Sacro, spazio e divino in Heidegger

Un solo uomo basta a testimoniare che la libertà non è ancora scomparsa; ma di lui abbiamo bisogno. È allora che crescono in noi le forze per resistere.

— E. Jünger, Oltre la linea

1. Divino e altro inizio

A partire dalla metà degli anni Trenta appare sempre più insistente in Heidegger un maggior richiamo all’afflato divino/sacrale della filosofia.

I Beiträge zur Philosophie (1936-1938) , Besinnung (coevo ai Beiträge) , alcuni saggi dedicati a Hölderlin (frutto di discorsi tenuti alla fine degli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta): in questi lavori si concentra la tensione teoretica di Heidegger in relazione al tema del divino e all’altro inizio del pensare. I Beiträge in particolare possono essere considerati la seconda opera maggiore di Heidegger (come già lo stesso von Herrmann ha asserito).1

È proprio da questo lavoro, da questa opera preparatoria all’altro inizio del pensare, che parte la presente riflessione sul sacro e sul divino in Heidegger.

2. I Beiträge: l’Ereignis e l’ultimo Dio

Nell’analisi dei Beiträge2 in rapporto al divino3 è necessario soffermarsi sull’argomento centrale di quest’opera: l’Ereignis.4

L’Essere [Seyn] in quanto Ereignis.5

L’Essere in quanto Ereignis, l’Essere è essenzialmente (west) Ereignis. Cosa vuol dire questo? Perché l’Essere è essenzialmente Ereignis? Cos’è questo Ereignis? Cosa significa? Cosa fa?

Ereignis: la luce sicura dell’essenzialità dell’Essere nel più ampio campo visivo dell’intima urgenza dell’uomo storico.6

L’Ereignis fa luce sull’urgenza dell’uomo storico. L’Ereignis fa luce su un bisogno urgente. Perché è importante la luce? La luce schiarisce, dirada l’oscurità, la fende. Evidentemente l’urgenza che si ha dell’uomo storico è avvolta nelle tenebre. In una radura, la luce che arriva rende nitidi colori e forme che la circondano. L’urgenza dell’uomo storico, urgenza che è bisogno, necessità, rende implicita la mancanza, una mancanza angustiante, e ottenebra. È qui che l’Ereignis, essenzialità dell’Essere, getta luce. Perché uomo storico? Evidentemente l’uomo ancora non è storico. L’Ereignis indica questa mancanza, la mancanza di «accadimento» nell’uomo. Oltre ad essere la luce dell’essenzialità dell’Essere, e quindi ad essere essenzialmente legato all’Essere, l’Ereignis nel suo accadere, nel suo farsi proprio si rivolge all’uomo.

Il Dasein: Il «Tra» aperto e nascondente, tra l’arrivo e la fuga degli Dèi e l’uomo in esso radicato.7

Il Dasein è questo «Tra» aprente e che nasconde, è il «tra» tra uomo e Dèi. In più l’uomo è in esso radicato. L’uomo è radicato nel Dasein, è radicato nel «Tra» aprente e nascondente: Le sue radici strutturali si trovano in esso. Ciò che costituisce l’uomo è questo Tra, questo Dasein. Questo vuol dire che nell’uomo vi è l’apertura all’avvento e alla fuga degli dèi. È radicato, è costitutivo dell’uomo avere uno spiraglio sugli dèi.

Il Dasein e l’uomo sono intimamente legati: l’uomo si connatura ad esso, e il Dasein apre il «Tra» tra uomo e dèi.

Il Dasein ha la sua origine nell’Ereignis e nella di lui svolta.8

Ereignis, Desein, uomo, dèi. Sono tutti tra di loro connessi. All’origine di queste relazioni intrecciate vi è l’Ereignis. Il Dasein, che apre il tra uomo e Dèi, ha origine nell’Ereignis. L’Ereignis è la linfa vitale del Dasein e forse permette essenzialmente al Dasein stesso di aprire il luogo tra l’uomo e gli dèi. La luce dell’Ereignis illumina diradando lo spazio dell’incontro tra uomo e dèi, nello strutturarsi del Dasein su cui l’uomo stesso è radicato.

E nella svolta: l’Ereignis deve aver bisogno del Dasein, metterlo nel grido e portarlo davanti al passaggio dell’ultimo Dio.9

L’Ereignis pone il Dasein di fronte al passaggio dell’ultimo Dio. Il tema del divino,10 del Dio e degli dèi sono strettamente collegati con il tema dell’Ereignis. È lui stesso, l’Ereignis, nella sua svolta, a portare, a collocare il Dasein, su cui si radica l’uomo, di fronte al Dio. L’Ereignis collega uomo e il Dio. La tematica divina non si può scindere dal tema dell’Ereignis. Se il Dasein stesso è lo Zwischen, cioè il «Tra» che permette nel suo essere aperto lo stesso «tra» tra uomo e gli Dèi e se il Dasein ha origine nell’Ereignis, allora vorrà dire che è proprio dell’Ereignis un collegamento, una connessione con il divino. Perché ultimo? Perché il Dio che si para di fronte al Dasein, di fronte all’uomo, è detto «ultimo»?

