Jean-Paul Sartre, Merleau-Ponty, a cura di Raoul Kirchmayr, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999.
Merleau-Ponty vivant è il titolo del saggio scritto da Jean-Paul Sartre per commemorare l’amico Merleau-Ponty, tristemente e improvvisamente scomparso la sera del 3 maggio del 1961, a Parigi, a soli 53 anni, a causa di un arresto cardiaco.
In questo saggio troviamo tre motivazioni principali che portarono Sartre a scrivere di Merlau-Ponty: l’esperienza d’amicizia che diventa modo per raccontarsi; la descrizione delle vicende che si intrecciano nella redazione di Les Temps Modernes, raccontandoci le battaglie politico-culturali condotte attraverso la rivista; infine, e soprattutto, la riflessione filosofica su Merleau-Ponty in generale e sulla sua produzione più matura.
A queste tre motivazioni suggerite da Raoul Kirchmayr,1 si può intravvedere sicuramente una nota malinconica che spinse Sarte a scrivere del suo ex amico come per chiedere ammenda. I rapporti tra i due, infatti, spesso tesi e conflittuali, si incrinarono definitivamente, attorno agli anni 50, a causa di visioni politiche diametralmente opposte. I due grandi filosofi francesi pur condividendo un campo d’indagine comune, vicende sociali e culturali della loro epoca, avevano posizioni divergenti di lettura delle vicende sociali e politiche.
Puntualizza, a tal proposito, l'autore:
Eravamo degli eguali, degli amici, non dei simili: lo avevamo capito subito e i nostri contrasti, all’inizio, ci divertivano; e poi attorno al 1950, il barometro precipitò: vento forse sull’Europa e sul mondo; a noi due la tempesta fece cozzare testa contro testa e, subito dopo, ci scagliava agli antipodi l’uno dell’altro. Non rompemmo mai legami così spesso tesi.2
Ponty e Sartre erano inizialmente du même bord e, come afferma lo stesso Sartre, avevano gli stessi strumenti per comprendere il mondo. Tali mezzi erano la filosofia di Edmund Husserl e di Martin Heidegger, i principali filosofi dai quali ricavarono interessi, concetti, metodologie di indagine. Le riflessioni su questi due filosofi li spingevano verso scontri spesso evitati, e verso dibattiti che li portarono alla rottura definitiva.
Toccanti le parole di Sartre dedicate all’ultimo incontro con Merleau-Ponty proprio dopo uno di questi scontri:
Rivedo il suo ultimo volto notturno [...] deluso, improvvisamente chiuso; lui resta in me, piaga dolorosa, infettata dal rimpianto, dal rimorso, da un po’ di rancore; trasformata in sé medesima, la nostra amicizia vi si riassume per sempre. [...] Ma in quello, [in quell’ultimo incontro] sì, tutto si è raccolto: tutti i silenzi che mi oppose, a partire dal 1950, sono là, congelati in quel volto silenzioso e, reciprocamente, mi accade oggi ancora di sentire l’eternità della sua assenza come un mutismo deliberato; ecco come vivono gli uomini, nella nostra epoca; ecco come si amano: male. È vero; ma è vero anche chi siamo noi, noi due, che ci siamo mal amati. Non c’è nulla da concludere, se non che questa lunga amicizia, né fatta né disfatta, abolita quando stava per rinascere o per spezzarsi, resta in me come una ferita che continua a bruciare.3
Tra le tematiche che hanno sancito la rottura tra i due, Merleau-Ponty rimproverava a Sartre di non saper coniugare libertà e intersoggettività, due temi cari a entrambi ma trattati e concettualizzati in maniera profondamente diversa; una diversità di approccio che si ritrova anche alla dimostrazione «pratica» della diversità delle tipologie di vita degli autori, così simili «sulla carta», ma così diversi nell’effettivo svolgimento:
Durante il nostro soggiorno all’École Normale, ci ignoravamo. Lui era un esterno, io al pensionato; lui era delicato, io grossolano [..] lui era Colui che credeva al Cielo e io Colui che non ci credeva [...] lui sottotenente, io soldato semplice.4
Enorme il contrasto tra lo svolgimento accademico e militare di Merleau-Ponty, e quello, seppur engagé di Sartre come «comandante» di quei moti studenteschi del '68.
