Introduzione: l’auto-temporalizzazione della coscienza
Credo non sia esagerato affermare che il problema del tempo attraversi in forma pervasiva tutta la fenomenologia di Husserl.1 Il tema della soggettività trascendentale e della struttura intenzionale che la caratterizza, si intreccia, come vedremo, in una forma che diverrà sempre più problematica nel percorso fenomenologico husserliano: l’emergere progressivo del fatto essenziale di essere sia costituente che costituita nella coscienza del tempo. Inizialmente, nelle lezioni del 1905, la coscienza del tempo, intesa fenomenologicamente, è l’esito di un’analisi che pone fuori gioco il tempo obbiettivo con tutte le affermazioni che lo riguardano, mettendo tra parentesi quel tempo mondano, reale, delle scienze della natura nonché della psicologia stessa, per lasciare affiorare il vissuto del tempo come il trascorrere immanente alla coscienza nella sua purezza: si tratta dell’«assumere un tempo che è, ma questo non è il tempo del mondo dell’esperienza bensì il tempo immanente del flusso di coscienza».2
Al suo esordio, l’analisi della coscienza del tempo si svolge secondo lo schema apprensione-contenuto d’apprensione della percezione trascendente proposto nelle Ricerche Logiche,3 secondo cui la cosa viene appercepita nella sua totalità animando intenzionalmente quei suoi lati particolari che in sé sarebbero informi sensazioni. L’analisi della coscienza del tempo, quella degli oggetti temporali e della loro durata, implica che ogni fase attuale della percezione rimandi ininterrottamente, per la propria completezza, alla ritenzione della fase passata (chiamata inizialmente memoria primaria) e alla protenzione verso quella futura (attesa primaria). Affinché ciò avvenga, seguendo tale schema, si renderebbe necessario un atto di coscienza oggettivante, una sorta di ravvivamento intenzionale inteso come forma di apprensione offerta ai contenuti temporali in sé privi di quel significato di oggetti presenti appena trascorsi o non ancora immediatamente presenti. Tutto ciò sarebbe dunque reso possibile sulla base dello schema apprensionale secondo cui senza un’apprensione oggettiva che lo costituisca intenzionalmente, «l’intendere non può mirare verso un oggetto».4
Un’analisi dell’attività intenzionale della coscienza del tempo richiede inoltre una descrizione di come gli oggetti temporali pervengano a costituirsi in atti percettivi di coscienza. Tale intreccio rende a sua volta possibile quella ripresentazione operata dal ricordo (memoria secondaria) secondo cui l’oggetto di percezione attualmente rimemorato era presente come percepito nel passato e l’oggetto dell’attesa futura (attesa secondaria) potrà venir appreso come un oggetto di percezione presente. Ma il tratto essenziale di tale operazione è la scoperta husserliana che ciò che lega e annoda questi differenti fili del tempo è quello non solamente di una trama continua in cui emerge, nelle sue differenti fasi, il vissuto dell’oggetto temporale, ma anche la consapevolezza stessa del vissuto temporale in quanto tale;5 scoperta che contraddistingue anche il progressivo decadere della validità unilaterale dello schema apprensionale mutuato dalle Ricerche logiche. Nelle lezioni del semestre invernale 1906-1907, viene descritta l’idea di una coscienza del tempo assoluta, come «un flusso temporale nel quale si costituiscono atti del percepire immanente, che delimitano i momenti a esso stesso appartenenti e le sue parti, trasformandole in datità».6 Si tratta di una pura intenzionalità in cui la coscienza ritiene, trattiene l’oggetto temporale e, simultaneamente, si ritiene: ritiene gli oggetti passati nel presente e ritiene sé stessa in quel che già non è più. Husserl chiama la ritenzione della durata passata dell’oggetto temporale, intenzionalità trasversale (Querintentionalität) e la ritenzione del flusso trascorso della coscienza assoluta, intenzionalità longitudinale (Längsintentionalität).7 Per Husserl le due intenzionalità formano un’unità indissolubile in cui la temporalità del rapporto a sé e del rapporto alle cose è strettamente correlata: «vi sono, quindi, intrecciate nell’unico flusso di coscienza due intenzionalità unite inscindibilmente e necessarie l’una all’altra come due lati di una sola cosa».8
In tale riflessione viene alla luce come la coscienza di un oggetto nel tempo sia contemporaneamente la coscienza di me stesso in quanto esperienza del tempo: si tratta di descrivere la costituzione degli oggetti temporali negli atti percettivi alla luce della temporalità degli stessi atti percettivi costituenti. La coscienza di un oggetto intenzionale è anche operativamente cosciente di sé: si dà essa stessa senza che vi sia alcuna distanza tra la sua apparizione e la sua datità.9 La coscienza del tempo deve, in tal modo, innanzitutto, essere intesa come coscienza del tempo e, assieme, come tempo della coscienza, una descrizione circolare che conduce al tema fenomenologico dell’auto-manifestazione della coscienza: una coscienza assoluta del tempo che ritiene sé stessa ed è in sé stessa ritenente.
La coscienza della successione temporale è inoltre impossibile senza il legame continuo che unisce la percezione passata a quella presente. «È ben evidente – afferma Husserl – che la percezione di un oggetto temporale ha essa stessa temporalità, che percezione della durata presuppone a sua volta durata della percezione, che la percezione di una qualsivoglia figura temporale ha anch’essa la sua figura temporale».10 Esiste un primo livello della coscienza interiore del tempo, nel quale in ogni momento della percezione è sottintesa una durata dell’oggetto temporale, e in cui il corso della percezione consente di seguire l’oggetto temporale nel suo stesso dispiegarsi in continuità. Per tale motivo, il corso della percezione consente di seguire l’oggetto temporale nel suo dispiegamento continuo e vivente, come avviene ad es. nel caso della percezione della durata del suono rispetto ad una melodia. Vi è però anche un secondo livello, più profondo, una sorta di strato ultimo di coscienza, che Husserl chiama «flusso della coscienza assoluta, costitutiva del tempo».11 Questo livello viene definito assoluto perché costituisce i diversi oggetti temporali immanenti, ne è la condizione di possibilità e quindi non è a sua volta costituita, non si trova all’interno del tempo, non è «nulla di temporalmente obbiettivo».12 In tal modo la riflessione fenomenologica sulla coscienza del tempo mette a fuoco la propria operatività, mostrando quella struttura dell’esperienza intenzionale in cui, prima di essere tematizzata, la coscienza viveva in una forma irriflessa di dimenticanza di sé. Husserl descrive la vita di coscienza, come vita fungente – indipendentemente dai suoi gradi di attenzione – e, assieme, come il fluire di uno «sguardo dall’'ora' verso il nuovo 'ora', […], qualcosa di originario, che per primo prepara la strada per future intenzioni di esperienza».13
Questo procedimento critico-riflessivo mostra, inoltre, come l’esperienza percettiva del presente, la presentazione (Gegenwärtigung) non sia una semplice coscienza istantanea di un’ora puntuale del tempo oggettivo, poiché essa è sorretta essenzialmente da un fluire continuo, attraversato a sua volta da un vincolo di coscienza, per cui già in una fase presente di tale processo si trova necessariamente implicata la coscienza delle fasi immediatamente precedenti e di quelle immediatamente successive.14 Rispetto a ciò, il ricordo (la rimemorazione) e l’attesa (l’anticipazione futura) che emergono in esso, sono atti di ripresentazione (Vergegenwärtigung) che mettono in opera una sorta di raddoppiamento del presente e che non devono quindi essere affatto confusi con la presentazione (Gegenwärtigung) ma vanno necessariamente distinti dall’intreccio continuo dei momenti ritenzionali-protenzionali non indipendenti su cui poggiano, e ai quali è necessariamente vincolato qualsiasi atto intenzionale attualmente presente.
A partire dai materiali di ricerca di Bernau del 1917-18,15 tali questioni, legate all’alternarsi strutturale lungo l’asse ininterrotto della coscienza assoluta, di ritenzione e protenzione, accentuano sempre più il loro aspetto problematico in relazione alla descrizione stessa della costituzione fenomenologica della coscienza. Alla criticità messa in luce dai manoscritti di Bernau, si affianca il progressivo intreccio della fenomenologia del tempo come fenomenologia genetica: un passaggio decisivo in cui il fungere intenzionale della coscienza viene alla luce come il formarsi di un continuum di auto-differenziazione: una sorta di incessante de-presentazione di sé che si rivela essere essa stessa, paradossalmente, la propria condizione di possibilità.16 In questo percorso va ulteriormente approfondendosi il tema della coscienza che ritiene sé stessa ed è in sé stessa ritenente, la coscienza assoluta, che si rivela essere un processo di auto-temporalizzazione, in cui essa è differenziazione da sé e differenziazione di sé.17 Vedremo nella parte conclusiva delle nostre osservazioni, come questo processo di auto-temporalizzazione che è anche un processo di de-presentazione, venga ripreso da Husserl e radicalmente trasformato e approfondito nelle analisi fenomenologiche attorno all’empatia e alla rimemorazione.
Intimità e alterità nel legame tra soggettività e tempo
Il concetto di assolutezza che si va costruendo nel pensiero husserliano, a partire proprio dall’approfondimento progressivo delle tematiche temporali, trova dunque un punto di svolta decisivo nei manoscritti di Bernau e culmina, seppure in una sempre più accentuata tensione problematica, nei materiali datati tra il 1929 e il 1934 raccolti nei C-Manuskripte.18 «Appartiene all’essenza della coscienza del tempo – afferma Husserl, – di essere allo stesso tempo la coscienza d’unità della propria immanenza e la coscienza d’unità di un oggetto trascendente».19 Tale assolutezza rivela l’intima reciprocità tra soggettività e tempo, l’inseparabilità tra la forma di temporalità di un oggetto e i modi temporali possibili dati alla coscienza, che si rivelano come i modi d’orientamento della soggettività stessa.20 Al cuore di questa operatività costitutiva sta un’«incessante auto-perdita di presenza» che caratterizza la coscienza «assoluta» come tale.21 Nel processo di rimemorazione, il passato che sono diventato per me stesso può essere ricuperato soltanto da una distanza in cui quella presenza perduta è data di nuovo e non grazie ad una presunta ripetizione di un’ora originario. Tuttavia, questa perdita di presenza diviene parte integrante di un rinnovo totale della presenza che si rivela come il trascorrere di un’incessante e ricorrente differenza tra passato e futuro.
