Salta la barra di navigazione

Mneme / Approfondimenti / Educazione religiosa e Patti Lateranensi

Vincenzo Gabriele

Educazione religiosa e Patti Lateranensi:
il caso Giovanni Gentile

Inizio

Che cos'è uno Stato laico?

I ricorrenti dibattiti sulla «laicità» della scuola italiana inducono a studiare con attenzione uno dei momenti cruciali della questione: l'atteggiamento nei confronti dell'educazione religiosa da parte di Giovanni Gentile, rinnovatore del pensiero di Hegel in Italia, per diverso tempo ideologo del fascismo e autore dell'ultima organica riforma della scuola italiana. 

Giovanni Gentile si era schierato fin dal 1907 per una concezione di Stato «laico»: tale laicità non è intesa come l'assenza di una prospettiva religiosa, ma piuttosto come una «divinizzazione» dello Stato stesso, cioè una sua affermazione come valore assoluto. L'accordo tattico con la Chiesa viene ritenuto utile solo per combattere nemici comuni come il liberalismo e il materialismo. Più tardi tuttavia Gentile afferma la necessità di un'ispirazione cattolica per venire incontro alla concreta situazione storica del popolo italiano. Aderendo al fascismo nel 1923 egli intende usare la particolare congiuntura politica per realizzare la sua concezione idealistica di Stato, ma in questo modo cresce ancora di più l'ambiguità delle posizioni riguardo all'educazione religiosa, alla quale vengono fatte ampie concessioni nella riforma scolastica. 

I Patti Lateranensi, che pure non cancellano la latente concorrenza tra Stato e Chiesa nell'educazione, segnano dal punto di vista politico la sconfitta della posizione di Gentile, che è costretto ora ad intendere lo «Stato etico» come lo Stato che ingloba al suo interno la religione e la «laicità» come la capacità di conoscere e promuovere la religione del «popolo». 

L'autore: Vincenzo Gabriele è nato a Roma nel 1965 e si è laureato all'Università di Roma «La Sapienza» con una tesi su Giovanni Gentile, sul cui pensiero ha pubblicato diversi studi.  

Sommario

Avete domande o riflessioni sugli argomenti qui trattati? Partecipate al forum!


Miniatura raffigurante S. Benedetto e l'abate Teobaldo, ciascuno con un libro in mano

S. Benedetto e Teobaldo (da un manoscritto dei Moralium libri conservato a Montecassino). La trasmissione della cultura è in Europa indissolubilmente legata alla storia della Chiesa fino almeno all'Ottocento: dagli scriptoria dei monasteri alle scuole cattedrali, dalla nascita dell'Università alle scuole popolari, la stragrande maggioranza dei luoghi dell'istruzione sono promossi e guidati da istituzioni ecclesiastiche. L'idea di una istruzione programmaticamente indipendente dalla prospettiva religiosa può affermarsi solo con la nascita dello Stato moderno.

Nella filosofia idealistica con la sua idea di «Stato etico», che incarna e realizza valori morali, il conflitto diventa inevitabile, non in nome del pluralismo e del dialogo, ma piuttosto dell'impossibilità della presenza di più assoluti in concorrenza.


1. Introduzione

La religione è una materia di insegnamento come tutte le altre; ma ha questa speciale virtù, che schiettamente compresa e appresa, non solo attua l'ideale di una istruzione educativa, ma moralizza ogni altro sapere moralizzando lo spirito che ne viene in possesso, poiché lo orienta stabilmente in un mondo dove tutto ha il suo posto [...]. La scuola laica non può abolire l'insegnamento religioso senza sostituirvi nulla che risponda ai fini leggittimi della religiosità.1

Queste parole, oltre a riassumere in modo sufficientemente completo le posizioni di Giovanni Gentile sul significato e l'importanza dell'istruzione religiosa, preannunciano, circa un decennio prima della sua «istituzionalizzazione», il ruolo che all'interno della riforma scolastica del 1923 avrà questo insegnamento. Il tema dell'insegnamento di religione nella scuola trova nella firma dei Patti Lateranensi tra Stato italiano e Chiesa cattolica nel 1929 un sicuro punto di riferimento, che integra un più antico e generale dibattito sulla laicità della scuola e sul contenuto concreto da dare a questa espressione. Un dibattito che ha ritrovato particolare vigore dopo la revisione, nel 1984, degli accordi del '29; revisione che proprio nel campo scolastico sembra aver portato ulteriore confusione in materia.2

Vale la pena sottolineare però che, da un punto di vista più strettamente legato alla filosofia dell'educazione, la questione qui affrontata non può non trovare un irrinunciabile approfondimento nella analisi e nella discussione del pensiero filosofico-educativo di Gentile e più in generale del neo-idealismo italiano, sullo sfondo della storia politica e culturale di questo secolo, che li ha visti, almeno nella sua prima metà, tra i protagonisti. È in quest'ottica, dunque, che intendiamo offrire, anche se in maniera sommaria, alcune riflessioni e spunti di ulteriore indagine storico-pedagogica sull'argomento.

