Interazione e Genesi dell’esperienza. Un contributo fenomenologico all’Intelligenza artificiale incorporata

1. Introduzione

L’Intelligenza Artificiale Incorporata (IAI) è oggi un campo di ricerca in pieno sviluppo. La sua origine risale agli ultimi decenni del XX sec., alla forte reazione critica nei confronti dell’IA classica promossa da filosofi e scienziati cognitivi come Dreyfus, Searle e Harnad.1 Volendo semplificare, la differenza fra IAI e IA classica può essere ricondotta a due diversi obiettivi di ricerca. Infatti, se la seconda mira a simulare in un mondo virtuale competenze cognitive naturali di alto livello tipicamente ascritte alla mente umana, la prima si concentra invece sulla costruzione effettiva nel mondo reale di agenti artificiali in grado di eseguire comportamenti intelligenti.2 Alla base di questi due diversi obiettivi di ricerca c’è una diversa interpretazione scientifica dell’intelligenza. L’IA classica identifica l’intelligenza con la capacità di acquisire conoscenza – per cui centrale è il possesso di competenze cognitive di alto livello quali rappresentazione, astrazione e formalizzazione. Rifiutando la suddetta identificazione, i sostenitori dell’IAI promuovono invece una concezione dell’intelligenza quale semplice costruzione di significato emergente da strutture comportamentali, vale a dire da complessi di integrazioni sensomotorie.3 In generale, ciò che contraddistingue l’IAI dal suo antecedente classico è il richiamo all’incorporamento, interpretato tecnicamente come possesso di un corpo robotico.4 Steels, per esempio, sottolinea come i sistemi di IA «non includono un corpo fisico, senziente o agente. Se robots intelligenti sono stati presi in considerazione, sensorialità e azione sono state delegate a sottosistemi che, si assume, inviano descrizioni simboliche a moduli centrali di programmazione e decisione».5 Al contrario, sistemi standard di IAI hanno architetture basate-su-comportamento (behaviour-based architectures), vale a dire circuiti combinatoriali dove i sotto-moduli coincidono con interazioni di mondo reale esplicitamente generate da sensori/attuatori. Tali architetture sono implementate in robots cosiddetti reattivi, in grado cioè di eseguire comportamento intelligente – almeno questa è la speranza dei loro costruttori umani.6

Tuttavia, questa versione standard dell’IAI è stata criticata per iterare assunti di base dell’IA. In particolare, stando ai principali rilievi critici mossi, essa continuerebbe a promuovere una concezione meccanicista del corpo che implicherebbe un radicale internalismo per quanto riguarda la comprensione dei significati, quindi dell’aspetto propriamente semantico dell’intelligenza (naturale e artificiale).7 Nuove versioni dell’IAI, come l’IAI enattiva, sono state quindi elaborate per superare quest’impasse. Esse promuovono oggi un’interpretazione dell’incorporamento in cui è la duplicazione o sintesi della biologia del corpo vivente a giocare un ruolo decisivo, anche e soprattutto per la questione semantica.8 Lo sforzo ingegneristico non è qui più incentrato sulla realizzazione di architetture basate-su-comportamento, focalizzandosi altresì sul design di architetture capaci di duplicare su supporto non-organico o artificiale le strutture biologiche di auto-conservazione del corpo vivente (omeostasi e allostasi). Secondo tali versioni emergenti i significati associati ai sistemi di IAI non presuppongono un qualche analogo artificiale dello “spazio interno” mentale. La prospettiva abbracciata è infatti quella di un esternalismo radicale che si intende come opposto all’internalismo radicale criticato nella versione standard dell’IAI. Le principali teorie scientifiche di riferimento sono la teoria dell’autopoiesi di Maturana e Varela, la teoria dell’autonomia di Christensen e Hooker, nonché le cosiddette teorie somatiche dell’intelligenza emozionale promosse da autori quali Damasio, Panksepp e Prinze.9 Articoli di rassegna hanno evidenziato come la coesistenza fra approcci tradizionali ed emergenti all’IAI abbia generato difficoltà per quanto riguarda la caratterizzazione dell’IAI come campo di ricerca. Per esempio, stando a Ziemke, l’identità dell’IAI (come campo di ricerca) è ancora oggi tracciata in termini negativi partendo da «quello a cui ci si oppone, cioè l’IA tradizionale».10 Un passo decisivo per il futuro dell’IAI coinciderebbe allora con l’elaborazione di frameworks teorici e concettuali meta-disciplinari, nei quali la coesistenza fra i suddetti approcci risulti formulabile quale interscambio fra componenti di un medesimo campo di ricerca, le componenti anzitutto scientifica ed ingegneristica.11

In questo contesto, Froese e Taguchi hanno recentemente osservato come, nonostante il progredire della ricerca scientifica, l’incorporamento naturale continui ad essere un fenomeno sotto-determinato.12 Ad avviso dei due ricercatori, l’assenza di principi e leggi oggettive e testabili esclude la possibilità di ingegnerizzare agenti incorporati capaci di duplicare le strutture corporee auto-conservative dell’organismo, quindi l’intelligenza naturale e la sua semantica, stando almeno alle più recenti versioni dell’IAI. Una nuova agenda sembra dunque rendersi necessaria. Froese e Taguchi propongono uno shift di prospettiva, la transizione cioè da una prospettiva duplicativa ad una prospettiva interazionale per quanto riguarda, specificamente, la questione dei significati associati all’IAI: «ricercatori interessati ad usare l’approccio sintetico per generare progressi tecnologici basati sul significato beneficerebbero dallo spostare la loro attenzione dal duplicare la comprensione umana nei sistemi artificiali al potenziare direttamente gli esseri umani, estendendo le loro già esistenti capacità soggettive per il tramite del disegno di migliori interfacce».13 Come si avrà modo di vedere in quanto segue, lungo la linea tracciata dai due autori proposte interessanti possono venire dalla recente produzione nell’ambito della cosiddetta Nuova Interazione Uomo-Macchina (Nuova IUM).14

Nel presente articolo il mio obiettivo è esaminare la summenzionata questione semantica in rapporto ad una classe emergente di IAI basata sulla cosiddetta Computazione Morfologica (CM). La CM promuove l’idea di un processamento corporeo dell’informazione. A tale fine, essa interpreta funzionalmente la morfologia corporea, sia essa naturale oppure artificiale.15 La scelta effettuata risponde ad un razionale: la CM attesta infatti un effettivo progresso nella comprensione scientifica dell’incorporamento e, con ciò stesso, mette alla prova l’approccio interazionale all’IAI promosso da Froese e Taguchi – che, come si è appena visto, muove dalla considerazione della sotto-determinazione teorica del fenomeno. In questo contributo tenterò di dimostrare come CM ed interazione non sono incompatibili né ad un livello teorico e concettuale, né ad un livello tecnologico. Su tali basi, delineerò quindi le strutture fenomenologiche di genesi dell’incorporamento vissuto, suggerendone un’applicazione per studiare la costituzione dei significati in un caso esemplare di IAI basata sulla CM che vanta un potenziale rivoluzionario per quanto concerne la traslazione clinica.

Al riguardo è opportuno chiarire un punto: la presenza dell’essere umano nel cosiddetto loop tecnologico dell’IA è garantita dall’IUM come approccio di ricerca e di design. Tale presenza garantisce l’applicabilità dei metodi della fenomenologia, quindi di un approccio analitico in prima persona, allo studio della cosiddetta Esperienza dell’Utente (EU).16 Il mio tentativo non intende certo mettere in forse l’autonomia disciplinare della fenomenologia e, a maggior ragione, dubitare della peculiarità della sua posizione teoretica, su cui avrò modo invece di soffermarmi. Al contrario, esso è volto a mostrare come un particolare metodo fenomenologico, il metodo genetico, possa essere applicato con successo per avanzare il dibattito corrente sui significati nell’IAI. Per aggirare ostacoli quali l’argomento kuhniano discusso da Wheeler,17 farò mia la prospettiva interdisciplinare efficacemente difesa da Froese e Taguchi, i quali prefigurano uno scenario in cui l’IAI fruisce di contributi provenienti non solo da scienza ed ingegneria, ma anche dalla filosofia, in particolare dalla filosofia fenomenologica.18 É in quest’ottica che intendo proporre qui un approccio alternativo a quello dell’IA enattiva heideggeriana che, benché molto diffuso, è stato recentemente criticato per incorrere in alcuni errori categoriali relativi al concetto di agente.19 Per il momento è tuttavia opportuno fare un passo indietro e presentare la struttura dell’articolo.

Nel § 2 del presente articolo tratterò del background tecnico della mia proposta. Nel § 3 introdurrò la componente genetica o esplicativa del metodo fenomenologico come uno strumento utile per affrontare il problema dei significati nell’IAI. Con ciò stesso intendo sviluppare la proposta di Froese e Taguchi grazie al supporto della più recente produzione nel campo della Nuova IUM. Posizionerò quindi la fenomenologia genetica all’interno del framework teorico-concettuale tracciato dai due ricercatori. Infine, nel § 4 delineerò le strutture invarianti che regolano la genesi dell’esperienza del corpo-in-quanto-vissuto, suggerendone un’applicazione per studiare l’incorporamento visivo in pazienti con quadri clinici severi caratterizzati dalla perdita della funzionalità corneale i quali, in un futuro non troppo lontano, saranno curati con impianti di protesi corneale sintetica che sfruttano un’avanzata tecnica di IAI. Concluderò l’articolo con una breve rassegna delle principali questioni che rimangono aperte.