Come discuteremo meglio nell’analisi della rimemorazione, la questione cruciale invece di essere quella impressionale dello Jetztpunkt, della presenza immanente nel suo riproporsi, si rivela invece, paradossalmente, essere quella della fenomenologia dell’assenza: «è nella presenza del passato che Husserl vede la modalità fondamentale della presenza dell’assenza».22 Come si è visto, la coscienza assoluta è coscienza originaria, coscienza cioè dell’origine della differenza tra soggetto e oggetto secondo due funzioni inseparabili: nell’intenzionalità longitudinale, la coscienza assoluta resta ancorata alla propria soggettività non potendo mai apprendersi come oggetto. Ma si tratta però anche della medesima coscienza che nell’intenzionalità trasversale apprende degli oggetti in uno sfondo di costante depresentazione di sé e dei propri vissuti: la tematizzazione fenomenologica mostra infatti come la coscienza possa apprendere sé stessa se non nell’esser già stata modificata ritenzionalmente e questa differenza con sé stessa chiama allora direttamente in causa la figura dell’alterità nella descrizione fenomenologica del tempo poiché la presenza della coscienza a sé medesima si forma paradossalmente sullo sfondo dell’assenza. Tutto ciò non contraddice il ruolo centrale nella coscienza assoluta occupato dall’impressione originaria: essendo costantemente accompagnata dalla ritenzione, l’impressione originaria non esaurisce affatto il presente della coscienza nel suo riproporsi. Se però il tempo di tale autodatità della coscienza assoluta può ancora venir chiamato presente, bisogna allora affermare – come si è già sottolineato – che il presente è l’intreccio continuo, nel suo alternarsi, tra il presente e il passato: esso emerge da tale costante differenza. Tale presente originario (Urgegenwart) è dunque in sé un presente paradossale: un continuum di auto-differenziazione, un presente che-diviene-passato, un presente che, per sua natura, nel suo rinnovarsi, si distanzia continuamente da sé.23 In questo senso tale fungere della coscienza originaria del tempo sfugge alla definizione e può essere descritto da Husserl come flusso solo metaforicamente:
è qualcosa che noi chiamiamo così in base al costituito, ma che non è nulla di temporalmente “obbiettivo”. È l’assoluta soggettività ed ha le proprietà assolute di qualcosa che si può indicare, con un’immagine, come flusso di qualcosa che scaturisce in un punto d’attualità in un punto che è fonte originaria, in un “ora”, ecc. Nel vissuto dell’attualità, noi abbiamo il punto fonte originaria e una continuità di momenti di risonanza. Per tutto questo ci mancano i nomi.24
L’esser fungente della coscienza intenzionale come fase assolutamente originaria dell’adesso vivente (das Moment des lebendigen Jetzt), rappresenta uno dei temi essenziali e più sofferti della ricerca husserliana attorno alla coscienza del tempo,25 e, come afferma Bernet, rappresenta lo «sforzo prolungato fino alla fine della sua opera per nominare l’attualità vivente, la urtümliche stehend-strömende Vorgegenwart, della coscienza assoluta».26 Per Husserl, nell’analisi fenomenologica della coscienza ritenzionale si rivela però anche una sorta di limite, rappresentato dal progressivo e ineludibile diradare delle ritenzioni nel raggiungimento di un orizzonte silenzioso in cui la visibilità intuitiva e la forza affettiva si offuscano interamente. Non si tratta di una dissoluzione totale, ma piuttosto della condizione necessaria perché possa darsi nel continuum della coscienza ritenzionale-protenzionale un passato e la possibilità della sua ripresentificazione tramite la rimemorazione, altrimenti «nulla potrebbe diventare passato per me, e la mia vita sarebbe soffocata nell’accozzaglia ammassata nel mio vivere presente nella sua espansione senza limite. […] Ciò che viviamo non ci lascia mai, ma rimane 'dormiente' nel nostro passato aperto alla riattivazione in atti di ridestamento chiamati ricordo o riflessione».27
Al ridestamento di ciò che sprofonda offuscandosi e dissolvendosi nel passato, si affianca inoltre anche il problema della morte come limite estremo fenomenologicamente irrapresentabile. In un’annotazione del 1932, Husserl parla a riguardo di un «luogo per la possibilità della morte che non è rappresentabile nell’auto-osservazione egologica, che non può avere alcuna intuizione conforme al vissuto».28 Ma tale senso-limite si sottrae – seppure problematicamente – alla dimensione temporale trascendentale, che è invece, al contrario, un’apertura virtualmente infinita messa in gioco dal continuo alternarsi di presenza e assenza nell’incessante modificazione ritenzionale-protenzionale che caratterizza la dimensione assoluta della coscienza del tempo. Il riemergere attraverso il ricordo, la ri-presentazione del presente passato, non è dunque affatto il fantasma di ciò che è stato, non è un nulla, un qualcosa che riappare nel suo non esser più, poiché il presente passato si mantiene (viene ritenuto) – come modificato – assieme al mantenere (al ritenere) sé stessa da parte della coscienza assoluta del tempo. Inoltre, a tale divenire appartiene oltre al ripetersi del presente in altro, tramite la modificazione ritenzionale operata dal ricordo, anche la possibilità stessa, tramite la protenzione, del potersi riprogettare nel futuro.
Nelle considerazioni successive cercheremo di approfondire la dimensione di trascendenza di tale struttura temporale discutendone il legame con la questione della riduzione primordinale su cui si interroga Husserl nelle sue ultime riflessioni fenomenologiche.29 Discuteremo inoltre come, tramite tale tematizzazione, Husserl avvicini essenzialmente l’empatia, la condizione costitutiva dell’esperienza dell’altro, alla forma temporale della rimemorazione. In questo modo si vedrà come affiori tematicamente una dimensione di alterità, una sorta di trascendenza nell’immanenza, che, paradossalmente, non solo costituisce la struttura stessa dell’identità dell’io, ma consente di intendere, assieme al senso e all’unità temporale della mia esistenza, l’unità interpersonale con l’altro sullo sfondo essenziale di un tempo e di un mondo comune.
L’Einfühlung e la riduzione primordinale
Husserl, lungo un percorso fenomenologico che culmina negli anni ’30, nella sua ultima fase di pensiero, cerca di tematizzare il senso di alterità che abita la coscienza del tempo con l’approfondimento trascendentale dell’intenzionalità vivente dell’io nella sua struttura primordiale temporale per mezzo della riduzione primordinale all’io come presente vivente, come Lebendige Gegenwart.30 Per mezzo di tale riduzione (nelle sue varie sfaccettature), Husserl cerca inoltre di indicare più chiaramente il senso fondamentale del legame intersoggettivo-intenzionale che esiste tra gli io personali-individuali in quanto monadi nel loro comune nesso genetico-temporale. L’assunzione di fondo è quella dell’io come vita trascendentale, come condizione essenziale dell’individualità concreta e della relazione intermonadica ad essa essenzialmente connessa: «la considerazione dell’individualità della monade conduce alla questione dell’individualità di una molteplicità di monadi coesistenti e collegate geneticamente l’una all’altra e, in riferimento al “nostro” mondo, alla questione della chiarificazione monadologica del mondo naturale psico-fisico e del mondo comune».31
Senza tale riferimento all’intreccio di relazioni che competono all’io inteso come vita trascendentale, tale questione rimarrebbe del tutto vaga: la scoperta trascendentale che la riduzione mette in luce non è la coscienza come cosa, come realtà psicologica, ma sono invece le modalità fondamentali della vita di coscienza, della vita dell’io, la cui proprietà essenziale è l’intenzionalità: l’aver coscienza di, in stretta correlazione con ciò a cui il cogito si rivolge incessantemente, i suoi cogitata, la «scoperta in sé stessi della correlazione universale, in sé assolutamente conclusa e assolutamente autonoma, di mondo e coscienza del mondo».32 Tale senso è per Husserl «oggettività intenzionale delle mie cogitationes. […] Ogni dimostrazione, giustificazione di verità ed esistenza scorre in tutto e per tutto in me e il suo compimento avviene nel cogitatum del mio cogito».33 Nella Krisis, Husserl parla addirittura della necessità dell’inversione della sequenza cartesiana ego-cogitatio-cogitata, inversione a cui corrispondono i modi diversi dell’intenzionalità raccolti nell’unità sintetica del polo egologico vale a dire la «direzione su qualcosa, apparizione di qualcosa, e qualche cosa, l’unità delle sue apparizioni, ciò a cui tende, attraverso le apparizioni stesse, l’intenzione del polo egologico».34
Bisogna partire dunque dai cogitata che si danno nell’intenzionalità ingenua, normale, del mondo della vita, per poi sospenderne il grado naturale di certezza e capirne i differenti modi di apparizione e loro strutture intenzionali. Come vedremo in seguito, si può pervenire però ad un secondo grado di riflessione trascendentale attorno all’identità stessa del polo egologico: quello della sua identità temporale. Si tratta di un aspetto generale-formale – decisivo per le nostre considerazioni – vale a dire quello di un io che si configura come «un io che si costituisce nelle sue modalità temporali: lo stesso io, che ora è attualmente presente, in ciascuno dei suoi passati è in un certo modo un altro io, appunto quell’io che era e che non è più e che rimane tuttavia nella continuità del suo tempo, un unico e medesimo io, l’io che era e che ha davanti a sé il proprio futuro».35 Ma prima di approfondire il ruolo della rimemorazione nell’analisi della temporalità costitutiva dell’io, si rende necessario un passaggio ancora più radicale: quello rappresentato, per Husserl, dalla riduzione primordinale che consente di mostrare il fondo ultimo di tale territorio trascendentale, nel riferirsi ad esso come ciò che è assolutamente e primariamente mio.
