Irriducibilità epistemica e irriducibilità ontologica. Per un emergentismo (neo)kantiano

Introduzione

Negli ultimi decenni, il dibattito sulle proprietà emergenti è stato caratterizzato da una netta contrapposizione fra riduzionisti e anti-riduzionisti. Benché alcuni autori abbiano cercato di sostenere posizioni intermedie, non si è mai realmente colmata la distanza fra i due punti di vista, che sembrano realmente assumere i connotati di visioni del mondo radicalmente inconciliabili, e per di più gravide di rilevanti conseguenze etiche in senso ampio.1 Il nostro scopo consisterà nel tracciare un quadro filosofico in cui gli elementi qualificanti di entrambe le istanze possano convivere. Ciò avverrà a partire dal recupero di alcuni elementi propri della riflessione di Ernst Cassirer e Nelson Goodman. Questo ci permetterà anche di evidenziare le legittime rivendicazioni del riduzionista e dell’anti-riduzionista. Tali elementi verranno declinati per delineare un’ontologia a livelli, che dia pienamente spazio alle proprietà emergenti. Questi livelli, legati da relazioni di causalità inter-livello,2 godranno di un’autonomia ontologica fondata sull’autonomia epistemologica, così da evitare i problemi metafisici sollevati da molte versioni della teoria delle proprietà emergenti.3

Presenteremo qui una breve caratterizzazione della prospettiva riduzionistica. Data l’ampiezza e la durata del dibattito su questi temi, non è possibile offrire una ricostruzione completa; cercheremo pertanto di concentrarci su quegli aspetti delle due posizioni che ci appaiono come i più salienti per il problema dell’emergentismo. Per quanto riguarda il riduzionismo, faremo quindi riferimento, da una parte, alla classica formulazione di Nagel, che interpreteremo in senso causale, dall’altra alle prospettive riduzioniste del “nuovo meccanicismo”, che postula una realtà formata da diversi livelli di organizzazione e quindi pone in modo esplicito il problema di come questi livelli si rapportino fra loro. In entrambi i casi cercheremo di concentrare la nostra attenzione su pochi punti qualificanti, sia perché rappresentano i punti di forza di tali posizioni, gli elementi che anche in questo articolo ci proponiamo di preservare, sia perché entrano in diretto e immediato contrasto con la concezione avversaria anti-riduzionistica. Iniziamo dalla prospettiva riduzionistica classica, e dalla sua prima formulazione compiuta ad opera di Ernest Nagel. Egli definisce la riduzione in questi termini:

La natura della riduzione nelle scienze è strettamente associata alla natura della spiegazione scientifica. Il tipo di spiegazione che è qui particolarmente rilevante può essere illustrata come segue. Un’entità è mostrata come un complesso di costituenti, per cui alcune fasi del suo comportamento possono essere spiegate nei termini della loro relazione a fasi del comportamento dei costituenti.4

L’esempio che Nagel ha in mente è, evidentemente, il rapporto fra il comportamento macroscopico di un gas e quello delle particelle che lo compongono. La scelta di questo esempio è rivelatrice di un aspetto molto importante della presentazione che Nagel fa del riduzionismo: essa infatti indica che la relazione fra livello microscopico e livello macroscopico è concepita come una relazione di causa ed effetto. Come lo stato di agitazione delle particelle di un gas causa le sue condizioni macroscopiche di temperatura, volume e pressione, così il livello riducente è causa del livello ridotto. Procederemo a sostenere questa tesi a partire da un’argomentazione sviluppata da Jaeg-won Kim. Egli si pone il problema di come un evento mentale M, che qui rappresenta l’evento di livello superiore, possa causare un evento fisico F. Kim osserva che F non può certamente essere privo di una causa fisica, poiché altrimenti verrebbe violato il principio di chiusura causale del mondo fisico, in base al quale ogni evento fisico dotato di una causa nel momento t ha una causa fisica nel momento t.5 Ora però F si trova ad avere due cause, una fisica, per il principio appena riportato, e una mentale, per ipotesi. Escludendo che la sovradeterminazione causale possa essere più che una rarità, Kim conclude che l’evento mentale M non può causare l’evento fisico F.6 Questo argomento è stato sviluppato da Kim per rispondere alla possibilità che gli eventi mentali avessero poteri causali autonomi; esso però ci conduce ad affermare che la correlazione stabilita dal riduzionismo fra eventi di livello inferiore ed eventi di livello superiore sia una correlazione di tipo causale. Vediamo come. Una delle conclusioni cui giungiamo grazie all’argomento di Kim è che gli eventi mentali che si suppone causino eventi fisici possono esercitare il loro potere causale solo attraverso la loro base fisica, e questo significa che gli eventi mentali non hanno poteri causali differenti ed ulteriori rispetto a quelli della base fisica. Da ciò sembra discendere che gli eventi mentali abbiano natura meramente epifenomenica.7 Ma se gli eventi mentali non hanno poteri causali autonomi, qual è la causa dell’evento mentale M? Non potrà essere, per i motivi appena visti, una causa mentale. La nostra tesi è che il modello riduzionista non abbia altra possibile risposta, a questa domanda, che identificare la causa dell’evento mentale M con l’evento fisico F. Ora, riprendendo l’esempio di Nagel, osserviamo come la relazione fra l’evento mentale e l’evento fisico in Kim e la relazione fra l’evento macroscopico e l’evento microscopico in Nagel siano riconducibili a una stessa categoria; la riduzione degli eventi mentali a eventi fisici è in effetti un’altra delle applicazioni più classiche del riduzionismo.8 Vedremo, in seguito, come questo ricorso alla causazione sia uno dei punti deboli della versione classica del riduzionismo. La versione classica del riduzionismo, d’altra parte, ha subito numerose critiche, spingendo alcuni autori a proporre versioni alternative. A questo proposito, prenderemo in considerazione la riformulazione del riduzionismo che è stata tentata nel contesto del dibattito attuale sul “nuovo meccanicismo”. Quest’ultimo nasce come una versione aggiornata del meccanicismo, che insiste sul carattere composito degli oggetti della scienza e sulla possibilità di scomporli analizzandone le parti componenti: «Le spiegazioni meccanicistiche sono spiegazioni costitutive o componenziali: spiegano il comportamento del meccanismo nel suo complesso in termini di attività organizzate e le interazioni dei suoi componenti».9 In questo senso i fenomeni sono interpretati appunto come meccanismi dotati di livelli di complessità crescente, ciascuno fondato sul funzionamento del meccanismo inferiore. Alcuni autori di questa corrente connettono il meccanicismo con una prospettiva riduzionistica.10 La differenza rispetto al riduzionismo di Nagel che viene solitamente sottolineata è che, mentre quest’ultimo è un riduzionismo di una teoria a un’altra, il riduzionismo meccanicistico non ha questa pretesa; esso infatti «riconosce l’autonomia delle spiegazione di livello superiore», vale a dire delle spiegazioni che sono oggetto della riduzione, dal momento che il fenomeno di livello superiore dipende dall’organizzazione imposta alle parti, un’organizzazione che non può essere ricondotta al livello riducente.11 In questa prospettiva, dunque, i livelli superiori sono costituiti dai livelli inferiori, ma i fenomeni di livello superiore non possono essere ridotti ai – o spiegati nei termini dei – livelli inferiori. Potremmo chiederci, a questo punto, se abbiamo davvero ancora a che fare con una prospettiva riduzionistica, o se invece il meccanicismo, grazie alla sua possibilità di intendere i livelli superiori come costituiti dai livelli inferiori senza però essere da essi spiegati, non ci abbia in realtà fornito una nuova via che passa fra i due corni del riduzionismo e dell’anti-riduzionismo. Risponderemo in seguito a questa domanda. Prima, dobbiamo considerare il suo rapporto con l’impostazione causale di Nagel.

