎

  31. Ivi, p. 272. ↩︎

  32. Cfr. HUA XV, I. Kern, Einleitung des Herausgebers, p. LXIX. ↩︎

  33. HUA IV, p. 152; tr. it. cit., p. 154. ↩︎

  34. Ibidem↩︎

  35. Cfr. Ivi, pp. 152-153; tr. it. cit., pp. 154-155. ↩︎

  36. HUA I, p. 147; E. Husserl, Meditazioni cartesiane e Lezioni parigine, tr. it a cura di A. Canzonieri, Morcelliana, Brescia 2017, p. 197. ↩︎

  37. HUA VI, p. 205, tr. it. cit., p. 209. ↩︎

  38. Ibidem↩︎

  39. Cfr. E. Franzini, Husserl e il mondo della vita, in Forme di mondo, cit., p. 141. ↩︎

  40. Cfr. S. Luft, Phänomenologie der Phänomenologie, cit., pp. 94-96. ↩︎

  41. Hua Dok. II/2, p. 31, Nota 114. Come sostiene S. Luft, Phänomenologie der Phänomenologie, cit., p. 98: per Husserl «la morte non è la deroga ad un normale stile di vita, ma un determinato, ed effettivamente necessario punto finale dell’umana vita nel mondo». ↩︎

  42. Cfr. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie. Ergänzungsband. Texte aus dem Nachlass 1934-1937, HUA XXIX, Hrsg. R. N. Smid, Kluwer, Dordrecht-Boston-London 1993, p. 388. ↩︎

  43. Ivi, p. 387. ↩︎

  44. HUA VIII, p. 19. Queste riflessioni attorno alla vocazione filosofica sono del tutto speculari al tema del rinnovamento individuale sviluppato – com’è noto – negli articoli scritti e in parte pubblicati nel 1923-24 per la rivista giapponese Kaizo, cfr. HUA XXVII, pp. 3-122. ↩︎

  45. Cfr. S. Luft, Phänomenologie der Phänomenologie, cit., p. 103. ↩︎

  46. HUA VIII, p. 71; tr. it. cit., p. 91. ↩︎

  47. HUA I, p. 75. ↩︎

  48. Secondo Fink, invece, proprio in quanto «contesta che l’uomo filosofi "solo apparentemente", perché l’ego trascendentale sarebbe proprio l’"uomo" (anche se attraverso costituzione auto appercettiva), Husserl non giunge ad estendere la differenza tra il soggetto trascendentale e l’uomo anche alla dimensione dell’individuazione» dello spettatore fenomenologico (cfr. VI Meditaz., tr. it. cit., p. 161). Per Husserl, al contrario, nella riflessione trascendentale, come sottolinea G. Brand, in Mondo, Io e Tempo nei manoscritti inediti di Husserl, cit., pp.134-135: «tra me e me si apre in certo modo una distanza: io sono fungente anonimo, e insieme sono oggettualmente per me come tema del fungere stesso, tema del fungere attuale, così come poco fa ero fungente; ma insieme questa distanza è sempre già colmata». ↩︎

  49. Cfr. HUA VIII, pp. 128 sgg. ↩︎

  50. HUA VIII, p. 129; tr. it. cit., p. 166. ↩︎

  51. Cfr. E. Husserl, Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (1926-1935), HUA XXXIV, Hrsg. S. Luft, Kluwer, Dordrecht 2002, p. 260. ↩︎

  52. HUA VIII, pp. 107-108; tr. it. cit. p. 139. ↩︎

  53. Cfr. HUA XXXIV, pp. 59 sgg. ↩︎

  54. VI Meditazione, tr. it. cit., p. 86. D. Cairns sottolinea a riguardo il fatto che Fink è incline a parlare del trascendentale come meontico piuttosto che come ontico (cfr. Conversations with Husserl and Fink, M. Nijhoff, Le Hague 1976, pp. 57 e 67). ↩︎

  55. Cfr. Guy van Kerckhoven, Mondanizzazione e individuazione. La posta in gioco nella Sesta Meditazione cartesiana di Husserl e Fink, cit., pp. 268 e 269. ↩︎

  56. Ibidem, p 157. ↩︎

  57. Hua Dok. II/2, p. 64, note 260-261. ↩︎

  58. Ivi, p. 78, nota 311. ↩︎

  59. Cfr. Ivi, p. 153. ↩︎

  60. Cfr. Ivi, p. 155. ↩︎

  61. Guy van Kerckhoven, Mondanizzazione e individuazione, cit., p. 492. ↩︎

  62. Hua Dok. II/2, p. 179, nota 221. ↩︎

  63. Cfr. Ivi, p. 212, note 345 e 346. ↩︎