L’ultimo Dio non è una fine, bensì il conchiudersi in sé dell’inizio, e dunque la forma più alta del rifiuto, perché ciò che è iniziale si sottrae a ogni cattura ed è essenzialmente solo nell’ergersi di tutto ciò che in esso è già compreso come futuro e rimesso alla sua forza determinante.11

L’ultimo Dio12 non indica una fine, semmai un inizio, o ciò che deve iniziare. E non si può trattenere, non vi è nulla che possa trattenerlo dal suo oscillare nell’inizio, dal suo muoversi nella direzione dell’inizio. E dall’ultimo Dio sporge, si fa vedere, si nota ciò che è venturo, prossimo, futuro. Ciò che è futuro si trova, si può cogliere nell’ultimo Dio. Il tema quindi dei futuri o venturi è strettamente correlato a quello dell’ultimo Dio, e così anche quello dell’altro inizio del pensiero.

Provenendo noi da una posizione rispetto all’ente determinata dalla «metafisica», solo difficilmente e lentamente possiamo conoscere ciò che è altro, ossia che il Dio non appare più in un’«esperienza vissuta», sia essa «personale» o «di massa», bensì unicamente nello «spazio» abissale dell’Essere stesso.13

L’ultimo Dio, su cui la riflessione filosofica deve concentrarsi per poter aprire un varco nell’altro inizio del pensiero, non fa parte dell’esperienza personale di un singolo, né di massa, bensì si trova, appare, nello «spazio» abissale dell’Essere stesso. Perché nel solo spazio abissale e non nello spazio-tempo di cui nelle pagine precedenti Heidegger aveva parlato?14

Evidentemente lo spazio gioca un ruolo fondamentale (se non fondativo) nell’altro inizio.

Abbiamo visto che il Dasein è l’apertura che permette il tra dell’uomo e degli Dèi e che è originario nell’Ereignis. L’ultimo Dio appare all’uomo non in maniera personale o collettiva, ma nello spazio abissale dell’essere. Nello spazio abissale dell’Essere il Dio appare. Il Dio appare nello spazio. Lo spazio è il luogo in cui accade il passaggio del Dio.

E l’Ereignis porta il Dasein al passaggio dell’ultimo Dio.

Già nei Beiträge zur Philosophie si può notare una relazione, se non così decisiva e evidente come in Tempo e essere, tra Ereignis e Spazio. Il problema nasce laddove Heidegger parla del gioco di spazio e tempo o di Spazio-tempo come di una sola, unica, cosa, in relazione all’Abisso (Ab-grund), per poi utilizzare solo lo spazio15 come luogo dell’apparizione dell’ultimo Dio nell’Essere stesso.

3. Il divino e la poesia

Dall’ultimo Dio al sacro: Heidegger concentra l’attenzione, grazie alla lettura delle poesie di Hölderlin,16 sul tema del sacro.17 A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta importanti sono, in tal senso, saggi come Heimkunft18 o «Wie wenn am Feiertage…»19. Il dialogo con la poesia di Hölderlin continua anche sul finire degli anni Cinquanta. Hölderlins Erde und Himmel è una conferenza del 1959, in cui confluiscono temi contenuti e affrontati precedentemente in La cosa20 o Costruire abitare pensare21 dei primi anni Cinquanta.

Il motivo del confronto di Heidegger con Hölderlin è quello di una riflessione sempre più accesa sull’ambito del divino e il sacro, in cui il filosofo sembra scorgere un cammino che apre al nuovo, nuovo inteso come il das Andere, l’altro del pensiero fino adesso pensato.

Nella conferenza intitolata «Heimkunft» Heidegger pone l’attenzione su un inno di Hölderlin dal titolo Il viaggio:

Schwer verlässt / Was nahe dem Ursprung wohnet, den Ort.22

Difficilmente ciò che abita vicino all’origine abbandona il luogo.23

Il luogo24 è vicino all’origine, il luogo che è la patria. Heidegger si rivolge proprio a questo concetto, quello di patria, per indicare ciò che è vicino all’origine. Perché il riferimento alla patria e perché l’accostamento con l’origine? Il muoversi verso casa, l’andare verso la patria mostra «il ritorno nella vicinanza all’origine»25

Il pensare alla patria, alla terra natia, consiste nella Rückkehr verso la vicinanza all’origine. La terra natia è il luogo della vicinanza all’origine. Bisogna osservare anche che la patria non è l’origine, o il luogo dell’origine, ma il luogo della vicinanza all’origine. Cosa significa questo?

Nel ritorno, nel movimento di ritorno, che è importante per l’intero pensiero filosofico di Heidegger, vi è riferimento a un luogo, al luogo, nel caso della poesia di Hölderlin, alla terra natia, alla patria, che è vicino all’origine. Bisogna tornare a ciò che vi è di più vicino a ciò che ci è familiare per avvicinarsi all’origine.

Commenta così Heidegger:

Può ritornare solo colui che prima e forse già per lungo tempo si è caricato sulle spalle, in quanto viandante, il peso del viaggio ed è andato lassù, all’origine, per farvi esperienza di ciò che va cercato, per tornare indietro, in quanto cercatore, più esperto.26

Il risalire all’origine dal luogo in cui si è, dalla situazione in cui si è un tornare per poi ritornare esperti, consapevoli di cosa è da cercare.