Nel caso del riduzionismo meccanicistico, il rapporto fra livello riducente e livello ridotto non sembra a prima vista poter essere inteso in termini causali, bensì in termini di composizione o costituzione. Una simile posizione è stata sostenuta da Carl F. Craver e William Bechtel. La proposta dei due autori è molto chiara: essi sostengono che il tipo di relazione fra un meccanismo e le sue parti componenti, per descrivere il quale si è spesso fatto ricorso al concetto di causalità ascendente (upward) o discendente (downward) fa in realtà riferimento a processi che non sono di tipo causale, bensì possono essere definite «effetti meccanicisticamente mediati».12 L’interazione fra un meccanismo e le sue parti componenti, infatti, non è l’interazione fra due entità discrete e distinte, mentre la causalità è spesso descritta come «una trasmissione o uno scambio fisico da un oggetto, processo o evento, a un altro, attraverso il contatto o la propagazione di un segnale».13 L’interazione fra un meccanismo e le sue parti non può essere una relazione causale perché è una relazione di costituzione: l’aumento dell’energia cinetica delle particelle in un cibo riscaldato in un forno a microonde non causa l’aumento del calore, semplicemente perché è (costituito dal)l’aumento del calore. Certo, qualcuno potrebbe sostenere che si tratta di un esempio di causazione, ma si tratterebbe di un uso della parola che copre casi già descritti altrimenti. Significativamente, la tentazione di interpretare in senso causale l’interazione fra meccanismo e parti componenti viene denunciata da Craver e Bechtel come illegittima sia nel caso top-down sia nel caso bottom-up.

Per chiarire il punto, Craver e Bechtel analizzano due diverse cause di morte. Nel primo caso, un generale muore a causa di un’infezione virale: sembrerebbe trattarsi di un caso di causalità ascendente. Ma a un’osservazione più approfondita dobbiamo riconoscere, secondo gli autori, che le due entità, il generale e il virus, non sono a due livelli diversi dal punto di vista meccanicistico, semplicemente perché il virus non fa parte di alcuno degli svariati meccanismi che compongono il corpo del generale. Sicché non si tratterebbe di un caso di downward causation, ma più semplicemente di due oggetti di diversa misura che interagiscono causalmente. Vediamo ora il secondo caso, in cui il generale muore in conseguenza di arresto cardiaco. Dal momento che il generale viene considerato come un essere umano vivente, il cuore è uno dei meccanismi componenti del suo corpo. In questo caso è sufficiente ricorrere a una causalità intra-livello e al rapporto di costituzione all’interno di un meccanismo: dal punto di vista di quest’ultimo, l’infarto non causa la morte dell’organismo, semplicemente è (costituisce) la morte dell’organismo.14 Dobbiamo ora considerare la legittimità di questa distinzione. Craver e Bechtel discutono una possibile interpretazione della causalità, secondo la quale sarebbe impossibile un’interazione causale fra oggetti di taglia diversa, com’era nel caso del generale e del virus. Un possibile argomento a sostegno di una tesi del genere potrebbe essere la richiesta che le cause siano simili ai loro effetti, ma questa sembra una pretesa assurda, data l’ubiqua disparità di cause ed effetti in natura. E se anche fosse una richiesta plausibile, essa andrebbe comunque sostanziata in qualche senso, ad esempio sostenendo che, a dispetto delle apparenze, in realtà siano sempre le parti minime di un oggetto a interagire con le parti minime di un altro oggetto. La teoria che le cause debbano avere la stessa dimensione degli effetti viene quindi scartata dagli autori in quanto contrasterebbe tout court con la possibilità di ammettere cause discendenti in senso proprio, e rappresenterebbe dunque un altro modo per giungere a conclusioni simili a quelle che interessano ai due autori: l’inammissibilità, appunto, di descrivere come causalità inter-livello i rapporti fra un meccanismo e le sue parti costituenti.15 A questo punto, dopo la presentazione delle posizioni riduzionistiche, abbiamo lasciato tre importanti questioni in sospeso: in primo luogo, per quale ragione riteniamo che il riduzionismo di Nagel sia da rigettare a causa del suo ricorso alla causazione fra evento riducente ed evento da ridurre; in secondo luogo, perché riteniamo che il meccanicismo di Craver e Bechtel sia realmente un progetto riduzionistico; e infine, perché esso, dal momento che sembra non fare ricorso alla causazione, sia comunque una forma di riduzionismo da rigettare.

