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Vincenzo Gabriele

Giovanni Gentile e Luigi Credaro.
Per un «revisionismo» della storia pedagogica italiana

Inizio

Alla ricerca di un'«educazione nazionale»

Accanto a Giovanni Gentile, anche Luigi Credaro svolse un ruolo di primo piano nel dibattito pedagogico italiano dei primi decenni del Nocevento. La sua influenza, benché spesso non riconosciuta, si nota ancora oggi nella promozione di un ruolo autonomo per il sapere tecnico-scientifico negli ordinamenti scolastici. Benché divisi dall'orientamento filosofico (idealista Gentile, positivista Credaro), i due concordavano sulla necessità di non disgiungere riflessione filosofica e prassi pedagogica, cosicché in molti aspetti il loro itinerario venne a convergere. Un caso emblematico è costituito dal tema dell'«educazione nazionale»: benché con accentuazioni diverse, entrambi la propugnano, assumendosi del resto tutte le difficoltà di un ideale che si rifaceva a motivi risorgimentali ormai sempre più antiquati. 

Anche il richiamo alla libertà d'insegnamento accomuna i due pensatori in una simile ambiguità: la libertà a cui ci si riferisce non è quella dell'individuo, ma quella dello Stato liberale, la cui scuola deve essere caratterizzata dalla laicità. Le concessioni fatte al cattolicesimo sembrano in questo quadro solo il tentativo di porre un argine al socialismo. Un esame attento delle posizioni di Gentile e Credaro mostra quindi bene come le loro alterne vicende siano state legate alle varie fasi dello sviluppo politico e sociale che l'Italia attraversò. 

L'Autore: Vincenzo Gabriele è nato a Roma nel 1965 e si è laureato all'Università di Roma «La Sapienza» con una tesi su Giovanni Gentile, sul cui pensiero ha pubblicato diversi studi.  

Sommario

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Manifesto di una nave il cui fumo è sostituito da una serie di bandiere italiane.

Mario Sironi (1885-1961), Tricolore sull'oceano. Anche artisti valenti durante il ventennio fascista (il manifesto è del 1926) si fecero coinvolgere dai moduli retorici nazionalisti, a volte anche con risultati esteticamente apprezzabili. In questo caso l'esibizione della coscienza nazionale riusce ad integrare tanto il richiamo alla tradizione (l'Italia «di navigatori») quanto l'esaltazione della tecnica (la linea moderna della nave), un elemento questo che venne abbandonato solo quando l'alleanza con la Germania portò in primo piano il richiamo alla «terra» e alle tradizioni agricole.

La brevità della stagione di questo stile (che lo stesso Sironi abbandonò presto in favore di uno stile più drammatico e sperimentale) testimonia la difficoltà di un richiamo generico allo spirito nazionale nel momento in cui gli ideali risorgimentali si stavano esaurendo sotto la spinta di istanze sociali più forti.


1. Attualismo e positivismo a confronto

Appare legittimo e finanche doveroso, in un periodo di forte fermento innovativo come quello che sta vivendo attualmente la scuola italiana, richiamarsi ad una analisi delle componenti storico-teoretiche che hanno tracciato, durante tutto il corso del secolo ormai concluso, le linee generali del suo funzionamento e della sua stessa esistenza. Lo studio e l'interpretazione storico-pedagogica è sicuramente un buon terreno da cui partire per comprendere sia il contesto nel quale i cambiamenti attuali vengono realizzandosi, sia il retroterra culturale che li ha generati. Giacché è inutile negare che la nostra scuola è vissuta per tutto il Novecento entro due filoni principali di pensiero che l'hanno di volta in volta segnata politicamente e culturalmente: ci riferiamo in particolare all'idealismo-attualismo di Giovanni Gentile e a quella tendenza di natura laico-positivista (con alcuni se e alcuni ma, come vedremo) che nel campo scolastico ed educativo trovò un suo padre nobile nella figura di Luigi Credaro, troppo spesso «innominato»1 ma in più di qualche caso ispiratore degli esponenti di quel tipo di impostazione pedagogica che nel nostro Paese, in contrapposizione appunto a Gentile, si è fatta promotrice di una scuola in cui il fattore tecnico-scientifico avesse un suo preciso ruolo, non subordinato e minoritario rispetto alle materie umanistiche, e che fosse aperta al contatto con il mondo del lavoro e della produzione.

Scopo di questo contributo, pur nella consapevolezza della sua parzialità ed incompletezza, vuole essere quello di mettere a confronto due correnti di pensiero e due figure emblematiche della storia pedagogica e scolastica italiana del XX secolo, cercando di far risaltare, motivandola, una tesi di fondo: che la loro fortuna e il loro oblio sia stato legato in buona parte alle varie fasi dello sviluppo storico-politico e socio-economico che caratterizzò l'Italia tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento.

Abbiamo accennato a Gentile e Credaro come a due figure fondamentali della nostra pedagogia nel XX secolo e qualcuno potrebbe obiettare che non sono le sole. Ma tale affermazione si basa su alcune considerazioni che vorrebbero cercare di rafforzarne la legittimità. I due intellettuali hanno infatti delle caratteristiche che dal punto di vista della nostra storia scolastica li rendono «particolari» rispetto ad altri sia pur illustri pedagogisti:

L'analisi dei Proemi con i quali vennero presentati i primi numeri delle due riviste può aiutare ad inquadrare la tempra tutta pedagogica che accomunava il filosofo siciliano ed il pedagogista lombardo. Scritte ad un decennio di distanza una dall'altra, sia pure per una rivista dichiaratamente pedagogica e l'altra filosofica, le due presentazioni sembravano in realtà evidenziare la convinzione che «teoria filosofica» e «prassi pedagogica» non possono essere disgiunte nel comune compito di miglioramento e sviluppo dell'individuo e del suo vivere sociale.