Riferendosi al luogo, alla vicinanza all’origine, Heidegger afferma:

La vicinanza all’origine è un segreto [Geheimniss].27

Ciò che è più vicino, ciò che è familiare è un segreto. Il segreto riconduce a casa, al luogo vicino all’origine. Cos’è questo segreto? In tedesco la parola ‘segreto’ è costituita dalla parola Heim, casa. Che sia la patria ciò che è segreto? E quindi non ancora conosciuto, non ancora s-velato?

Il luogo è vicino all’origine, è la vicinanza stessa e questa vicinanza è segreto. Avvicinarsi all’origine è avventurarsi nel segreto, nel non rivelato, nel non svelato.

Un segreto che bisogna mantenere. Infatti si chiede Heidegger:

Ma come custodirlo senza conoscerlo, questo segreto della vicinanza? Per questa conoscenza occorre sempre che ci sia uno che, arrivando a casa per primo, dica il segreto:

«Aber das Beste, der Fund, der unter des heiligen Friedens Bogen liegt, er ist Jungen und Alten gespart»

Ma il meglio, il bene ritrovato che giace sotto l’arco della sacra pace, è in serbo per giovani e vecchi

«il tesoro», quanto la patria ha più proprio, «il tedesco», è tenuto in serbo. La vicinanza all’origine è una vicinanza che tiene in serbo. Essa ritiene il più gioioso. […] Nell’essenza della vicinanza si compie l’evento di un nascosto tenere in serbo. Che la vicinanza tenga in serbo ciò che è vicino, è il segreto della vicinanza al più gioioso.28

La vicinanza all’origine risparmia qualcosa che non è andato perso, che non è andato perduto. Nel vicino della vicinanza che essa conserva, che essa risparmia, si trova il segreto. E questa vicinanza è vicina a ciò che di più gioioso, a ciò che reca più gioia in assoluto. Il fatto che vi sia uno scarto tra la vicinanza e l’origine, che il luogo non sia l’origine ma sia vicino ad essa, mantiene il segreto. Il segreto, che viene così mantenuto nella vicinanza, reca con sé anche ciò che di più gioioso. Perché gioia? Perché qualcosa si mantiene, qualcosa rimane, non va disperso, non va perso. Questa è la gioia di aver mantenuto, risparmiato nell’origine qualcosa. Il segreto [Geheimniss] è di casa [Daheim] all’uomo. Questo, secondo Heidegger, sottolinea il poeta, la gioia dell’aver conservato qualcosa, la vicinanza all’origine, il segreto. E questo risparmiare, questo segreto è vicino a ciò che vi è di più felice. Ma ancora non si è risposto a un interrogativo. Scrive Heidegger:

Poetare significa essere nella gioia che mantiene nella parola il segreto della vicinanza a ciò che vi è di più gioioso.29

Il poeta, il poetare, secondo Heidegger, mantengono il segreto nella parola, nella parola poetica. È evidente, però, che la vicinanza [Nähe] gioca un ruolo decisivo. È la vicinanza che mantiene distante il raggiungimento totale dell’origine. Qualcosa si conserva, qualcosa viene risparmiato. Tra il segreto e l’origine vi è uno scarto, vi è lo scarto che consente il mantenimento di entrambi. E lo stesso segreto, che è formato dalla parola heim, non è qualcosa che dà sgomento, che suscita paura. Ma al contrario è ciò che ha in sé il familiare, il domestico, la casa, luogo che ci accoglie. Il segreto, ciò che è nascosto è in realtà ciò che è più vicino a noi. La nostra patria, la nostra casa, la nostra terra natia è il segreto. È vero che è la parola poetica che mantiene questo segreto, ma è la vicinanza il luogo di tale segreto, senza la quale neanche la parola poetica potrebbe mantenerlo. Prima di ogni parola poetica, la vicinanza permette la parola poetica stessa. Permette, cioè, alla parola poetica di mantenere nell’ossimoro il segreto. Il problema filosofico che qui si sta cercando di affrontare è il seguente: è la parola che dà la vicinanza all’origine o è la vicinanza a dare la parola sul segreto che si mantiene nell’origine stessa?

Heidegger si sofferma su un altro passo importante che contiene il tema del sacro. È un passo di Sofocle, tradotto da Hölderlin, in cui la terra natia, la patria, è considerata sacra.30 Successivamente Heidegger mette in relazione il sacro con l’assenza del Dio:

Sì, il sacro appare. Ma il dio resta lontano. Il tempo del bene ritrovato che è in serbo è l’epoca in cui il Dio manca. La «mancanza» del Dio è il fondamento del mancare di «nomi sacri». Ma siccome il bene ritrovato, in quanto è in serbo, è comunque vicino, nell’avvicinarsi dei celesti chi saluta è il Dio che manca.31