Quadro filosofico

Proviamo ora, in questa sezione, a tracciare una panoramica del quadro filosofico a cui faremo riferimento. L’autore fondamentale per la linea di pensiero che vorremmo idealmente proseguire è appunto Cassirer. Egli, nella sua Filosofia delle forme simboliche, riprende ed espande l’idea fondamentale della filosofia trascendentale kantiana: la convinzione che la conoscenza sia possibile solo presupponendo delle forme costitutive dell’oggetto, che non sono tuttavia proprie dell’oggetto stesso bensì della soggettività trascendentale. Si tratta della celebre «rivoluzione copernicana» di Immanuel Kant.16 Cassirer osserva dunque che secondo la concezione del criticismo filosofico «la definizione, la determinazione dell’oggetto del conoscere può avvenire solo attraverso la mediazione di una peculiare struttura logico-concettuale», poiché non si dà un oggetto “in sé”, al di fuori di qualsiasi mediazione concettuale, e pertanto risulta che a una diversità di strutture

deve corrispondere anche una diversa composizione dell’oggetto, un diverso significato di connessioni “oggettive”. In questo modo, neppure entro l’ambito della “natura” l’oggetto fisico coincide in quanto tale con l’oggetto chimico, quello chimico con quello biologico, perché la conoscenza fisica, la conoscenza chimica, la conoscenza biologica includono in sé ciascuna un punto di vista particolare nell’impostazione della domanda e conferiscono ai fenomeni un significato e una forma specifici in accordo con questo punto di vista.17

In queste parole di Cassirer è contenuto il nucleo della nostra proposta per un’ontologia a livelli. Anzitutto, il legame propriamente criticista fra la determinazione dell’oggetto (prospettiva ontologica) e la determinazione della forma logica (prospettiva epistemologica): ciò che un oggetto è non può essere in alcun modo stabilito al di fuori del particolare insieme di forme logiche che lo rende possibile. Pertanto, ognuno di questi insiemi darà luogo a un livello ontologico autonomo. In secondo luogo, e in conseguenza di ciò, se le diverse scienze si costituiscono facendo ricorso a concetti o categorie differenti, allora i corrispondenti orizzonti ontologici saranno altrettanto differenti. L’opera complessiva di Cassirer, per giunta, conduce verso un’estensione di questo paradigma, poiché esso non è limitato ai diversi oggetti delle diverse scienze: diversi mondi sono creati dalle diverse forme e funzioni simboliche attraverso le quali si costituisce la realtà; il mito, il linguaggio, la religione, la storia, le scienze, e così via hanno tutti un proprio mondo, cioè una determinata maniera di costituire il proprio oggetto e il rapporto con esso.

Nelson Goodman ha sviluppato questa linea di pensiero; partendo dal presupposto che la filosofia di Cassirer possa essere riassunta, in modo tanto semplice quanto efficace, con l’idea che l’attività simbolica dell’uomo sia in grado di creare sempre nuove dimensioni – «innumerevoli mondi creati dal nulla tramite l’uso di simboli» – egli parla di una vera e propria pluralità di mondi, poiché, se da una parte non è più possibile dopo Kant concepire un mondo in sé, in quanto contrapposto al mondo come correlato dell’attività simbolica dell’uomo, così d’altra parte non si può nemmeno affermare che vi sia un solo mondo, perché la disparità delle forme logiche delle diverse attività simboliche dell’uomo è irriducibile.18 Parlare di una pluralità di mondi, significa, per Goodman, che esistono diverse «versioni» del mondo, di cui il pluralista cerca di rispettare l’autonomia, respingendo le pretese unificatrici del monista. Come sottolineato da Xavier De Donato-Rodriguez, Goodman è spinto a questa conclusione da due principi: il principio «dell’indispensabilità degli schemi» di interpretazione, vale a dire, di nuovo, l’argomento centrale del criticismo kantiano; e il principio «del confronto», vale a dire l’impossibilità di confrontare la nostra esperienza con altro che la nostra esperienza stessa.19 Ma se deve cadere l’idea di una realtà in sé, posta al di là della nostre possibilità di conoscenza, e se d’altra parte ogni nostra conoscenza avviene tramite particolari schemi, allora non c’è modo di stabilire quale schema sia più rispondente alla realtà; per questo motivo, non c’è ragione per cui uno schema debba essere ridotto a un altro.