2. Background tecnico

2.1 Nozioni di base

I teorici dell’informazione distinguono fra computing e computazione: il primo termine indica l’uso o lo studio del computer digitale come strumento per immagazzinare e processare informazione, dati cioè strutturati. La seconda si riferisce a qualsivoglia attività di elaborazione dell’informazione, realizzata o meno da un computer digitale. In entrambi i casi, tuttavia, si ha a che fare con un problem-solving, un processo cioè astratto che si compie attraverso il design di dinamiche fisicamente implementate, i cosiddetti programmi, che necessitano di specifici “linguaggi” per essere eseguiti da una macchina, sia essa un computer digitale o qualsivoglia altro agente computazionale.20 La suddetta distinzione ha acquisito importanza negli ultimi decenni in concomitanza con il venire meno su diversi fronti del predominio della cosiddetta computabilità Turing, una teoria che pretende di descrivere la computazione in termini di computing, vale a dire di computazione digitale.21

In questo contesto è nata l’area di ricerca nota come Computazione Non-Convenzionale (CNC), la quale ha l’obiettivo primario di oltrepassare la computabilità convenzionale, quella di Turing, con il connesso approccio alla fisica della computazione.22 Un settore cruciale della CNC è la Computazione Naturale (CN).23 La CN abbraccia la computazione bio- e neuro-ispirata, nonché la computazione quantistica. L’idea chiave è sfruttare patterns di dinamiche naturali complesse come una risorsa computazionale intrinseca alla natura, promuovendo così la creazione di agenti computazionali non artificiali (artefatti) bensì naturali.24 La CM si distingue fra i vari paradigmi di CN per il fatto di concentrarsi sul corpo, sulla sua morfologia, e sfruttarne il potenziale computazionale. Rivela così un aspetto positivo o abilitante nel rapporto fra corpo e computazione, il quale si è dimostrato assente in altri paradigmi di CN.25 Ciò si deve, principalmente, ad un’interpretazione funzionale della morphé o forma corporea, per cui questa coincide con la funzione di organizzazione o strutturazione del corpo.26

Da un punto di vista tecnico, la CM si basa su una famiglia di reti neurali chiamate sistemi di riserva fisica. In generale, un sistema di riserva è una rete neurale ricorsiva (si veda la Figura 1(a)), la quale consente di effettuare computazioni temporali complesse, trasformazioni cioè non lineari di sequenze di input in patterns spaziotemporali, grazie ad un sistema dinamico astratto chiamato riserva. Una riserva mappa inputs in spazi di stato di dimensione superiore, in analogia a quanto fa un kernel nell’Apprendimento Automatico. I patterns spaziotemporali sono quindi “letti” da un meccanismo di readout addestrato con (una combinazione di) metodi quali la regressione e la combinazione lineari, regole di apprendimento locale e plasticità sinaptica. Se la riserva descrive la dinamica di un sistema naturale, fisico, chimico e/o biologico, è detta riserva fisica. Una riserva fisica ha tre principali proprietà.

  • Dimensionalità di ordine superiore: consente di separare inputs per compiti di classificazione e di leggere patterns spaziotemporali in compiti di tipo predittivo.
  • Non-linearità: trasforma inputs da non-linearmente a linearmente separabili in compiti di classificazione ed estrae dipendenze non lineari in compiti di tipo predittivo.
  • Memoria evanescente: assicura che lo stato di riserva dipenda solo da inputs di passato recente in compiti di rappresentazione sequenziale di dati.27

I sistemi di riserva fisica sono sistemi composti da un meccanismo di input, una riserva fisica e un meccanismo di readout (si veda la Figura 1(b)).

Figura 1. Approccio convenzionale e approccio fisico alla Computazione di Riserva (CR). (a) Nei sistemi di CR convenzionale la riserva è una rete neurale ricorsiva. (b) Nei sistemi di CR fisica la riserva descrive un sistema naturale.28

Applicazioni standard della CM sono state discusse da Müller e Hoffmann: per fare un esempio fra i vari, si pensi al tentacolo robotico sviluppato da Nakajima, Hauser e Pfeifer e modellato come una riserva dallo stesso Nakajima e collaboratori.29 Altri esempi sono i robots bio-ispirati basati su sistemi massa-molla descritti con feedback loops lineari addestrati per emulare flussi di outputs che corrispondono a patterns motori, tipicamente andature quadrupedi.30 Una nuova generazione di artefatti basati sulla CM, quindi su sistemi di riserva fisica, è oggi divenuta realtà grazie ai progressi compiuti nella modellizzazione dei meccanismi di input e di readout. Tali progressi sono stati ottenuti emulando aspetti del sistema naturale che non sono descritti dalla riserva – si noti a tale proposito che il sistema naturale ha funzionalità primarie distinte da quelle computazionali. Questo genere emergente di meccanismi ispirati dalla natura è connotabile come basato-su-supporto (support-based).31 Questa connotazione mette in rilievo l’aspetto di contrasto rispetto ai meccanismi tradizionali modellizzati in astratto. In questo articolo discuterò il caso delle riserve cellulari con meccanismi di input e di readout basati-su-supporto.

2.2 Computazione Morfologica e Interazione Uomo-Macchina: due mondi paralleli?

La tesi della sotto-determinazione avanzata da Froese e Taguchi appare fortemente indebolita dai recenti progressi della CM. Questi progressi attestano infatti un sostanziale avanzamento nella modellizzazione di agenti computazionali naturali incorporati, con risultati di rilievo conseguiti soprattutto a livello ingegneristico. Ciò nonostante, ritengo che la prospettiva interazionale promossa dai due ricercatori possa essere difesa seguendo un percorso alternativo incentrato non sul tema epistemologico bensì su quello semantico. Mi spiego: l’idea è dimostrare che la cosiddetta semantica dell’utilità, la quale presuppone la costituzione umana dei significati, specificamente da parte dell’utente, è una componente essenziale della semantica associata ai linguaggi di programmazione dell’IAI. Tuttavia, occorre osservare come esista una tesi forte contro quest’idea, la quale è stata formulata già a metà degli anni Novanta da un pioniere della CNC come Crutchfield.

Nel lungo articolo The Calculi of Emergence: Computation, Dynamics, and Induction Crutchfield afferma che la computazione intrinseca, la quale, come si è visto, contraddistingue CN e CM, «separa [divorces – NdR] la semantica dell’utilità dalla computazione» in quanto pone l’attenzione su «come gli elementi computazionali sono integrati in un processo» e non sull’utilità dell’«informazione prodotta».32 Si noti come in tale contesto l’utilità è una proprietà dell’output computazionale: il suo essere cioè interpretato-come-utile da un osservatore esterno, l’utente umano. L’utilità è usualmente considerata una componente qualitativa fondamentale dell’usabilità, quindi dell’interazione.33 Se si considera la nuova generazione di IAI basata sulla computazione intrinseca della morfologia corporea, non si può non rilevare come la tesi del divorzio mini alla base la prospettiva interazionale, per lo meno qualora questa venga difesa sul piano semantico, secondo quanto da me proposto. Tuttavia, come mi accingo a dimostrare, la posizione di Crutchfield non è inattaccabile.

In un articolo del 2006 Deborah Johnson ha chiarito come l’utilità sia essenziale alla caratterizzazione di una qualsivoglia entità o processo in natura che funzioni come uno strumento per l’essere umano – quest’ultimo andrebbe quindi connotato come un “utente”. Uno strumento è un oggetto utile. Seguendo Johnson, si deve osservare che la classe degli strumenti non coincide con quella degli artefatti, dei prodotti cioè materiali dell’attività produttiva umana. La studiosa propone l’esempio di un bastone: il bastone è chiaramente un’entità naturale, benché possa essere usato come uno strumento.34 La classe degli strumenti è dunque più estesa di quella degli artefatti. Entro un contesto discorsivo di tipo sistemico, come è quello da me sin qui adottato, questa affermazione significa che, benché il sistema sia naturale dal momento che il suo comportamento preesiste rispetto al produrre umano ed esegua una computazione intrinseca, l’utilità dell’informazione prodotta, vale a dire l’utilità dell’output computazionale, continua a giocare un ruolo decisivo per la semantica del sistema proprio in qualità di sistema computazionale.