Volendo intanto dare alcune chiavi di lettura è bene tenere presente tre punti principali di riferimento: 1. nella riforma Gentile l'elemento più contraddittorio, anche se inserito nell'ottica della speculazione filosofica del suo artefice, sembra essere proprio il ruolo ed il peso assegnato all'educazione religiosa da un ministro che si professava difensore dello Stato laico; ma è questa difesa, in particolare, che va analizzata per farne emergere le contraddizioni e anzi la sua «mistificazione»;3 2. il 1929 ed il Concordato rappresentano, al di là della loro valenza storico-politica, un momento importante per valutare gli errori e le ambiguità della politica scolastica di Gentile; ma segnano anche una svolta nei suoi rapporti con il fascismo: proprio mentre la Chiesa sacrificava il Partito Popolare e la parte più democratica del cattolicesimo sull'altare dell'accordo con il regime, infatti, quest'ultimo si accingeva a ripudiare la dottrina del filosofo siciliano, con la quale era sembrato fino ad allora identificarsi;4 3. affrontare il tema della teoria educativa di Gentile e la sua concezione di scuola pubblica significa inevitabilmente, ed in maniera inscindibile, chiamare in causa la sua visione dello Stato, della laicità e della libertà politica: lo stesso Gentile aveva fin dall'inizio, voluto precisare che

la scuola è tale solo in quanto è vita dello Spirito e in questo senso essa è lo strumento attraverso cui si forma la vita spirituale della Nazione. È quindi uno strumento politico, che deve essere gestito dallo Stato etico, espressione della vita dei cittadini formatasi attraverso la scuola governata dalla filosofia.5

Sommario

2. I Patti Lateranensi: una breve storia

Ma oltre a queste iniziali coordinate sembra giusto tracciare, ai fini di una contestualizzazione più ampia, un breve pro-memoria del Concordato e delle sue ripercussioni nel campo scolastico. La politica concordataria, già avviata da Benedetto XV, venne ulteriormente ricercata e promossa da Pio XI nello sforzo di far riconoscere sempre maggiori diritti alla Chiesa cattolica nella vita pubblica. Egli, a differenza del suo predecessore, aveva una concezione che si potrebbe dire intransigente, teocratica e totalitaria del cattolicesimo e dei suoi rapporti con la società civile. Gli strumenti per realizzare questo programma dovevano essere da un lato la volontà di avvicinamento allo Stato italiano e dall'altro il movimento dell'Azione Cattolica: una visione che, per essere perfettamente parallela a quella della politica governativa di Mussolini, si poneva immediatamente in contrasto con essa. Anche nella mente del duce infatti vi era uno Stato totalitario, grazie al quale poter respingere facilmente le eventuali aspirazioni a tendenza teocratica e le invadenze clericali. Nei disegni di Mussolini, la Conciliazione doveva risolversi in una stretta subordinazione della Chiesa ai fini dello Stato.6

Nel corso del 1923, il Vaticano abbandonò di fatto il Partito Popolare per avvicinarsi al fascismo; e proprio in quest'anno Gentile aveva portato a termine la sua riforma della scuola, caratterizzata da concessioni senza precedenti alla Chiesa cattolica, in particolare nel campo dell'istruzione religiosa, ma non solo in essa. Una coincidenza questa, che, come avremo modo di vedere più avanti, non sembra del tutto casuale. Del resto, quelle concessioni assumevano un significato ed una portata maggiori proprio alla luce degli accordi dell'11 febbraio 1929, ai quali si giunse dopo una lunga e complessa trattativa.7 Gli articoli del documento riguardanti la scuola erano il 5, il 35 e il 36: essi regolavano rispettivamente il reclutamento dei docenti di religione, l'esame di Stato per gli Istituti religiosi e l'insegnamento della religione in senso stretto. Vi erano poi gli articoli 37, 38 e 43 che avevano attinenza con la scuola e l'organizzazione della gioventù. Sulla base del Concordato l'insegnamento religioso, già introdotto nelle scuole elementari nel 1923, venne esteso alle secondarie nel 1930. Ma va ricordato che il R.D. del 3 aprile 1924, n. 965, aveva previsto tale insegnamento, come facoltativo, nelle Scuole Complementari e negli Istituti Magistrali; la circolare n. 95 del 25 novembre 1926 aveva poi esteso tale facoltà a tutte le scuole secondarie.8 Anche l'esame di Stato veniva ulteriormente collegato, grazie ai Patti, con lo sviluppo e gli interessi della scuola privata, in quanto, reso meno selettivo, si trovò suo naturale alleato e contribuì a sviluppare l'istituto della parificazione che, nel 1942, si trasformò in «riconoscimento legale» degli Istituti privati.9

Ma l'idillio Chiesa-fascismo, per i motivi che abbiamo in parte accennato, era destinato ad avere, almeno ufficiosamente, una breve durata: già la trasformazione del Ministero della Pubblica Istruzione in Ministero dell'Educazione Nazionale, alcuni mesi dopo i Patti Lateranensi, rimise in campo la questione del monopolio statale sulle direttive da dare all'istruzione scolastica. Si trattava più chiaramente di una ulteriore tappa di quella fascistizzazione della scuola che passava necessariamente anche attraverso ritocchi ed aggiustamenti all'impianto generale della riforma Gentile e che era il vero fine ultimo del governo Mussolini. La fragilità della «diarchia educativa» si rivelerà dunque ben presto, non potendo la Chiesa tollerare alcuna sostanziale modifica al suo magistero. L'anno del Concordato non è ancora trascorso quando l'enciclica Divini Illius Magistri (31 dicembre 1929), risponde direttamente all'equazione, tutta idealista, fatta dal fascismo, tra istruzione ed educazione, affermando la più assoluta intransigenza per quanto riguarda le finalità essenzialmente religiose dell'educazione e condannando la scuola laica.10