C'è nella parole di Credaro e di Gentile una comunanza di intenti che, partendo da terreni diversi, li avvicina fino a farli convergere su un comune terreno di azione concretizzatosi in un programma di educazione e rinascita sociale e nazionale, inserito pienamente nel periodo che essi vivono o vorrebbero vivere da protagonisti. La Rivista Pedagogica è per Credaro «il terreno dove le energie consociate potranno agire pei fini esclusivi della educazione e della scuola»; essa dovrà «stimolare le energie sopite [...], dando modo a tutte le opinioni di liberamente manifestarsi [...] promuovere libere e contrastanti correnti di principi e di teorie».3 È un programma organico che dovrà combattere ogni forma di «empirismo dilettante»; è un bisogno di rinnovamento, quello stesso rinnovamento che all'indomani del primo conflitto mondiale Gentile delineerà presentando la sua Rivista come qualcosa che si propone «di guardare all'avvenire» stimolando «i giovani a nuovi studi, con un programma di lavoro determinato, [...] in un momento della vita italiana, e mondiale, in cui tutti sentono che incomincia una vita nuova e tutti dovrebbero sentire l'obbligo di preparare questa vita e parteciparvi con chiarezza e alacrità di propositi». Ma anche per il Filosofo di Castelvetrano tutto ciò dovrà avvenire tenendo presente che «filosofare non è più oggi trascendere in nessun modo la vita, anzi è vivere davvero; [...] filosofare è agire non rompendola con il passato anzi mettendo in valore il passato e ravvivandolo nel presente» cercando al contempo di evitare qualsiasi forma di «empirismo dilettante» e qualsiasi «ortodossismo», «il segno più fastidioso e pietoso dell'inintelligenza»4 .

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2. Educazione nazionale ed educazione popolare

L'accenno precedentemente fatto al collegamento che sia Gentile sia Credaro stabiliscono tra lo sviluppo della personalità ed il vivere sociale ci porta ad un secondo tema che pur essendo peculiare dei primi due decenni del Novecento sembra contrassegnare il loro percorso politico-pedagogico: pensiamo al tema dell'educazione nazionale, che si lega direttamente all'idea di Nazione, e all'evoluzione-involuzione che essa subisce durante questi anni. Il problema del bisogno di un complessivo rinnovamento etico-morale della società italiana attraverso l'educazione e la scuola era stato il leit-motiv che aveva vivacizzato il dibattito politico e culturale fin dagli inizi del secolo, ma che il dramma del primo conflitto mondiale contribuì a rendere ancora più urgente e prioritario per gli schieramenti politici, vecchi e nuovi. Tutto si lega in questo senso (ma è solo una nostra opinione) allo sviluppo dei rapporti tra questi schieramenti, e più in particolare alle relazioni politico-culturali che intercorrevano tra le forze giolittiane, idealiste, cattoliche e socialiste, nonché alla trasversalità e spesso all'ambiguità di tali relazioni.

Sul piano politico la questione riguardava in particolare l'attenzione che il raggruppamento della Sinistra liberale ed in special modo quello facente capo allo statista di Dronero aveva mostrato, nei confronti delle classi popolari e dei loro bisogni, ma che alla fin fine sembrava essere motivato più dalla paura di avanzamento delle idee socialiste caratterizzante i ceti borghesi che da un sincero impegno di trasformazione sociale. Sul piano della teoria pedagogica invece, tali premesse finivano per far emergere le ambiguità di uno schieramento che in linea di principio si richiamava, in contrapposizione al nascente attualismo, alle posizioni della pedagogia laica di stampo neo-kantiano o tardo positivista, ma che in realtà finiva spesso per ritrovarsi suo malgrado a convergere con il neo-idealismo «nel postulare la centralità del valore nazionale e/o patriottico, nel quadro del complessivo progetto, di cui si è fatto cenno, di rinnovamento spirituale del popolo italiano da perseguire per il tramite dell'educazione».5

Su questa strada vale la pena riportare una delle analisi che sono state fatte sul contesto politico-educativo che caratterizzò il periodo corrispondente grosso modo ai primi due decenni del Novecento:

In Italia il passaggio da una politica dell'istruzione a una politica dell'educazione non avvenne semplicemente. [...] Sulla scuola e sulla società italiana venne in quegli anni a porsi una precisa opzione borghese, dai contorni incerti, dai riferimenti intellettuali confusi e dallo stile morale eterogeneo, ma sempre sostenuta da una pretesa culturale e da una esigenza di universalizzare ed imporre comportamenti specifici. Parliamo di «opzione» proprio nel senso di un diritto che la borghesia italiana credeva di avere di essere preferita e preferibile nella sottoscrizione delle azioni della società e della scuola italiane. [...]. La tradizione positivista italiana fu la prima a subire in quegli anni il ricatto dell'essere stata in un certo senso la cultura egemone durante l'ascesa del socialismo e l'affermazione del trasformismo parlamentare [...]. Nella discussione sulla scuola classica e umanistica, sulla scuola formativa e sui contenuti spirituali dell'educazione che imperversò prima e dopo la guerra mondiale, la borghesia italiana cercava di ritrovare le ragioni ideali di un primato che era stato convalidato dalla capacità dimostrata durante la guerra di dare un nome ed un volto nuovi al Paese. Il rapporto tra Stato e Società,, tra potere legale e Paese reale, venne quindi a perdere parte del suo precedente carattere pubblico di rapporto convenzionale e d'onore [...].6