La particolare attenzione di Merleau-Ponty per Husserl − un’attenzione definita da molti «originale» − affonda le sue radici anche nel particolare interesse pluridisciplinare del filosofo che intreccia − e riesce ad intrecciare grazie a quel metodo di Merleau-Ponty chiamato dell’archeologo − le tematiche della percezione al linguaggio, la mera cronologia di fatti e pensieri storici alle opere d’ingegno artistico, alle motivazioni, quindi, delle produzioni artistiche in un dato momento storico e al significato ontologico di queste.
Se da un lato Sartre, popolarissimo anche in quanto drammaturgo e scrittore, abbia meritato l’incredibile successo nel suo tempo, dall’altra parte assistiamo ad una scarsa considerazione di Merleau-Ponty, che viene rivisto e rivalutato solo post mortem. Scorrendo le pagine della Fenomenologia della percezione di Merleau-Ponty, vediamo le alternative che pone contro l’idea di libertà sartriana: per Merleau-Ponty, la libertà in Sartre è priva di contenuti reali poiché non ha nessun impedimento o ostacolo che le permetta di esplicarsi, non considerando quello sfondo di fatticità (Faktizität) da cui possa spiegarsi come scelta personale, ovvero quel concetto di situazione di cui ci parla Ponty: solo quella libertà situata nel contatto con gli altri e con le cose (nell’intersoggettività per appunto) può definirsi tale, «la nostra libertà non distrugge la nostra situazione, ma si innesta su di essa; in quanto noi viviamo, la nostra situazione è aperta».5
Al contrario, Sartre, vede la libertà proprio nel nostro presunto potere di negare la nostra fatticità e la nostra situazione. Ancora in contrasto alla fenomenologia merleau-pontyana, secondo Sartre, lo sguardo altrui, l’alterità e l’intersoggettività per estensione, ci aliena e ci rende oggetti tra gli oggetti. Proprio in questo contrasto, nella prospettiva sartriana, risiede quella trascendenza che pone un confine al nostro solipsismo. Un confine necessario per tenere a bada quello che, in molta della storia della filosofia, è stato inteso come un concetto pericoloso e una possibilità da tenere estremamente a bada.
In una sua tipica ricostruzione archeologica, Merleau-Ponty colloca la nascita del pericoloso solipsismo − nascita implicita o esplicita almeno nelle metafore – nelle indagini di Descartes. Un punto, questo, che allontana Husserl e Merleau-Ponty: per Husserl, il solipsismo dell’ego cartesiano è la possibilità per l’intenzionalità (Intentionalität) di dispiegarsi dalla soggettività all’oggettività, per cui un fatto di coscienza è sempre coscienza di qualche cosa: «Quest’ego svolge dapprima un tipo di filosofare seriamente solipsistico. Esso cerca apoditticamente le vie attraverso le quali possa rivelarsi nell’interiorità pura l’esteriorità oggettiva».6
Merleau-Ponty, preoccupato che la fenomenologia di Husserl potesse scadere in una concezione solipsista, comprenderà che in Husserl, in realtà, la riflessione sul tema non si spinge fino a un significato così estremo. Tuttavia si comprende che, per molti lettori di Husserl, il tema resta quantomeno problematizzato.7
A riguardo, dal nostro punto di vista, è possibile considerare che è proprio il tema dell’intersoggettività a mostrarci come in realtà Husserl abbia superato ogni rischio di solipsismo. Altresì, nell’alterità, Sartre concretizza la sua differenza circa la libertà rispetto a Merleau-Ponty scrivendo che
Il vero limite della mia libertà è puramente e semplicemente nel fatto stesso che un altro mi coglie come un altro-oggetto e nell’altro fatto corollario che la mia situazione cessa per l’altro di essere situazione e diventa forma oggettiva nella quale esisto a titolo di struttura oggettiva. È appunto questa oggettivazione alienante della mia situazione che è limite costante e specifico della mia situazione […] Questo limite alla mia libertà è, si vede bene, posto dalla pura e semplice esistenza d’altri […] Come il pensiero, secondo Spinoza, può essere limitato solo dal pensiero, così la libertà non può essere limitata che dalla libertà.8
Parafrasando la citazione, notiamo che Sartre si pone in continuità con le idee pessimistiche e negative circa l’essere umano già presenti nella riflessione filosofica di Hobbes e Locke. Non abbiamo elementi per dimostrare che Sartre soffrisse di una sorta di misantropia, nonostante la sua letteratura si distingua per una forte negatività, a volte capace di far sentire male il lettore.