Dobbiamo ora definire esattamente come questa concezione che abbiamo abbozzato influisca sul problema del dibattito fra riduzionisti e anti-riduzionisti. L’irriducibilità da cui partono Cassirer e Goodman è un’irriducibilità epistemologica: non possiamo ridurre l’evento e della teoria T alla teoria T~1~, perché e è formulato secondo concetti e categorie che appartengono a T e non possono appartenere a T~1~. In quest’ultima, apparirà sempre un evento e~1~ che può corrispondere, e tuttavia mai coincidere con e. Questa è la tesi fondamentale della prospettiva anti-riduzionistica che cercheremo di far valere e di riconciliare con l’intuizione fondamentale del riduzionismo. Possiamo illustrare meglio questo punto con un esempio. Prendiamo un caso paradigmatico, tratto da uno dei principali campi di applicazione del riduzionismo: l’interpretazione dell’evoluzione biologica come evoluzione dei geni e modificazione della frequenza genetica. Questa teoria, portata al suo sviluppo più compiuto da Richard Dawkins, afferma che l’unità fondamentale della selezione naturale è il gene, e che dunque l’adattamento degli organismi all’ambiente non è altro che il risultato dell’interazione fondamentale che ha luogo a livello dei geni.20 Ora, questa teoria è stata attaccata da diversi biologi evoluzionisti sulla scorta di un ampliamento del paradigma evoluzionistico neo-darwinista, un ampliamento che sottolinea l’importanza come motori dell’evoluzione di una molteplicità di processi non riconducibili alla genetica.21 Al di là del suo superamento empirico, è importante però cogliere l’errore metodologico di fondo della strategia riduzionistica secondo la prospettiva neocriticista che stiamo seguendo. Dire che l’organismo non è un’entità rilevante nel processo evolutivo, poiché tutto ciò che conta è la frequenza genetica, non comporta in alcun modo l’eliminazione delle spiegazioni in termini di organismi. Il fatto che si possa intendere la selezione naturale come selezione di geni, poiché questi si esprimono in un fenotipo, e di conseguenza le pressioni selettive dell’ambiente si riflettono sui geni, non significa che la relazione fra organismo e ambiente non può essere descritta dal linguaggio della genetica, perché in un senso ben preciso gli oggetti necessari a parlare della relazione fra ambiente e organismo non esistono nel linguaggio della genetica. Esso presenta infatti, secondo l’interpretazione di Cassirer e Goodman, delle forme logiche e dei concetti differenti; ciò che può essere concettualizzato dalla genetica è un “organismo in termini genetici”.

Qual è il guadagno portato da una comprensione del problema del riduzionismo secondo una prospettiva neocriticista? Tale guadagno si manifesta come possibilità di concepire i livelli superiori non solo come irriducibili a quelli inferiori, ma anche propriamente autonomi dal punto di vista ontologico, secondo la concezione del neocriticismo di Cassirer per cui le forme concettuali con cui costituiamo la realtà hanno valenza in pari tempo epistemologica e ontologica. I livelli superiori godranno allora di proprietà irriducibili ai livelli inferiori. Ciò tuttavia non comporterà i problemi metafisici che la prospettiva emergentista comunemente incontra in un contesto di monismo fisicalistico: il neocriticismo, grazie alla sua concezione trascendentale della costituzione dei vari livelli, può concepire la relazione fra livelli su un piano, appunto, trascendentale, in cui le relazioni fra di essi sono solo funzionali, e mai “reali”. In questo senso, i poteri causali dei vari livelli sugli altri verranno interpretati come esempi di causalità inter-livello; essi si distinguono dalla causalità intra-livello per il fatto di non poter essere intesi secondo il modello della causalità efficiente.22 In particolare, vedremo come i rapporti fra livelli superiori e inferiori possano essere compresi a partire dai concetti di causalità ascendente (upward causation) e discendente (downward causation). Dobbiamo perciò considerare come può concretamente operare questo modello in un caso specifico tratto dalla biologia.

Espansione del paradigma causale in biologia

Prenderemo in considerazione la posizione di Denis Noble.23 Egli trova una delle origini del paradigma riduzionista nella nascita della biologia molecolare con la scoperta della struttura del DNA da parte di James Watson e Francis Crick. Essi mostrarono che le sequenze del DNA formano modelli per la produzione di diverse sequenze di amminoacidi nelle proteine, mentre non avviene il contrario. Il modello «funziona in una sola direzione». Ricerche successive hanno mostrato che la questione non è così semplice: anzitutto, nel genoma sono presenti, oltre ai geni codificanti, diversi elementi che non codificano direttamente alcuna struttura, ma aiutano e supportano l’espressione dei geni codificanti. Non solo, l’espressione del DNA è supportata anche da elementi che sono «non-genomici». Il DNA in effetti non ha alcuna funzione finché non viene «innescato» da fattori di trascrizione e altre forme di controllo epigenetico; esso sarebbe, in sostanza, uno strumento o un organo della cellula che viene da questa regolato e diretto. Per questi motivi, Noble ritiene che anche al livello del DNA non si possa affermare che la direzione dell’efficacia causale sia in una sola direzione. Il DNA può essere tutt’al più concepito come una scatola degli attrezzi che la cellula ha a propria disposizione: «non esiste un programma nel genoma, se con programma intendiamo che le sequenze possano essere analizzate nel modo in cui analizzeremmo un programma per capire cosa specifica».24 Veniamo ora all’esperimento centrale per la tesi di Noble. Al centro di questo esperimento si trovano delle particolari proteine, i canali ionici, situati sulla membrana cellulare; esse hanno il compito di regolare la quantità di carica che entra o esce, e di conseguenza il potenziale elettrico della cellula. L’apertura e la chiusura di questi canali sono a loro volta determinati dal potenziale della cellula. L’esperimento prevede che un modello computerizzato del nodo senoatriale del cuore di un coniglio venga fatto pulsare per sei volte – che corrispondono a sei battiti del cuore del coniglio – in un intervallo di 1300 millisecondi, e che vengano osservate le oscillazioni che corrispondentemente si producono nei canali ionici delle membrane cellulari.