Il sacro appare, il Dio rimane assente. Senza il Dio non si può nominare nulla, non ci sono parole sacre. Si nota che il sacro appare e il Dio manca. ùCome può esservi il sacro senza il Dio? È il sacro, allora, svincolato dalla presenza di un Dio? E cosa rende il sacro ‘sacro’? Abbiamo visto l’associazione stretta tra patria e sacro e anche i nomi. Che sia la vicinanza al segreto nello scarto dall’origine a sacralizzare l’origine stessa, la provenienza? Che sia la vicinanza stessa il sacro? Essere vicino all’origine, al «da dove» costituirebbe il sacro. L’apparire, il manifestarsi del sacro nonostante l’assenza, la mancanza del Dio, costituisce una chiara differenza tra il sacro e il Dio stessi. Il sacro non sottintende il Dio in questione, non ne è dipendente. Questo è fondamentale anche dal punto di vista teoretico e, se vogliamo, teologico nel senso stretto della parola. Se il sacro è svincolato dall’idea del Dio, o di un dio, allora vorrà dire che la dimensione sacrale che appare nella vicinanza all’origine, che si relaziona con la terra natia, va al di là di qualsiasi fede a un dio specifico. Non è il Dio che rende sacro il mondo, la terra o le cose. Il sacro è di per sé costituito indipendentemente dal concetto di divino.

Il sacro, dice Heidegger, appare. Come noi possiamo cogliere l’apparizione del sacro?

4. La natura e il sacro

Natura, natura si dice in greco physis. Questa parola è la parola fondamentale dei pensatori all’inizio del pensiero occidentale.32

Perché una domanda sul sacro rinvia in Heidegger a una domanda sulla natura?

In questa poesia di Hölderlin «Wie wenn am Feiertag…» Heidegger mette in evidenza l’importanza essenziale del sacro nel concetto stessa di natura, intesa però nel senso greco di physis. E perché la natura, prima di tutto è importante per Heidegger?

La natura educa i poeti. […] Essa è presente in tutto il reale. La Natura dispiega la sua presenza nell’opera degli uomini e nel destino dei popoli, nelle costellazioni e negli Dèi, ma anche nelle pietre, nelle piante e animali, ma anche nei fiumi e nelle tempeste.33

La natura è presente sia nel lavoro degli uomini, nelle loro opere, sia nelle piante, sia nello scorre dei fiumi e anche negli Dèi. Nel cielo e sulla terra, nell’opera umana e nel destino dei popoli la natura dimora. Si potrebbe dire che se c’è un elemento in comune tra l’agire umano, le cose stesse e gli dèi, è appunto la physis, natura propriamente intesa nell’accezione greca. La natura non è una divinità. È già presente sia negli Dèi sia nelle cose terrene.

La natura non è propriamente divina ma

risvegliandosi, svela la sua propria essenza in quanto il sacro.34

La natura, che è presente in ogni cosa elemento, divino o mortale, svela la sua essenza quale il sacro, il sacro quindi costituisce essenzialmente la natura. E se essa si svela in quanto essenzialmente il sacro, non vorrà forse dire questo che il sacro circonda ogni cosa nel mondo?

Prima di ogni cosa reale e di ogni opera vi è la natura, anche prima degli dèi. […] La natura è al di là degli dèi. Essa, la potente, è capace ancora di altro rispetto agli dèi: in essa in quanto Lichtung35 tutto può essere presente. Hölderlin nomina la natura il sacro, perché è più antica dei tempi ed è al di là degli dèi.36

La natura è prima di ogni cosa: anche prima degli dèi. Essa può laddove gli dèi stessi non possono. Essa è radura, Lichtung, dove tutte le cose sono presenti. La natura si apre in quanto Lichtung e si costituisce luogo delle cose. E, proprio perché è prima dei tempi e al di là degli dèi, essa è il sacro. Questo passo è decisivo perché mette in relazione la natura, con la Lichtung e il sacro. La natura è chiamata da Hölderlin il ‘sacro’in quanto è anche al di là degli dèi. Al di là degli dèi in quanto Lichtung dove tutto può essere presente. In quanto radura che permette a ogni cosa di essere presente la natura è sacra. Il sacro è essenziale nella natura in quanto Lichtung. La caratteristica della radura di aprire il luogo per ogni cosa conferisce alla natura il carattere sacrale. Lichtung e sacro si intrecciano in un movimento indissolubile.

Il sacro non è sacrale perché divino, bensì il divino è divino, perché a suo modo sacro.37

Questo passaggio è fondamentale. Il sacro non dipende dal divino, semmai è il divino che è tale per avere un carattere sacro. La sacralità viene prima del divino, è prima di ogni elemento divino. E il sacro è «l’essenza della natura»38

La natura è prima di ogni cosa, sta prima di tutto e per questo ha un carattere iniziale.

Infatti

poiché la natura è ciò che è iniziale prima di tutto, può sentire solo inizialmente, in maniera nuova, quando si sente di nuovo.39

La natura, la cui essenza è il sacro, ha la caratteristica, in quanto ciò che è all’inizio, che è prima di ogni cosa, di avvertire, di sentire il nuovo, ogni volta che essa si sente. Questo significa che la natura è legata all’inizio, sente, avverte su di sé l’inizio, in quanto essa è essenzialmente il sacro.

La natura porta con se’i tratti dell’inizio. Solo se si sente, può avvertire il nuovo. Il verbo in questione è sich fühlen, che significa sentirsi. Questo sentire è un sentire legato alla fisicità, alla corporeità, alla concretezza, propria della natura. Come essa può sentirsi?