Un altro spunto di lavoro e di riflessione può dunque venire, in questa direzione, dal guardare con un'ottica rinnovata ed approfondita i rapporti e le influenze, ma anche le ambiguità e le contraddizioni, che caratterizzarono il panorama storico-culturale in Italia dai primi anni del Novecento fino alla Seconda Guerra Mondiale. Si tratterebbe, come accennato in precedenza, di mettere in evidenza il significato non sempre univoco che il termine Nazionalismo e quello di Nazione assumono nei vari dibattiti prima e dopo la Grande Guerra. La discussione sulla nozione di «educazione nazionale» caratterizzò esplicitamente ed implicitamente tanto il fronte della pedagogia vicino al positivismo, o che ad esso direttamente si richiamava, tanto quello idealista ed in particolare attualista; era una componente, insomma, tipicamente trasversale e quindi spesso poco delineata e delineante. Ma più in generale non si può inquadrare l'argomento se non si evidenzia per intero la funzione ed il peso che il richiamo all'esperienza risorgimentale ebbe sullo sviluppo storico, politico e sociale del primo Novecento; un Risorgimento che al di là dei diversi approdi che le singole interpretazioni hanno avuto, rappresentava agli occhi dei suoi eredi un processo di carattere spirituale, una trasformazione intima e completa della vita italiana, un'affermazione di autonomia nazionale ed individuale. Tutto ciò non poteva dunque non avere un riflesso sui disegni e sui progetti che l'intellettualità di matrice liberale, a prescindere dalle scelte contingenti, aveva desiderio di attuare. Il comune richiamo al Risorgimento, nel tentativo di una «ridefinizione del proprio ruolo e delle proprie idealità nei confronti di un assetto sociale senz'altro in movimento», spiegherebbe inoltre la comune proposta di «porre la formazione di una salda coscienza nazionale al centro del programma educativo -- il nazionalismo come risposta all'internazionalismo proletario -- il che implica una analisi non dissimile dagli avversari della situazione in cui versava il nostro Paese».7

In questo contesto la «dicotomia» dell'uso di termini come «educazione popolare» o «educazione nazionale» finisce per dover essere anch'essa sottoposta ad una critica sostanziale se solo si prova ad analizzare più a fondo il significato di concetti come nazionalismo da una parte e patriottismo dall'altra. Giorgio Chiosso ha notato come

la tradizione democratico-mazziniana perdeva l'accentuazione volontaristica [...] e si orientava a non escludere il valore patriottico tra quelli educativi ma ad esaltarlo in termini non dissimili da quelli del Nazionalismo stesso [...] L'intellettualità liberale dell'età giolittiana sembrava convergere sulla esigenza di una scuola che educasse al sentimento nazionale [...]. Agivano in questa direzione tanto l'influenza del Nazionalismo culturale dei giovani intellettuali anti-giolittiani, quanto più in generale quella religione della Patria di eredità mazziniana [...]. Il comune richiamo alla esigenza dell'educazione nazionale si svolgeva in un clima tuttavia piuttosto ambiguo per i diversi progetti educativi che si celavano dietro al comune richiamo all'insegnamento giobertiano e soprattutto mazziniano [...]. Il progetto politico-pedagogico di tanta intellettualità vicina a Giolitti e schierata su posizione antidealiste non di rado polemicamente avverse all'avventurismo nazionalista, approda ad esigenze pratiche non molto lontane da quelle perseguite dagli esponenti del Nazionalismo culturale [...]. Auspici le ambiguità del progetto educativo nazionale mazziniano [...] ed una valutazione complessivamente negativa sui primi cinquant'anni di Stato unitario, la ripresa del tema dell'educazione nazionale risulta non a caso così centrale nel dibattito politico e pedagogico prima e dopo la grande Guerra, pur all'interno di progetti ideali e culturali che affondavano le loro radici in terreni diversi.8

Chiosso fa riferimento a tre schieramenti sostanziali della scuola che si confrontarono fino al 1914: uno dell'educazione patriottica, uno del Croce ed uno dell'educazione nazionale, e riguardo quest'ultima ricorda in particolare lo scontro tra il gruppo di Credaro e quello di Gentile. Ma per quanto la parte facente capo a Credaro si impegnasse a sostituire il concetto di educazione nazionale con quello di educazione popolare, quest'ultimo finiva per assolvere alle stessa funzione dei progetti educativi nazionali che emergevano contemporaneamente dalla parte di quello che abbiamo definito il nazionalismo politico.9

Il problema dei rapporti tra lo schieramento laico «criticista» e quello che potremo definire «spiritualista» vicino a Gentile è dunque anch'esso un problema di rapporti tra diversi schieramenti culturali, di questi con il Risorgimento e di ciò che esso aveva rappresentato anche a livello ideologico: in particolare, ma il tema ci porterebbe troppo lontano e non può essere affrontato in poco spazio, è necessario mettere in luce come le figure simbolo del movimento unitario, a cui i due gruppi si rifacevano, finivano per essere rappresentate sempre più spesso (e in maniera paradossale per la corrente di Credaro) da un Gioberti e da un Mazzini piuttosto che da un Cattaneo o un Ferrari.10

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3. Pedagogia e politica

Ai fini di un inquadramento più generale del discorso gioverà ricordare le questioni di fondo che risultavano prioritarie in quel momento, le quali potrebbero essere sintetizzate nel seguente ordine:

  1. rendere la questione «Scuola» una questione nazionale;
  2. reimpostare e riformulare le sue premesse ideologiche;
  3. associare in maniera decisa la problematica pedagogica a quella politica.