Durante ogni battito, tutte le correnti che fluiscono attraverso i canali della proteina oscillano anche in una sequenza specifica. […] A 1300 ms, è stato eseguito un esperimento sul modello. La “causa discendente” tra le proprietà globali delle cellule, il potenziale di membrana e il controllo dipendente dalla tensione dei canali ionici è stata interrotta. Se ci fosse un “programma” subcellulare che costringe le proteine ​​ad oscillare, le oscillazioni continuerebbero. In realtà, tuttavia, tutte le oscillazioni cessano e l’attività di ciascuna proteina si rilassa a un valore costante. […] Non ha nemmeno senso parlare di ritmo cardiaco a livello di proteine ​​e DNA, e non ha senso supporre che esista un programma separato che “gestisce” il ritmo.25

Da questo esperimento e dalla discussione che lo segue emerge una concezione chiara e scientificamente consapevole della causalità discendente. Essenzialmente il modello prevede che le molecole delle proteine, se considerate nelle loro relazioni isolate dal contesto in cui operano, non sono in grado di generare il battito; il battito cardiaco, in questo senso, non può essere programmato nel genoma, dal momento che, per quanto vi siano ovviamente delle codifiche genomiche essenziali a tale battito, vi sono anche degli elementi non-genomici che risultano imprescindibili per il battito. Solo l’interazione delle proteine con la struttura cellulare, che rappresenta le condizioni restrittive del processo, dà luogo al processo stesso.

Possiamo ora porre una semplice obiezione a questo modello. Dobbiamo infatti chiederci come avvenga concretamente l’interazione fra le condizioni restrittive e il processo di scala inferiore. Ricordiamo quanto sostenuto da Emmeche e colleghi nell’esposizione della versione forte della causalità efficiente: «Non esiste semplicemente un processo identificabile attraverso il quale la cellula (“come tale”, cioè non concepita biochimicamente) esercita un potere causale sul livello biochimico». Questa è d’altra parte una conseguenza diretta della concezione neocriticista di Cassirer e Goodman, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti. In riferimento all’esperimento di Noble sui canali ionici nelle cellule del cuore, ciò che può causare l’interruzione del flusso di carica nei canali deve essere un fenomeno dello stesso tipo, una modificazione del potenziale elettrico della cellula che regola il flusso nei canali. L’interruzione del sistema integrato rappresentato dalla cellula deve in altre parole “tradursi”, al livello inferiore della scala, in fenomeni di quel livello; oppure, per dirla con le parole di Emmeche e colleghi, la cellula deve essere «concepita biochimicamente». Sara Green sembra riconoscere questa possibile difficoltà, quando afferma che un riduzionista potrebbe ribattere all’esperimento di Noble che «il potere esplicativo risiede ancora nei meccanismi proteici coinvolti nel controllo dei canali ionici e che le condizioni iniziali e al contorno forniscono solo condizioni di fondo fisiche».26 La contro-obiezione mossa dall’autrice ci aiuta a porre più chiaramente il problema; facendo riferimento ai problemi di scala, Green si concentra sull’impossibilità di far ricorso al livello micro – in questo caso le proteine canale – per unificare e sussumere sotto un unico tipo di leggi l’insieme dei fenomeni osservati. I modelli a livello microscopico

non sono adatti per catturare le proprietà elettrofisiologiche e biomeccaniche delle strutture tissutali. […] Questi modelli non sono solo input per modelli di scala inferiore, ma catturano fenomeni che i modelli di scala inferiore non riescono a giustificare. Inoltre, richiedono parametri che non possono essere misurati a scale inferiori.27

Ciò che occorre sottolineare della risposta di Green è che essa volge a proprio favore il punto centrale dell’obiezione riduzionistica, vale a dire l’impossibilità di una legge che copra sia il fenomeno microscopico, a livello della proteina canale, sia il fenomeno macroscopico, a livello della cellula. Provando ad abbozzare un quadro delle posizioni del riduzionista e dell’anti-riduzionista, possiamo dire anzitutto che il riduzionista ha ragione nel sostenere, per così dire, l’autonomia del livello inferiore: come abbiamo appena rilevato, i fenomeni microscopici possono essere spiegati solo da fenomeni dello stesso livello, poiché non esistono leggi “ponte”. L’anti-riduzionista ha ragione nel far notare che questo si traduce in un’autonomia altrettanto legittima per il livello superiore. In questo modo, il modello della causalità inter-livello permette la coesistenza delle ragioni opposte del riduzionismo e dell’anti-riduzionismo.