Natura e sacro, natura e inizio. E natura prima di tutti i tempi. Ma la natura stessa come inizia? Ha lei stessa un’origine o è lei stessa l’origine di tutto?

Solo la natura è generata dal sacro Caos.40

La natura ha inizio, è generata dal Caos sacro, dal Caos che non ha regole o leggi.

Ciò che dà vita alla natura appunto è il caos. Ma cos’è alla fine il Caos?

il Caos è il sacro stesso.41

Il sacro, l’essenza della natura, è la sua genesi. Il sacro è al di là delle regole, è privo di regole. Dal sacro si originano le cose. Quindi nel sacro vi è la provenienza. La provenienza, il da dove, il luogo d’origine della natura stessa è senza regole. L’origine è caotica, non chiara, non definita, al di là degli dèi stessi.

Non dipende dalla natura divina degli dèi. Al contrario, dal sacro hanno il loro avvio tutte le cose del mondo. Il sacro è origine, e questa origine è Caos. Resta da pensare e da chiedersi cosa sia l’essenza del sacro. Il Caos è ciò che non ha regole, è confusione, disordine. Perché allora il Caos è sacro? E cosa c’entra la sacralità con il disordine, con l’assenza di regole? Cos’è sacro? Ciò che è sacro non potrebbe essere la provenienza stessa? Non potrebbe essere l’originario stesso?

Il Caos dunque sarebbe sacro laddove è l’originare di ogni cosa. L’essere sacro si definirebbe a partire dalla provenienza stessa di tutto. Della natura stessa. E la provenienza è indefinita, illimitata, caotica.

Lo stesso Caos, che è antitesi dell’ordine, otterrebbe una accezione sacrale. Ma perché l’originario è sacro? Perché ciò che genera è sacro? L’origine dà esistenza, permette l’esistenza delle cose, dell’uomo, delle pietre, degli astri, ma al tempo stesso è persa nel suo dare. L’origine non dà se stessa, l’origine origina. Nella sua azione, perpetuata dalla natura essa non compare. Ciò che è visibile, concreto, tangibile è l’azione incessante della natura. Nel continuo movimento nella quiete nasconde l’origine che l’ha generata e che genera, e nel nascondere l’origine se ne perdono le tracce. Il Caos non regna sovrano perché è nascosto dalla natura che è presente in tutto. Anche negli dèi. Il sacro è al di là degli dèi stessi e nascosto al mondo, seppur generando la natura stessa e il di lei carattere iniziale di tutte le cose. Il sacro è il da dove. Ma questo da dove è introvabile, è al di là dei sensi, nascosto dalla quieta presenza della natura. Il sacro è il segreto di questa origine.

Il sacro colloca ogni esperire fuori dalla sua abitudine [Gewohnung] e gli vieta così lo stanziamento [Standort] .42

Il sacro tiene lontano da sé ogni forma di esperienza, dall’insediarsi nel sacro stesso, nel porsi nel luogo del sacro. È interessante notare l’uso di parole come Gewohnung e Standort, entrambe parole che contengono riferimenti a stato in luogo. Gewohnung, infatti, che viene tradotto con ‘abitudine’o ‘assuefazione’, ha in sé la parola -Wohnung- che significa ‘abitazione’, e Standort, che significa ‘posto’, ‘presidio’- il rimanere cioè a lungo in un posto -, contiene la parola Ort, ‘luogo’Il sacro impedisce all’esperire di prendere posto in esso. L’esperienza non riesce quindi a cogliere il luogo essenziale della natura, il luogo originario da cui sgorga la natura stessa che è presente in ogni cosa. Esso appunto tiene lontano, pone fuori, colloca fuori, l’esperienza dal suo luogo di origine. Questo tenere lontano, questo vietare, impedire è una vera e propria intimidazione che il sacro fa all’esperire. Il sacro intimidisce, intimorisce. Il sacro quindi spaventa l’esperienza. Ciò che tiene a distanza, intimorisce chi si vuole avvicinare.

Quindi spaventando il sacro è lo spaventoso stesso. Ma la sua spaventosità rimane nascosta nella benevolenza del lieve abbraccio. Poiché proprio questo istruisce i poeti futuri, essi conoscono il sacro in quanto coloro che ne sono stati inclusi.43

Il sacro, tenendo a distanza, spaventa. Esso non è facile da esperire perché allontana da sé, dal suo luogo, l’esperienza possibile. Solo i poeti futuri sono stati inclusi dal sacro nelle sue lande. Solo i futuri cantano e poetano del sacro. Solo i futuri poetano dell’origine. Educati nel e dall’origine nel guardare al futuro i poeti poetano sull’origine. I futuri sono tali nel loro essere inclusi nella provenienza originaria, generatrice della natura iniziale che è presente in ogni cosa. Il futuro è legato all’origine, i poeti sono inclusi in essa per poter potare il futuro del sacro. Il sacro include i poeti che poetano l’origine, la provenienza inavvicinabile. Il sacro è il segreto che è dimora dei poeti. Il sacro è un luogo inavvicinabile, è l’origine di tutto. Il sacro sfugge ai tempi, dà essenzialmente questo dono alla natura, di essere al di là dei tempi, e di non dipendere dal Dio o dagli dèi. Il sacro, il Caos primordiale che è fonte, sorgente della natura, è il luogo dell’inavvicinabile, il nascosto, ciò che ha oblio, perché dimenticato. Ma la dimenticanza di questo sacro, il suo nascondersi dietro la presenza estesa della natura mantiene salva la sua sacralità.

