1. Introduzione
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita. ………………………………………….. Lo duca ed io per quel cammino asceso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo salimmo su, el primo ed io secondo, tanto ch’i’ vidi delle cose belle che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo; e quindi uscimmo a riveder le stelle.
Questi versi iniziali e finali della cantica dell’Inferno testimoniano il dramma della “selva oscura ” e la gioia di “riveder le stelle” che il grande poeta Dante Alighieri ha affrontato, come tutti gli esseri umani “nel mezzo del cammin di nostra vita”.
Infatti è proprio nel pieno della maturità che ogni essere vivente ed ogni essere pensante si pone quelle domande fondamentali che danno un senso profondo alla sua esistenza passata e al suo futuro.
L’uomo del terzo millennio non si sottrae a questo eterno dilemma che si ripropone costantemente e tanto più fortemente quando più veloci sono le trasformazioni delle cose che lo circondano. Immersi completamente in questi continui cambiamenti ci troviamo completamente sbilanciati verso nuovi traguardi e ci accorgiamo di aver perso completamente i vecchi punti di riferimento su cui ci eravamo basati precedentemente e nello stesso tempo non siamo in grado di distinguere i nuovi punti d’approdo.
E allora il passo si fa meno affrettato e più circospetto per paura di perdere completamente la luce che ci ha guidato e per poter piantare un altro faro che ci possa illuminare ancora la strada verso la meta.
Le domande fondamentali che ogni essere umano si pone al centro della sua esistenza, seppure non espresse esplicitamente, sono sempre le stesse: chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?
E la risposta a queste domande che si ripropongono sempre nei vecchi termini non è mai la stessa ma cambia con il variare delle nostre conoscenze sulla natura umana e sul mondo che ci circonda, per cui dobbiamo abbandonare l’idea cara a molti filosofi ed a molti teologi di cercare una risposta esauriente e definitiva valida per tutti e per l’eternità e prendere coscienza che le nostre risposte, anche se generalmente esaurienti, sono e saranno sempre perfettibili.
La soluzione del problema esistenziale è di tipo individuale poiché ogni individuo è chiamato a dare personalmente la sua risposta ma nello stesso tempo è di tipo collettivo poiché le caratteristiche che accomunano il genere umano sono enormemente maggiori di quelle che contraddistinguono i vari popoli ed i singoli individui.
Sulla base di queste constatazioni molti si limitano a cercare delle risposte preconfezionate proposte dai vari filosofi o teologi o santoni di grido. Altri cercano di dare delle risposte personali e innovative nel tentativo di avvicinarsi maggiormente alla verità e di superare le contraddizioni che seppure evidenti sono da molti ignorate e sottovalutate.
Queste poche pagine si inquadrano in questo secondo filone con lo scopo unico di condividere una maturazione personale acquisita in oltre 50 anni di vita a cavallo tra il XX e il XXI secolo dedicati alla attività sociale e alla ricerca scientifica con la speranza che possano essere utili a quegli animi inquieti che non sanno resistere alla voglia di guardare oltre il banale e verso l’ignoto.
2. Le domande a cui rispondere
Le argomentazioni che seguono in questo saggio traggono origine da quattro quesiti principali che si impongono prepotentemente all’inizio di questo terzo millennio e che determinano un punto di snodo fondamentale per il futuro dell’Umanità.
La giustificazione di questa affermazione che a prima vista potrebbe sembrare esorbitante trae origine soprattutto dalla constatazione che i livelli attuali dello sviluppo scientifico sono tali da prefigurare un intervento diretto non solo sulle condizioni di vita ma addirittura sulla natura stessa del genere umano.
La possibilità di utilizzare l’ingegneria genetica non solo per formare organi ed apparati sostitutivi nella persona ma anche per procedere alla clonazione stessa degli individui apre nuovi scenari sul futuro dell’umanità che necessitano di una notevole base di carattere culturale, filosofico, etico e sociale adeguata alle nuove scelte impegnative che si presenteranno negli anni futuri.
Le domande fondamentali sono le seguenti:
a) Esiste il trascendente e come si manifesta?
La prima questione che si pone per l’individuo del terzo millennio è se la trascendenza assume ancora un significato in questa epoca supertecnologica o se debba soltanto considerarsi come un retaggio del passato.
In un mondo in cui il dominio della scienza sembra essere inarrestabile ed incontrastato, il richiamo al soprannaturale sembra aver perso quel fascino misterioso che ha esercitato sull’uomo sino dai tempi ancestrali.