In questa direzione un significato importante, anche ai fini del nostro argomentare, assume la vicenda dell'appello per il Fascio di educazione nazionale pubblicato il 15 gennaio 1920 su L'Educazione Nazionale; importante perché sintomatica di un certo clima di disorientamento e del mescolarsi di diverse tendenze di pensiero. Tra i firmatari di quello che fu il Programma che seguì all'appello vi furono infatti personalità di diversa provenienza come lo stesso Gentile, B. Varisco, G. Modugno, A. Anile, R. Murri, G. Vitali, G. Vidari, G. Volpe, E. Codignola, P. Gobetti, G.L. Radice. Tognon ricostruisce così il clima di quel periodo:

Il Fascio di Educazione Nazionale non fu in realtà che il momento pubblico di massima rappresentatività di un più complesso ed integrato sistema operativo di mobilitazione civile costruito intorno a riviste e collane editoriali di grande successo dal Lomabardo Radice e dal Codignola con l'approvazione di Giovanni Gentile e l'appoggio di numerosi intellettuali di orientamento filosofico magari discordante ma, per quanto possibili fossero allora le distinzioni in ambito moderato e borghese, di orientamento politico ed ideologico affine [...]. Alle riviste di battaglia e di informazione magistrale e professionale, nel 1922, sempre per iniziativa del Codignola, con redattore capo il Casotti e per i tipi dell'editore Vallecchi, si affiancherà «Levana», una rassegna trimestrale di filosofia dell'educazione e di politica scolastica pensata, in contrapposizione alla gloriosa «Rivista Pedagogica» diretta da Luigi Credaro, come la rivista scientifica di quel movimento attualista che sul piano storico-filosofico aveva appena trovato la propria consacrazione nel «Giornale Critico della Filosofia Italiana» fondato e diretto presso Sansoni da Gentile nel 1920 [...]. Ciò che nella vicenda del Fascio di educazione Nazionale di Codignola e Lombardo Radice risulta meno noto, anche perché fu significativamente rimosso nel seguito degli anni, è che quella iniziativa era stata preceduta da un'altra iniziativa affine, quella del Gruppo d'azione per la Scuola Nazionale [...]. In termini positivi i risultati di quel dibattito non furono ne chiari ne univoci, perché l'idea di Nazione che doveva servire da elemento unificatore della riforma della scuola era troppo condizionata dalle contingenze della guerra e, soprattutto, scontava ancora l'indeterminatezza della sua origine moralisticheggiante e la preuccupazione di differenziarsi da ogni nazionalismo pratico e politico immediato.11

Come si vede le questioni politiche e le impostazioni filosofiche si intrecciavano e si confondevano invadendo, e spesso inquinando, i pur inevitabili e per certi versi salutari legami pedagogia-politica e di conseguenza quelli tra Stato ed educazione. La posizione di Gentile a questo proposito risulta emblematica di una certa impostazione generale.

A proposito ad esempio di Mazzini, Gentile scrive che è stato «uno dei pensatori più religiosi che abbia l'Italia ed è il grande profeta della nuova Italia». Mazzini è per il filosofo siciliano il padre della patria insieme a Gioberti; essi incarnano lo spirito della Patria così come deve essere intesa attraverso i valori della fede, del Popolo-Nazione, del dovere e del primato della nazione stessa. In questo senso per Gentile, come è stato notato, «la scuola non potrà mai essere una istituzione culturale intesa come «tempio della cultura formale», ma sarà mazzinianamente intesa come sistema-azione, ovvero come l'esperienza dell'alta volontà comune di un popolo che afferma se stesso e così si realizza».12 Questa concezione dello Stato, della Nazione e dell'educazione sembra più che mai avvicinarsi a quella del Credaro maturo il quale alla fine della sua carriera accademica affermerà che «l'educazione mira a formare l'individuo per la vita sociale [...]. Chi è che non sa -- precisa il pedagogista -- che la realtà massima è la Nazione? E che il fanciullo nella scuola deve essere nazionalizzato [...]. La scuola deve [...] inserire il futuro cittadino nel nucleo nazionale».13 Tali parole, si potrebbe obiettare, sono da inserirsi ed interpretarsi nel contesto di un fascismo trionfante che inevitabilmente doveva pesare sulla pur indiscutibile fermezza ideale dell'ex-ministro; ma Credaro anche in altre occasioni meno sospette aveva pur sempre tenuto a sottolineare la sua visone nazionale dell'educazione, affermando ad esempio come «la cultura morale può e deve essere il fine non di una parte soltanto bensì di tutta l'opera scolastica [...]. Ma la moralità può diventare il principio che investe e informa tutto l'individuo, solo a patto che tutte le forme e parti della sua cultura individuale ne siano penetrate».14 Ed andando ancora più a ritroso nel tempo si può ricordare come sempre Credaro avesse presentato la sua legge di riforma della scuola quale approdo di un movimento di idee storico che aveva puntato ad istruire gli uomini per renderli consapevolmente partecipi della società, «per lo Stato, per la Patria, per Dio e per l'umanità».15