Naturalmente, il primo equivoco dal quale bisogna liberarsi è quello della ricaduta in un atteggiamento solipsistico poiché l’esito della riduzione riguarda radicalmente il senso di tutto ciò che esiste, ed esiste essenzialmente per me, compreso il mondo altrui di cui faccio essenzialmente parte. Anche la più ingenua domanda sull’esistenza di un mondo esteriore, presuppone che io abbia già introiettato il significato di uno spazio mondano e quello ad esso relativo di una realtà esterna. Per Husserl, la soggettività trascendentale è l’universo del senso possibile, ciò che ne è al di fuori è insensato: l’insensatezza stessa non è nient’altro che la sua modalità negativa. Ma per cogliere adeguatamente il senso del mondo intersoggettivo e del mio essenziale farne parte devo però prima capire ciò che è inalienabilmente mio. Solo a partire dal significato della mia concreta individualità posso passare alla relazione con gli altri ed al mondo circostante che con essi condivido. Per capire l’altro devo prima raggiungere quel che mi è più proprio. Devo potermi distinguere da tutto ciò che non sono. In un certo qual modo l’attraversamento della sfera solipsistica è una sorta di passaggio necessario per raggiungere la sfera dell’altro e quella della comune base intersoggettiva tra me e l’altro.
Per trovare quel che mi è più proprio devo astrarre totalmente dal mondo intersoggettivo. Devo iniziare con il mettere tra parentesi l’esistenza degli altri e «tutti gli strati di senso del mio ambiente che sorgono in me dal valore d’esperienza degli altri».36 Per Husserl, tramite tale riduzione, decostruendo quel mondo che mi appare sempre come un orizzonte aperto verso gli altri, devo dunque trovare la mia irriducibile facoltà primordiale.37 Per mezzo della mia pura autoriflessione riduco allora tutte le esperienze reali e possibili che ho di me stesso e degli altri al puro senso d’essere dell’io nella sua attività e affettività. Ottengo in tal modo, come approfondiremo meglio, la mia pura sfera del vissuto, quella del mio fluire immanente del tempo. Nel flusso del vissuto risiede tutto quel che è intenzionale, a cui io sono rivolto nei miei atti o da cui sono passivamente affetto:38
nel compimento di questa universale riduzione ci troviamo di fronte a nient’altro che alla tanto discussa riduzione fenomenologica e a quel nuovo territorio dell’essere, quella soggettività trascendentale da me così denominata. In realtà, quando perveniamo fondamentalmente alla fine di quel che autenticamente è l’accadere necessario per giungere alla primordialità, perveniamo con estrema precisione alla riduzione fenomenologico trascendentale.39
Va dunque innanzitutto guadagnato un essere egologico che escluda da sé qualsiasi relazione di estraneità. Tramite la riduzione primordinale devo poter pervenire a ciò che è assolutamente mio, a ciò che mi è più proprio. Solo su questa base l’altro si può costituire come tale e io stesso posso divenire un altro per lui. La riduzione primordinale è il punto di appoggio indispensabile per intendere l’esperienza dell’alterità, e diviene la base essenziale per capire l’empatia, la modalità costitutiva dell’esperienza dell’altro. Il guadagno paradossale di tale riduzione è quello secondo cui l’altro può relazionarsi a me proprio perché viene escluso dall’accesso diretto alla mia sfera primordinale e viceversa.40
Secondo Husserl, il senso di tutto ciò che risulta essermi estraneo come non-io deve dunque essere tematicamente sospeso per poter raggiungere la mia sfera primordinale: in questo modo «ciò che mi è specificamente proprio in quanto sono un ego, il mio essere concreto come monade», viene in evidenza attraverso l’esclusione della relazione con quell’io che non sono, con quel mondo che non è solo il mio, ma è di quell’altro che per «il suo senso costitutivo rinvia a me stesso» come «esperienza dell’estraneo».41 Devo dunque partire da una radicale auto-assunzione, astraendo da tutte le forme di mediazione tramite cui l’altro mi è presente, poiché «il fatto che questa mia essenza propria può in generale venire per me in contrasto con qualcos’altro o il fatto che io quale io sono, possa divenir conscio di un altro io che io non sono, di un io a me estraneo, presuppone che non tutti i miei modi di coscienza rientrino nella cerchia di quelli che sono i modi della mia autocoscienza».42
Attraverso l’esercizio della riduzione devo raggiungere la mia sfera primordinale, la sfera di quel che mi appartiene in modo inalienabile, ottenuta escludendo ogni forma di presenza dell’estraneo. L’assolutamente mio si definisce nell’astrazione totale dall’altro. Nella riflessione trascendentale viene rovesciata la dimensione quotidiana, usuale della consuetudine agli altri. Come Husserl sottolinea già nella prima stesura della Quinta meditazione, «la riduzione alla mia sfera di appartenenza (Eigenheitssphäre) trascendentale o al mio stesso io trascendentale attraverso l’astrazione da tutto ciò che la mia costituzione trascendentale mi dà come estraneo, ha qui un senso inusuale. Diversamente, nell’atteggiamento mondano naturale mi trovo nella forma dell’esser di fronte: io e gli altri. Astraggo dagli altri nel senso consueto e rimango in tal modo io solo».43 Deve dunque essere tematicamente esclusa l’intera intenzionalità rivolta all’estraneo, l’effettività per me della sua esistenza e il mio legame con esso in un mondo intersoggettivo:
tale problematica guadagna comprensibilità – aggiunge Husserl – quando caratterizziamo a fondo la sfera del proprio (Eigenheitssphäre) dell’ego. L’esclusione tematica delle operazioni costitutive dell’esperienza dell’estraneo e con esse di tutte le modalità di coscienza relative all’estraneo non riguarda ora la pura epoché fenomenologica all’interno della validità d’essere di tutte queste modalità di coscienza che è già dischiusa nell’universalità della riduzione trascendentale. Noi poggiamo già sul terreno trascendentale. Ma ora […] noi prescindiamo nel fenomeno del mondo dagli altri e da tutto ciò che è conforme alla loro esistenza, e ci chiediamo cosa rimanga.44
Vi è dunque all’opera nella riduzione primordinale, una duplice spoliazione: quella eseguita dall’epochè della totalità della realtà mondana ma assieme anche un ulteriore riduzione del fenomeno così guadagnato con l’esclusione di ogni dimensione di alterità. Quel che rimane in questo processo di astrazione è per Husserl una sorta di substrato ultimo che mi appartiene essenzialmente, che mi costituisce non come mera corporeità, ma in quel che io sono in quanto Leib: vale a dire l’assoluta vicinanza, l’assoluta prossimità con me stesso in quanto essere vivente, l’auto-percezione della mia stessa vitalità intenzionale.45 Questa prossimità è la mia sfera personale, del tutto originale, è la mia intimità inaccessibile all’altro. Non appena abbiamo messo fuori circuito, tramite la riduzione primordinale, le operazioni intenzionali dell’empatia, otteniamo dunque una natura ed una corporeità vivente, che è la mia stessa vita con le sue potenzialità di esperienza avvertite come assolutamente inseparabili da me.46
Ma, paradossalmente, assieme al guadagno di quel che mi è più proprio, ottenuto escludendo ogni forma di presenza dell’estraneo, prende corpo, nelle analisi husserliane, anche la questione di come la mia esclusiva proprietà, la mia primordinalità assoluta, per esser riconosciuta come tale, include anche l’esclusiva proprietà dell’altro. Proprio a partire dalla mia inalienabilità anche la figura dell’altro è direttamente e nuovamente chiamata in causa. Mi devo cioè interrogare attorno al fatto che anche l’io dell’altro, al pari del mio io, debba essere intimamente e immediatamente connesso alla sua sfera primordinale così come io sono vincolato alla mia. Devo chiedermi appunto se esista una via che conduce all’altro come «altro trascendentale» con le mie stesse caratteristiche costitutivo-primordiali.47 Vi è tra me e l’altro un singolare rispecchiamento secondo cui la primordinalità dell’altro non mi è data nel modo diretto in cui sono consapevole della mia, così come, la mia sfera primordinale, in quanto assolutamente mia non è direttamente accessibile all’altro. In questo senso, non vi è alcuna possibilità di una diretta esperienza percettiva:
esperienza [afferma Husserl] è coscienza originale e infatti, quando facciamo esperienza di un uomo, in generale diciamo che è l’altro stesso ad essere lì dinnanzi a noi in carne ed ossa. D’altro lato questo suo esser lì in carne ed ossa, non ci impedisce di ammettere senza indugi che lì dinnanzi a noi, non ci pervengano autenticamente a datità originaria di quest’altro io, i suoi vissuti di coscienza, i suoi fenomeni stessi, quel che gli si manifesta, nulla di ciò che appartiene alla sua stessa essenza propria.48
Il costituirsi dell’altro in me tramite l’empatia (la necessità costitutiva del suo venir appresentato) avviene dunque come modificazione del mio io primordinale tramite cui io esperisco fattualmente l’altro come un altro io con la sua costituzione mondano-temporale poiché non posso esperire direttamente tale costituirsi così come invece avviene per il mio io.49 Nell’esperire l’altro nella sua propria vita intenzionale non faccio esperienza diretta del suo sé, dei suoi vissuti, dei suoi oggetti intenzionali, delle sue prospettive di percezione ecc. «Quel che è proprio all’ego estraneo […] non è a priori direttamente esperibile in sé stesso».50 Ma nel cogliere l’estraneo come tale, nel coglierlo cioè come colui la cui intimità più profonda, il suo io primordinale, necessariamente mi è inaccessibile, ne riconosco la validità di alterità, vale a dire riconosco l’altro come un altro io individuale in carne ed ossa e non come una mera riproduzione di me stesso.51 Ed è in questo contesto che va intesa l’affermazione decisiva che Husserl fa al § 50 nella V delle Meditazioni cartesiane:
se vi fosse la possibilità di accedere direttamente all’altro in ciò che gli è essenzialmente proprio, allora l’altro sarebbe meramente un momento dell’essenzialmente mio e, in definitiva, io e l’altro non saremmo che la medesima cosa.52
Si tratta di un passaggio di fondamentale importanza poiché indica che il senso più profondo dell’individualità personale si mostra tramite il senso essenziale dell’esperienza dell’altro: nella necessità di appresentarmi l’altro come un io estraneo risiede la garanzia stessa della mia individualità e dell’impossibilità che essa venga annullata in quella altrui e viceversa.53
Iniziando allora da quest’ordine di questioni può anche essere chiarito quel che si va profilando per Husserl come il senso di «una teoria dell’empatia», come modalità di un’«intenzionalità di più alto grado», intenzionalità in cui nei propri vissuti confluiscono anche quelli dell’altro io, allargando in questo modo concretamente all’altro la sfera del proprio ego primordinale.54 Seguendo la modalità dell’empatia avremmo dunque a che fare con un alter ego, il cui senso «io» scaturisce originariamente da me stesso: «nel primo grado, quello più primitivo dell’esperienza dell’estraneo, sarebbe dunque il puro primordinale io-stesso quel che in essa viene empatizzato nella forma di senso dell’altro».55 Vi è dunque una relazione necessaria tra il proprio e l’estraneo che deve essere ricondotta al ruolo cardine giocato dalla motivazione nella modalità dell’esperienza dell’altro: esiste cioè un nesso necessario tra il motivante che è il proprio, la mia sfera primordinale, e il motivato che è l’estraneo, la sfera primordinale dell’altro. Questo nesso si manifesta in una sorta di struttura reciproca, una dimensione cooriginaria con l’altro che, come cercheremo di mettere in evidenza, poggia su quella che è la comune qualità temporale dell’intersoggettività intesa come intersoggettività trascendentale, condizione della coappartenenza di ciascun individuo ad un mondo comune in cui la vitalità primordiale-intenzionale dell’altro, ciò che gli è assolutamente proprio, motiva la mia appercezione dell’altro come alter ego, un altro io, un analogon alla mia primordialità.56