Un altro argomento forse più incisivo contro la tesi del divorzio può essere elaborato a partire da una considerazione che concerne il rischio di trivializzare i modelli computazionali, costruendoli post-hoc. Horsman, Stepney, Wagner e Kendon presentano tale rischio in termini molto espliciti: «Un metodo comune e malaugurato per ascrivere abilità computazionale ad un sistema non-standard è il seguente. Si propone un nuovo sostrato fisico (una pietra, una bolla di sapone, un sistema di materia condensata, ecc.). Il sistema è “avviato” ed ha luogo un’evoluzione. Ad un certo punto si dichiara la fine del processo e si prendono misure. Si confrontano gli stati iniziale e finale del sistema e si selezionano poi una computazione e una rappresentazione tali che, se gli stati iniziale e finale fossero rappresentati in tale modo, allora una computazione astratta li avrebbe connessi. Si dichiara così che il sistema ha eseguito una tale computazione […] Se questi argomenti fossero realmente corretti, non dovremmo solo concludere che ogni cosa nell’universo computa, ma anche che ogni cosa computa ogni possibile computazione per tutto il tempo. Questa del pancomputazionalismo estremo è persino meno utile della versione usuale».35 Come chiariscono i ricercatori, la trivializzazione dei modelli computazionali coincide con il cosiddetto pancomputazionalismo, secondo cui ogni processo in natura può essere descritto in termini computazionali (versione usuale). Poiché i modelli computazionali sono costruiti post-hoc, ogni processo naturale diventa di principio capace di computare «ogni possibile computazione per tutto il tempo» (versione estrema). Entrambe le versioni del pancomputazionalismo, la versione cioè usuale e quella estrema, possono essere evitate distinguendo in rapporto al sistema di riferimento fra funzionalità spontanee e funzionalità computazionali. É questa distinzione che fornisce le basi per il seguente argomento contro la tesi del divorzio.

Come è stato dimostrato da Horsman e colleghi,

  1. ogni computazione, anche quella di carattere intrinseco, è tale perché usa dinamiche naturali, usualmente fisiche, per predire l’esito dell’evoluzione di una dinamica astratta.

Ora, per essere predetta

  1. l’evoluzione di un problema astratto implica l’osservatore esterno.

Se così non fosse, infatti, la computazione sarebbe trivializzata come pancomputazione, finendo per coincidere con la funzionalità spontanea del sistema che funge da supporto. L’osservatore esterno garantisce che

  1. una semantica dell’utilità è al lavoro nell’interpretare l’esito della computazione.

Quindi, abbiamo che

  1. al contrario di quanto afferma la tesi del divorzio, la semantica dell’utilità è al lavoro nell’interpretare l’esito di tutte le computazioni, anche di quelle descritte da modelli computazionali intrinseci.

Ritengo che questo argomento, insieme a quello dello strumento tratto da Johnson, sia sufficiente per minare alle base la posizione di Crutchfield e difendere così sul territorio della semantica, non su quello dell’epistemologia tentato da Froese e Taguchi, una prospettiva interazionale sui significati associati ai sistemi di IAI.

3. Metodo genetico e modello della Motivazione, Impegno e Benessere nell’Esperienza dell’Utente

È stato osservato come la fenomenologia classica sia «una forma di correlazionalismo» che punta a descrivere «ogni genere di oggetto o situazione oggettiva o stato di cose nei termini della sua correlazione con una soggettività che apprende».36 Essa coincide, infatti, con una descrizione delle strutture intenzionali della coscienza, delle correlazioni cioè soggetto-oggetto, nella misura in cui queste sono vissute, esperite soggettivamente (in prima persona) da un individuo o da un gruppo umano. La posizione teoretica della fenomenologia classica è di tipo critico: senso comune, scienza, tecnologia e altre forme culturali sono interpretate alla luce della basilare attitudine esperenziale che le contraddistingue. Le evidenze formali ed empiriche della scienza contemporanea sono quindi considerate come solo una parte di un sistema di conoscenza ben più vasto, il quale viene analizzato, descritto, come prodotto dell’esperienza umana. Recentemente questo programma critico di chiara impronta antinaturalistica è stato riletto alla luce del suo impegno metodologico. Come tale, si è dimostrato essere «più profondo, più chiaro e più avanzato della maggior parte delle riprese contemporanee».37

Che Husserl si sia largamente speso nell’elaborare un metodo per la fenomenologia è un dato di fatto.38 Solo a titolo d’esempio, i cosiddetti Seefelder Blätter risalenti all’estate del 1905 mostrano come la questione metodologica sia sempre stata centrale per Husserl, sin dai primissimi anni della sua produzione fenomenologica. É noto come due siano le operazioni implicate nella metodologia della fenomenologia classica di matrice husserliana: la riduzione eidetica e l’epochè fenomenologica. La riduzione eidetica consente di ricondurre dati fenomenici alle leggi di significato che ne regolano l’essenza (Wesen, eidos), l’insieme cioè delle proprietà invarianti, la quale viene appresa come un oggetto intuitivo evidente. L’evidenza eidetica presuppone l’operazione di variazione immaginativa, con cui il fenomenologo produce infinite variazioni della particolare istanza fenomenica da cui la sua indagine ha preso le mosse.39 L’epochè fenomenologica consiste, invece, di diverse procedure di sospensione dei significati naturali (di senso comune, scientifici e, più in generale, culturali) al fine di guadagnare una conoscenza critica, riflessiva intorno agli stessi.40

La metodologia classica di matrice husserliana si basa sull’interazione di tre componenti: la componente descrittiva, la componente costitutiva e la componente esplicativa. Queste componenti sono interrelate in termini sistematici alla luce della complementarietà stabilita fra il cosiddetto metodo statico e quello genetico.41 Il metodo statico comprende descrizioni e costituzioni fenomenologiche. Eseguendo le prime il fenomenologo analizza dettagliatamente le strutture intenzionali della coscienza nei termini dei suoi elementi correlati, vale a dire l’atto-processo (noesis) e ciò che da questo è inteso (noema). Le costituzioni fenomenologiche consentono di comprendere i processi tramite cui le sintesi o unità oggettuali sono, per l’appunto, costituite, prodotte nell’esperienza come vissuto soggettivo. Fra il 1917 ed il 1921, in una fase matura della propria riflessione, Husserl inizia a distinguere una componente genetica del metodo fenomenologico, la quale consente di indagare l’esperienza vissuta a partire dalla sua genesi, dalla sua origine, seguendone lo sviluppo temporale.42 Il metodo genetico (genetische Methode) è ora presentato come distinto e complementare rispetto a quello statico (statische Methode), in precedenza identificato con il metodo fenomenologico.43 Una presentazione estesa del metodo genetico non può essere fornita in questa sede. Senza avanzare pretese di esaustività, quindi, nel prossimo paragrafo mi limiterò a richiamare gli aspetti distintivi del metodo genetico, insieme alle tre basilari interpretazioni del concetto di genesi fornite da Husserl. Queste considerazioni mi permetteranno di tracciare un percorso storico e concettuale verso una formulazione del metodo genetico in grado di affrontare la questione semantica sollevata dall’IAI, per come questa si configura nella prospettiva interazionale presentata nella precedente sezione.

3.1 Il metodo genetico ed il concetto husserliano di genesi

Il metodo genetico amplia lo spettro dell’analisi fenomenologica. Le strutture intenzionali di coscienza non sono più semplicemente descritte bensì spiegate dal fenomenologo per mezzo di relazioni se-allora (if-then) di tipo motivazionale. Come tali, esse non sono spiegazioni causali bensì pure (rein): permettono al fenomenologo di comprendere come una data esperienza vissuta si struttura, assume cioè la caratteristica configurazione intenzionale o correlazionale, con un polo soggettivo ed uno oggettivo. In questo contesto, per motivazione si intende tanto «la legalità interna della coscienza», quanto il «principio metodologico centrale della fenomenologia genetica».44 In altre parole, la motivazione, per come la si intende in fenomenologia genetica, coincide con

  • la spiegazione fenomenologica stessa del dato fenomenico;
  • la legge di significato alla base della struttura intenzionale del vissuto, in virtù della quale il dato fenomenico acquista significato attraverso la costituzione soggettiva.

Secondo Husserl, spiegare l’intenzionalità attraverso nessi motivazionali significa portare alla luce una struttura pratica basilare implicata nell’assunzione di ogni genere di posizione teorica. Questa struttura viene indicata come interesse (Interesse) e prevede una coscienza articolata in strati costitutivi, secondo un’organizzazione che prevede sintesi dominanti (Vordegrund) e sintesi di supporto (Hintergrund).45 Ciò detto, nella vasta e complessa opera husserliana si possono individuare almeno tre interpretazioni del concetto di genesi: 1) la genesi attiva; 2) la genesi al tempo stesso attiva e passiva; 3) la genesi passiva o primordiale. La distinzione fra attività e passività interessa qui il modo di attribuzione soggettiva del significato nella costituzione oggettuale.46 La genesi è attiva, vale a dire spontanea, non reattiva, quando si riferisce al potere costitutivo dell’io inteso a prescindere da condizionamenti fisico-psichici. La genesi è passiva o primordiale, vale a dire reattiva, non spontanea, quando si riferisce al potere costitutivo dell’io corporeo soggetto a condizionamenti fisico-psichici. In questo caso coscienze soggettive minimali sono presenti: specificamente, l’associazione o coscienza temporale e la cinestesia o coscienza motoria.47 Husserl ha difeso una concezione dinamica della genesi del vissuto. A suo avviso, essa può verificarsi anche fra attività e passività, quindi come genesi al tempo stesso attiva e passiva. Come è stato dimostrato, questa concezione origina da una dettagliata fenomenologia dell’io come persona che include vissuti attivi e passivi interconnessi da puri nessi motivazionali all’interno di una storia individuale dotata di significato.48

3.2 Il metodo genetico in contesto

In questo paragrafo intendo collocare il metodo genetico della fenomenologia classica di matrice husserliana nel contesto della Nuova IUM. Il mio obiettivo è potenziare la prospettiva interazionale sui significati nell’IAI introdotta da Froese e Taguchi in virtù di un metodo fenomenologico che risulti adeguato a tale peculiare fine, facendo al contempo riferimento ad un modello avanzato di EU. Prenderò quindi le mosse dal modello di EU denominato Motivazione, Impegno e Benessere nell’Esperienza dell’Utente (MIBEU), modello che è stato recentemente sviluppato da Peters, Calvo e Ryan.49 Rispetto ad altre proposte,50 il modello MIBEU può vantare due caratteristiche di particolare interesse per il presente contributo.