In fondo ciò che sembra emergere con chiarezza da questa breve disanima del rapporto tra educazione e nazione, in Gentile come in Credaro, è in particolare l'impianto teoretico che sottende tale concetto; impianto che alla sua base vede in entrambi i casi una ri-lettura del Risorgimento, protesa a cercare di restituire all'Italia una sua identità forte, che non fosse basata solo su spunti di carattere biologico e geografico, come avveniva per il Nazionalismo tradizionale, ma si legasse a forti caratteri spirituali ed etici.16 In questo senso Gentile, dal suo punto di vista, aveva chiaramente indicato che non è «quello che mettiamo dentro al nostro concetto della nazione che dà realtà e consistenza a questo concetto; ma è quell'atto di energia spirituale con cui raccogliamo un certo elemento o un certo numero di elementi della coscienza della personalità collettiva, a cui sentiamo di appartenere».17

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4. La crisi degli ideali risorgimentali e la libertà d'insegnamento

Il dibattito sulla scuola, sulla educazione, sull'istruzione, sul loro ruolo e sulla loro funzione all'interno delle trasformazioni della società italiana e dell'assetto da dare ad essa, ebbero quindi nella crisi della concezione giolittiana della politica da una parte, e nelle conseguenze della Prima Guerra mondiale, nonché dell'avvento del fascismo dall'altra, due tappe fondamentali anche per quanto riguarda quelle visioni politico-pedagogiche, le quali scaturite da una certa interpretazione del Risorgimento avevano in qualche modo dominato i primi due decenni del Novecento, trovando in Credaro e in Gentile due figure emblematiche ed autorevoli, ma destinate a scontrarsi inesorabilmente con i profondi mutamenti e stravolgimenti che finirono per segnare il loro stesso destino di intellettuali e operatori della scuola. La loro teoria pedagogica legata ad una visione tardo ottocentesca della società, all'impianto teorico-politico risorgimentale con tutte le successive sfaccettature, legami ed evoluzioni, entra tanto più in crisi quanto più nell'immediato primo dopoguerra emerge e si rafforza lo stretto legame tra le problematiche pedagogiche e quelle politiche, proprio nell'ottica dell'esigenza di un rinnovamento radicale della realtà italiana che mostrava però due componenti essenziali e contrapposte: la prima delle quali premeva per un rinnovamento nella tradizione, la seconda per un rinnovamento contro la tradizione.18 Le figure di Gentile e Credaro si muovono sicuramente, malgrado gli innegabili distinguo, nella prima. Anche da questo punto di vista torna utile esaminare il rapporto che le due figure hanno con il passato e con i suoi riferimenti teoretici. «L'impegno di Gentile -- ha scritto Tognon -- e di molti altri pedagogisti e uomini di studio, non solo idealisti, per una nuova cultura liberale e per una nuova scuola divenne in una certa misura un segno politico di contraddizione nel cuore di una una dinamica sociale profondamente illiberale, perché obbligò la dirigenza politica italiana a rimisurarsi con il proprio passato -- in particolare con il modello risorgimentale -- e con un dovere istituzionale importante quale quello dell'educazione».19

Quello che si vuole evidenziare in questo contesto è la necessità di mettere in discussione lo stereotipo culturale che ha fin qui influenzato gran parte degli studi e delle ricerche sulla storia filosofica e pedagogica di quel periodo: e cioè che sia stato l'attualismo gentiliano a porre in crisi e a sostituire la pedagogia laico-positivista o tardo positivista. In realtà entrambi queste correnti culturali e filosofiche risultano scontrarsi con un realtà diversa e ostile che le accomunò in unico destino, a secondo dei casi, o di oblio, o di falsa ed opportunistica esaltazione. La comune matrice liberale e borghese risulta in questo senso l'elemento da tenere in considerazione per evidenziare una serie di temi che sia pure attraverso una impostazione ed una lettura diversa finivano per avvicinare i due pensatori più di quanto non si sia parzialmente tentato di far risaltare sino ad oggi.

L'azione del gruppo gentiliano così come quello di Credaro doveva scontrarsi, e si scontrò, con una nuova realtà sociale e politica e quindi pedagogica che la Grande guerra aveva in modo determinante contribuito a creare: dopo il 1915 infatti i contenuti risorgimentali «non fornivano più materia ideale sufficiente alla costruzione del vivere civile perché ne era stata messa in discussione l'origine di classe. Lo Stato di diritto liberale non poteva più esimersi dal confronto con l'esigenza insita nelle democrazie di massa di una forte azione di governo per supplire alla continua erosione operata dalla domanda sociale sui tradizionali principi morali ed economici di ordine».20 È da questo punto di vista che il pensiero di Gentile e quello di Credaro, legati ancora nella loro intima costituzione da categorie come quella di Risorgimento, di Patria o di Liberalismo, non risultavano più capaci di amalgamarsi con la nuova realtà. Il concetto di Nazione o di Patria che fosse, si nutriva in entrambi i pensatori di quell'humus idealizzante che inevitabilmente gettava le proprie radici nella cultura idealistica e romantica vedendo prevalere l'elemento sentimentale su quello politico, lo spirito sulla materia.