Forse Merleau-Ponty riesce a cogliere a pieno, seppur in maniera originale, la lezione husserliana circa l’intersoggettività. Tramite la fenomenologia trascendentale si arriva a considerare ogni soggetto come condizione del mondo e ciò dona certamente un’indipendenza al soggetto. Tuttavia, tale indipendenza, non lo porta a essere simile a quella caratterizzazione cartesiana di uomo che risiede al di fuori del mondo; al contrario, ci mostra che esso si trova sempre nel mondo, non essendo, inoltre, un mero prodotto della coscienza.
Nel mondo della vita (Lebenswelt) l'uomo è sempre soggetto tra altri soggetti. Anche la riduzione fenomenologica, ovvero quel metodo tramite cui il fenomenologo si allontana dal senso comune e dalle ovvietà tipiche dell’atteggiamento naturale verso le cose, viene ripreso e ampliato da Merleau-Ponty. La riduzione trascendentale non può condurre a un ritorno, a una coscienza trascendentale e idealizzata, ma, secondo Merleau-Ponty, Husserl ha rischiato di cadere in tale impasse.
Secondo Merlau-Ponty, se la riduzione trascendentale assumesse un’impostazione idealistico-trascendentale, la coscienza sarebbe vista come la fonte ultima del significato-mondo, e quest’ultimo sarebbe concepito come una nostra «donazione di senso» (Sinngebung), rischiando, in fondo, di ignorare tanto il mondo quanto il «problema dell’altro». Ma la fenomenologia husserliana, lungi dallo smarrire il contatto con l’alterità e con il mondo, non si smarrisce in una chiusura idealistica della soggettività o in un pericoloso solipsismo.
A un’attenta lettura, infatti, soprattutto dei testi dell’ultima fase della produzione husserliana, Merleau-Ponty nota come la fenomenologia ammette sempre la possibilità di uno «spettatore estraneo». La riduzione fenomenologica non è una ricerca di soluzione dove l’individuo si estranea dal mondo cercando la verità dentro la sua unità di coscienza. È, bensì, una ricerca dove la riflessione si distanzia per «veder scaturire la trascendenza».
L’originalità di Merleau-Ponty sta nell’utilizzo particolare della riduzione fenomenologica, divenendo una formula di una filosofia esistenziale che si basa, chiaramente, sullo sfondo dell’essere nel mondo heideggeriano. Husserl asserisce che ogni riduzione è contemporaneamente eidetica e trascendentale, ovvero che non si può avere un accesso diretto alla percezione del mondo senza retrocedere dal «fatto della nostra esistenza alla natura della nostra esistenza» − dal Dasein al Wesen −, e questa è comune a tutti i soggetti.
A differenza di Sartre, per Merleau-Ponty, la percezione dell’altro ha diverso significato: l’incontro con l’altro diviene incontro con la storia stessa, con un mondo di significati intersoggettivi con i quali bisogna mediarsi per impegnarsi attivamente nella storia.
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Tra i più grandi studiosi della filosofia di Merleau-Ponty, cura e scrive la più famosa introduzione al saggio che trattiamo in questo articolo. ↩︎
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J.-P. Sartre, Merleau-Ponty, a cura di Raoul Kirchmayr, trad. it., Raffaello Cortina Editore, Milano 1999. ↩︎
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Ivi, p. 102-103. ↩︎
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Ivi, p. 107. ↩︎
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M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1965, pp. 565. ↩︎
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E. Husserl, Discorsi parigini, in Meditazioni Cartesiane, trad. it., Bompiani, Milano 1994. ↩︎
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Per approfondire la questione segnalo l’esaustivo articolo di Lucia Alessandra Il problema della costituzione soggettiva del mondo, disponibile online al link https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/alessandra-lucia-01. ↩︎
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J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1964, p. 632. ↩︎