Il sacro, appunto, è la dimora nascosta, provenienza irraggiungibile, il da dove, il da cui, di tutto, luogo lontano e distante ma al tempo stesso presente. Cosa avrebbe a che fare, a che vedere questa digressione sul sacro, sull’origine, sulla provenienza con lo spazio? Domandarsi dello spazio e avere una risposta immediata non è semplice. Lo stesso Heidegger nel saggio Die Kunst und der Raum44 del 1969 si interroga a più riprese sul significato e sulla concezione di spazio fino ad ora conosciuta. Heidegger collega nel suo continuo interrogare lo spazio [Raum] con il liberare/fare spazio [Räumen] . Lo spazio porta con sé il liberare. E infatti scrive Heidegger:

Il fare spazio produce ciò che è libero [das Freie], l’aperto a favore di un colonizzare e di un abitare dell’uomo. […] Fare spazio è la liberazione degli spazi, nei quali un dio appare, degli spazi, dai quali gli dèi sono scappati, nei quali l’apparire del divino esita da lungo tempo ad arrivare. Il far spazio produce il paesaggio che prepara di volta in volta un abitare.45

Nella parola spazio parla il fare spazio. E fare spazio libera, rende aperto un luogo per l’abitare umano. L’uomo abita grazie al fare spazio dello spazio, che libera i luoghi, che porta con sé, produce, libertà. E inoltre un dio vi appare, ma gli dèi da quei luoghi resi liberi dal fare spazio sono scappati e il divino tarda ad apparire. Un dio, gli dèi e il divino si collegano ai luoghi, ai luoghi cui si rivolgono le sorti dell’uomo. Un dio riesce ad apparire in questi luoghi, ma gli dèi ne sono scappati, e il divino non appare.

Il fare spazio dello spazio crea i luoghi in cui può apparire il divino. Lo spazio crea il luogo, i presupposti dell’apparire divino e il luogo dell’abitare dell’uomo. Lo spazio è strettamente legato al tema del divino. Lo stesso luogo del divino non può esserci senza il fare spazio dello spazio. Senza l’azione dello spazio che libera, che apre al luogo, ai luoghi, il divino non può sussistere. e neanche lo stesso abitare umano. Così l’abitare dell’uomo e l’apparire del divino sono strettamente intrecciati dal farsi spazio dello spazio. Il Räumen permette l’apparire e l’abitare, rende libero e apre. Il farsi spazio è il farsi libera della libertà stessa. Lo spazio apre al luogo dove l’umano e il divino si incontrano e dimorano. Il fare spazio prepara i luoghi all’arrivo del divino, al ritorno degli dèi e all’apparire di un Dio e all’abitare dell’uomo. L’uomo abita solo nello spazio libero del luogo. È solo nello spazio libero che l’uomo abita, in quel luogo che permette anche agli dèi di apparire. L’uomo abita in uno spazio libero se si trova nel luogo in cui posso arrivare, apparire gli dèi, in cui il divino arriverà. Abitare non assume qui un nuovo significato? Abitare non significa forse la coesistenza di dei e uomini? Il fare spazio dello spazio prepara i luoghi all’abitare, li libera per prepararli a essere abitati. Lo spazio libero apre all’abitare dell’uomo, ma non vi è abitare senza l’apparizione, avvento degli Dèi, del divino. La libertà è il luogo del dimorare di uomo e divino, il luogo della loro coesistenza a venire.


  1. Cfr. F.-W. von Herrmann, Wege in Ereignis. Zu Heideggers «Beiträgen zur Philosophie», Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1994. ↩︎

  2. cfr. G. Kovacs, «An invitation to think through and with Heidegger’s Beitraege zur Philosohie», in Heidegger Studies, volume 16, 1996, Duncker & Humblot Berlin, p. 17-36. Sempre sui Beitraege R. Polt, The Emergency of Being. On Heidegger’s Contributions to Philosophy, Cornell University Press, Ithaca, 2006. ↩︎

  3. Sulla domanda se il pensiero di Heidegger sia a-teologico si rinvia a G. Penzo, «Martin Heidegger: un filosofare a-teologico?», in Quaderni di Humanitas. Heidegger, a cura di G. Penzo, Morcelliana, Brescia 1990, pp. 9-37; e sul rapporto filosofia e teologia in Heidegger cfr. B. Schumacher, «Deux ennemies irréductibles. La philosophie et la théologie selon Heidegger», in Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, 44. Band 1997, Paulusverlag Freiburg Schweiz e anche M. Jung, Das Denken des Seins und der Glaube an Gott. Zum Verhaeltnis von Philosophie und Theologie bei Martin Heidegger, Koenigshausen & Neumann, Wuerzburg, 1990. ↩︎