Gli episodi segnalati non sono che la parte più evidente di un disagio concreto che Chiesa cattolica e Stato fascista tendono a manifestare, con sempre maggiore frequenza ed asprezza, nei rispettivi ambiti; tuttavia, per ragioni di convenienza politica, i rapporti tra Italia e Santa Sede fino al 1938, anno di emanazione delle leggi razziali, furono in complesso «tolleranti». A riprova di ciò si può tenere presente l'enciclica Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931), seguita al provvedimento di scioglimento della Azione Cattolica da parte delle autorità governative, nella quale nonostante si deplori l'ingratitudine verso l'istituzione religiosa da parte del Regime, si tenta di mantenere aperto il dialogo accettando, con la formula «salva la legge di Dio e della Chiesa», il giuramento di fedeltà dei piccoli balilla alla causa fascista.

Va tenuto presente del resto, come ha rilevato Tina Tomasi, che l'accordo tra Stato e Chiesa, in particolare sul piano educativo, non riposava solo su motivi tattici di pura convenienza politica,

ma anche sulla convergenza di alcuni princìpi fondamentali della pedagogia cattolica e di quella fascista, a cominciare dalla convinzione che educare significa guidare dall'alto, comunicare verità prestabilite. Il Fascismo mutua inoltre da Gentile alcune idee gradite alla Chiesa, quali l'assunzione della educazione religiosa come efficace antidoto al materialismo, cioè alle ideologie sovversive, la predilezione per i contenuti letterari retorici, la diffidenza verso il pensiero scientifico, l'avversione alla coeducazione in vista della diversa destinazione sociale della donna, il rifiuto della pedagogia straniera impregnata di laicismo democratico.11

Sommario

3. Le posizioni di Gentile

Gentile aveva partecipato al dibattito tra la stampa fascista e quella cattolica, a proposito della «Questione romana», fin dall'autunno del 1927. Ma le sue posizioni di intransigenza circa le prerogative dello Stato e della sua autonomia sembrano essere inficiate su due fronti: da una parte dalle sue personali responsabilità nell'avere aperto, con la sua opera teorica e pratica, un varco alle richieste del mondo cattolico di intervenire nei vari campi della vita pubblica; dall'altra dalla presenza, all'interno del suo pensiero educativo, di contraddizioni, comuni anche a tutto l'idealismo e che Remo Fornaca ha così riassunto:

confusione tra religione e religiosità; attribuzione di un'anima religiosa ai bambini e ai ceti popolari; convinzione che per i bambini e per i ceti popolari è impossibile e controproducente un comportamento etico a matrice laica; scelta istituzionale della Chiesa cattolica, sia come garante dell'insegnamento sia come detentrice del messaggio cristiano, ivi compreso il riconoscimento alle gerarchie ecclesiastiche del diritto-dovere di scegliere gli insegnanti, i contenuti, i metodi di insegnamento ed i testi. A parte la collocazione dell'atteggiamento religioso, resta il principio che la filosofia e quindi la pedagogia idealistica hanno una matrice teologica, metafisica e quando scendono sul piano istituzionale, anche religioso, rivelano il proprio conservatorismo.12

Sulla base di queste premesse, possiamo dire che L'Osservatore Romano aveva buon gioco nel rimproverare a Gentile di avere dimenticato le sue posizioni non certo ostili verso l'istruzione privata e di essere stato l'assertore convinto della libertà della scuola in Italia, nonché il fautore della battaglia contro il falso principio «liberalesco» del laicismo.13

Da un'analisi delle posizioni di Gentile sul tema in questione e da una loro successiva storicizzazione emerge in questo senso, abbastanza chiaramente, una linea oscillante tra un presunto laicismo intransigente ed il riconoscimento di una religiosità di tipo dogmatico; una linea di condotta che appare strettamente legata alla esigenza di affermare, sia sul piano teorico che su quello pratico, le tesi dell'attualismo. Una data obbligata per cominciare a seguire questo percorso gentiliano è il settembre del 1907, periodo in cui si svolge il Congresso della FNISM (Federazione nazionale insegnanti scuole medie), dove Gentile si schiera, fatto non secondario, lui da solo, contro quella concezione di scuola laica, di stampo positivista, che prevarrà nelle tesi finali del Congresso. Così Gentile sintetizzava, in quella sede, la sua idea di laicità:

si afferma che lo Stato oggi deve essere laico; che è come dire al solito non legato a una forma di religione: separato dalla religione [...]. Lo Stato laico, che separandosi dalla religione nega la religione, non riesce a vuotarsi di una sua interna religiosità [...]. Lo Stato si laicizza diventando fine a sé stesso [...] e fine a sé stesso non può diventare negando ogni fine, bensì soltanto affermando sé come fine; sé ripeto come un che di assoluto dotato di valore divino: divinizzandosi [...] e però non potendo più riconoscere una istituzione che non essendo esso, lo Stato, tuttavia professi di rappresentare il divino.14