Io mi ritrovo insieme all’altro in virtù di quel fondamento che è la nostra comune intangibilità della sfera primordinale ancor prima del dispiegarsi di un qualsiasi meccanismo analogico-associativo. La mia intangibilità assieme a quella dell’altro, è dunque il fondamento intersoggettivo del legame tra le nostre esistenze, garanzia reciproca della nostra individualità. È ciò di cui io faccio continuamente esperienza nel mio incontro con l’altro. «In virtù dell’esperienza dell’estraneo si stabilisce immediatamente tra me, io psicofisico primordinale […] e l’altro che viene esperito nell’appresentazione, […] tra il mio ego monadico e il suo», una comunità fondamentale. Comunità che è sua volta «fondamento di tutte le altre formazioni intersoggettive di comunità».57 Nell’individuazione di una sfera di radicale intangibilità che si rivela essere, sia per me che per l’altro, proprietà essenziale, primordiale, si fonda dunque anche quella comune possibilità della pluralità delle esistenze individuali: nell’analisi dell’empatia in relazione alla riduzione primordinale scopriamo dunque il nostro comune fondamento intersoggettivo. Per Husserl, l’estraneo si costituisce quindi innanzitutto a partire da me stesso, e viene appercepito secondo una cadenza proprio corporea:
ammettendo adesso che un altro uomo entri nel nostro dominio percettivo, vediamo che, riducendo ciò in senso primordinale nel dominio percettivo della mia natura primordinale si fa luogo un corpo che, per esser primordinale, è naturalmente un momento costitutivo di me stesso (trascendenza immanente). Poiché in questa natura o mondo, il corpo organico è in effetti l’unico corpo fisico […] che possa originariamente costituirsi come […] organismo funzionale, anche quell’altro corpo […] deve possedere il senso di una trasposizione appercettiva proveniente dal mio corpo.58
Ma la presenza viva dell’altro, tale «trasposizione appercettiva proveniente dal mio corpo» si può rivelare solo in base a quella singolare modalità in cui si costituisce in me e per me la sua presenza (la sua trascendenza), coglimento che differisce essenzialmente dalla modalità della percezione diretta: nella modalità in cui l’altro mi diviene presente, non vi è per me la possibilità di un accertamento percettivo analogo a quello di una qualsiasi presenza oggettuale. La primordinalità dell’altro, come ciò che è essenzialmente ed immediatamente suo non è assolutamente percepibile nella sua interezza, non può cioè seguire quel profilo di trascendenza secondo cui posso soddisfare la mia conoscenza oggettuale, seguendo quei lati (adombramenti) in cui le cose necessariamente mi si presentano, come viene descritto nel noto esempio husserliano dell’esaedro la cui appercezione è verificabile nell’accertamento empirico delle facce che lo compongono.59 L’altro è invece presente in una modalità che è sempre costituzionalmente indiretta, mai totalmente coglibile e che quindi va caratterizzata in una modalità essenzialmente differente dalla percezione oggettuale.60
In tale differente modalità, «l’appresentazione che mi dà l’altro nella sua originale inaccessibilità è intrecciata con una presenza originale (quella del suo corpo come parte della natura che mi è peculiarmente data). Ma in questo intreccio, il corpo vivente estraneo e l’io estraneo che agisce, mi sono dati nella modalità di un’esperienza unitaria trascendente».61 Vi è allora una sfera trascendente al mio io, quella dei vissuti altrui, che non possono costitutivamente coincidere con i miei, in sintesi con l’esperienza reciproca dell’altro. Una sintesi in cui confluisce, in una singolare esperienza unitaria con l’altro, anche quella parte che mi è propria e che si sottrae alla percezione diretta da parte dell’altro. È questo per Husserl il vero senso della coesistenza che è tale poiché essa è allo stesso tempo un essere in comune ed uno stare assieme di irriducibili individualità. Ed è anche per questo motivo che Husserl può affermare che nella relazione con l’altro «è dunque un ego che viene appresentato come altro. Quel che è primordinalmente incompatibile entro la coesistenza diviene poi compatibile perché il mio ego primordinale costituisce per appercezione appresentativa l’ego che è per lui l’altro. Quest’appercezione ultima non esige per sua natura e non ammette mai il soddisfacimento mediante presentazione».62
L’analisi dell’empatia connessa a quella della riduzione primordinale mette dunque in luce il nesso essenziale tra la mia sfera originale e la trascendenza della sfera originale dell’altro che mi appresento. Senza la trascendenza dell’altro che si costituisce nella mia sfera originale tramite la sua appresentazione, verrebbero meno la sua e la mia individualità.63 Questo intreccio tra Einfühulung e primordinalità rende possibile, inoltre, quel fenomeno essenziale in cui – come afferma Husserl – «ogni decorso di coscienza implica un’individualità, che può essere compresa, e rivissuta, come quell’individualità alla quale ineriscono questi e non altri nessi motivazionali. In ciò ciascuno si distingue da ogni altro».64 La trascendenza dell’altro è allora la medesima che si costituisce nei miei confronti nella sfera primordinale altrui, tale trascendenza è il tratto comune, il nesso motivazionale essenziale per cui può avvenire il reciproco riconoscimento, il presupposto fondamentale per cui la mia identità è realmente in grado di costituirsi come tale:
il fatto che gli altri si costituiscano in me come altri è l’unico modo possibile in cui essi possono avere per me senso e valore di essere nelle loro determinazioni. […] Monadi, che sono per sé proprio come io sono per me, quindi in comunità e perciò legate […] a me, come ego concreto, monade. […] Sono realiter separati dalla mia monade, in quanto nessun legame reale porta dai loro momenti di coscienza ai miei e così in generale dalla sfera di ciò che è loro proprio essenziale a quella di ciò che è mio proprio essenziale. A ciò corrisponde pure la separazione reale mondana, del mio esserci psicofisico da quello degli altri.65
La separazione delle coscienze si traduce però per Husserl nella condizione positiva delle relazioni interpersonali. La trascendenza dell’altro che si costituisce nella mia sfera primordinale è alla base del mondo come comunità intermonadica:
se ogni monade è realmente un’unità assoluta e chiusa, l’inoltrarsi irreale e intenzionale degli altri nella mia sfera primordinale non è irreale nel senso di qualcosa che sia sognato, rappresentato secondo il modo della pura fantasia. V’è tra un essere e l’altro, una comunità intenzionale, un legame che per principio ha carattere tutto proprio, una comunità effettiva, quella appunto che rende trascendentalmente possibile l’essere di un mondo, mondo di uomini e cose.66
Nell’intangibilità dell’estraneo risiede allora il nostro fondamento personale, quale nucleo essenziale ed inalienabile della nostra concreta esistenza individuale. È questo il vero senso della Paarung, della reciproca trasposizione appercettiva tra me e l’altro. L’alter ego è effettivamente un altro io perché possiede anch’esso necessariamente la mia stessa qualità primordiale: quell’intimità inaccessibile all’altro ma che ci contraddistingue entrambi, come individualità personali. È quindi, per Husserl, un altro io quello che viene indiziato nell’esperienza dell’altro, necessariamente indiziato non, banalmente, per appurarne o giustificarne l’esistenza, ma perché in me si riflette un io che è costitutivamente, trascendentalmente, un altro io, con la propria singolare vita intenzionale:
nella mia originalità come monade data apoditticamente si rispecchiano monadi estranee. […] Ciò che è indiziato quando io compio l’autoesplicazione fenomenologica e in essa l’esplicazione dell’indiziato in modo corretto, è una soggettività trascendentale estranea; l’ego trascendentale pone in sé non arbitrariamente ma necessariamente un alter ego trascendentale..67
Il guadagno della riduzione primordinale, oltre alla pura sfera dell’ego è allora anche quello della sfera dell’intersoggettività. Solo nel riconoscimento di quel che mi è più proprio e inalienabile come fondamento comune tra me e l’altro, è possibile, paradossalmente, il mio rispecchiarmi nell’altro ego e il mio sdoppiarmi in esso. La soggettività individuale trascendentale ha dunque bisogno di riconoscersi nell’intersoggettività trascendentale: «la soggettività trascendentale si estende in intersoggettività, in socialità trascendentale intersoggettiva, che è il suolo trascendentale per natura e mondo intersoggettivi.68
Il tempo comune: il mio tempo e il tempo dell’altro
Tutto ciò può essere ulteriormente approfondito allargando l’analisi della riduzione primordinale a quella temporale della rimemorazione. Vi è un importante passo husserliano nella Krisis che dà conto esplicitamente della possibilità di un tale allargamento fenomenologico:
l’auto-esplicazione filosofica nell’epoché [afferma Husserl] […] mostra come l’io, che rimane sempre unico, nella vita originale e costitutiva che scorre in lui, costituisca una prima sfera oggettuale, la sfera oggettuale “primordiale”, e come a partire da essa compia un’operazione motivata e costitutiva, in virtù della quale una modificazione intenzionale di se stesso e della sua primordialità perviene alla validità d’essere sotto il titolo di “percezione dell’estraneità”, percezione dell’altro io che per sé stesso è un io come io sono un io per me. Ciò è comprensibile per via analogica; basta comprendere, in base alla esplicitazione trascendentale della rimemorazione, che a tutto ciò che è rimemorato, a tutto ciò che è passato (e che ha il senso di essere di un presente che è passato) inerisce un io passato rispetto a quello presente, mentre l’io realmente originale è l’io della presenza attuale, nella quale rientra anche, al di là di ciò che appare come sfera cosale presente, la rimemorazione in quanto Erlebnis presente. Dunque, l’io attuale compie un’operazione in cui costituisce un modo di evoluzione di sé stesso in quanto essente (nel modo passato).69
Si tratta dunque, come Husserl aveva già messo in rilievo nella seconda parte delle lezioni del semestre invernale 1923-24, di far emergere per mezzo dell’analisi fenomenologico-trascendentale della rimemorazione quell’io del mio stesso passato che è divenuto, nella forma attuale del ricordo, un altro io non più originariamente presente, una consapevolezza che tramite una doppia riduzione trascendentale, rivela non solo il presente dell’io mi ricordo, ma anche, ma anche l’attualità passata del mio stesso io ricordato.