Critica al riduzionismo e al meccanicismo

Alla luce di quanto emerso dalla lettura di Cassirer e Goodman e dall’esperimento di Noble, possiamo identificare i meriti e i limiti del riduzionismo, e in particolare rispondere alle tre domande che avevamo lasciato in sospeso in precedenza. Partendo dalla prima, osserviamo che dovrebbe apparire chiaramente, a questo punto, che fra due livelli eterogenei, o due mondi per dirla con Goodman, non è possibile alcun rapporto di causalità come è inteso da Nagel. Infatti, dal momento che le entità e proprie di una teoria T letteralmente non esistono in un’altra teoria T~1~ – o, se parliamo in termini di livelli, le entità proprie di un livello non esistono in un altro – non potranno avere alcun legame causale con le entità e~1~ della teoria T~1~ – o del secondo livello. Un altro modo per esprimere questo problema è riflettere su come intendere la causalità. Affinché si dia vera riduzione, dobbiamo presupporre che il legame causale fra riducente e ridotto sia un legame di causalità lineare, efficiente: una propagazione non lineare degli effetti causali costituirebbe una violazione del principio di conservazione dell’energia.28 Nella concezione kantiana, d’altra parte, la causalità è una delle dodici categorie,29 e nel neocriticismo di Cassirer la causalità subisce inflessioni particolari a seconda dei diversi universi simbolici in cui vi si fa ricorso.30 Pertanto, non vi possono essere leggi causali che possano operare a cavallo, per così dire, di due teorie differenti. Questa difficoltà è stata notata anche nell’ambito del dibattito contemporaneo sulle proprietà emergenti in biologia; è stato osservato, a proposito della cellula e delle sue componenti biochimiche, che questi due fenomeni

non possiedono nemmeno la capacità di provocarsi a vicenda. Certo, è evidente che la cellula biologica “governa” o “influenza” i processi biochimici che si svolgono in essa – ma allo stesso tempo la cellula rimane di per sé un costrutto biochimico. Quindi a livello biochimico non vediamo altro che reazioni biochimiche individuali che si causano a vicenda. Non esiste semplicemente un processo identificabile attraverso il quale la cellula (“come tale”, cioè non concepita biochimicamente) esercita un potere causale sul livello biochimico. La cellula consiste di processi biochimici, come si potrebbe dire, ma questa è una relazione non temporale (mereologica) e quindi non causale nel senso di causalità efficiente della parola.31

Notiamo che sarebbe invece proprio una relazione causale in senso pieno quella richiesta per intendere riduzionisticamente il rapporto fra il livello molecolare e il livello propriamente biologico di una cellula. A partire da questa argomentazione, che in una prospettiva criticista rende impossibile il ricorso alla riduzione classica, si palesa però anche il valore dell’intuizione riduzionistica. Riprendiamo l’esempio della cellula e delle molecole che la compongono. Abbiamo detto dell’impossibilità di stabilire un rapporto di causazione fra questi due livelli. Dobbiamo però anche notare che, se il livello superiore, biologico, mantiene un’autonomia su quello biochimico, è altrettanto vero che quest’ultimo esiste sempre quale correlato dell’attività biologica. Ogni determinazione biologica della cellula ha come correlato una determinazione biochimica. L’omeostasi cellulare non può dirsi causata dalle molecole che la compongono, perché il concetto di omeostasi è un concetto fisiologico, e non biochimico, e perché non esiste una legge causale che possa collegare i due fenomeni; d’altra parte, il mantenimento dell’omeostasi si configura dal punto di vista biochimico, ad esempio, come uno scambio di ioni: non è possibile parlare di omeostasi senza che sia possibile al contempo osservare una corrispondente attività biochimica. Questa è la ragione fondamentale per cui il punto di vista riduzionistico appare sensato: il livello inferiore è sempre correlato a quello superiore, e viceversa. E questo è il senso per cui il riduzionismo è vero: i fenomeni di livello superiore non sono metafisicamente separati da quelli di livello inferiore. Nel caso specifico della biologia, abbiamo qui il motivo per cui il vitalismo è falso: non vi è alcuno spazio in cui opera una “forza vitale” aggiuntiva rispetto al mondo inorganico. Nel campo della filosofia della mente, abbiamo il motivo per cui, per difendere il libero arbitrio contro il determinismo riduzionista, non abbiamo bisogno di postulare un’anima immateriale e immortale. Infine, abbiamo anche la ragione per cui è possibile un’ontologia di livelli emergenti senza violare il principio di conservazione dell’energia.