Proprio questa «contraddizione» irrisolta ci permette, a conclusione di un discorso come si è detto consapevolmente parziale, di evidenziare brevemente un ultimo punto: e cioè che il tema del Nazionalismo, della Patria e dell'esigenza di una educazione che fosse strumento della formazione della coscienza nazionale, si intreccia strettamente a quelli più specificatamente pedagogici dell'educazione laica e della libertà di insegnamento. Anzi quest'ultima diventa un passaggio obbligato nell'analisi del rapporto tra piano politico e piano filosofico nel pensiero di Gentile e Credaro.

È stato sempre Cambi a presentare il fronte culturale facente capo al pedagogista valtellinese come una «terza via» tra positivismo e idealismo, avvalorando, ci sembra, la tesi che il neo-kantismo non sia stato propriamente un sinonimo di positivismo e riproponendo in questo modo il tema del rapporto tra la cultura italiana, non solo laica, ed il pensiero del filosofo tedesco. A questo proposito è stato notato che il ritorno a Kant di quella componente più laica e democratica del panorama culturale italiano tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, fu sostanzialmente incapace di «oltrepassare una concezione della filosofia di carattere sostanzialistico, e pertanto suo malgrado invischiato nelle pastoie della tradizione speculativa nostrana»; il torto degli epigoni fu quello di non volere o non riuscire a fare i conti con il pensiero complessivo del filosofo della Ragione,

cosicché per giustificare assolutezza ed imperatività del valore, una volta fraintesa la via trascendentale, che non si intese percorrere senza in una qualche misura «materializzarla», non potendo fare affidamento sull'empiria e sul fatto, non gli restava che ricorrere all'essere, fosse pure pensiero, soggetto. In tal modo a parte le dichiarazioni di principio, a parte una pedagogia che effettivamente si distanziava da quella attualistica, messi alle strette sotto il profilo teoretico non potevano che ritrovarsi assai vicini all'avversario [...]. Da queste preoccupazioni di carattere ideologico derivarono pure le esitazioni e di una cultura costituzionalmente «laica» nei confronti degli ambienti clericali e del pensiero cattolico.21

Ma non fu solo lo schieramento democratico a soffrire di tale ambiguità, anche quello attualista visse la propria identità culturale a cavallo di questo dualismo. Entrambi erano portati a schierarsi da una parte contro la libertà d'insegnamento, rivendicando la necessità di una scuola di Stato intesa come scuola laica, dall'altra a scontrarsi con la necessità di concedere una apertura alle esigenze del mondo cattolico in nome del comune bisogno di far fronte al «pericolo» socialista.22 Il laicismo diventava dunque, al tempo stesso, sia un'arma per difendere la propria concezione politica dello Stato e dell'educazione dall'elemento «inquinante» del clericalismo, sia una componente contraddittoria ed ingombrante ai fini di quelle che risultavano essere le ragioni concrete della politica. Non sarà un caso del resto, se proprio quello di laicità è un altro importante concetto da analizzare nello studio del pensiero di Gentile e Credaro; un altro fattore che sembra accomunarli nel momento stesso in cui li divide. In entrambi esso si lega indissolubilmente a quello di libertà, ma ad una libertà intesa in senso assoluto e metastorico, non dell'individuo ma dello Stato, che è poi quello liberale e borghese. In questo senso sembra esserci nel Credaro pedagogista una componente «spiritualista» che finisce a volte per avvicinarlo alla teorizzazione del fronte avversario ponendolo in una posizione che azzarderemo a definire un po' crociana e un po' gentiliana.23

Sembra giusto affermare allora, come è stato fatto, che entrambi gli ex avversari finiscono per trovarsi, con il tempo e malgrado le pur evidenti differenze sul piano del pensiero e della formazione, «più "vicini" nella consapevolezza di una comune "emarginazione", nella rassegnazione [...] allo status di "professori", avendo in una certa misura Gentile, del tutto, e da tempo Credaro, dovuto rinunciare alla speranza e all'ambizione di esercitare una qualche fattiva influenza sulle sorti del mondo, pur mantenendosi in entrambi fermissima la fede nei propri ideali».24

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Note

  1. A parte la serie di articoli che di tanto in tanto hanno fatto la loro comparsa sulle riviste specializzate e la lodevole buona volontà di studiose come P. Guarnieri, non è difficile constatare la carenza di lavori specifici e sistematici dedicati all'opera e al pensiero di Credaro. Da una nostra breve ed arbitraria ricerca, è curiosamente risultato inoltre che anche nelle opere generali dedicate alla storia della pedagogia e della scuola italiana il suo nome non è presente se non sporadicamente e in maggior misura per ricordare la Riforma del 1911. Testo