Quando mi ricordo, se metto fuori gioco, […] inibisco la credenza d’esperienza complessiva ad esso riferita, mi rimane questo “io mi ricordo” riflessivamente percepito, in quanto vissuto attuale. […] Tuttavia, osservando meglio, nel mio “io mi ricordo” è incluso senza dubbio un “io ho percepito” e, nell’azione passata: “io ho voluto e ho fatto”. […] Quindi non dispongo soltanto dell’“io mi ricordo”, in quanto mi è dato adesso come vissuto trascendentale presente, bensì anche del ricordo della mia vita trascendentale passata, che è incluso nel vissuto presente.70
In tal modo, l’altro io, nella sua datità modificata di un mio io non più presente, si mostra come la permanenza del mio io in quanto io trascorso, e quindi parte essenziale del costituirsi della mia stessa identità personale nella sua continuità.71 La questione centrale è quella, come vedremo meglio, di cogliere il legame genetico intermonadico, messo in risalto dalla riduzione primordinale nel suo legame con l’empatia, avvicinandolo a quella che Husserl definisce come una vera e propria auto-temporalizzazione nella quale l’io attuale, fluendo, è costantemente presente e costituisce «sé stesso in quanto io che dura attraverso i “suoi” passati». Procedimento che mostra inoltre come, nel continuum stesso dell’io attuale, in quella che Husserl aveva definito coscienza assoluta del tempo, si possa costituire in sé «un altro in quanto altro». In questo senso l’auto-temporalizzazione, avviene, «per così dire (nella rimemorazione) attraverso una de-presentazione (Ent-Gegenwärtigung)» e «trova la sua analogia nella mia auto-estraneazione (Ent-Fremdung)».72
Il confronto problematico dell’analisi dell’empatia con quella della rimemorazione consente ad Husserl di approfondire il senso stesso primordiale dell’intersoggettività trascendentale. Così come dall’analisi dell’empatia risulta che non è costituzionalmente possibile che i vissuti del mio io possano interamente coincidere con quelli dell’altro io, poiché verrebbero entrambi nullificati, analogamente, se l’io presente coincidesse interamente con quello del ricordo non vi sarebbe la stessa possibilità concreta della memoria e il darsi effettivo della mia identità personale. L’analisi della memoria, intesa come la possibilità di riconoscere sé stessi in quanto io passato (la possibilità stessa della mia storia personale), rivela, nel continuo differenziarsi dell’io presente in quello passato, l’esperienza stessa della propria identità temporale come polo unitario tra l’io presente-passato e quello attuale. Senza tale esperienza non si darebbe dunque alcun io: non vi è io personale senza quell’altro io che sono stato e che nella coscienza del tempo si rivela all’analisi fenomenologica sulla rimemorazione come esperienza immanente (come trascendenza nell’immanenza: l’altro che è in me). Ma l’io attualmente presente e l’io presente-passato vanno essenzialmente distinti. Anche un ricordo assolutamente limpido ha la sua validità nell’essere ripresentazione, nel suo esser già stato: la possibilità che possa divenire totalmente presente in modo tale che l’io attuale e quello del ricordo si possano fondere e quindi coincidere interamente, senza residui, è irrapresentabile e dunque fenomenologicamente impossibile, poiché è strutturalmente impossibile che presentificazione (Ver-gegenwärtigung) e presentazione (Gegenwärtigung) possano coincidere.
Tematizzando la struttura della rimemorazione, ritrovo allora all’interno dell’unità stessa del mio io monade-vivente la stessa forma dell’esperienza dell’altro io. Un’analisi che va però tenuta distinta da quella scaturita dalla riduzione primordinale che – come si è visto – conduce poi all’analisi dell’empatia come modalità costitutiva dell’esperienza dell’altro: mentre in quest’ultima emerge ciò che contraddistingue il tratto comune ed essenziale, quello dell’irriducibilità personale di ogni monade come intenzionalità vivente, l’analisi della rimemorazione, al contrario, ruota attorno alla riflessione sul ruolo centrale giocato dalla figura dell’alterità nella formazione della mia identità personale. Nella prima si esclude l’altro per ritrovarlo poi, successivamente, nel disvelarsi di un mondo comune. Tutto ciò avviene, paradossalmente, come si è visto, in virtù di quella irriducibilità individuale che caratterizza ogni monade concreta in quanto tale. Nella seconda, invece, si approda alla stessa irriducibilità tramite il rivelarsi dell’altro nella struttura medesima del mio io come continuo polo identitario. Vi è dunque, in nuce, già all’interno del mio stesso io, una sorta di identità comunitaria esplicitata dalla modalità stessa di datità del ricordo: poiché nel ricordo stanno insieme, e convivono necessariamente, sia l’io della mia coscienza attuale che l’altro io, quello della mia coscienza estranea in quanto coscienza passata.73
Husserl, nei Forschungsmanuskripte, ribadisce il fatto che nel costituirsi temporale stesso della mia soggettività, in quanto polo unitario dei miei vissuti, risiede già il senso trascendentale dell’intersoggettività in quanto comunità intermonadica. Ogni singola concreta vita individuale, come monade temporalmente costituita è in relazione di coesistenza con le altre monadi: coesistenza che si rivela, a partire dalla costituzione temporale-intersoggettiva di ciascuna monade individuale, come contemporaneità. L’intersoggettività, in questa accezione, si configura allora come la struttura temporale comune in cui si intrecciano le monadi nella loro individualità. In questo modo, inoltre, viene a costituirsi, oltre alla relazione tra la propria sfera particolare a quella dell’altro, anche una dimensione che le oltrepassa entrambe come temporalità universale intermonadica:
possiamo di conseguenza dire [afferma Husserl] che la fondamentale differenza tra primordialità e intersoggettività che è qui in gioco si trova all’interno di quel che si può porre tramite l’epochè e mostrare nell’esperienza conseguente: tra 1) ciò che è costituito attraverso la concreta unità (totalità) come mia monade, 2) e la temporalizzazione fondata tramite cui è costituita la compresenza, co-presenza di un’altra e in generale di altre monadi, assieme alla con-temporaneità dei loro tempi monadici (per loro primordinali) con il mio tempo totale. […] Abbiamo con ciò un mondo trascendentale-oggettivo, un mondo di monadi (Monadenwelt), in un unico tempo nel quale vi sono tutte le monadi, in cui ciascuna possiede il proprio tempo, che contribuisce alla totalità.74
Ciascuna monade è presenza fluente (strömende Präsenz), un’unità nel fluire in cui è racchiusa l’intera intenzionalità del suo passato e del suo futuro che scorre assieme a quella delle altre monadi in una sorta di tempo comune. Si tratta di un essenziale condivisione che costituisce dunque anche la con-temporaneità con le altre monadi, quella della loro coesistenza intersoggettiva come coesistenza e intreccio dei tempi totali individuali. All’io trascendentale concretamente inteso come io polo a cui sono connesse tutte le potenzialità che gli sono proprie, i suoi atti, i suoi vissuti passivi, le sue intenzionalità, le sue supposizioni (Vermeintheiten) intenzionali come senso oggettuale, il loro carattere d’essere ma anche il loro carattere di valore, e così via, corrisponde per Husserl, in una modalità inseparabile dalla sua costituzione, l’intreccio temporale-relazionale delle monadi.75 Ma tale tematizzazione trascendentale acquista pieno rilievo intersoggettivo quando l’empatia, la modalità essenziale del mio accesso all’altro, viene messa in relazione alla modalità temporale della rimemorazione (e implicitamente anche con quella dell’attesa futura), sulla base di quell’intreccio continuo di ritenzione e protenzione che – come si è visto – costituisce la mia originaria coscienza assoluta del tempo.