  1. Il modello MIBEU è fondato su una teoria psicologica della motivazione umana empiricamente validata, la cosiddetta Teoria dell’Autodeterminazione, la quale mette al centro dell’interesse dell’EU la persona umana.51 Questa teoria è sufficientemente generale da consentire una comprensione della motivazione dell’utente implementabile tramite strategie di design, a prescindere dalla specificità del contesto d’uso della tecnologia. É considerata infatti una macro-teoria che abbraccia, fra le varie, anche quella che vedremo essere la micro-teoria dei Bisogni Psicologici Basilari.52
  2. Il modello MIBEU promuove una prospettiva non riduzionista sull’EU, facendo riferimento sia all’esperienza dell’utente sia a quella del non-utente. In questa direzione, l’aspetto chiave del modello è l’individuazione di “sfere di esperienza” che vanno dalla sfera dell’adozione del computer (esperienza dell’utente) a quella della società (esperienza dell’utente ed esperienza del non-utente).53

Partendo dalla prima caratteristica, la teoria dell’auto-determinazione vede nella motivazione (motivation) un fenomeno psicologico fondamentale strettamente connesso alla soddisfazione dei bisogni psicologici basilari della persona umana. Tali bisogni sono autonomia (autonomy), competenza (competence) e relazione (relatedeness). Essi vengono interpretati all’interno del modello come bisogni innati, vale a dire non appresi, e come bisogni invarianti che non mutano nel corso delle generazioni oppure fra culture e generi. Vansteenkiste, Ryan e Soenens definiscono tali bisogni come «nutrienti psicologici» dimostratisi «essenziali per il benessere individuale, mentre la loro frustrazione incrementa il rischio di passività, malessere e diffidenza».54 Essendo fondato sulla Teoria dell’Autodeterminazione, il modello MIBEU vede nello stimolo e/o nell’incremento della motivazione della persona il principale obiettivo dell’EU, insieme a (lo stimolo e/o l’incremento di) altri due fattori, vale a dire l’impegno (engagement) e la prosperità (thriving) personali.55 Il ruolo centrale della motivazione nel modello MIBEU è il primo punto da sottolineare in vista della contestualizzazione nell’ambito della Nuova IUM del metodo genetico. Come si è visto, infatti, quest’ultimo attribuisce alla motivazione la stessa centralità situandola, proprio come fa il modello MIBEU, nell’ambito più vasto del vissuto della persona umana.

Tuttavia, si presentano qui due criticità. La prima concerne il diverso status teorico e la diversa caratterizzazione della motivazione fenomenologica e di quella psicologica adottata nel modello MIBEU. Come combinarle? Anzitutto, è una tale combinazione possibile? Se sì, su quale piano argomentativo? Forse un piano critico-fondazionale? Ma allora, come inscrive tale piano critico-fondazionale all’interno del framework interdisciplinare promosso da Froese e Taguchi a cui il presente contributo fa riferimento? La seconda criticità ha natura epistemologica: il modello MIBEU, il quale vanta una fondazione empirica per il tramite della teoria dell’Autodeterminazione, prevede una fase di verifica dei risultati basata sul criterio della misura qualitativa, un criterio chiaramente diverso da quello dall’evidenza proprio della fenomenologia classica. Mi sia concesso per il momento di lasciare da parte quest’ultima criticità, riguardo alla quale proporrò una breve riflessione nella parte conclusiva di questo articolo. Focalizziamoci dunque sul primo gruppo di questioni. A questo proposito, mi sembra utile riprendere la seconda caratteristica del modello MIBEU.

Secondo Peters, Calvo e Ryan, cinque sfere di esperienza dell’utente sono implicate direttamente nell’IUM in quanto «influenzate dal design della tecnologia» (si veda la Figura 2):

  • La sfera dell’adozione della macchina.
  • La sfera dell’interazione con la(e) sua(e) interfaccia(e).
  • La sfera dell’impegno in compiti specifici della macchina.
  • La sfera del comportamento supportato dalla macchina.
  • La sfera della vita individuale.

Una sesta sfera abbraccia sia gli effetti diretti e collaterali dell’uso della macchina, sia l’esperienza del non-utente:

  • La sfera della società.

Questa teoria delle sfere di esperienza influenza il modo in cui viene formulata la relazione fra motivazione e bisogni psicologici basilari della persona all’interno del modello MIBEU. Ciò significa che l’articolazione della suddetta relazione cambia a seconda della sfera presa in considerazione.56 In altri termini, la soddisfazione dei bisogni psicologici basilari che motiva l’utente all’uso (o alla prosecuzione dell’uso) della macchina assume una configurazione specifica in ciascuna sfera di esperienza dell’utente, variando nel passaggio fra una sfera e l’altra.

Figura 2. Motivazione, impegno e benessere all’interno delle sfere di esperienza distinte da Peters, Calvo e Ryan. La sfera dell’adozione della macchina e quella della società non sono rappresentate nel diagramma a causa del “ruolo periferico” giocato rispetto all’uso effettivo della macchina.57

Ora, se è vero che la relazione fra motivazione e soddisfazione intesa quale meccanismo psicologico che risponde ad una logica causale è estranea al complesso teorico-concettuale della fenomenologia genetica husserliana, è altrettanto vero che quest’ultima consente di esaminare in dettaglio la costellazione di significati a quella associati. Facciamo un esempio e consideriamo brevemente il significato della soddisfazione dei bisogni psicologici basilari in termini genetici. Emergono allora strutture esperenziali passive e attive in cui l’io dell’utente rivela la propria polimorfia – come io corporeo oppure puramente psichico, ovvero come io psico-corporeo e/o personale – e un potere costitutivo condizionato in senso intersoggettivo – essendo esperienza della macchina e di un ambiente circostante mediato dall’uso della macchina, il vissuto dell’utente è co-strutturato dalle costituzioni dei designers condizionate a loro volta in senso intersoggettivo (si pensi solo alle possibilità offerte in questa direzione da interviste o questionari sulla soddisfazione dei clienti). L’unità o sintesi oggettuale è caratterizzata da un’ampia gamma di strati costitutivi che si compenetrano a vicenda: fra i vari, lo strato delle sintesi affettive, lo strato delle sintesi cognitivo-volitive e quello delle sintesi normative. Un altro esempio può riguardare il modo in cui la complessità strutturale del vissuto dell’utente risulta trattabile in fenomenologia genetica. Affrontata nei termini della compenetrazione degli stratti di sintesi oggettuale e della molteplicità dei correlati atti costitutivi, tale complessità contribuisce ad evitare il rischio di enfatizzare i confini fra le sei sfere di esperienza dell’utente. Come ci ricordano Peters, Calvo e Ryan, infatti, questi confini sono «meramente concettuali» dal momento che «esempi di sovrapposizione ed interrelazione esistono».58 La fenomenologia genetica permette di disambiguare espressioni come soddisfazione, bisogni psicologici basilari, sovrapposizione ed interrelazione, riconducendo i rispettivi contenuti semantici alla legge di significato – la motivazione in senso fenomenologico – che struttura il vissuto dell’utente come esperienza intenzionale.

4. Verso una fenomenologia genetica dell’incorporamento visivo mediato da cornee sintetiche

4.1 Un caso di studio: cornee sintetiche prodotte con bio-stampa 3D usando una tecnica avanzata di Computazione Morfologica

Nel 2018 il gruppo di ricerca diretto da Connon all’Istituto di Medicina Genetica della Newcastle University è per la prima volta riuscito a produrre cornee umane sintetiche perfettamente funzionali sfruttando un’avanzata tecnica di bio-stampa 3D.59 Il passo in avanti compiuto riguarda la fabbricazione di strutture corneali che possano fungere da vere e proprie protesi lì dove si sia in presenza di quadri clinici severi contraddistinti dalla perdita della funzionalità dell’organo naturale. Come noto, la cornea è la parte anteriore protettiva dell’occhio responsabile della trasmissione e della rifrazione di raggi di luce incidente messi a fuoco sulla retina grazie al cristallino, la lente naturale dell’occhio. Nelle speranze dei ricercatori, in una prospettiva a breve-medio termine, le protesi corneali sintetiche potrebbero essere in grado di garantire un’alternativa praticabile al trapianto di cornea, sanando così il gap esistente fra disponibilità e domanda dell’organo trapiantabile.60 A questo scopo, come rilevato dal gruppo di ricerca di Connon, «la capacità di ricapitolare la curvatura simmetrica rotazionale necessaria per il potere ottico rifrattivo è […] fondamentale».61 Proprio per riprodurre la geometria funzionale dell’organo naturale i ricercatori hanno adottato una tecnica avanzata di IAI basata sulla CM non-standard.