È l'inizio dell'equivoco. Ma Gentile ha davanti a sé un chiaro programma d'azione: con il positivismo ormai in crisi, l'attenuazione del Non expedit e l'inizio del riavvicinamento dei cattolici alla vita politica che sfocerà nel Patto Gentiloni, il filosofo vede nell'appoggio alla tradizione del cattolicesimo moderato e clericale una strada da percorrere per favorire l'abbattimento, innanzitutto a livello filosofico-culturale e quindi, dal suo punto di vista, educativo, del sistema liberal-riformista a direzione prevalentemente giolittina, la sconfitta del quale potrà ridare vitalità a quel «sano conservatorismo»,15 tanto caro a Gentile, che sul piano politico si concretizzerà con la celebrazione dello Stato etico e l'adesione al fascismo, mentre sul piano educativo giustificherà la formula «poche scuole ma buone».16

Sono proprio gli anni dal 1906 al 1912 (in cui la produzione pedagogica si intensifica) a presentare il Gentile banditore entusiasta del rinnovamento della scuola italiana; ma al tempo stesso è da notare come, sempre in questi anni, quell'entusiasmo si lega alla adesione esplicita ai princìpi del cattolicesimo tradizionalista contro le idee «eversive» del modernismo;17 e ciò fornisce un ulteriore indizio delle mire del progetto gentiliano. L'esperienza della Prima Guerra Mondiale e il dibattito-scontro tra neutralisti ed interventisti offrono, in questo senso, un momento di ulteriore svolta per analizzare le posizioni di Gentile ed il suo percorso speculare al programma che si è prefissato. Lo Stato che è andato teorizzando con la sua quasi ventennale riforma pedagogica è quella organizzazione caratterizzata da una moralità intensa, quella moralità della filosofia che non può tollerare ovviamente, per il suo stesso integralismo culturale, l'azione della Chiesa. Il 1918 è stato un anno significativo dal punto di vista della riforma della scuola di cui, Gentile, va fin d'ora elaborando i contenuti. Se egli sente sempre più intensamente questo suo compito, non sa rinunciare, d'altro canto, a mantenere un dialogo aperto e mediato con la Chiesa, che pure rappresenta ancora un valido punto di appoggio contro il laicismo agnostico ed estremista dei liberali e dei socialisti. In questa prospettiva si può spiegare la distanza tra le posizioni assunte nel biennio 1918-1919 e quelle di appena un anno dopo.

Nel '18, ancora fresco lo scontro con le gerarchie ecclesiastiche sul significato della guerra e sul ruolo del pacifismo, Gentile scrive che

tutta la nuova Italia è fin dai suoi inizi [...] Stato radicalmente ed essenzialmente laico [...]. Lo Stato con il solo fatto di separarsi dalla chiesa afferma di non avere bisogno di quella religiosità che sola può conferire un valore assoluto a una realtà spirituale; ma di averla in sé stesso [...] per effetto di libera elezione e come norma di una attività intrinsecamente morale. Ma lo Stato non è niente di autonomo e non può riuscire perciò alla garanzia delle libere energie di ogni coscienza individuale [...] se questa fede vale di fronte ad esso come un potere costituito esterno, da cui gli tocchi prendere norma, al quale gli convenga prima o poi sottomettersi.18

Ancora nel 1919, a proposito del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, Gentile auspica decisamente la non risoluzione della Questione Romana e scrive:

la convenzione presuppone una sovranità di fronte all'altra e invece lo Stato italiano è sorto dalla negazione d'ogni altra sovranità che voglia esercitarsi sul suo territorio [...]. Lo Stato italiano per la sua origine e per la sua essenza, ignora un Papato politico.19

Nel giugno 1920 intanto, Benedetto Croce viene nominato ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo ministero Giolitti. È questa la grande occasione per saggiare l'energia del gruppo di studiosi vicini a Gentile; più che per andare fino in fondo, per preparare il terreno. Il tentativo di riforma scolastica di Croce, che verrà interrotto dalla caduta del governo, tiene quasi sempre presente quelli che sono gli obiettivi del suo amico-rivale e del gruppo idealista (a cominciare da Ernesto Codignola e Giuseppe Lombardo Radice). È in questo periodo che inizia la messa in atto di quello che è stato definito, non a torto, un programma di «teocrazia laica»,20 che ben si adatta alla enunciazione della teoria dello Stato etico. Su questa strada si avrà l'incontro di Gentile con il fascismo, che egli tenterà di utilizzare per «surrogare gradualmente la Chiesa di Roma con uno Stato laico [...] ma non per questo meno intenso di quello teocratico»21 e che lo porterà la sua laicità di elementi ancora più ambigui, nel tentativo di conciliare la sua idea di religione con quella del Cattolicesimo.

Dal punto di vista della teoria educativa gli anni Venti sono gli anni in cui Gentile, nello sforzo di affermare definitivamente le ragioni dell'attualismo in campo politico e scolastico, finisce per enunciare e consolidare, non solo con la riforma, tutte quelle posizioni che il fascismo da una parte e la Chiesa cattolica dall'altra utilizzeranno per giungere alla stesura e alla legittimazione del Concordato e poi per emarginare il filosofo siciliano dalla scena culturale ed educativa.