Riprendere l’intuibilità originaria del presente-passato messo in luce dall’analisi della rimemorazione allargandone l’orizzonte di comprensione al tema dell’empatia oltrepassa allora il senso di un semplice ragionamento analogico:76 nella tematizzazione fenomenologica della rimemorazione, rivolgendomi indietro nel mio presente fluente alla trascendenza del mio esser non più presente, condivido con l’empatia quella stessa trascendenza radicale del vissuto altrui che non posso cogliere direttamente, un’alterità, altrettanto ineffabile. È certamente diversa la modalità propria corporea dell’esperienza dell’altro nella sua differenza fattuale: è ovviamente essenzialmente diverso quell’altro io che mi sta di fronte da quell’io differente che emerge nel ricordo. Ma il modo in cui io, nella tematizzazione fenomenologica della rimemorazione, mi rivolgo indietro nel mio presente fluente al mio esser non più presente ha assolutamente in comune con l’empatia la forma dell’appresentazione dell’altro: tramite l’analisi della rimemorazione come modalità necessaria del rendere presente nel mio stesso io, quell’altro io che sono stato, riemerge anche l’incolmabile medesima trascendenza che contraddistingue come tale, nella sua assoluta originarietà temporale, la mia lebendige Gegenwart, emersa dapprima tramite la riduzione primordiale e poi nella sua relazione essenziale con l’analisi dell’empatia.
Nell’analisi fenomenologica della rimemorazione affiora allora con maggiore chiarezza sia il mio legame con l’altro a partire dalla mia stessa sfera personale sia il nostro comune essere insieme come coesistenza temporale e viene ulteriormente approfondito quell’essenziale carattere di reciproca irriducibilità personale all’altro, concretamente messo in luce dall’analisi dell’esperienza dell’Einfühlung. In questo decisivo allargamento tematico si ripropone allora quella stessa intangibilità (la trascendenza dell’altro che posso solo appercepire ma mai soddisfare intuitivamente) relativa all’impossibilità del coglimento diretto della manifestazione dei vissuti altrui che caratterizza la modalità costitutiva dell’empatia. Ciò avviene, in prima istanza perché – come si è visto – l’io del presente trascorso che viene ricondotto tramite la rimemorazione al presente attuale è ineffabile nella sua presenza (poiché non è più tale, non più presente ma – nella modificazione del ricordo – irriducibilmente presente-passato). In secondo luogo, perché ritrovo, tramite l’analisi della memoria, anche al fondo del mio polo identitario-egologico-personale, quella stessa assoluta intrascendibilità disvelata dalla riduzione primordiale-temporale del mio presente-vivente-temporale che condivido con l’altro io.77
In una annotazione del 1930 Husserl afferma che «il trascendente è ciò che viene appresentato ma non è esperibile nel proprio sé»,78 un significato di trascendenza che avvicina essenzialmente l’empatia alla rimemorazione e che pone concretamente per Husserl l’esigenza dell’allargamento della fenomenologia egologica:
un allargamento della fenomenologia egologica sarebbe manifestamente pensabile e necessario allorché io, nel proseguimento della mia epoché, possa persuadermi che nella riduzione trascendentale effettuata dall’altro uomo, il suo io e il suo proprio trascendentale, siano anche per me necessariamente validi, ponibili e mostrabili come nella riduzione trascendentale della mia propria esistenza umana, della mia vita e del mio essere psichico. […] In particolare, quando si mostrasse che la riflessione trascendentale attorno alle presentificazioni in cui si perviene all’esperienza dell’io estraneo e della sua vita, sia da porre allo stesso modo della riflessione trascendentale sulla rimemorazione con le sue presentificazioni simili a quelle, in cui io nel mio presente fluente mi riferisco, facendone esperienza, come ad un mio esser non più presente.79
In tutto ciò, nella forte affinità tra la forma dell’empatia e quella del ricordo, può allora anche riemergere il senso della propria struttura egologico-temporale come quella di un tempo comune.80 Una vicinanza che si rivela tramite il ricongiungere l’analisi della rimemorazione con quella dell’empatia: il collegare la modificazione intenzionale necessaria del rendere presente quell’altro io che sono stato con l’analisi dell’empatia come modalità intenzionale necessaria del riconoscimento dell’alterità. In tale vicinanza può dunque rispecchiarsi anche la convivenza temporale intermonadica. Certamente, il polo dell’identità personale che si costituisce come auto-riferimento temporale unitario rispetto al decorrere dei nostri vissuti nella loro ricchezza e diversità, non va confuso, sovrapponendolo, a quello comunitario intermonadico. Ma ancora una volta va ribadito che, per Husserl, nella separatezza primordinale tra me e l’altro, rivelata dall’empatia e messa in luce dall’analisi della rimemorazione, si rispecchia anche un mondo temporale comune.
Si tratta allora non solo di riconoscere l’altro come tale, tramite la modalità costitutiva dell’empatia, ma anche di portare alla luce, per mezzo dell’analisi fenomenologico-temporale del ricordo, quell’altro che abita in me: riconoscere dunque in questa vicinanza, quella stessa radice che ci accomuna nel nostro essere individuale-personale. Nel far riemergere la relazione tra il proprio e l’estraneo all’interno stesso dell’analisi temporale della memoria, si riflette allora l’essere continuamente in relazione agli altri in un tempo vivente comune. In questo decisivo allargamento tematico è possibile ripensare lo stesso intreccio tra l’intangibilità della trascendenza dell’altro che posso solo appercepire ma mai soddisfare intuitivamente e quella della rimemorazione dove ciò che viene ricordato non è più presente ma irriducibilmente presente-passato. Si tratta di un intreccio essenziale, poiché in quell’alterità di per sé riconoscibile e identificabile come tale nel polo identitario-egologico-personale che mi sorregge e mi accomuna all’altro, si disvela anche la struttura di quella che è la base della concreta esperienza dell’altro, quella di un mondo che non è interamente mio né interamente dell’altro: un mondo temporale comune che sostiene, secondo Husserl, la nostra effettiva convivenza: nei suoi conflitti così come, altrettanto, nella sua concordia.
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Desidero ringraziare cordialmente Elio Franzini per aver discusso con me in uno stimolante confronto critico le tesi sostenute in questo lavoro. Essa è, come sostiene E. Franzini in Id., R. Ruschi, Il tempo e l’intuizione estetica, Unicopli, Milano 1982, p. 205, «una ricerca del fondamento essenziale della nostra attività di coscienza in riferimento a tutto ciò che incontriamo nel mondo, un tentativo di disvelare il senso delle cose attraverso un’analisi del loro rapporto temporale originario con il flusso vivente-fungente dell’intenzionalità». Per un lavoro analitico di ampio respiro volto a mostrare il legame intrinseco tra la temporalità e lo sviluppo fenomenologico del pensiero di Husserl. Cfr. F. Nobili, La prospettiva del tempo. L’idealismo fenomenologico di Husserl come autoesplicitazione della soggettività trascendentale, Mimesis, Milano/Udine 2022. ↩︎
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Cfr. Cfr, E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstesens (1893-1917), Husserliana (d’ora in poi HUA e numeraz. ss.) vol. X, M. Nijhoff, Den Haag 1969, tr. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, FrancoAngeli, Milano 1992 p. 44. Va ricordato che all’assunzione radicale del tempo come immanente si accompagna, nell’analisi fenomenologica husserliana, quella della differenza tra i modi di datità di ciò che si presenta alla temporalità soggettiva e quella del senso dell’oggetto presente nelle sue oggettive determinazioni temporali, così come l’importanza fondamentale del progressivo emergere, in tale analisi, della struttura pre-oggettiva che deve appartenere anch’essa alla formazione dei contenuti temporali immanenti alla coscienza nei confronti della costituzione del tempo oggettivo e del suo apparire. Si tratta dunque di problemi essenziali che verranno approfonditi e ininterrottamente sviluppate da Husserl a partire dal corso del semestre invernale 1906/1907 (cfr. Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/1907, HUA XXIV, M. Nijhoff, Den Haag 1985, tr. it. a cura di F. Buongiorno, Introduzione alla logica e alla teoria della conoscenza, Morcelliana, Brescia 2019). Un ordine di problemi ai quali Husserl, soprattutto a partire dal 1917, darà sempre più risalto all’interno dell’analisi genetico-fenomenologica. Si tratta di tematiche che trovano un riferimento imprescindibile nel legame essenziale tra la temporalità e il fungere intenzionale del legame associativo nella sintesi passiva della coscienza, questioni che, data la loro estensione, vengono solo sottintese e non tematicamente discusse nelle considerazioni che seguono. ↩︎
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Cfr. Ricerche filosofiche, vol. II, tr. it di G. Piana, Il Saggiatore, Milano 1968, p. 174. ↩︎
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Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung. Zur Phänomenologie der anschaulichen Vergegenwartigungen. Texte aus dem Nachlass (1898-1925), HUA XXIII, M. Nijhoff, Den Haag 1980, p. 24, tr. it. a cura di C. Rozzoni, Fantasia e immagine, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, p. 29. Per il dibattito attorno allo schema apprensione-contenuto d’apprensione cfr. i saggi contenuti in D. Lohmar, I. Yamaguchi (eds.), On Time. New Contribution to the Husserlian Phenomenolohy of Time, Springer, Dordrecht/Heidelberg/London/New York 2010, rispettivamente quelli di D. Lohmar, On the Costitution of the Time of the World: The Emergence of Objective Time on the Ground of Subjective Time, p. 118 e di J. Mensch, Retention and the Schema, pp. 153-165; su posizioni analoghe, L. Niel, Absoluter Fluss, Urprozess. Urzeitigung. Husserls Phänomenologie der Zeit, Königshausen & Neumann, Würzburg 2011, pp. 51-53. Tutti questi autori concordano sul fatto che sostanzialmente Husserl non abbia mai abbandonato del tutto tale schema ma che lo abbia progressivamente modificato nel corso del suo pensiero. In opposizione critica, quella invece di un successivo totale abbandono da parte di Husserl del modello schema-contenuto d’apprensione, cfr. soprattutto R. Sokolowski, The Formation Of Husserl’s Concept of Constitution, Springer, Den Haag 1970, pp.177 sgg.; R. Boemhs Einleitung in HUA X, pp. XXXIII sgg. Per una ricostruzione del dibattito cfr. L. M. Rodemeyer, Intersubjective Temporality. It’s About Time, Springer, Dordrecht 2006, pp. 23-30. Per un riferimento testuale della revisione husserliana di tale schema e sulla sua problematicità si veda ad es. HUA XXIII, p. 267, tr. it. cit. pp. 155 sgg. ↩︎
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Cfr. HUA X, p. 291. ↩︎