Se quindi il rapporto fra il livello riducente e il livello ridotto non può essere inteso come un rapporto di causalità lineare efficiente, come lo dobbiamo intendere? La proposta del meccanicismo è che esso sia da intendere come un rapporto di costituzione del livello superiore a opera di quello inferiore. Dobbiamo quindi difendere il modello della causalità inter-livello contro il modello meccanicistico. Prima, tuttavia, dobbiamo chiarire perché la posizione meccanicistica sia effettivamente una posizione riduzionistica, rispondendo così alla seconda domanda che avevamo lasciato aperta. A questo scopo, dobbiamo tenere presenti le conseguenze della concezione di Craver e Bechtel sull’efficacia causale dei livelli superiori, e quindi sull’effettiva rilevanza del loro mantenimento delle spiegazioni di livello superiore. Il loro modello, infatti, non si differenzia da un modello riduzionistico in cui è preservata l’autonomia epistemica ma è negata l’autonomia ontologica dei livelli superiori; essi, in questo contesto, diventano meri epifenomeni privi di efficacia causale propria. La serie causale propria dei livelli superiori diventerebbe così una serie causale illusoria, in cui non vi è reale causazione nel passaggio da un evento a un altro, poiché essi sono tutti determinati dal livello inferiore. L’affermazione della sola autonomia epistemica non permette dunque una reale uscita dal paradigma riduzionistico e non concede spazio per un’emergenza di livelli che non si riduca a un mero riconoscimento della possibilità di parlare di livelli superiori, senza che ciò comporti una loro rilevanza ontologica di qualche specie. A questo punto possiamo rispondere anche alla terza domanda che avevamo lasciato in sospeso, ovvero perché il riduzionismo nella forma meccanicistica sia anch’esso da rigettare. La nostra tesi è che, in effetti, il meccanicismo non sia in grado di fare a meno del ricorso alla causazione per spiegare il rapporto fra livelli. Riprendiamo l’esempio di Craver e Bechtel, dal punto di vista della prospettiva che abbiamo abbozzato sulla scorta di Cassirer e Goodman, dovremmo senz’altro seguire proprio la strada indicata ma subito rigettata da Craver e Bechtel. Tuttavia, prima di mettere qualche punto fermo su una visione neocriticista sui problemi dell’emergentismo, proveremo a dare un’esposizione dell’idea della necessaria congenerità, per così dire, di cause ed effetti, cercando di metterne in luce i caratteri di plausibilità prefilosofici. Possiamo partire da un caso introdotto da Craver e Bechtel, quello del fiammifero e del fuoco. Difficilmente si potrebbe ritenere falsa la seguente affermazione: «Il fiammifero è la causa del fuoco»; o ancora meglio: «l’incendio è stato causato da un fiammifero». Eppure, anche limitandoci al discorso comune, evidentemente si tratta solamente di un primo livello di analisi del problema, un livello che fa riferimento ai cosiddetti «oggetti di taglia media». Si può facilmente immaginare che, sempre a livello del discorso quotidiano, si dica anche che, più precisamente, è lo sfregamento del fiammifero sulla striscia di zolfo ad aver causato il fuoco. Questo non rende falsa l’affermazione precedente, bensì indica la relazione a un livello differente. Inoltre, ciò che probabilmente Craver e Bechtel definirebbero la “stessa” situazione, può essere descritta ancora in un altro modo, dicendo che l’incendio è stato causato da un campeggiatore sbadato. Dunque anche a livello del discorso quotidiano esistono diversi livelli di interpretazione di un fenomeno; ma fino a che punto si tratta dello “stesso” fenomeno? Il senso comune direbbe probabilmente che sì, si tratta dello stesso fenomeno visto da prospettive differenti. Possiamo ammettere che ciò valga per quanto abbiamo detto fino ad ora, ma se già pensassimo a un’interpretazione dal punto di vista legale, l’incendio, il campeggiatore, e il fiammifero verrebbero “trasfigurati” in elementi che poco hanno a che vedere con la scena “reale”. Manterrebbero indubbiamente un alto grado di traducibilità, ma già non saremmo così sicuri nell’affermare che si tratti dello stesso oggetto: il colore e l’odore del fiammifero non avrebbero alcuna rilevanza, anzi, probabilmente l’unità oggettuale del fiammifero sparirebbe, dal momento che non ha alcuno spazio nel concetto legale di “incendio colposo”. La situazione muta ancora se passiamo a una descrizione fisica: il fiammifero qui si frammenta in una miriade di atomi che davvero non sono più l’oggetto macroscopico.