Il gruppo di ricerca ha innanzitutto costruito un modello di cornea umana adulta usando una Scheimpflug camera rotante dotata di un cheratoscopio (disco di Placido). I dati topografici sono stati «acquisiti in situ in occasione di interventi di chirurgia post-refrattiva».62 Il modello ottenuto è stato poi discretizzato usando il Metodo ad Elementi Finiti.63 Tale modello è servito ai ricercatori come base per riprodurre tramite stampa 3D la microarchitettura dell’organo naturale, utilizzando un bio-inchiostro composto dalla combinazione di cellule dello stroma corneale di un donatore sano con collagene e alginate. Così facendo i ricercatori hanno inteso «combinare la resistenza tensile del collagene con le proprietà biomeccaniche dell’alginate per la formazione di strutture corneali stampabili».64 Dopo la stampa 3D delle microstrutture corneali «con il 3% di alginate colorato con blue Trypan per incrementarne la visibilità» è stato creato un tessuto corneale altamente organizzato e funzionale, sfruttando solo la forma curvata del sostegno plastico dell’oggetto bio-stampato – senza sfruttare cioè segnali topografici aggiuntivi. Ciò è stato possibile ricoprendo il sostegno plastico con un sottile film adesivo di Anfifili Peptidici (AP), molecole in grado di auto-assemblarsi in nanostrutture sopra-molecolari. L’ambiente fisico-chimico variabile nel tempo che si è andato così creando ha indotto i cheratociti cellulari, fibroblasti specializzati residenti nello stroma della cornea, ad aderire al sostegno, migrare verso il suo centro, proliferare, allinearsi e, infine, depositare autonomamente la matrice extra-cellulare, vale a dire le fibrille di collagene e alginate, secondo un’organizzazione auto-assemblata uniforme equivalente alla struttura a lattice del tessuto naturale (si veda la Figura 3).

Figura 3. Rappresentazione schematica dell’adesione, migrazione e allineamento dei cheratociti corneali sul sostegno plastico.65

Quella che ho appena descritto è una strategia di generazione di patterns priva di direzione esterna, il cosiddetto auto-assemblaggio, in cui la morfologia del corpo cellulare è usata per eseguire le computazioni intrinseche necessarie per calcolare le complesse azioni di controllo che i cheratociti corneali eseguono, in particolare nel depositare in modo autonomo la matrice extra-cellulare. Modellati come riserve fisiche, i cheratociti corneali implementano nella propria morfologia corporea programmi motori. I meccanismi di input e di readout sono basati-su-supporto, nel senso che descrivono gli scambi fisico-chimici varianti nel tempo che i cheratociti corneali intrattengono con il rivestimento di AP del sostegno plastico. Le riserve cellulari insieme ai meccanismi di input e di readout sono usate qui come computers morfologici. Specificamente, la loro funzione computazionale è quella di predire classificazioni semplici e viene svolta lì dove un cheratocita corneale separa inputs fisico-chimici, le fibrille cioè di collagene e di alginate, dagli altri cheratociti corneali. Le fibrille aggregate possono poi svolgere una nuova funzione computazionale formando un classificatore relativamente più complesso: lo stroma corneale sintetico. Si noti come i ricercatori svolgano un ruolo attivo nel processo di auto-assemblaggio dello stroma corneale sintetico, benché questo sia limitato a predisporre le condizioni fisico-chimiche dell’ambiente cellulare e, soprattutto, a fissare l’obiettivo principale dei computers morfologici. Ciò dato, mi sembra che l’utilità possa dirsi ancora un aspetto chiave della funzionalità computazionale dei suddetti computers, la quale consiste, come si è appena visto, nel predire l’evoluzione astratta dei classificatori attraverso la dinamica adattativa della morfologia cellulare.

4.2 Genesi dell’incorporamento visivo come esperienza vissuta

Come è stato rilevato, «la tradizione fenomenologica ha affrontato fin dall’inizio il tema dell’incorporamento. Infatti, Husserl ha descritto la cinestesia della visione persino prima dell’uscita delle Ricerche logiche».66 Rispetto alle descrizioni pre-fenomenologiche risalenti alla prima metà degli anni Novanta del XIX sec., le descrizioni fenomenologiche successive elaborate da Husserl fra il primo ed il secondo decennio del XX sec. sono contraddistinte da un livello di approfondimento analitico del tutto nuovo, focalizzato sulla genesi della cinestesia della visione a partire da una coscienza passiva minimale: l’associazione quale coscienza temporale. In questo paragrafo il mio obiettivo è delineare, nelle sue linee essenziali, una fenomenologia genetica dell’incorporamento visivo, integrando a tale scopo l’analisi husserliana con quella meno nota, ma sotto un ben preciso aspetto che si andrà chiarendo più fondamentale, condotta fra il 1907 ed il 1916 dal fenomenologo tedesco Max Scheler.67

L’associazione è per Husserl presente in ogni esperienza vissuta. Funziona infatti connettendo dati secondo la legalità pura della motivazione. Come tale, «essa non caratterizza, come fa invece per gli psicologi, una forma di causalità obbiettiva, psico-fisica».68 Husserl ha descritto l’associazione da un punto di vista sia formale, sia materiale. La temporalità è la forma della connessione associativa. Essa coincide con la relazione di ordinamento o successione (antecedente-posteriore) che struttura le stesse forme oggettuali, dal livello morfologico più concreto sino a quello categoriale più astratto.69 I dati soggetti all’ordine temporale sono la “materia” dell’associazione. Husserl ha svolto un’analisi approfondita delle loro caratteristiche volta ad evidenziare le strutture invarianti della loro associazione, le quali sono descritte (quasi sempre) in coppia secondo una logica di opposizione: la fusione si oppone al contrasto, la similarità alla dissimilarità, l’omogeneità all’eterogeneità, mentre la gradazione risulta priva di opposto.70 Husserl scopre così un nuovo tipo di ordine fra dati materialmente “pieni”, vale a dire la spazialità intesa come coesistenza di proprietà ed oggetti prominenti.71 La spazialità si basa così sul fenomeno della prominenza originato dal contrasto fra proprietà materiali del dato. È il contrasto che origina a sua volta le forme dei campi sensoriali, le quali sono descritte da Husserl come aree di loci ordinati riempiti da quella materialità che egli chiama «hyle», la quale consiste tanto di sensazioni quanto di sentimenti sensoriali.72 La cinestesia intesa come coscienza motoria è, per l’appunto, la coscienza del dato prominente: seleziona dall’associazione temporale dati hyletici in funzione della loro rilevanza per la motricità, considerata da Husserl una caratteristica chiave del soggetto esperiente. Quale legge basilare della costituzione di significato, la motivazione regola l’identificazione dell’oggetto senso-percettivo. Quest’ultimo è in-formato dagli ordini della successione e della coesistenza, nonché dalle forme dei campi sensoriali riempite dalle impressioni prominenti della coscienza cinestesica.

Ora, secondo Husserl, la prominenza percettiva ha una direzione ambientale ed una direzione corporea, le quali sono strettamente interconnesse. «Necessariamente legata alla percezione tattile del tavolo (questa apprensione percettiva) si dà una percezione del corpo, insieme ad una concomitante sensazione tattile».73 La sensazione tattile rivolta allo stesso corpo senziente è alla base dell’incorporamento come esperienza vissuta, ricondotto da Husserl alla localizzazione «sul o nel» corpo dei dati hyletici.74 Diversamente dal dito che tocca, l’occhio, per esempio, non localizza i dati visivi. Naturalmente, un campo di localizzazione è presente. Tuttavia, lo è solo indirettamente per il tramite di cinestesia e tatto. «Anche l’occhio è un campo di localizzazione, ma solo per la sensazione tattile e, come ogni organo 'liberamente mosso' dal soggetto, è un campo di sensazioni muscolari localizzate».75 Stando a Husserl, al di là di questa genesi solipsistica dell’incorporamento c’è un altro livello di esperienza corporea, quello intersoggettivo. Il soggetto incorporato partecipa infatti di un’intersoggettività corporea preriflessiva che nasce da un accoppiamento (Paarung) fra il corpo proprio e i corpi vissuti da altri soggetti incorporati che ne condividono lo stesso ambiente circostante.76

Come anticipato, nell’arco temporale che va dalla prima conferenza sulla fenomenologia dello spazio tenuta a Monaco presso lo Akademischer Verein für Psychologie (1907) sino alla pubblicazione in edizione unitaria – comprensiva della prima e della seconda parte – del Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori (1916), Scheler ha elaborato una dettagliata fenomenologia della coscienza minimale e dell’incorporamento umano. Uno degli aspetti più interessanti di questa ricerca è quello metodico. È stato dimostrato infatti come il metodo usato da Scheler coincide nella sostanza con quello genetico sviluppato da Husserl solo alcuni anni dopo.77 In prospettiva genetica, la tesi scheleriana di maggior rilievo è quella che afferma la non originarietà dell’associazione come coscienza temporale. Quest’ultima si fonda infatti su una coscienza estesa del sistema accoppiato corpo-ambiente indicata da Scheler come dissociazione (Dissoziation).78 Quello che è dissociato qui è il rapporto d’inclusione dei vissuti nell’io pensato come io totale privo di incorporamento.