  4. G. Stenstad, «The turning in Ereignis and trasformation of thinking», in Heidegger Studies, volume 16, op. cit., pp. 83-94; P.-L. Coriando, «Die «formale Anzeige» und das Ereignis», in Heidegger Studies, Volume 14, 1998, Duncker & Humblot, Berlin, pp. 27-43. ↩︎

  5. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), Hrsg F.-W. Von Hermann, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1989, 2., durchgesehene Auflage 1994, S. 29; Id., Contributi alla filosofia. Dall’evento, ed. it. a cura di F. Volpi, trad. it. A. Iadicicco, Adelphi, Milano 2007, p. 57. ↩︎

  6. M. Heidegger, op. cit., S. 31. Id., Contributi alla filosofia. Dall’evento, op.cit., p. 58, traduzione modificata. ↩︎

  7. Ibidem; Id, Contributi alla filosofia. Dall’evento, op. cit., p. 59. ↩︎

  8. Ibidem; Ibidem, traduzione modificata. ↩︎

  9. Ivi, S. 407; Contributi alla filosofia. Dall’evento, op. cit., p. 399. ↩︎

  10. Si veda a riguardo il lavoro di R. S. Gall, Beyond theism and atheism: Heidegger’s significance for religious thinking, Martinus Nijhoff, 1987, in particolare il cap. 4. ↩︎

  11. M. Heidegger, op. cit., p. 416; Id., Contributi alla filosofia. Dall’evento, op. cit., p. 407. ↩︎

  12. Sull’ultimo Dio cfr. P.-L. Coriando, Der letzte Gott als Anfang, Wilhelm Fink, München 1999. La Coriando sottolinea il forte legame tra lo Zeit-Raum e l’ultimo Dio nei Beiträge. La domanda che suscita un tema come lo Zeit-Raum è questa: perché Heidegger non ne parla più in Zeit und sein, in Tempo e Essere? Perché Heidegger parla di Ereignis e spazio, come dei due termini di riflessione a partire dai quali ripensare la filosofia? Ancora sull’ultimo Dio cfr. C. Esposito, «Die Geschichte des letzten Gottes in Heideggers «Beitraege zur Philosophie»», in Heidegger Studies, Volume 11, 1995 Duncker & Humblot, Berlin, p. 33-60; cfr. U. Regina, «Il problema antropologico nei Beiträge zur Philosophie di Martin Heidegger», in Fenomenologia e società, anno XIV, n. 2 (dicembre 1991), Piemme, Milano; Id., «I mortali e l’ultimo Dio nei Beiträge zur Philosophie», in Quaderni di Humanitas. Heidegger a cura di G. Penzo, op. cit., pp. 165-198; sul rapporto dèi, ultimo Dio e Dio cristiano cfr. H. Hübner, «Martin Heideggers Götter und der Christliche Gott. Theologische Besinnung ueber Heideggers ‘Besinnung’ (Band 66)», in Heidegger Studies, Vol. 15, 1999, Duncker & Humblot, Berlin. ↩︎

  13. Ibidem. ↩︎

  14. In relazione all’Ab-grund cfr. § 242: «Der Zeit-Raum als Ab-grund». ↩︎

  15. Cfr. M. Heidegger, Besinnung, hrsg F.-W. Von Herrmann,Vittorio Klostermann GmbH, Frankfurt am Main, 1997, p.102, § 32. E’ interessante notare come, se con due connotazioni diverse, Heidegger metta a confronto lo spazio e il Caos, quest’ulitmo poi definito come Ab-grund, abisso. ↩︎

  16. Un lavoro di grande importanza sul confronto tra Heidegger e Hölderlin è sicuramente quello di S. Ziegler, Heidegger, Hölderlin und die Aletheia. Martin Heideggers Geschichtsdenken in seinen Vorlesungen 1934/35 bis 1944, Duncker & Humblot, Berlin, 1991. Si rinvia a un altro grande lavoro sul confronto tra Heidegger e Hölderlin, B. Allemann, Hölderlin und Heidegger, Atlantis Verlag, Zürich und Freiburg in Breslau, 1954. ↩︎

  17. Sul sacro cfr. R. Otto, Il sacro: l’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, trad. di Ernesto Buonaiuti, Zanichelli, Bologna 1926; sull’interpretazione heideggeriana di Otto cfr. A. Caputo, La filosofia e il sacro: Martin Heidegger lettore di Rudolf Otto, Stilo, Bari 2002; su Heidegger e Hölderlin in relazione al sacro cfr. F. Duque, «Vollendete Uneigennützigkeit. Das Heilige bei Heidegger und Hölderlin», in «Voll verdienst, doch dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde». Heidegger und Hölderlin, hrsg. von Peter Trawny, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 2000, pp. 123-148; sempre nella stessa raccolta si veda anche P. Trawny, «Das kommende un der letzte Gott bei Hölderlin und Heidegger», in «Voll verdienst, doch dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde»…, op. cit. , pp. 199-220; cfr. Z. Tsikrikas, Jenseits von Phänomenologie und Dialektik. Das Heilige und das Plözliche bei Martin Heidegger, V&R unipress, Göttingen, 2004 p. 257. Cfr. H. Helting, Heideggers Auslegung von Hölderlins Dichtung des Heiligen, Duncker & Humblot, Berlin, 1999; cfr. G. Pöltner, Auf der Spur des Heiligen, Böhlau Wien, 1991. ↩︎