  2. Più per uno stimolo di ricerca che altro, ci sembra utile notare come lo studio della loro figura potrebbe inserirsi nell'ambito di quella problematica riguardante i rapporti tra mondo culturale italiano in genere, e regime fascista; problematica che una certa «pudicizia» ideologica ha impedito finora di affrontare se non in senso unilaterale. L'argomento è tornato recentemente di attualità a proposito dell'iniziativa da parte dell'università di Pisa di dedicare, proprio a Gentile, una targa commemorativa che ricordasse però non solo il suo grande contributo culturale ma anche la sua «inopportuna» adesione alle leggi razziali del '38; dell'argomento si sono occupati i maggiori quotidiani. Da parte nostra forniremo alcuni titoli significativi di interesse generale: si vedano G. Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, Il Mulino, 1975; R. De Felice, Gli intellettuali di fronte al fascismo, Roma, 1985; C. Stajano (a cura di), La cultura italiana del Novecento, Bari, Laterza, 1996; B. Ghiat Ruth, Cultura fascista, Bologna, Il Mulino, 2000; A. D'Orsi, La cultura a Torino fra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000. Cfr. anche P. Conti, L'Enciclopedia riapre il caso Gentile, in «Corriere della Sera», 2 febbraio 2000, p. 21; J. Iacoboni, Il pensiero di Gentile fa i conti col passato, in «Il Mattino», 22 febbraio 2000, p. 25 e B. Gravagnuolo, La via al fascismo di Gentile filosofo dell'Atto e del fatto, in «L'Unità», 24 febbraio 2000, p. 22. Testo

  3. L. Credaro, Ai soci e ai lettori, in «Rivista Pedagogica», a. I, n. 1, 1908, pp. 1-2. Testo

  4. G. Gentile, Proemio, in «Giornale Critico Della Filosofia Italiana», vol. I, 1920, pp 1-6. Anche Credaro qualche anno più tardi, in un'altra occasione, esprimerà un concetto simile affermando che «nulla è meno filosofico che il volere una filosofia sola». Sul contesto di queste affermazioni si veda M. D'Arcangeli, Luigi Credaro e la «Rivista Pedagogica» (1908-1939), Roma, 2000, p. 51. Testo

  5. M. D'Arcangeli, Luigi Credaro e la «Rivista Pedagogica» (1908-1939), in «Scuola e Città», 31 luglio 1993, p. 279. Testo

  6. G. Tognon, Benedetto Croce alla Minerva, Brescia, La Scuola, 1990, pp. 11-13. L'opera di Tognon rimane sicuramente uno strumento di ausilio indispensabile per la ricostruzione delle vicende e del dibattito, non solo educativo, dei primi decenni del Novecento, sia per la pertinenza delle osservazioni che per la ricchezza dei dati bio-bibliografici. Testo

  7. M. D'Arcangeli, op. cit., p. 23. Testo

  8. G. Chiosso, L'educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra, Brescia, La Scuola, 1983, pp. 28-34. Si può mettere utilmente a confronto con questa analisi, quanto Gentile scriveva nel '17 all'indomani della sconfitta di Caporetto: «Vincere sì il nemico [...] ma vincere interiormente la vecchia Italia che i nostri Padri, nel secolo decimonono, vollero distrutta per sempre; ma che germoglia ad ogni tratto anche di mezzo alla sventura. Costruire un'Italia nuova; che non deve essere un'Italia solo geograficamente più grande, né una terza Italia mazzinianamente idoleggiata». G. Gentile, Guerra e fede, in Opere a cura della Fondazione Gentile, vol. XLIII, p. 11. Si vedano, sempre su questo tema, anche le posizioni di G. Della Valle, negli anni in cui diresse la «Rivista Pedagogica» in sostituzione di Credaro. Cfr. M. D'Arcangeli, op. cit., pp. 110-116. Testo

  9. Cfr. G. Chiosso, op. cit., p. 43. Testo

  10. L'argomento è stato proposto e affrontato, tra gli altri, da G. Sasso, in un suo recente lavoro su Gentile; naturalmente l'approccio di Sasso è strettamente filosofico e riguarda specificatamente il padre dell'attualismo, ma questo non cambia la sostanza del problema. Si veda G. Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 467-504 Testo

  11. G. Tognon, op. cit., p. 227. Testo

  12. Da notare che il riferimento alla spiritualità mazziniana che sfocia nella concezione di un patriottismo a varie tinte, è un punto comune tanto alla pedagogia democratica che all'attualismo gentiliano. A questo tipo di problematica si lega, in qualche modo e da diversi punti di vista, anche il tema del rapporto tra la pedagogia herbertiana e il pensiero di Gentile e Credaro. Entrambi infatti, nell'affrontare l'autore tedesco, avevano sottolineato, a loro modo e da diverse angolature, come in esso l'approccio più strettamente «positivo», scientifico, si accompagnasse a quello che riguardava la centralità della dimensione morale e quindi anche spirituale della vita umana. Non sarà un caso del resto se Credaro nell'introdurre la pedagogia di Herbart in Italia avesse voluto sottolineare che anche ai fondamenti di questa molte critiche si possono muovere e «parecchie opinioni particolari del pedagogista di Gottinga non sono accettabili perché non più rispondenti alla vita reale dell'educazione». E non sarà un caso se Gentile dal canto suo trovasse il modo di riconoscere a Herbart il merito di aver inteso la pedagogia come «scienza della formazione dell'uomo»; il filosofo siciliano inoltre, nella sua riflessione sul «concetto scientifico della pedagogia», aveva avuto tra le sue fonti primarie, proprio l'interpretazione che Credaro aveva dato di Herbart. Su tutto l'argomento si veda I. Volpicelli, Giovanni Gentile interprete di Herbart, in G. Spadafora (a cura di), G. Gentile. La pedagogia, la scuola, Roma, Armando, 1997, pp. 229-244 insieme a M. D'Arcangeli, op. cit., p. 23. Questa digressione ci riconduce infine ad un altro tipo di spunto riflessivo che riguarda più da vicino il rapporto tra Positivismo ed Idealismo attuale, lì dove ancora Gentile aveva sottolineato come «il positivismo e lo storicismo della seconda metà del secolo XIX sono pure serviti a qualcosa [...]. Non contrapponiamo più la filosofia alla storia [...]; ne vediamo il fatto da una parte e l'idea dall'altra». G. Gentile, Proemio, già cit., p. 4. Testo