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HUA XXIV, p. 246, tr. it. cit. p. 288. ↩︎
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Cfr. HUA X, §§ 35-39, tr. it. cit. pp. 101-109, il testo Nr. 39, pp. 285-290, Nr. 53, p. 354 e il testo Nr. 54 (1909-1911) pp. 354 sgg. (e il relativo § 20); si veda in merito l’Einleitung di Bernet dell’ediz. da lui curata dei Texte zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (1893-1917), Meiner Verlag, Hamburg 1985, p. XXXV, e in particolare per lo slittamento della datazione del Nr. 39 della sezione B dal 1907 al 1909, pp. XXXVI sgg. e le osservazioni di F. Volpi 2001, p. 59; cfr. A. Schnell, Husserl e i fondamenti della femonemologia costruttiva, tr. it. di M. Cavallaro, Inschibboleth Edizioni, Roma 2015, pp. 176-183. Cfr. anche T. Kortooms, Phenomenology of Time, Kluwer, Dordrecht/Boston/London 2002, pp. 3-103 e John B. Brough, The Emergence of an Absolute Consciousness in Husserl’s Early Writings on Time-Consciosness, «Man and World», vol. 5, n. 3, (1972), pp. 298-326 [riedita in Husserl. Exposition and Appraisals, University of Notre Dame Press, Notre Dame 1977, pp. 83-100]. ↩︎
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HUA X, p. 109. ↩︎
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Come sostiene G. Piana in I problemi fondamentali della fenomenologia, Mondadori, Milano 1966, p. 135: «nel momento in cui riflette, l’io è già temporale. Ciò significa che esso è già nell’attualità del fungere: nella riflessione quella attualità viene scoperta come un flusso, il quale costituisce, nel movimento della ritenzione e della protenzione, le dimensioni temporali». Cfr. G. Brand, Mondo, io e tempo negli inediti di Husserl, tr. it. a cura di E. Filippini, Milano 1960, p. 135: «La riflessione non produce la temporalità ma la esplicita come tale». Per D. Zahavi, «la riflessione esige inoltre, in quanto autocoscienza esplicita, una previa autocoscienza non tematica» (cfr. La fenomenologia di Husserl, tr. it. di M. Averchi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011 e Id., Self-Awareness and Alterity. A Phenomenological Investigation, Northwestern University Press, Evanston 1999). ↩︎
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HUA X, tr. it. cit., p. 59. ↩︎
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Ivi, p. 101. ↩︎
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Ivi, p. 102. ↩︎
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HUA XXIII, p. 259. ↩︎
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Cfr. HUA X, tr. it. cit., pp. 244-246. ↩︎
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Cfr. E. Husserl, Die Bernauer Manuskripte über das Zeitbewußtsein (1917/18), HUA XXXIII, Kluwer, Dordrecht 2001. Nei manoscritti di Bernau vengono riprese le riflessioni attorno alla costituzione nella coscienza originaria del tempo in quelle che per Husserl sono le tre forme base di temporalità: reale, irreale, ideale, il cui senso d’essere, quello della cosa percettiva, dell’oggetto immaginario e dell’oggetto ideale – in quanto diversi sensi di trascendenza temporale – sono costituiti nella temporalità trascendentale della coscienza assoluta del tempo. ↩︎
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Un processo in cui la figura sorgiva dell’ora come impressione originaria perde quella controversa centralità messa in discussione dalla celebre critica di Derrida. Cfr. J. Derrida, La voce e il fenomeno. Introduzione al problema del segno nella fenomenologia di Husserl, tr. it. a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 1997. ↩︎
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Cfr. N. De Warren, Husserl e la promessa del tempo, tr. it. di S. Vincini, ETS, Pisa 2017, pp. 189-190; R. Bernet, Einleitung, in Texte zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (1893-1917), cit., p. LVI. ↩︎
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Cfr. E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934), Springer, Dordrecht 2006 (d’ora in poi HUA Mat VIII). ↩︎
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HUA XXXIII, p. 164. ↩︎
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Come afferma N. De Warren, Husserl e la promessa del tempo, cit, p. 169, «solo una soggettività che è in sé stessa nel tempo può incontrare eventi nel tempo». ↩︎
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R. Bernet, Einleitung, in Texte zur Phänomenologie des inneren Zeitbewußtseins (1893-1917), cit., p. LIV. ↩︎
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R. Bernet, La vie du sujet. Recherches sur l’interprétation de Husserl dans la phénoménologie, PUF, Paris 1994, p. 216. ↩︎
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Cfr. R. Bernet, La vie du sujet. Recherches sur l’interprétation de Husserl dans la phénoménologie, cit., pp. 234-235. ↩︎
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HUA X, tr. it. cit. p. 102; cfr., analogamente, la risonanza di tale soggettività inoggettivabile in HUA XXXIII, pp. 277-278: «L’io non è un essente bensì la controparte di tutto l’essente, non un oggetto ma la postazione originaria rispetto a tutto ciò che è oggettuale. L’io non dovrebbe effettivamente chiamarsi io, non dovrebbe chiamarsi affatto, poiché altrimenti è già diventato oggettuale. Esso è il Senza-nome al di sopra di tutto quanto si può cogliere, non ciò che sta, aleggia, è sopra tutto, bensì ciò che funge, cogliendo, valutando etc.». ↩︎
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Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, HUA III, M. Nijhoff, Den Haag 1980, p. 150; Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol I, tr. it. a cura di V. Costa, Introduzione di E. Franzini, Einaudi, Milano, p. 190, dove, nella Nota a margine nella copia A, si legge: «avere un concreto vissuto originario significa avere soltanto una fase assolutamente originaria; un concreto vissuto riproduttivo contiene, riguardo alle ritenzioni e alle protenzioni riprodotte… il resto è distrutto». ↩︎
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R. Bernet, La vie du sujet. Recherches sur l’interprétation de Husserl dans la phénoménologie, cit, p. 233. Cfr. HUA Mat VIII, pp. 29-34. ↩︎
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N. de Warren, Husserl e la promessa del tempo, cit., p. 173; cfr. HUA XXXIII, p. 67. Sul fenomemo del ridestamento si veda anche Analysen zur passiven Synthesis, HUA XI, M. Nijhoff, Den Haag 1966, p. 172 sgg., tr. it. a cura di V. Costa, Lezioni sulla sintesi passiva, La Scuola, Brescia 2016, pp. 269 sgg. Per un approfondimento del problema di una dimensione inconscia nella fenomenologia husserliana cfr. F. S. Trincia, Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, Morcelliana, Brescia 2008. ↩︎
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E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935, Text Nr. 28, HUA XV, Nijhoff, Den Haag 1973, p. 452; dello stesso vol. cfr. anche i relativi Beilagen al Text Nr. 28 e il Text Nr. 27. L’impossibilità fenomenologica della morte in Husserl è radicalmente opposta alla possibilità dell’impossibilità, quella finitezza radicale come dimensione autentica e solipsitica a cui conduce lo Sein zum Tode del Dasein in Sein und Zeit (cfr. Sein und Zeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 1993^17^, §§ 45-53). La questione limite fenomenologicamente invalicabile dell’irrappresentabilità della morte, che sfugge costitutivamente all’auto-osservazione egologica, ha senso, invece, secondo Husserl, solo a partire dall’apertura virtualmente infinita del mondo trascendentale-personale intermonadico. Per Husserl, dai confini fenomenali della morte, della nascita e del sonno «non può scaturire la sfera primordiale» (HUA Mat VIII, p. 425); come sottolinea S. Genusias (del quale condividiamo la critica ad Heidegger): «La mia nascita, morte e sonno non demarcano i limiti del tempo mondano perché io sono consapevole che il tempo prima della mia morte, durante il mio sonno e dopo la mia morte viene vissuto da altri» (cfr. On Birth, Death, and Sleep in Husserl’s Late Manuscripts on Time, in D. Lohmar, I. Yamaguchi (Edts), On Time. New Contributions to the Husserlian Phenomenology of Time, cit., p. 83). Cfr. anche HUA Mat VIII, Text Nr. 21, soprattutto pp. 96-97 e Text Nr. 94, pp. 417 sgg. Cfr. E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie. Analysen des Unbewusstseins und der Insinkte. Metaphysik. Späte Ethik. Texte aus dem Nachlass (1908-1937), HUA XLII, Text Nr.1 (Giugno 1930), tr. it. parz. a cura di M. Failla in Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, Mimesis, Milano-Udine 2021, pp. 71-123. ↩︎
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La questione della riduzione primordinale e dell’intersoggettività ad essa legata emerge già chiaramente nelle lezioni conclusive della seconda parte del semestre invernale 1923-24 (cfr. E. Husserl, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, tr. it. di A. Staiti a cura di V. Costa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pp. 217-241). Ma quest’ordine di problemi è presente in nuce anche nelle lezioni del semestre invernale 1910-1911 (cfr. E. Husserl, Aus den Vorlesungen Grundproblemen der Phänomenologie. Wintersemester 1910-1911, in Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlaß. Erster Teil: 1905-1920, HUA XIII, M. Nijhoff, Den Haag 1973, pp. 159-191, tr. it. a cura di V. Costa, in I problemi fondamentali della fenomenologia. Lezioni sul concetto naturale di mondo, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 49-77: cfr. anche Beilage XXVI, HUA XIII, pp. 219- 229). Per la continuità e la progressiva radicalizzazione di tali questioni sino alla tematizzazione negli anni ’30 del rapporto intrinseco tra ricordo ed empatia che approfondiremo, cfr. E. Marbach, Das Problem des Ich bei Husserl, M. Nijhoff, Den Haag 1974, pp. 286-291. ↩︎
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Il termine primordinale (Primordinal), usato principalmente da Husserl nelle Meditazioni Cartesiane, viene successivamente sostituito con quello di primordiale (Primordial). In questa modalità della riduzione trascendentale, i due termini possiedono sostanzialmente lo stesso significato: quello dell’assoluta priorità dell’originariamente proprio nella nostra sfera egologica. Cfr. I. Kern, Einleitung des Herausgebers, HUA XV, p. XVIII, nota 1. Per le considerazioni che seguono attorno alla centralità della riduzione primordinale nella questione dell’intersoggetività vengono riprese le tematiche già discusse nel nostro L’esistenza in ostaggio. Husserl e la fenomenologia personale, FrancoAngeli, Milano 2011, alle pp. 63-103. ↩︎
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HUA XI, p. 343. ↩︎
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E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. a cura di E. Paci, Il Saggiatore Milano 1975, p. 179. ↩︎