La variazione (Variation) è la forma di questa originaria coscienza dissociativa. Secondo Scheler la variazione appartiene alle categorie della logica pura, dal momento che in-forma ogni genere di cambiamento, sia esso movimento o trasformazione di stato.79 Essa viene definita come la possibilità di sostituire un oggetto con un altro oggetto in riferimento alla stessa identità, quella dell’idea o essenza. La variazione contiene il momento dell’essere-altro, l’idea dell’alterità (Idee der Andersheit), insieme ad un atto del divenire-altro (anderswerden) in cui, precisa Scheler, «non c’è traccia del tempo».80 La regolarità della coscienza temporale è solo un genere della variazione, che non presuppone neppure il concetto di funzione il quale, infatti, è solo un determinato genere di dipendenza stabilita fra una molteplicità di divenienti-altro.81 Quale forma della coscienza dissociativa la variazione è descritta dall’autore come «costitutiva per l’essenza del processo vitale», che consiste infatti «nel processo nelle variazioni dinamiche che condizionano sia le modificazioni dell’organismo, sia quelle dell’ambiente».82 La selezione dei dati che entrano nella regolarità della coscienza dissociativa è da Scheler ricondotta alla struttura delle tendenze corporee, vissuti su cui egli fonda motricità, istintività e pulsionalità intese come caratteristiche-chiave del soggetto esperiente.83 Su tali basi, evidenziando il movimento interiorizzante (dall’esterno all’interno) che contraddistingue moto e pulsione come fenomeni affettivi rispetto all’istinto e al suo movimento esteriorizzante (dall’interno all’esterno), Scheler, a differenza di Husserl, considera la prominenza percettiva indifferente alla localizzazione corporea, quindi alla distinzione fra corpo e ambiente. Nel caso delle impressioni generate dalla resistenza (Wiederstand) del reale nei confronti del condotto umano comportamentale o agenziale, la localizzazione del dato hyletico è stimata addirittura patologica se riferita prima facie al corpo proprio e non all’ambiente circostante.84

Secondo Scheler, tuttavia, l’incorporamento è un dato originario e, come tale, non si “apprende” né per via empirica, né per via inferenziale – un’evidenza fenomenologica che nel Formalismo Scheler dimostra compatibile con i dati empirici tratti dall’allora contemporanea letteratura sulla psicologia evolutiva dell’incorporamento. L’unità del corpo come corpo proprio è predata rispetto alla distinzione fra direzione esterna (fisica) e direzione interna (psichica) della senso-percezione. Criticando Avenarius, il “padre” dell’empiriocriticismo, Scheler afferma che «la diversità di direzione della percezione “interna” ed “esterna” non è per principio relativa a quanto è “interno” ed “esterno” al corpo-proprio nella sua fisicità (in senso spaziale) […] posta in relazione col corpo-proprio (“dato” unitariamente e, per principio, privo di differenziazioni d’orientamento dell’atto percettivo) questa diversità delinea e dà del corpo stesso due “aspetti” toto coelo diversi, dei quali tuttavia è evidente il riferimento al “medesimo” dato di fatto rappresentato dal “corpo-proprio”85». Quanto è appreso nel corso dello sviluppo psichico, chiarisce Scheler, è la capacità di correlare le impressioni come dati proprio-corporei, da un lato, e come dati ambientali, dall’altro. Per esempio, un bambino che vede il suo piede impara a correlare tale visione al corpo vissuto come proprio, distinguendolo così dalla visione dell’estremità del letto esperita come parte dell’ambiente circostante.86

4.3 Verso una fenomenologia genetica dell’incorporamento visivo artificialmente mediato

Le strutture di genesi dell’incorporamento visivo vissuto esaminate nel precedente paragrafo possono acquisire un valore del tutto nuovo se collocate all’interno del framework meta-disciplinare per l’IAI proposto da Froese e Taguchi. Si è visto come tale framework implichi un approccio interazionale alla questione semantica, il quale punta al potenziamento della soggettività dell’utente (cfr. § 1). A mio avviso, contestualizzare il metodo genetico nell’ambito della Nuova IUM per il tramite del modello MIBEU ha rappresentato un primo ma decisivo passo metodologico in questa direzione. Il passo successivo mi sembra sia quello di applicare a quella peculiare espressione della soggettività corporea le cui strutture intenzionali di direzionalità significante all’oggetto implicano una mediazione tecnologica, per esempio da parte di sistemi di IAI, le strutture genetiche evidenziate nel soggetto incorporato naturale. Il caso di studio scelto in questo articolo, vale a dire cornee sintetiche bio-stampate in 3D che sfruttano un’avanzata tecnica di CM, fornisce certamente un buon punto di partenza per la suddetta applicazione, dal momento che rappresenta un caso esemplare di IAI che serve «il disegno di migliori interfacce» − riprendendo la già citata espressione di Froese e Taguchi −, ovvero potenzia la soggettività corporea dell’utente per mezzo di sistemi “intelligenti” progettati e realizzati in vista dell’uso finale che ne farà l’essere umano. L’unica difficoltà è che, ad oggi, la traslazione clinica di questa tecnologia, quindi l’interazione con l’utente finale, non è stata ancora effettivamente raggiunta benché, come anticipato, il potenziale in questo senso sia già stato avvertito come rivoluzionario da parte della comunità scientifica.

Mantenendo fermo l’obiettivo futuro di applicare la fenomenologia genetica classica dell’incorporamento visivo al suddetto caso di studio, propongo qui una breve riflessione a proposito delle strutture genetiche esaminate nel precedente sotto-paragrafo. Quali strutture sono da privilegiare? Le strutture della coscienza associativa tematizzate da Husserl oppure quelle della coscienza dissociativa tematizzate da Scheler? La mia posizione al riguardo è a favore della prospettiva scheleriana, quindi a favore delle strutture della dissociazione. Infatti, la possibilità stessa di una mediazione artificiale dell’incorporamento visivo come esperienza vissuta mi pare esiga un’estensione dell’orizzonte della coscienza soggettiva minimale tale da comprendere il sistema accoppiato organismo-ambiente. La temporalità (intesa alla Husserl) non consente questo ampliamento. Diversamente, la variazione (intesa alla Scheler) non solo lo ammette ma, addirittura, lo esprime ad un livello formale grazie alla figura della variazione – che, infatti, stando alla proposta scheleriana, è la forma di una coscienza minimale estesa al sistema accoppiato organismo-ambiente. A mio parere, dunque, interpretata in termini husserliani, l’associazione non fornisce le strutture genetiche che possono aiutare a spiegare l’incorporamento visivo mediato dalla nuova generazione di cornee sintetiche basate sulla CM, impresa che appare invece possibile alla luce delle strutture della coscienza dissociativa scheleriana.

5. Conclusione

A conclusione del percorso affrontato in questo articolo intendo prendere brevemente in rassegna le principali questioni che restano aperte relativamente alla proposta ivi avanzata. La questione cruciale è quella introdotta nella sezione metodologica, vale a dire la possibilità di rendere compatibili il criterio della misura qualitativa proprio del modello MIBEU ed il criterio fenomenologico dell’evidenza. Suggerimenti per una risoluzione della questione possono venire da una ripresa contemporanea della fenomenologia classica che va sotto il nome di fenomenologia sperimentale, la quale si è dimostrata particolarmente attenta nell’evitare riduzionismi, in particolare di tipo neurale e di tipo psicofisico.87 Ritengo tuttavia che la proposta più interessante provenga ancora una volta dall’opera husserliana. Husserl è stato infatti un pioniere nell’indicare come affrontare la questione della compatibilità fra criteri veritativi empirici e fenomenologici.88 A suo avviso, la fenomenologia classica ammette un’epistemologia della fallibilità, nel senso che misure empiriche, per esempio misure qualitative, possono rivelare che un’evidenza fenomenologica è erronea. Come tale, essendo cioè erronea, essa non è affatto guadagnata dal fenomenologo che può, per esempio, aver eseguito scorrettamente una o più operazioni interne alle varie procedure metodiche che ho sommariamente illustrato nella sezione metodologica di questo articolo. Per Husserl, quindi, la compatibilità fra criteri veritativi empirici e fenomenologici è possibile e va concepita nel seguente modo: il dato fenomenologico non è confutabile stricto sensu a ragione del suo status eidetico, ideale, che ha valenza normativa nei confronti del dato empirico. Ciò nonostante, misure empiriche possono rivelare come fallibile l’apprensione del dato eidetico da parte del fenomenologo.