Anticipando di circa un decennio le giustificazioni che Giuseppe Bottai, a nome del fascismo, addurrà per spiegare perché la religione insegnata nelle scuole dovesse essere quella cattolica e contraddicendo le posizioni espresse in precedenza, nel 1920, Gentile scrive:

se lo Stato non deve essere qualcosa di astratto ed utopico, ma la forma concreta della vita di un popolo nello Stato -- per esempio nella sua cultura come è rappresentata nella scuola -- non è realizzabile una forma religiosa che non abbia radice nella coscienza popolare [...] e in questo lo Stato deve guardare alla Chiesa come propria alleata.22

Ancora nel 1923, quasi a voler rafforzare questa tesi in concomitanza con l'approvazione della riforma, egli tornerà sull'argomento per spiegare che

il popolo italiano è cattolico, sinceramente cattolico. Le altre religioni sono ammesse [...]. Ora la scuola deve essere amata dal popolo, deve vivere nel cuore del popolo [...]. Lo Stato non intende imporre la sua volontà a nessuno. Se uno non si sente di fare il maestro di scuola, potrà fare un'altra cosa [...] ma la scuola essendo italiana, perciò cattolica, porta con sé le esigenze del popolo italiano.23

L'adesione al fascismo, sempre nel '23, segnava un'altra novità nel percorso ideologico e riformatore di Gentile, il quale vedeva nel governo Mussolini un nuovo ed ulteriore strumento per realizzare concretamente il suo modello di Stato; uno Stato che, come si è detto, rappresentasse la mediazione tra il momento logico-gnoseologico e quello pedagogico-politico della sua dottrina. E quando a partire dal 1925, proprio in coincidenza dei primi tentativi di dialogo tra la Chiesa ed il fascismo, si moltiplicano gli attacchi alla riforma della scuola per cercare di modificarne i contenuti meno graditi al mondo cattolico ma oramai anche al regime, Gentile si accorge in modo evidente della necessità di evitare che la politica di Mussolini si colori troppo di clericalismo. In modo particolare le sue preoccupazioni sembrano riguardare un certo clima che si va creando intorno all'attualismo il quale, soprattutto a causa dei progressivi attacchi da parte cattolica, veniva sempre più presentato come un reale ostacolo alla «conciliazione» tra Italia e Vaticano; di qui l'invito pressante e malcelato al capo del governo di portare avanti, parallelamente all'azione diplomatica, una trasformazione della cultura italiana; la qual cosa equivaleva ad abbandonare la filosofia attualista al suo destino.

La grande abilità delle forze che la Conciliazione mise in atto -- ha scritto Eugenio Garin -- fu di sfruttare, deformandole politicamente, tutte le caratteristiche dell'Idealismo: odioso sul terreno nazionalistico perché di origine non italiana; pericoloso politicamente perché legato al Liberalismo e padre del Marxismo; distruttore della fede dei padri; nemico della scienza.24

Sul piano educativo, inoltre, aggiungiamo noi, l'Idealismo era negatore di quella trascendenza di stampo neo-scolastico tanto cara ai pedagogisti cattolici contemporanei di Gentile. Ma questa esigenza di sottrarre il fascismo all'influenza della Chiesa non sfociava, in lui, nella affermazione risoluta e inequivoca del vero significato e dei veri compiti dello Stato laico; ma piuttosto, accentuando il legame tra politica e religione, esaltava, sul piano pedagogico, l'aspetto che potremmo definire di «integralismo autoritario» della sua dottrina pedagogica:

combattiamo il laicismo della cosiddetta scuola neutra -- afferma Gentile nel 1925 -- [...]; una volta era dogma che bisognava rispettare la coscienza del fanciullo e non preoccuparla con insegnamenti religiosi [...]. Era effetto reale di una autentica ignoranza della vita dello spirito: il quale è sempre libero, sempre maturo, sempre razionale e pure non è mai libero, né mai maturo, né mai razionale [...]. Perciò combattiamo e dobbiamo combattere quest'altra sorta di laicismo che vuole essere il bando della politica dalla scuola; dalla scuola come rapporto tra insegnanti e scolari e dalla scuola come coscienza dell'insegnante e ideale di vita che egli debba perseguire.25

Il «rischio» della Conciliazione mette sempre più in primo piano, per Gentile, la necessità di una maggiore sottolineatura del significato e del ruolo dello Stato etico, unitamente alla convinzione che

il problema scolastico s'intreccia, anzi si immedesima in un certo senso con quello dei rapporti tra Stato e Chiesa [...]. Lo Stato è una sostanza etica [...]: non è una forza esterna alla coscienza dell'individuo [...]. Cosi concepito lo Stato, non essendo niente di meccanico e niente di estraneo allo spirito individuale, è eminentemente educatore.26