  13. L. Credaro, L'ultima lezione di Luigi Credaro, in «Rivista Pedagogica», vol. XXVIII, 1935, p. 518. Testo

  14. Cit. da P. Guarnieri, Filosofia e scuola nell'età giolittiana, Torino, Loescher, 1980, p. 125. Da tenere in conto anche le posizioni espresse in L. Credaro, Lettera sulla pedagogia, in «Rivista Pedagogica», a. XX, n. 10, p. 819. Testo

  15. Cit. da E. De Fort, La scuola elementare dall'Unità alla caduta del fascismo, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 8. Vedi anche la nota 23 del presente contributo. Testo

  16. Potrebbero valere per Credaro le stesse considerazioni che Franco Cambi ha fatto sul nazionalismo gentiliano, il quale «ha un forte connotato risorgimentale, idealistico e storicistico ed è carico di tensione etica, spirituale e religiosa, differenziandosi nettamente dai nazionalismi del primo Novecento[...] tutti più intrisi di attivismo e di irrazionalismo, di spirito anche nietzschiano, di esaltazione della forza, della lotta, dell' energia della Nazione». F. Cambi, Giovanni Gentile: il nazionalismo, il fascismo e l'educazione, in G. Spadafora, op. cit., p. 196. Testo

  17. G. Gentile, La riforma dell'educazione, in Opere, vol. VII, p. 11 Testo

  18. Queste parole sono di per se troppo schematiche e riassuntive di una questione molto più complessa; ma possono ugualmente esplicitare il succo di quella che vuole essere la tesi principale di questo contributo e che ancora Tognon ha in qualche modo anticipato, anche se da un altro punto di vista e per un altro contesto, quello della riforma Gentile: «La crisi istituzionale del 1922-1925 -- egli scrive -- affondò anche la compattezza politica del gruppo che intorno a Gentile e a Croce si era impegnato nella riforma della scuola, mettendo a nudo le numerose contraddizioni teoriche di una filosofia troppo politica e di una politica troppo filosofica. Le rotture e i distacchi rinvenibili nelle biografie di Guido De Ruggero, di Adolfo Omodeo e Luigi Russo, di Giuseppe Lombardo Radice, di Ernesto Codignola, dello stesso Gioacchino Volpe non fanno che restituirci, scaglionate lungo tutto l'arco del Ventennio, le onde di ritorno di una crisi di crescita e di maturità etica e culturale». G. Tognon, op. cit., p. 24. Testo

  19. G. Tognon, op. cit., p. 199. Testo

  20. Ivi, p. 191. Testo

  21. M. D'Arcangeli, art. cit., p. 279. Testo

  22. È interessante, ad esempio, nell'ambito del nostro discorso vedere l'atteggiamento della «Rivista Pedagogica» e del «Giornale Critico» su questo argomento; in particolare gli articoli di polemica con la «Civiltà Cattolica» o più in generale sull'insegnamento religioso. Ma risulta non secondaria, per certi versi, anche una comune polemica, certo non «premeditata», con il socialista A. Baratono. Su tutto l'argomento si veda in più punti M. D'Arcangeli, op. cit.; M. Torrini -- F. Verlaine (a cura di), «Giornale Critico della Filosofia Italiana». Indici 1920-1985, Firenze, Sansoni, 1987, in particolare gli anni dal 1924 al 1935; G. Gentile, La riforma della facoltà filosofica, in «Giornale Critico della Filosofia Italiana», vol. XII, 1931, p. 239; R. Tumino, Giovanni Gentile e il criticismo di Adelchi Baratono, in G. Spadafora, op. cit., pp. 479-506. Testo

  23. Si vedano in proposito le seguenti affermazioni di Credaro: «Non vi è azione senza pensiero e ogni pensiero è un principio di azione. L'educazione non esiste senza l'istruzione. La divisione tra mente e cuore, tra pensiero e volere e mera astrazione logica. Lo spirito è un'unità di pensiero, di sentimento, di volere, di azione»; «L'anima del maestro è l'anima della scuola e diventa l'anima dei fanciulli e dei futuri cittadini. Nessuna forza esteriore di leggi, di regolamenti, di programmi, di istruzioni ministeriali può mutare la massa sistematizzata di idee, di sentimenti, di affetti, di voleri, di azioni che il maestro porta nella scuola [...]. L'azione educativa è fatta in massima parte di imitazione e suggestione sub-cosciente». Entrambi le citazioni sono tratte da P. Guarnieri, op. cit., pp. 134 e 234-235. Testo

  24. M. D'Arcangeli, Giovanni Gentile-Luigi Credaro: due protagonisti a confronto fra «pubblico» e «privato», in G. Spadafora (a cura di), op. cit., p. 477. Testo