Un’altra questione aperta riguarda l’applicazione dell’analisi genetica suggerita in questo articolo. Allo stato attuale della sua elaborazione, essa non avvalora di certo l’approccio proposto, il quale necessiterebbe infatti di ben più articolate indagini sostenute da dati fenomenici aggiornati sull’esperienza dell’utente, frutto dei rapidi progressi teorici, tecnici e tecnologici conseguiti nel campo dell’IAI. Ciò detto, è da precisarsi come il presente contributo vada inteso: esso riflette un tentativo di tracciare, aprire una via in attesa della disponibilità di dati significativi sull’uso, in particolare, di cornee sintetiche bio-stampate.


  1. Per la bibliografia di base si vedano: H.L. Dreyfus, What Computers Can’t Do, MIT Press, New York (NY) 1972; J.R. Searle, Minds, Brains, and Programs, «Behavioral and Brain Sciences», 3/3, (1980), pp. 417-457; S. Harnad, The Symbol Grounding Problem, «Physica D», 42, (1990), pp. 335-346. ↩︎

  2. La nozione di comportamento ha qui un significato tecnico. Si riferisce, infatti, alla regolarità osservata nella dinamica adattativa, nelle interazioni cioè fra l’agente artificiale ed il suo ambiente, entrambi teorizzati come entità complesse. Si veda: J.J. Bryson, A. Theodorou, How Society can Maintain Human-Centric Artificial Intelligence, in M. Toivonen-Noro, E. Saari (a cura di), Human-Centered Digitalization and Services, Springer, Singapore 2019, pp. 305-323. ↩︎

  3. R. Pfeifer, J. Bongard, How the Body Shapes the Way We Think. A New View of Intelligence, MIT Press, Cambridge (MA) 2007. ↩︎

  4. T. Ziemke, The Body of Knowledge: On the Role of the Living Body in Grounding Embodied Cognition, «Biosystems», 48/1, (2016), pp. 4-11, p. 6. ↩︎

  5. L. Steels, The “Artificial Life” Route to “Artificial Intelligence”, in C.G. Langton (a cura di), Artificial life: An Overview, MIT Press, Cambridge (MA) 1995, pp. 75-110, p. 78 (trad. it. nostra). ↩︎

  6. R.A. Brooks, Intelligence Without Reason, in J.P. Mylopoulos, R. Reiter (a cura di), Proceedings of 12th International Joint Conference on Artificial Intelligence, Kauffman, San Mateo (CA) 1991, pp. 569-595. ↩︎

  7. H.L.Dreyfus, Why Heideggerian AI Failed and How Fixing It Would Require Making It More Heideggerian, «Artificial Intelligence», 171, (2007), pp. 1137-1160. ↩︎

  8. T. Froese, T. Ziemke, Enactive Artificial Intelligence: Investigating the Systemic Organization of Life and Mind, «Artificial Intelligence», 173, (2009), pp. 466-500. ↩︎

  9. Limitandomi alla bibliografia di base, segnalo i seguenti contributi: H.R. Maturana, F.J. Varela, Autopoiesis and Cognition, Reidel, Dordrecht 1980; W.D. Christensen, C.A. Hooker, Autonomy and the Emergence of Intelligence: Organised Interactive Construction, «Communication and Cognition-Artificial Intelligence», 17/3-4, (2000), pp. 133-157; T. Ziemke, The Body of Knowledge: On the Role of the Living Body in Grounding Embodied Cognition, «Biosystems», 48/1, (2016), pp. 4-11. ↩︎

  10. T. Ziemke, Embodied AI as Science: Models of Embodied Cognition, Embodied Models of Cognition, or Both? in F. Iida, R. Pfeifer, L. Steels, Y. Kuniyoshi (a cura di), Embodied Artificial Intelligence. Lecture Notes in Computer Science, Springer, Berlin-Heidelberg 2004, pp. 27-36, p. 30 (trad. it. nostra). ↩︎

  11. Ibid. ↩︎

  12. T. Froese, S. Taguchi, The Problem of Meaning in AI and Robotics: Still with Us after All These Years, «Philosophies», 4, (2019), pp. 1-14, p. 7. ↩︎

  13. Ivi, p. 10 (trad. it. nostra). ↩︎

  14. V.C. Müller, Autonomous Cognitive Systems in Real-World Environments: Less Control, More Flexibility and Better Interaction, «Cognitive Computation», 4, (2012), pp. 212-215. ↩︎

  15. V.C. Müller, M. Hoffmann, What Is Morphological Computation? «Artificial Life», 23, (2017), pp. 1-24. ↩︎

  16. Come noto, l’EU non si riferisce solo all’IUM ma designa genericamente tutti gli aspetti esperienziali, per esempio di significazione oppure affettivi e valoriali, collegati al vissuto di un individuo che interagisce con un artefatto tecnologico. ↩︎

  17. M. Wheeler, Cognition in Context: Phenomenology, Situated Robotics and the Frame Problem, «International Journal of Philosophical Studies», 16/3, (2008), pp. 323-349. ↩︎

  18. T. Froese, S. Taguchi, The Problem of Meaning in AI and Robotics, cit., p. 9. ↩︎

  19. C.H. Pérez, R. Sanz, Heideggerian AI and the Being of Robots, in: V.C. Muller (a cura di), Fundamental Issues of Artificial Intelligence, Springer, Cham 2016, pp. 497-513. ↩︎

  20. C. Horsman, S. Stepney, R. Wagner, V. Kendon, When Does a Physical System Compute? «Proceedings of the Royal Society A», 470, (2014), pp. 1-25. ↩︎

  21. J.M. Shalf, R. Leland, Computing Beyond Moore’s Law, «Computer», 48/3, (2015), pp. 14-23. ↩︎

  22. A. Adamatzky, East-west Paths to Unconventional Computing, «Progress in Biophysics and Molecular Biology», 131, (2017), pp. 469-493. ↩︎

  23. K. Rozenberg, T. Bäck, J.N. Kok (a cura di), Handbook of Natural Computing, Springer, Berlin-Heidelberg 2012, p. v (trad. it. nostra). ↩︎

  24. Più precisamente, si sfrutta la cosiddetta complessità strutturale dei sistemi naturali, vale a dire misure di organizzazione spontanea: quando espressa in termini non-analitici, la complessità strutturale è computazione intrinseca. Cfr. J.P. Crutchfield, The Calculi of Emergence: Computation, Dynamics, and Induction, «Physica D», 75, (1994), pp. 11-54. ↩︎

  25. P.R. Nowakowski, Bodily Processing: The Role of Morphological Computation, «Entropy», 19/7, (2017), 295. ↩︎

  26. G. Dodig-Crnkovic, R. von Haugwitz, Reality Construction in Cognitive Agents through Processes of Info-Computation, in G. Dodig-Crnkovic, R. Giovagnoli (a cura di), Representation and Reality in Humans, Animals and Machines, Springer, Cham 2017, pp. 211-234. ↩︎

  27. G. Tanaka, T. Yamane, J. B. Hérouxc, R. Nakane, N. Kanazawa, S. Takeda, H. Numata, D. Nakano, A. Hirose, Recent Advances in Physical Reservoir Computing: A Review, «arXiv [cs.ET]», 19 dicembre 2018. https://arxiv.org/abs/1808.04962↩︎

  28. Si veda: G. Tanaka, T. Yamane, J. B. Hérouxc, R. Nakane, N. Kanazawa, S. Takeda, H. Numata, D. Nakano, A. Hirose, Recent Advances in Physical Reservoir Computing, cit., p. 6. ↩︎

  29. V.C. Müller, M. Hoffmann, What Is Morphological Computation? cit., p. 6. ↩︎

  30. K. Nakajima, T. Li, H. Hauser, R. Pfeifer, Exploiting Short-Term Memory in Soft Body Dynamics as a Computational Resource, «Journal of the Royal Society Interface», 11, (2014), 20140437; K. Nakajima, H. Hauser, T. Li, R. Pfeifer, Information Processing via Physical Soft Body, «Scientific Reports», 5, (2015), 10487. ↩︎

  31. R. Pfeifer, F. Iida, Embodied Artificial Intelligence: Trends and Challenges, in F. Iida, R. Pfeifer, L. Steels, Y. Kuniyoshi (a cura di), Embodied Artificial Intelligence, Springer, Berlin-Heidelberg 2004, pp. 1-26. ↩︎

  32. J.P. Crutchfield, The Calculi of Emergence, cit., p. 22 (trad. it. nostra). ↩︎

  33. N. Jakob, Usability 101: Introduction to Usability, «Nielsen Norman Group», 2012. https://www.nngroup.com/articles/usability-101-introduction-to-usability/↩︎

  34. D.G. Johnson, Computer Systems: Moral Entities but not Moral Agents, «Ethics and Information Technology», 8/4, (2006), pp. 195-204, p. 196 (trad. it. nostra). ↩︎