Ma questa continua mediazione tra lo spirito laico e quello religioso, tra la concezione dello Stato come «assoluto» e la validità del sentimento religioso «particolare» come condizione inesauribile dello spirito umano, dimostra la consapevolezza di Gentile nel ritenere i tempi non ancora maturi per una rottura definitiva con il Cattolicesimo e finisce per dare coloriture ancora più ambigue al suo pensiero:

l'autorità dello Stato -- scrive nel 1927 -- non viene a patti, non transige, non divide il suo campo con altri princìpi morali o religiosi, che possano interferire nella coscienza [...]. Di qui il carattere squisitamente politico dei rapporti tra lo Stato fascista e la Chiesa. Lo Stato fascista italiano [...] o non è religioso o è cattolico [...]; religioso non può non essere [...] e cattolici non si è se non vivendo nella Chiesa e sotto la sua disciplina. Dunque necessità per lo Stato fascista di riconoscere l'autorità religiosa della Chiesa; necessità politica, riconoscimento politico ai fini della realizzazione dello stesso Stato.27

Sommario

3. L'epilogo

L'attuazione concreta del Concordato poneva fine all'ideale gentiliano della riforma politico-religiosa della società italiana e metteva di conseguenza lo stesso Gentile nella impossibilità di realizzare, tramite il fascismo, il suo progetto. Il 1929 segnava dunque, per l'attualismo in generale, l'inizio di un declino ideologico che aveva tra le sue cause concrete proprio la volontà del governo italiano di ristabilire rapporti amichevoli con la Chiesa; la critica all'attualismo da parte della cultura cattolica, se si eccettuano i primi anni di dittatura del fascismo, nei quali vi era stato un deciso appoggio alla politica di Gentile, diventa sempre più serrata man mano che in Vaticano ci si rende conto della volontà di Mussolini di arrivare alla Conciliazione.

D'altro canto, in una prospettiva più ampia, la crisi della filosofia di Gentile se da una parte, con il passare degli anni, creava spazio per l'intransigente ostilità dei cattolici verso la scuola di Stato, soprattutto così come egli l'aveva concepita, dall'altra aprirà nuove possibilità per quella corrente liberal-socialista della pedagogia, facente capo storicamente a Gaetano Salvemini, la quale fin dai tempi del ministero Croce aveva concretamente denunciato il pericolo della clericalizzazione della scuola.28 Gentile dal canto suo si sforzò di mascherare in qualche modo, con argomentazioni teoriche e con un estremo richiamo alla sua fiducia nel fascismo, una chiara sconfitta culturale e politica ad un tempo. Proprio nel 1929, rinnegando tutte le sue precedenti convinzioni, arrivò a celebrare il riconoscimento del Regno d'Italia da parte del pontefice, e quindi il Concordato, come «l'ultimo sigillo all'opera del Risorgimento e la definitiva instaurazione dei fondamenti morali dello Stato italiano nella coscienza degli italiani».29 Ma è nelle parole scritte due anni più tardi che, nonostante l'apparente fermezza e perentorietà, egli lascia cogliere la consapevolezza della sua sconfitta:

lo Stato ormai lo ha detto con discorso e con i fatti [...] che esso si ritiene in diritto e dovere di educare (e non soltanto di istruire); il che non vuole dire che lo Stato educatore escluda la religione [...] ma rispetto ai suoi fini [...] contenendola, la governa, pur rispettandone il carattere e dentro la sua sfera riconoscendone l'autonomia [...]; perché esso è Stato etico e chi se ne scandalizza [...] è fuori dalla coscienza dello Stato moderno.30

Alla luce delle concessioni che i Patti Lateranensi avevano fatto alla Chiesa cattolica e delle conseguenti trasformazioni nel sistema dell'istruzione pubblica, le parole appena riportate appaiono per lo meno ingenue per un intellettuale e politico come Giovanni Gentile. In questo contesto e su queste basi, le posizioni espresse in Genesi e struttura della società (1943), l'opera considerata il suo testamento intellettuale perché scritta alla vigilia del suo assassinio, e con il naufragio dell'esperienza fascista di fronte agli occhi, appaiono al tempo stesso come una dignitosa riaffermazione delle proprie idee ed un tentativo, tardivo ma sincero, di ritrovare una coerenza nel proprio pensiero teoretico:

Non c'è Stato che ignori la religione del suo popolo [...] -- scrive Gentile -- questa è la laicità superiore dell'uomo (e dello Stato) che sa la religione elemento essenziale della propria esistenza, e cura perciò il suo sviluppo, promuove il suo insegnamento [...]. Lo spirito laico (lo Stato laico) è una favola.31

E quando, dunque, nel febbraio del 1943, durante l'intervento tenuto nell'aula Magna dell'Università di Firenze, afferma: «io sono cristiano. Sono cristiano perché credo nella religione dello spirito. Ma voglio subito aggiungere, a scanso di equivoci: io sono cattolico»,32 Gentile sembra essersi riconciliato con Gentile.