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E. Husserl, Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi parigini, tr. it. di F. Costa, Bompiani, Milano 1989, pp. 26-27 (c.vo nostro). ↩︎
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E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., p. 198. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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E. Husserl, Meditazioni cartesiane…, tr. it. cit., p. 30. ↩︎
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Come afferma V. Costa in L’esperienza dell’altro: per una fenomenologia della separazione, in A. Ferrarin (a cura di) Passive Sinthesis and Life-World, Edizioni ETS, Pisa 2006, p. 112: «la riduzione al proprio si configura come un richiamo al primato o al privilegio della prima persona». ↩︎
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Cfr. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1925-1935, HUA XV, M. Nijhoff, Den Haag 1973, pp. 528-529. ↩︎
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Ibidem, p. 535. ↩︎
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Mi sembra che proprio questo punto essenziale sfugga alle analisi di A. Schütz che rimprovera a Husserl di non esser riuscito a mostrare il legame tra empatia e riduzione primordinale. Cfr. The problem of the trascendental philosophie in Husserl, in Collected Papers III. Studies in Phenomenological Philosophy, Nijhoff, Den Haag 1966, pp. 55-90. ↩︎
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Cfr. Meditazioni cartesiane…, cit., p. 117. ↩︎
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Cfr. Ibidem, p. 126. ↩︎
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HUA XV, p. 6. ↩︎
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Ibidem, p. 7. ↩︎
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Cfr. Ibid., p. 9. ↩︎
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Cfr. Ibid., p. 11. ↩︎
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Cfr. Ibid., p. 114. ↩︎
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Meditazioni cartesiane…, cit., p. 139. ↩︎
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Cfr. HUA XV, p. 42. ↩︎
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Ibidem, p. 12. ↩︎
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In questo senso l’altro è alter ego, non come proiezione di me stesso nell’altro, quasi che l’altro divenga banalmente un mio duplicato ma come un altro io che mi si presenta con le stesse caratteristiche costitutive del mio io. Cfr. R. De Monticelli, La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini, Milano 1998, p. 167. ↩︎
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Meditazioni cartesiane…, cit., p. 129 (c.vo nostro e tr. it. leggermente modificata). ↩︎
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Come afferma E. Paci in Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bompiani, Milano 1990, p. 105, «è dunque necessario, per Husserl che io non comprenda mai l’altro direttamente: se così fosse coincideremmo, e l’altro non ci sarebbe. Ma se l’altro non ci fosse, sparirei anch’io come monade concreta». ↩︎
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Cfr. HUA XV, pp. 12-14. Come sostiene Husserl nella Krisis: si tratta dell’empatia come «de-presentazione di grado più alto – quella della mia presenza originaria in una presenza originaria meramente presentificata. Così un altro io perviene alla validità d’essere in quanto compresente in me» (cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee…, cit., p. 212). ↩︎
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HUA XV, p. 13. ↩︎
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Non si tratta di un’analogia entis ma, come sostiene J. F. Courtine in «L’etre et l’autre. Analogie et Intersubjectivité chez Husserl», Les Etudes Philosophique, n. 3-4, 1989, p. 516, dell’analogia carnale di «un sum, inteso come ego sum o meglio come un io sono incarnato», che Husserl in HUA XIV, p. 338, chiama ein Leibanalogon. ↩︎
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Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane…, cit., pp.139-140 e HUA XV, pp. 99-110. ↩︎
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E. Husserl, Meditazioni cartesiane…, cit., p. 131. La relazione proprio-corporea tra me e l’altro mette in gioco direttamente la reciprocità immediata della loro presenza, che essa ad es. possa venire alterata nel ricordo tramite la fantasia, non inficia in alcun modo la singolarità di tale presenza che è assolutamente centrale per la questione dell’empatia, così come viene ben argomentato nel saggio di A. Staiti, «The Primacy of the Present: Metaphysical Ballast or Phenomenological Finding?», Research in Phenomenology, 40 (2010), pp. 34-54. Il punto però sul quale noi insisteremo consiste nel fatto che l’empatia, per Husserl, in quanto forma di presentificazione, condivide con la rimemorazione l’impossibilità della reiterazione del presente in quanto tale seppure si tratti evidentemente di due differenti modificazioni intenzionali del presente. ↩︎
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Cfr. ad es. Meditazioni cartesiane…, cit., § 18. ↩︎
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Per un chiarimento del significato della percezione della cosa come appercezione (e quindi della sua essenziale differenza con la appresentazione, la percezione dell’altro) cfr. HUA XI, pp. 337-338. ↩︎
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Meditazioni cartesiane…, cit., pp. 143-144. ↩︎
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Ibidem, p. 138. ↩︎
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Cfr. I, Kern, Einleitung des Herausgebers in HUA XV, p. LXIX: «La costituzione dell’altro non è la costituzione di un’immagine che sarebbe di mia appartenenza, ma è la costituzione di una radicale trascendenza che costituisce me stesso con uguale valore; l’implicazione di costituente e costituito è qui, e solamente qui, reciproca». Come si cercherà di mostrare, senza l’analisi fenomenologico-temporale tale trascendenza non è ancora però sufficientemente approfondita. ↩︎
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E. Husserl, La crisi…, cit., p. 296. ↩︎
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Meditazioni cartesiane…, cit., p. 147 (c.vo nostro); cfr. HUA XV, pp. 99-110. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Meditazioni cartesiane…, cit., p. 30. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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E. Husserl, La crisi…, cit., pp. 211-212. (HUA VI, p. 189, tr. it. pp. 211-212) ↩︎
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E. Husserl, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, cit., pp. 110-111. ↩︎
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Cfr. ivi, p. 117. ↩︎
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Cfr. Ibidem. ↩︎
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Cfr. E. Husserl, La crisi…, cit., pp. 198-199. Secondo De Warren, vi è nella rimemorazione, intesa come ripresentificazione, un polo identitario egologico che differisce strutturalmente dal riconoscimento dell’io estraneo operato tramite l’empatia. Cfr. De Warren, La promessa del tempo, cit., p. 221: «Mentre un oggetto rimemorato è dato in quanto passato con l’indice temporale dell’essere stato una volta presente, l’altro appresentato è dato come assente con l’indice temporale di una impossibilità a divenire mai presente per me. L’assenza dell’altro è per così dire irriducibile a qualsiasi presenza all’interno del mio flusso di coscienza». Certamente – come sostiene De Warren – nell’oggetto rimemorato, viene ricordato anche il vissuto presente trascorso del mio io in relazione a tale oggetto e tutto questo grazie alla continuità del mio flusso di coscienza. Ed è altrettanto vero che, secondo tale rispetto, tramite il riconoscermi nell’unità del flusso dei miei vissuti trascorsi, l’altro in me stesso differisca essenzialmente da quella primordinale irriducibilità dei vissuti dell’altro io che posso solo appresentare e mai rendermi interamente presente. Ma vi è, a nostro giudizio, per Husserl, seppure in una assunzione del tutto problematica, un tratto formale comune: la stessa irriducibilità del vissuto presente-passato a tradursi totalmente in quello presente tramite il ricordo, avvicina la rimemorazione all’empatia nella cui modalità il vissuto presente dell’altro non può essere percepito direttamente ma solo appresentato. Come si è visto, tale irriducibilità è, nel caso del ricordo, l’impossibilità costitutiva di coincidere tra presentazione (Gegenwärtigung) e ripresentificazione (Vergegenwärtigung), un coincidere che altrimenti significherebbe l’auto-annullamento stesso della mia coscienza assoluta come polo identitario (comune) dei miei vissuti trascorsi e l’annullamento della possibilità stessa della memoria come loro consapevole distinzione. E dunque, seppure l’analisi dell’empatia e della rimemorazione non siano assolutamente sovrapponibili (per la loro differente modalità) esse condividono secondo Husserl, formalmente ed essenzialmente, una comune radice di irriducibile alterità. ↩︎
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HUA XV, p. 74. ↩︎
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Cfr. Ibidem, pp. 119-120. ↩︎
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Va inoltre notato a riguardo che la relazione tra Wiedererinnerung e Einfühlung nei Forschungsmanuskripte si trasforma per Husserl nel problema di una vera e propria implicazione reciproca. Un’implicazione essenziale che non possiede più solo la validità di semplice analogia resa possibile dalla comune espressività proprio-corporea che gli veniva attribuita in precedenza, e dove veniva sottolineata la differente struttura intenzionale tra l’identità dell’io con l’io co-presente nel ricordo e quella dell’altro io reso presente tramite l’empatia come ad es. in HUA XIII, pp. 219 ss. e in Filosofia prima. Teoria della riduzione fenomenologica, cit., pp. 175 sgg. Invece, come nota K. Held in Lebendige Gegenwart, Nijhoff, Den Haag 1966, p. 154, «nei manoscritti di ricerca, esperienza dell’estraneo e ricordo si chiariscono a vicenda». ↩︎
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In HUA Mat VIII, p. 14, Husserl afferma: «Io, nella riduzione primordiale, astraggo dalle validità degli altri costitutitesi nell’empatia [in der Einfühlung liegenden Geltungen Anderer] (come, similmente, all’interno delle mia propria sfera astraggo dalla validità dei ricordi che mettono in risalto il mio passato)». ↩︎
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HUA XV, p. 132. ↩︎
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Ibidem, p. 109. ↩︎
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Per un’ipotesi che avvicina tale affinità alla possibilità stessa di un mondo totale comune cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee…, cit., pp. 195-196. ↩︎