Ogni cosa sembra possibile tramite la scienza e la ragione, ma a questo senso di sicurezza che si propaga all’interno degli addetti ai lavori corrisponde altresì un aumento del disorientamento e d’insicurezza in coloro che si sentono esclusi o che si trovano al margine di questo processo d’espansione tecnologica e scientifica.
L’aumento di affiliati a sette e a religioni spiritistiche testimoniano questa accresciuta esigenza di soprannaturale da parte di vari strati di popolazione che non partecipano attivamente alla costruzione del progresso scientifico e che vivono lo stesso in termini più magici che razionali.
Nel contempo il concetto di trascendente e di soprannaturale elaborato sin dai tempi della filosofia greca e della scolastica cristiana sembra del tutto inadeguato a soddisfare le esigenze dell’uomo moderno e a rispondere ai grandi quesiti esistenziali che esso stesso si pone alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e delle recenti acquisizioni della ragione.
b) È conciliabile la scienza con la filosofia?
Su questa linea si è consumata la frattura praticamente inconciliabile tra scienza e filosofia, i due mondi in pratica vivono in maniera autonoma e si ignorano reciprocamente contribuendo a rinforzare quel senso di disorientamento che inizia a diffondersi anche all’interno delle cosiddette classi colte in cui il filosofo si sente completamente tagliato fuori da un mondo che è cresciuto al di fuori dei suoi sofismi mentre lo scienziato si sente impreparato a governare la sua stessa creatura e ad indirizzarla verso un fine di benessere comune per il genere umano e per il mondo in cui viviamo.
Per questa ragione questa netta divisione tra scienza e filosofia non è più sostenibile come d’altronde non è sostenibile il predominio di una sull’altra.
c) La religione è ancora in grado di dare risposte convincenti?
D’altra parte non sembra che la risposta alla domanda esistenziale dell’uomo del XXI secolo possa essere fornita esclusivamente dalla religione, o meglio dalle religioni. La ragione fondamentale risiede nella scarsa elasticità della struttura dogmatica su cui la maggior parte delle religioni si basano.
Molte assunzioni e molti dogmi che potevano essere giustificati nei secoli scorsi sono al giorno d’oggi difficilmente accettabili da parte di coloro che utilizzano il piano della ragione per accedere alla conoscenza del trascendente. La difesa ad oltranza di alcuni dogmi che trovano giustificazione solo nella pretesa sovrannaturalità dei loro formulatori e che richiedono nella loro accettazione un esclusivo e frainteso atto di fede, rischia di offuscare quelli che sono i principi fondamentali della religione.
Analogamente a quanto avvenuto per la filosofia quindi anche per la religione si prefigura quella netta separazione con la scienza che ne limita la sua credibilità e la sua accettabilità da parte delle persone con un più elevato senso critico.
Questa frattura tra scienza e religione non si verifica solo all’interno della società tra i vari individui ma si inoltra all’interno dello stesso individuo che vive con estrema angoscia questa schizofrenia sino a giungere alla sottomissione dell’una rispetto all’altra.
Questo crescente conflitto tra ragione e religione non si limita esclusivamente ad un problema esistenziale ma ha anche delle profonde implicazioni di carattere etico, sociale e politico.
È infatti accettato che una delle funzioni fondamentali delle religioni è quella di dettare delle regole di comportamento sociale, etico e politico che riescono a guidare i singoli individui ed i vari popoli verso una regola generale che permetta uno svolgimento pacifico della vita sulla terra. Le religioni quindi hanno come compito intrinseco quello di guidare le società verso una convivenza pacifica e verso uno sviluppo collettivo ed individuale.
Lo stesso laicismo rivendicato da molte forze politiche nella gestione della res-publica va inteso generalmente come una richiesta di non interferenza delle gerarchie ecclesiastiche nella gestione del bene comune, ma sicuramente non come una contrapposizione con i principi fondanti delle religioni stesse.
d) L’etica, la politica ed i comportamenti umani possono trovare fondamenti alternativi alla religione?
Agli inizi di questo millennio c’è da chiedersi se questo conflitto sempre più crescente tra scienza e religione non possa comportare in futuro una perdita di punti di riferimento per l’etica, la politica e la sociologia od addirittura per la scienza, tale da prefigurare una catastrofe umanitaria ed un ritorno ai tempi bui del medio evo con la scomparsa dei punti fondanti delle società.