Quali indicazioni possiamo trarre da quanto appena detto riguardo al problema dell’interazione causale fra oggetti di taglia diversa? Possiamo ancora affermare che l’arresto cardiaco del generale è causato dal virus? La risposta prevede che si espliciti chiaramente il sistema di riferimento in cui si muovono i due oggetti. Stiamo raccontando a un amico perché è morto nostro zio che era generale nell’esercito, oppure stiamo effettuando un’autopsia? In altre parole, stiamo quindi facendo un discorso medico o un discorso quotidiano? Il generale, probabilmente, può essere stato ucciso dal virus in entrambi i casi; ma una interazione causale fra oggetti di taglia diversa occorre solamente se ci muoviamo nell’orizzonte del senso comune. Che cosa non funziona quindi nella teoria di Craver e Bechtel? Certamente, per quanto riguarda legame causale fra il virus e il generale l’apparenza della causalità inter-livello non sembra dopotutto essersi risolta totalmente nella semplice relazione fra entità di diversa dimensione. La causalità inter-livello infatti non viene liquidata dimostrandone l’insostenibilità nell’ambito del senso comune, poiché molte delle sue applicazioni riguardano degli ambiti di discorso scientificamente strutturati. Non si vede come nelle scienze sia applicabile il modello di Craver e Bechtel: anche fra due oggetti della fisica che appartengono a teorie non omogenee è impossibile trovare una legge che colleghi causalmente due oggetti, o se tale legge esiste, sarà un caso di riduzione di entrambi gli oggetti a un fattore comune: ad esempio è perfettamente chiara la relazione di causalità che lega anche il più piccolo corpo dotato di massa nell’universo con il più grande corpo dotato di massa nell’universo: essi interagiranno secondo la legge di gravitazione di Newton. È altrettanto chiaro che non sono questi i casi interessanti nelle discussioni intorno alla causalità inter-livello. A fortiori ciò non può avvenire nei casi in cui i due oggetti appartengano a domini concettuali differenti come possono essere la fisica e la biologia. Le apparenti relazioni causali fra questi domini devono essere quindi ancora spiegate, e sembra che una qualche versione di causalità ascendente o discendente sia un buon candidato per la comprensione. Per quanto riguarda invece il caso della morte del generale a causa di un arresto cardiaco, l’importanza dell’orizzonte concettuale di riferimento è sottolineata, benché di sfuggita, anche da Craver e Bechtel, nel momento in cui dicono che per poter considerare il cuore come una parte costituente del meccanismo del corpo del generale occorre che quest’ultimo sia visto come un «essere umano vivente», e non come, ad esempio, il detentore di una carica militare.32 In effetti, il ragionamento dei due autori funziona se il generale e l’infarto sono posti sullo stesso livello di spiegazione, cioè appunto se il generale non è un uomo in un contesto sociale ma semplicemente un corpo biologicamente determinato. Ma non è questo un caso interessante per la causalità inter-livello, o se lo è, possiamo ammettere che sia risolto dal ricorso al concetto di costituzione di un meccanismo dalle sue parti, senza che questo renda più chiara le relazioni che intercorrono fra entità che non sono descritte allo stesso livello, come ad esempio il generale, nel senso di persona che comanda le truppe di un certo paese in una certa guerra, e l’infarto che lo ha ucciso. L’infarto non è una parte di questo generale; dunque torniamo alla situazione del caso precedente: o, se ci limitiamo al discorso comune e non consideriamo l’infarto come descritto dalla scienza medica, affermiamo che le due entità possano, senza complicazioni, essere causa una dell’altra, oppure se ricorriamo alla concettualizzazione della medicina dobbiamo riconoscere che un’istanza di causalità ascendente non può essere esclusa. Sembra insomma che il modello meccanicistico non presenti alcun sostanziale vantaggio sul modello che abbiamo proposto e che fa riferimento alla causalità inter-livello.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo visto e considerato due versioni del riduzionismo: la versione classica di Nagel e la versione meccanicistica. In base alla concezione neocriticista di Cassirer e Goodman, abbiamo obiettato alla prima l’impossibilità di intendere il rapporto causale fra livelli, poiché essi sono eterogenei dal punto di vista concettuale e non è dunque possibile individuare delle leggi causali che li leghino. Sempre in base alla concezione neocriticista, abbiamo obiettato al meccanicismo da una parte la sua insufficienza nel superare la visione riduzionistica, e dall’altra abbiamo messo in evidenza i limiti del rapporto di costituzione che esso ammette fra i diversi livelli. Abbiamo quindi fornito una concezione alternativa, in cui l’indipendenza ontologica dei livelli è fondata sulla loro autonomia epistemologica; essi possono quindi essere concepiti come effettivamente emergenti e dotati di poteri causali autonomi. Tali poteri causali possono essere intesi secondo il modello della causalità inter-livello, ascendente e discendente. Infine, abbiamo visto un’applicazione del modello a un caso specifico nel campo della filosofia della biologia. Nel complesso, il modello neocriticista, fondando l’emergenza dei diversi livelli sull’autonomia epistemologica della loro costituzione trascendentale, permette di pensare l’emergenza di proprietà in una prospettiva che rivendica sia alcune intuizioni del riduzionismo sia le esigenze dell’anti-riduzionismo. D’altra parte, lo studio di casi come quello dell’esperimento di Noble mostra la plausibilità del resoconto neocriticista, anche in assenza di un esplicito riferimento alla filosofia kantiana. Per questi motivi, l’intersezione fra il neocriticismo reinterpretato da Cassirer e Goodman, il dibattito sul riduzionismo e l’emergentismo, e la filosofia della biologia appare un punto di incontro fruttuoso per il dibattito filosofico.

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  1. Zhok 2017, pp. 9-11. ↩︎

  2. Krickel 2017; Mossio et al. 2013. ↩︎

  3. Paolini Paoletti e Orilia 2017, pp. 1-7. ↩︎

  4. Nagel 1935, pp. 46-47. ↩︎

  5. Kim 2005. ↩︎

  6. Kim 2005. ↩︎

  7. Zhok 2011, p. 73. ↩︎

  8. Menzies 1988, p. 552. ↩︎

  9. Craver 2017, p. 128. ↩︎

  10. Bechtel 2007 ↩︎

  11. Bechtel 2007, p. 188. ↩︎

  12. Craver e Bechtel 2007, p. 547. ↩︎

  13. Craver e Bechtel 2007, p. 551. ↩︎

  14. Craver e Bechtel 2007, pp. 556-557. ↩︎

  15. Craver e Bechtel 2007, pp. 556-557. ↩︎

  16. Kant 1781. ↩︎

  17. Cassirer 1923, p. 7. ↩︎

  18. Goodman 1978, pp. 1-2. ↩︎

  19. De Donato-Rodriguez 2009, p. 216. ↩︎

  20. Dawkins 1976. ↩︎

  21. Laland et al. 2014; Müller 2017. ↩︎

  22. Emmeche et al. 2001. ↩︎

  23. Noble 2012. ↩︎

  24. Noble 2012, p. 57. ↩︎

  25. Noble 2012, pp. 57-58. ↩︎

  26. Green 2018, p. 1002. ↩︎

  27. Green 2018, p. 1002. ↩︎

  28. Zhok 2017, pp. 27-28. ↩︎

  29. Kant 1781. ↩︎

  30. Cassirer 1929. ↩︎

  31. Emmeche et al. 2001, p. 19. ↩︎

  32. Craver e Bechtel 2007, p. 556. ↩︎