Sommario

Note

  1. G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, in G. Gentile, Opere, a cura della Fondazione G. Gentile, vol. I, Firenze, Sansoni, 1954. Per comodità, circa gli scritti di Gentile utilizzati in questo articolo, si rimanderà sempre alla edizione generale delle Opere curata dalla Fondazione Gentile. Testo

  2. Al tema dell'educazione laica è stato dedicato nell'ottobre del 1994, presso l'Università di L'Aquila, un convegno dal titolo Nuova laicità, cultura pedagogica e educazione democratica, che ha visto la partecipazione di studiosi di pedagogia di vario orientamento. Per quanto riguarda la revisione concordataria del 1984 si veda, tra gli interventi di questo convegno, quello di G. Cives, «Il problema dell'insegnamento religioso», Scuola e città, n. 3, 1995, pp. 130-135, con una breve ma utile bibliografia a riguardo. Cfr. inoltre G.M. Ferretti, Stato etico e Concordato socialista. La dottrina di G. Gentile e i patti Stato-Chiesa del '29 e dell'84, Milano, Giuffrè, 1986. Ancora più di recente si può utilmente vedere il saggio di G. Spadafora, «Gentile e la scuola laica», in G. Cives, G. Bonetta (a cura di), Laicità ieri e domani. La questione educativa, Argo, Lecce, 1996, pp.173-203. Segnaliamo inoltre I. Volpicelli, «Giovanni Gentile», Cadmo, 1996, n. 10-11, pp.139-144. Testo

  3. «A proposito della dimensione spirituale e laica dell'educazione, Croce e Gentile, ma più quest'ultimo, sono all'origine di una serie di equivoci da cui la cultura pedagogica italiana non è ancora riuscita ad uscire. Equivoci dovuti al fatto che i due Filosofi parlavano di uno spiritualismo laico, ma nel medesimo tempo riconoscevano ed auspicavano una formazione religiosa tradizionale fino all'adolescenza» (R. Fornaca, La pedagogia filosofica del '900, Milano, Principato, 1989, p. 43). Si veda anche H.A. Cavallera, «Giovanni Gentile: l'attualismo e la cultura italiana del Novecento», Nuova Secondaria, 1996, n. 9, pp. 55-58 e dello stesso autore «La parte e il tutto. L'immagine della pedagogia attualistica a fine Novecento», I problemi della pedagogia, 1992, nn. 2-3, pp. 177-192. Testo

  4. Si vedano a questo proposito le posizioni di G. Bottai e A. Nasti, rispettivamente sul numero del 1º aprile 1930 e su quello del 1º novembre 1931 di Critica Fascista, entrambi a p. 404. Testo

  5. G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, cit. alla nt. 1, p. 137. Testo

  6. Cfr G. Carocci, Storia del fascismo, Roma, Newton Compton, 1994, pp. 34-35. Testo

  7. Cfr. F. Pacelli, Diario della Conciliazione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1959 e Y. De Bagnac, Taccuini mussoliniani, Bologna, 1990. Testo

  8. A questa evoluzione contribuirono sicuramente una serie di pressanti campagne condotte, attraverso diversi articoli, soprattutto dalla Civiltà cattolica, ma avallate anche, in qualche modo, dagli organi di stampa del Fascismo. Cfr. L. Borghi, Educazione e autorità nell'Italia moderna, Firenze, La Nuova Italia, 1951, pp. 258-259 e G.Canestri -- G. Ricuperati, La scuola in Italia dalla legge Casati ad oggi, Torino, Loescher, 1976. Si veda anche Critica Fascista, 1º gennaio 1928, p. 11. Testo

  9. Cfr. G. Canestri -- G. Ricuperati, cit. alla nt. 8, p. 102. Testo

  10. Cfr. G. Cives, L'educazione in Italia. Figure e problemi, Napoli, Liguori, 1984, pp. 125-147. Testo

  11. T. Tomasi, Idealismo e fascismo nella scuola italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1969, p.98. Cfr. anche a P. Genovesi, La riforma Gentile tra educazione e politica. Le discussioni parlamentari, Ferrara, Corso, 1996 e H.A. Cavallera, «Attualità di Giovanni Gentile», I Problemi della Pedagogia, 1994, n. 1, pp. 1-7. Testo

  12. R. Fornaca, «L'eredità pedagogica dell'idealismo», in G. Tassinari (a cura di), La pedagogia italiana nel secondo dopoguerra, Firenze, Le Monnier, 1987, p. 22. Testo

  13. Cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ad oggi, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 337. In questo senso non sembra di poter condividere il riconoscimento a Gentile di una posizione coerentemente intransigente sull'argomento; riconoscimento che emerge in più di qualche biografia sul filosofo. Ci riferiamo in particolare a S. Romano, G. Gentile. La filosofia al potere, Milano, Bompiani, 1984, e G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze, Giunti, 1995. Più equilibrata appare la posizione di M. Di Lalla, Vita di G. Gentile, Firenze, Sansoni, 1975. Testo

  14. G. Gentile, Educazione e scuola laica, in G. Gentile, Opere, a cura di H.A. Cavallera, vol. XXXIX, Firenze, Le Lettere, 1988, pp. 75-76. Testo

  15. «Nel discorso pronunciato per l'inaugurazione dell'anno accademico 1920-1921, all'università di Roma, [...] il Pensatore spende alcune parole per l'inquietudine dell'ora presente [...]. L'ansia del nuovo, che scuote le fibre più riposte del Paese, non può non investire gli ordinamenti istituzionali di ogni tipo [...]. Il sano conservatorismo liberale della borghesia italiana può salvarsi solo con la fresca ebbrezza del nuovo. È significativo che una tale affermazione venga fatta in occasione di uno dei tanti interventi sulla scuola. È la dimostrazione dell'ormai ribadita identità tra il tema del rinnovamento dell'istruzione in Italia e la esigenza di nuove prospettive politiche generali, che diano consistenza a tale rinnovamento» (M. Di Lalla, Vita di G. Gentile, cit. alla nt. 13, pp. 304-305). Testo