  35. C. Horsman, S. Stepney, R. Wagner, V. Kendon, When Does a Physical System Compute? cit., p. 20. ↩︎

  36. D. Moran, What is the Phenomenological Approach? Revisiting Intentional Explication, «Phenomenology and Mind», 15, (2019), pp. 72-90. ↩︎

  37. L. Albertazzi, Naturalizing Phenomenology: A Must Have?, «Frontiers in Psychology», 9, (2018), 1933, p. 1 (trad. it. nostra). ↩︎

  38. D. Moran, Edmund Husserl: Founder of Phrnomenology, Polity, Cambridge 2005. ↩︎

  39. E. Husserl, Ricerche logiche, 2 voll., trad. it. di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 2015. ↩︎

  40. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. I, Introduzione generale alla fenomenologia pura, trad. it. di V. Costa, Einaudi, Torino 2002. ↩︎

  41. E. Husserl, Static and Genetic Phenomenological Method, in E. Husserl, Analyses Concerning Passive and Active Synthesis: Lectures on Transcendental Logic, trad. ingl. a di A.J. Steinbock, Kluwer, Dordrecht 2001, pp. 624-634. ↩︎

  42. A.J. Steinbock, Genetic Phenomenology, in G. Stanghellini, M. Broome, A. Raballo, A.V. Fernandez, P. Fusar-Poli, R. Rosfort (a cura di), The Oxford Handbook of Phenomenological Psychopathology, Oxford University Press, Oxford 2019. ↩︎

  43. E. Husserl, Static and Genetic Phenomenological Method, cit. ↩︎

  44. A. Pugliese, Motivational Analysis in Husserl’s Genetic Phenomenology, «Studia Phaenomenologica», 18, (2018), pp. 91-108, p. 91 (trad. it. nostra). ↩︎

  45. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. II, Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, trad. it. di V. Costa, Einaudi, Torino 2002. ↩︎

  46. J. Derrida, The Problem of Genesis in Husserl’s Philosophy, trad. ingl. di M. Hobson, The University of Chicago Press, Chicago-London 2001, p. 109. ↩︎

  47. V. Biceaga, The Concept of Passivity in Husserl’s Phenomenology, Springer, Dordrecht 2010. ↩︎

  48. H. Peucker, From Logic to the Person: An Introduction to Edmund Husserl’s Ethics, «The Review of Metaphysics», 62/2, (2008), pp. 307-325. ↩︎

  49. D. Peters, R.A. Calvo, M.R. Ryan, Designing for Motivation, Engagement and Wellbeing in Digital Experience, «Frontiers of Psychology», 9, (2018), 00797. ↩︎

  50. Per un’introduzione al campo di ricerca della EU si veda: M. Kurosu (a cura di), Human-Computer Interaction. Theories, Methods, and Tools, vol. 1, Springer, Cham 2014. ↩︎

  51. R.M. Ryan, E.L. Deci, Self-Determination Theory: Basic Psychological Needs in Motivation, Development, and Wellness, Guilford Press, New York (NY) 2017. ↩︎

  52. M. Vansteenkiste, M.R. Ryan, B. Soenens, Basic Psychological Need Theory: Advancements, Critical Themes, and Future Directions, «Motivation and Emotion», 44/1, (2020), pp. 1-31. ↩︎

  53. D. Peters, R.A. Calvo, M.R. Ryan, Designing for Motivation, Engagement and Wellbeing, cit., pp. 6-10. ↩︎

  54. M. Vansteenkiste, M.R. Ryan, B. Soenens, Basic Psychological Need Theory, cit., p. 1 (trad. it. nostra). ↩︎

  55. D. Peters, R.A. Calvo, M.R. Ryan, Designing for Motivation, Engagement and Wellbeing, cit., p. 6. ↩︎

  56. Ivi, p. 10. ↩︎

  57. Si veda: D. Peters, R.A. Calvo, M.R. Ryan, Designing for Motivation, Engagement and Wellbeing, cit., p. 7. ↩︎

  58. D. Peters, R.A. Calvo, M.R. Ryan, Designing for Motivation, Engagement and Wellbeing, cit., p. 7 (trad. it. nostra). ↩︎

  59. Newcastle University, First 3D-printed Human Corneas, «ScienceDaily», 29 maggio 2018. http://www.sciencedaily.com/releases/2018/05/180529223312↩︎

  60. A. Isaacson, S. Swioklo, C.J. Connon, 3D Bioprinting of a Corneal Stroma Equivalent, «Experimental Eye Research», 173, (2018), pp. 188-193, pp. 188-189. ↩︎

  61. Ivi, p. 188 (trad. it. nostra). ↩︎

  62. Ivi, p. 189 (trad. it. nostra). ↩︎

  63. Ibid↩︎

  64. Ivi, p. 191 (trad. it. nostra). ↩︎

  65. Si veda: A. Isaacson, S. Swioklo, C.J. Connon, 3D Bioprinting, cit., pp. 192. ↩︎

  66. E.A. Behnke, C. Ciocan, Introduction: Possibilities of Embodiment, «Studia Phaenomenologica», 12, (2012), p. 11 (trad. it. nostra). ↩︎

  67. M. Properzi, Corpo vissuto ed esperienza virtuale. Una prospettiva fenomenologica, «Rivista internazionale di filosofia e psicologia», 10/3, (2019), pp. 250-264. ↩︎

  68. E. Husserl, Analyses Concerning Passive and Active Synthesis, cit., p. 162 (trad. it. nostra). ↩︎

  69. Ivi, pp. 170-174. ↩︎

  70. Ivi, pp. 174-189. ↩︎

  71. Ivi, pp. 181-183. ↩︎

  72. K. Williford, Husserl’s Hyletic Data and Phenomenal Consciousness, «Phenomenology and the Cognitive Science», 12/3, (2013), pp. 501-519. Il termine «hyle» è stato introdotto da Husserl nel §85 del primo libro delle Idee per una fenomenologia pura ed una filosofia fenomenologica. Husserl individua qui due significati non adeguatamente differenziati nell’uso ordinario dell’aggettivo «sensoriale», che si riferisce infatti sia a ciò che è mediato attraverso i sensi nella percezione esterna, sia al contenuto qualitativo-sensoriale dell’oggetto percettivo. Al fine di evidenziare la differenza fra i due significati, Husserl propone per il primo significato l’adozione della parola greca «hyle». I dati hyletici sono dunque i contenuti delle funzioni sensoriali, come tali distinti dalle qualità sensoriali del percetto. Husserl ravvisa inoltre due versanti speculari nella materialità del percetto, il versante conoscitivo e il versante assiologico, alla base dei quali individua due diversi gruppi di dati hyletici: il gruppo delle sensazioni sensoriali, quali vista, udito, tatto, ecc., e il gruppo dei sentimenti sensoriali, quali dolore, piacere, fatica, ecc. ↩︎

  73. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. II, Ricerche sopra la costituzione fenomenologica, trad. it. di E. Filippini, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, p. 154. ↩︎

  74. Ivi, pp. 153-154. ↩︎

  75. Ivi, p. 156, corsivi originari. ↩︎

  76. N. Depraz, The Husserlian Theory of Intersubjectivity as Alterology: Emergent Theories and Wisdom Traditions in the Light of Genetic Phenomenology, «Journal of Consciousness Studies», 8, (2001), pp. 169-178. ↩︎

  77. M. Properzi, Materia e forma nella prima estetica fenomenologica di Max Scheler, «Rivista internazionale di filosofia e psicologia», 9/2, (2018), pp. 162-177, pp. 175-177. ↩︎

  78. Sul tema si veda il paragrafo Io e corpo-proprio (associazione o dissociazione) contenuto nel sesto capitolo del Formalismo↩︎

  79. M. Scheler, Biologievorlesung (1908/09), in Gesammelte Werke, vol. XIV, a cura di M.S. Frings, Bouvier, Bonn 1993, pp. 257-367, p. 289. ↩︎

  80. Ivi, p. 290. ↩︎

  81. Ivi, pp. 290-291. ↩︎

  82. M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, trad. it. di R. Guccinelli, Bompiani, Milano 2013, pp. 199-200. ↩︎

  83. Gli ultimi sviluppi della fenomenologia genetica husserliana si allineano a questa intuizione amplificandola – come d’altronde farà lo stesso Scheler nel corso degli anni Venti – in direzione intersoggettiva per il tramite, in particolare, del concetto di Wechseltrieb e in direzione universalistica con la teoria della Universale Teleologie. Cfr. N.I. Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, Springer, Dordrecht 1993. ↩︎

  84. M. Scheler, Il formalismo, cit., p. 283. ↩︎

  85. Ivi, p. 504, corsivi originari. ↩︎

  86. Ivi, p. 498. ↩︎

  87. L. Albertazzi (a cura di), Handbook of Experimental Phenomenology: Visual Perception of Shape, Space and Appearance, Wiley Blackwell, Chichester 2013. ↩︎

  88. E. Husserl, Zur Kritik an Theodor Elsenhans und August Messer, in Husserliana – Edmund Husserl Gesammelte Werke, vol. XXV, Aufsätze und Vorträge: (1911-1921), a cura di T. Nenon, H.R. Sepp, Nijhoff, Dordrecht 1987, pp. 226-248. ↩︎