A questa domanda possiamo dare una risposta soltanto dopo una analisi approfondita dello sviluppo biologico, sociale, scientifico e culturale che si è prodotto dai primi albori della vita sino ai nostri giorni.
Guardare indietro al nostro passato ed alla nostra storia con gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione, ci da la possibilità di comprendere molti fenomeni che ci erano sinora preclusi e che saranno fondamentali per tracciare una rotta che ci conduce verso il futuro.
Questa indagine retrospettiva inizia con una descrizione del metodo che si intende seguire in questa analisi. La scelta del metodo di indagine è una tappa fondamentale non solo per il perseguimento dei risultati ma anche e soprattutto per la loro convalida. Questo soprattutto perché la scelta del metodo implica la accettazione esplicita od implicita di alcuni postulati che possono determinare la riuscita o la non riuscita dell’indagine, per questo la cosciente analisi di questi postulati che spesso indicheremo come “condizioni al contorno” ci renderà possibile il loro superamento nel momento in cui ci renderemo conto che essi sono limitanti per il raggiungimento dei nostri scopi.
L’analisi quindi proseguirà con una descrizione delle attuali conoscenze sulla struttura biologica della natura umana. Questo passaggio ci sembra indispensabile per un reale superamento della dicotomia tra naturale e soprannaturale che riflette il contrasto esistente tra scienza e filosofia o tra scienza e religione.
La natura biologica dell’essere umano è naturalmente collegata con la sua posizione all’interno della vita terrestre e più in generale dell’universo, per cui la sua esistenza è strettamente determinata dalla sua correlazione con il mondo esterno e con l’ambiente in cui vive.
A questo punto si inserisce l’analisi di un punto fondamentale che a tutt’oggi costituisce il fulcro fondamentale che determina l’inconciliabilità tra scienza e religione per lo meno nei termini in cui queste due branche della conoscenza umana sono state sino ad oggi sviluppate. Questo punto è costituito dalla teoria dell’evoluzione che ha raggiunto al giorno d’oggi delle evidenze tali da non poter essere messa in discussione.
Sulla base di queste premesse di carattere scientifico viene prospettata una nuova interpretazione sulla natura della conoscenza e del pensiero che delinea un nuovo concetto di trascendenza.
Come conseguenza di questa nuova formulazione del significato del pensiero e della trascendenza si propone una rinnovata analisi della storia del pensiero filosofico e religioso per reinterpretarlo secondo i nuovi schemi e soprattutto per delineare una nuova linea etica, politica, sociale e religiosa che tende al superamento dei retaggi ancestrali e all’apertura di una nuova fase nella vita dell’umanità.
3. Le risposte maturate
La metodologia scientifica e la metodologia filosofica
Sia la scienza sia la filosofia e la religione costituiscono espressioni del pensiero umano che si sono sviluppate nell’arco dei millenni in maniera diversa e con una diversa successione temporale.
La prima a comparire in ordine temporale è stata sicuramente la religione che si è manifestata appena l’uomo ha avuto coscienza di trovarsi solo dinanzi alle forze della natura e di avere bisogno di un elemento unificante con i suoi simili e con la natura stessa.
Manifestazioni di culti religiosi e pagani sono molto frequenti nelle società primitive ed ancestrali. In uno stadio più evoluto della società umana è comparsa la filosofia come espressione pura del pensiero che ha ereditato dalla religioni gli interrogativi fondamentali pur non rinunciando ad indagare sulla natura e sulle origini dell’ambiente circostante offrendo così i presupposti per lo sviluppo della scienza che avrà la sua nascita solo nel 1600 con la nascita del metodo scientifico galileiano.
Mentre molto frequenti sono state le contaminazioni tra religione e filosofia, le interazioni di entrambe con la scienza sono state relativamente scarse soprattutto per quanto riguarda le scienze sperimentali.
Questa mancanza di contaminazione si riferisce naturalmente alle discipline a causa della loro difficile conciliabilità, mentre molto frequente, se non vogliamo dire costante, è la presenza di singoli individui che si dedicano contemporaneamente a due delle precedenti discipline o addirittura a tutte e tre.
La differenza fondamentale tra queste tre branche della conoscenza umana, più che l’oggetto d’indagine è costituita dal metodo di indagine. La religione si fonda unicamente su dei dogmi enunciati e su di essi costruisce tutta la sua struttura e tutte le sue argomentazioni; questo non significa che la religione sia necessariamente non razionale, ma che la razionalità non costituisce una condizione necessaria per la sua esistenza.