  16. Gentile usò questa espressione per la prima volta nel 1918 in una lettera aperta, all'allora ministro della P.I. Berenini e pubblicata su Il Resto del Carlino. Cfr. G. Quazza (a cura di), Scuola e politica dall'Unità ad oggi, Torino, Stampatori, 1977, pp. 79-81. Testo

  17. «Il cattolicesimo liberatosi dai modernisti, rinverdirà sul suo tronco secolare» (G. Gentile, Il modernismo e i rapporti tra filosofia e religione, in G. Gentile, Opere, cit. alla nt. 1, vol. XXXV, p. 75). Testo

  18. G. Gentile, Guerra e fede, in G. Gentile, Opere, a cura di H.A. Cavallera, cit. alla nt. 1, vol. XLIII, p. 108. Testo

  19. G. Gentile, Dopo la vittoria, in G. Gentile, Opere, a cura di H.A. Cavallera, cit. alla nt. 1, vol. XLIV, pp. 100-101. Da notare che proprio in questo contesto e in questo periodo, Gentile modifica la sua posizione verso il modernismo, auspicando l'incontro tra cattolicesimo democratico e liberalismo. Cfr. ancora G. Gentile, Guerra e fede, cit. alla nt. 1, pp. 108-110. Testo

  20. La definizione è di M. Di Lalla, op. cit., pp. 397-401. Testo

  21. Ivi, p. 398. In particolare Di Lalla scrive che «la posizione di centralità della Riforma a direzione laica ha significato un continuo equilibrio instabile, che era facile alterare e che Gentile spesso ha alterato in una direzione o in un'altra». Si veda anche H.A. Cavallera, «L'organizzazione del sapere ovvero la prassi come formazione in Giovanni Gentile», in M. Gaeta (a cura di), Giovanni Gentile. La filosofia, la politica, l'organizzazione della cultura, Venezia, Marsilio, 1995, pp. 92-117. Testo

  22. G. Gentile, Discorsi di religione, in G. Gentile, Opere, cit. alla nt. 1, vol. XXXVII, p. 30. Per quanto riguarda la posizione di Bottai si veda Critica Fascista, 15 luglio 1931, p. 145. Testo

  23. G. Gentile, La riforma della scuola in Italia, in G. Gentile, Opere, a cura di H.A. Cavallera, cit. alla nt. 1, vol. XLI, p. 174. Di parere diverso, Gentile, era sembrato essere nel Sommario di pedagogia, dove aveva scritto: «qui non si tratta di determinare se nella scuola ci debba essere un insegnamento religioso, ma quale: e la lotta sorge sempre contro forme determinate di religione, le quali sono viceversa forme essenziali per lo spirito dei loro adepti. Di guisa che resta a ciascuno di pigliare partito secondo la propria coscienza e di combattere socialmente per la propria fede». Si veda G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, cit. alla nt. 1, vol. II, pp. 192-193. Testo

  24. E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), con appendice quindici anni dopo (1945-1960), Bari, Laterza, 1966, p. 498. Dal punto di vista dei rapporti tra fascismo e politica culturale di Gentile va segnalato anche il recente contributo di M. Durst, Gentile e la filosofia delll'Enciclopedia italiana, Pellicani, 1998. Testo

  25. G. Gentile, Politica e cultura, in G. Gentile, Opere, a cura di H.A. Cavallera, cit. alla nt. 1, vol. XLV, pp. 252-253. Testo

  26. Ivi, p. 432. Testo

  27. Ivi, p. 408. Circa la concordanza di vedute tra Gentile e Mussolini sull'identità di fascismo e cattolicesimo cfr. T. Tomasi, op. cit., pp. 94-95. Testo

  28. Su questo punto cfr. L. Borghi, op. cit., pp.197-215, insieme a G. Tognon, Benedetto Croce alla Minerva, Brescia, La scuola, 1970. Testo

  29. G. Gentile, Dopo la vittoria, cit. alla nt. 19, p. 138. Testo

  30. G. Gentile, Politica e cultura, cit. alla nt. 25, p. 456. Testo

  31. G. Gentile, Genesi e struttura della società, in G. Gentile, Opere, vol. IX, cit. alla nt. 1, p. 88. In questo senso ci sembra giusto osservare, come è stato già fatto, che «l'attributo laico è paradossale se applicato ad una entità che si autoproclama "etica". Uno Stato etico non può essere laico, poiché uno Stato etico è implicitamente totalitario, e il totum dei contenuti del complesso socio-economico-culturale è [...] religioso: nulla può ammettersi e nulla può accadere fuori di esso» (G.M. Ferretti, Stato etico e Dio laico. La dottrina di G. Gentile e la politica fascista di conciliazione con la Chiesa, Milano, Giuffrè, 1983, p. 241). Testo

  32. G. Gentile, Discorsi di religione, cit. alla nt. 22, p. 124. Testo