  18. Discorso tenuto il 6 giugno del 1943. ↩︎

  19. Discorso pronunciato a più riprese nel 1939 e nel 1940. ↩︎

  20. Conferenza tenuta nel 1950 cfr. M. Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 2001. ↩︎

  21. Conferenza tenuta nel 1951. cfr. M. Heidegger, Saggi e discorsi, op. cit. Sull’abitare cfr. B. Biella, Eine Spur ins Wohnen legen: Entwurf einer Philosophie des Wohnen nach Heidegger und über Heidegger hinaus, Parerga, Bonn 1998. Argomenti affrontati sono appunto quello dell’abitare, del costruire e degli dèi in relazione al sacro; sempre sul tema dell’abitare in Heidegger: A. Van Sevenant, «Abitare come dimorare. Per una architettonica estatica e dinamica», in Estetica 44-45 (2-3 1993) XXXIII, pp. 92-102. ↩︎

  22. M. Heidegger, Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung, hrsg. von F.-W. Von Herrmann, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1981, S. 23; Id., La poesia di Hölderlin, a cura di L. Amoroso, Adelphi, Milano 1994, p. 27. ↩︎

  23. Traduzione modificata. ↩︎

  24. Un interessante lavoro sul luogo in Heidegger è quello di J. Malpas, Heidegger’s Topology: Being, place, world., The MIT Press, Cambridge Massachussets, London England, 2006. Si veda il cap. 5 dal titolo The poetry that thinks: place and event. Capitolo, questo, molto denso e ricco di molti spunti di riflessione. L’importanza del luogo viene messa in risalto da Heidegger proprio laddove il filosofo affronta il «poetare pensante» di Hölderlin e quindi l’argomento del divino e al tempo stesso dell’Ereignis↩︎

  25. Ibidem. ↩︎

  26. M. Heidegger, op. cit., S. 23-24, id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 28. ↩︎

  27. Ibidem, Id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 29. Si preferisce tradurre Geheimnis con ‘segreto’, e non con ‘mistero’. ↩︎

  28. Ibidem. ↩︎

  29. M. Heidegger, op. cit., S. 25; id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 30, traduzione modificata. ↩︎

  30. M. Heidegger, op. cit., S. 26: «Sonst will ich, wenn es die Zeit giebt, die Eltern unserer Fürsten und ihre Size und die Engel des heiligen Vaterlands singen». ↩︎

  31. M. Heidegger, op. cit., S. 27-28; Id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 33. ↩︎

  32. M. Heidegger, op. cit., p. 56; Id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 70. ↩︎

  33. M. Heidegger, op. cit., S. 52; Id, La poesia di Hölderlin, op. cit., pp. 65-66. ↩︎

  34. M. Heidegger, op. cit., S. 59; Id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 72, traduzione modificata. ↩︎

  35. Sul tema della Lichtung e del sacro cfr. F.-W. von Herrmann, Wege in Ereignis, op. cit. p. 357; L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosemberg & Sellier, Torino 1993; sul tema Lichtung e altro inizio cfr. Jae-Woo Song, Licht und Lichtung. Martin Heideggers Destruktion der Lichtmetaphysik und seine Besinnung auf die Lichtung des Seins, Gardez! Verlag, St. Augustin, 1999. ↩︎

  36. Ibidem; Id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 73, traduzione modificata. ↩︎

  37. Ibidem; Id., La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 73, traduzione modificata. ↩︎

  38. Ibidem. ↩︎

  39. M. Heidegger, op. cit., S. 60; id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 74, traduzione modificata. ↩︎

  40. M. Heidegger, op. cit., S. 62; id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 76, traduzione modificata. ↩︎

  41. M. Heidegger, op. cit., S. 63; id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 77. ↩︎

  42. Ibidem; id, La poesia di Hölderlin, op. cit., p. 78, traduzione modificata. ↩︎

  43. Ibidem, traduzione modificata. ↩︎

  44. M. Heidegger, Aus der Erfahrung des Denkens 1910-1976, hrsg von H. Heidegger, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main, 1983, S. 203. Nel saggio su Der Ursprung des Kunstwerkes del 1935 Heidegger scrive che «essendo un’opera opera, essa dispone [einräumen] ogni spaziosità [Geräumigkeit]: Disporre [einräumen] significa qui questo: liberare [freigeben] il libero dell’aperto e allestire questo libero nella sua orbita. Questo disporre è essenzialmente a partire da ciò che è chiamato erigere. L’opera innalza in quanto opera un mondo. L’opera tiene l’Aperto [das Offene] del mondo aperto». Il verbo einräumen è collegato al verbo freigeben, il disporre, il mettere in ordine che ha nella sua radice la parola Raum rinvia a liberare, al dare libertà. Einräumen, freigeben, das Offene sono in rapporto l’un l’altro già a partire dalla riflessione heideggeriana sull’opera d’arte. Parole queste che poi ritroviamo appunto nel saggio del 1969 sull’arte e lo spazio. Lo spazio è in rapporto con l’aperto e la libertà. ↩︎

  45. M. Heidegger, op. cit., p. 206. ↩︎