La filosofia invece ha la sua sede naturale nella ragione ed in essa trova tutta la sua giustificazione e tutta la sua esistenza. Una volta stabiliti alcuni principi fondamentali quali ad esempio il principio di non contraddizione, il principio di causa ed effetto ecc. tutta la sua struttura logica è determinata dalla applicabilità di questi principi alle sue costruzioni che trovano nella ragione la loro origine ed il loro compimento.
La validità delle sue asserzioni si verifica tramite la non contraddizione ai principi fondamentali e tramite l’applicazione del metodo dialettico in cui ad una teoria si può contrapporre un’altra teoria che abbia una maggiore corrispondenza con i principi fondamentali ed una maggiore estensibilità.
La filosofia normalmente estende la sua indagine sia alla religione sia alle scienze naturali: basti pensare ad esempio che molti teologi e padri spirituali del cristianesimo hanno tratto la loro fede dalla filosofia, come pure sono stati dei grandi filosofi, mentre molti filosofi sono stati grandi matematici, e addirittura i filosofi greci hanno postulato su base esclusivamente speculativa la teoria atomica che si è rivelata circa 2000 anni dopo come un elemento fondamentale delle sviluppo scientifico e tecnologico.
Nonostante questo tuttavia la filosofia ha sempre mantenuto la sua fondamentale impostazione.
La scienza, con particolare riguardo alle scienze sperimentali, ha ereditato dalla filosofia la struttura razionale della sua impostazione ma non si è limitata alla autoreferenzialità della ragione cercando costantemente ed insistentemente una convalida delle sue teorie nella realtà materiale del mondo che ci circonda.
Una teoria scientifica è valida non tanto quando è autoconsistente e non contraddittoria, ma quanto è in grado di spiegare i fenomeni naturali e di predirne la comparsa in momenti successivi. La teoria scientifica trae quindi dall’esterno della mente umana i suoi postulati e la sua validità. Molte volte rinuncia ad una enunciazione totale ed esaustiva nella sua elaborazione per poter inglobare fenomeni simili o similari che hanno presumibilmente le stesse origini.
Una teoria scientifica per essere valida non solo deve essere in grado di interpretare nuovi fenomeni ma deve essere tale da spiegare anche i fenomeni già osservati che prima erano stati spiegati in modo diverso [questo tipo di processo si è manifestato nella recente scoperta della meccanica quantistica che incorpora al suo interno la meccanica classica come caso limite].
Estendendo questa impostazione dell’indagine dei fenomeni fisici anche alle discipline umanistiche quali la teologia e la filosofia, possiamo dare un effettivo contributo all’abbattimento di quel muro tra scienza, filosofia e religione che è uno degli scopi di questo saggio e che è uno dei problemi più angoscianti che si presentano all’uomo moderno.
La problematica attuale dell’uomo moderno non è infatti quella di rinnegare le conoscenze acquisite nel passato quanto piuttosto quello di interpretare le conoscenze trascorse sulla base anche delle nuove acquisizioni e delle nuove scoperte scientifiche; questo soprattutto grazie al riconosciuto ruolo fondamentale della filosofia classica, in particolare della filosofia greca, nello sviluppo dell’umanità sia per quanto riguarda il metodo che per quanto riguarda il contenuto filosofico e nello stesso tempo sulla base delle ormai ineluttabili evidenze che le nuove acquisizioni scientifiche, anche nel campo della biologia molecolare.
È necessaria pertanto un’opera di ridefinizione a partire dai suoi elementi fondanti, operando in campo filosofico una operazione analoga a quella che è avvenuta nel campo scientifico all’inizio del novecento e cioè operare quella nuova rivoluzione copernicana che ha portato al superamento e all’inglobamento della fisica classica nella fisica quantistica.
Il tentativo di un riesame globale della scienza, della filosofia e della religione, sulla base delle attuali conoscenze, non deve essere considerato come un ennesimo tentativo di supremazia di una disciplina sulle altre, ma come un tentativo di superamento della contrapposizione tra cultura umanistica e cultura scientifica.
La definizione di una nuova disciplina che potremmo chiamare indifferentemente “Filosofia Scientifica” o “Scienza Filosofica” basata non su un processo dialettico, o di contrapposizione, come è uso nella filosofia, ma su di un processo sinergico in cui i contributi delle varie discipline si integrano in una forma unica di conoscenza, risulterebbe fondamentale per la conoscenza soprattutto in un momento in cui le biotecnologie necessitano di un forte substrato etico e morale ma nello stesso tempo la filosofia e l’etica si trovano completamente spiazzate dalle recenti scoperte della biologia molecolare che ci mostrano le strettissima connessione dei fenomeni biologici con alcuni aspetti della vita umana che sino ad ora venivano classificati come esclusivamente intellettuali, quali ad esempio il dolore, il piacere ed addirittura il feeling tra persone diverse.
Lo stato dell’arte nelle conoscenze biologiche
Nelle pagine precedenti è stato fatto un breve cenno sull’importanza che ha avuto nello sviluppo scientifico attuale la meccanica quantistica che ha incorporato nel suo interno la meccanica classica come caso limite.
L’importanza di questa teoria non si riflette solamente al campo dell’indagine della struttura della materia e dei nuovi materiali che l’innovazione tecnologica ci mette a disposizione, ma si sta estendendo sempre maggiormente anche all’indagine della vita nelle sue varie manifestazioni.
Un passo determinante ed un salto qualitativo è stato infatti compiuto in questi ultimi anni soprattutto grazie alla nascita di una nuova branca delle scienze che viene denominata “Biologia Molecolare”.
Questa disciplina costituisce il raccordo tra la biologia classica e la chimica attraverso lo strumento della fisica e della matematica applicata allo studio della struttura della materia. Con i nuovi e sofisticati mezzi di indagine strutturale che abbiamo oggi a disposizione, che va dai raggi X alla risonanza magnetica, alle tecniche spettroscopiche e tecniche laser, sino al microscopio elettronico è possibile iniziare l’indagine sui processi vitali fondamentali ed analizzarli in base alle energie di interazione molecolare ed alla costituzione chimica delle strutture proteiche ed enzimatiche.
La mappatura del genoma umano è stato un passo fondamentale per studiare i processi vitali ma costituisce solo il primo passo di un lungo cammino che è destinato a continuare per molto.
La scienza sta entrando quindi prepotentemente nella ricerca del mistero della vita, argomento che è sempre stato ad appannaggio della filosofia e della religione. Naturalmente siamo ancora molto lontani dal traguardo finale, pur tuttavia le premesse sono tali che già si delineano alcuni punti fondamentali che troveranno sicuramente ulteriore conferma nelle ricerche future.
In pratica viene alla luce sempre più prepotentemente che l’uomo, e la vita in genere, è figlio dell’universo più che figlio di un essere esterno all’universo stesso; cioè i meccanismi e le leggi che regolano la vita sono le stesse leggi che regolano qualsiasi fenomeno naturale.
La linea netta di demarcazione tra la scienza da una parte e la filosofia e la teologia dall’altra era costituita dall’uomo, infatti la scienza era libera di studiare il mondo animale, vegetale ed il mondo inorganico, mentre la filosofia e la teologia si occupavano dell’uomo e del suo spirito.
La caduta di questa linea di demarcazione è stata determinata non solo dalla enorme analogia che sussiste tra il mondo animale e l’uomo stesso ma anche dalla scoperta che anche le emozioni ed i sentimenti che sinora erano stati considerati come esclusiva prerogativa dello spirito traggono origine da strutture cellulari e strutture proteiche che sono governate dalle stesse leggi che governano tutta la materia vivente.
Il processo della vita si rivela sempre di più come un meccanismo molto complesso che può essere descritto come il risultato di una serie di processi più semplici che governano i processi chimici osservati nei nostri laboratori.
Un essere vivente è il risultato di un equilibrio quasi perfetto che si raggiunge tra una serie innumerevole di processi elementari, un equilibrio che si rinnova a ogni nascita ma che a sua volta determinerà la storia futura della stessa specie.
Vi è quindi una catena lunghissima in cui ogni anello è attaccato all’anello precedente ed a sua volta fa da sostegno all’anello che segue.
La linea che costituisce la direzione di questa catena è racchiusa nella molecola del DNA e nel suo patrimonio genetico, ma contrariamente ad una catena metallica, in questo caso ogni individuo è un elemento vivo che può contribuire all’arricchimento o all’impoverimento del patrimonio genetico che trasmette alle generazioni future.
È questo in realtà l’elemento fondamentale che costituisce il nocciolo della teoria dell’evoluzione che affronteremo tra breve; quello che ci interessa evidenziare in questo capitolo è che ogni processo vitale è costituito da una o più reazioni chimiche che avvengono su scala microscopica in condizioni di quasi equilibrio.
In chimica una reazione si definisce in equilibrio quando la velocità di formazione dei prodotti è uguale alla velocità con cui da tali prodotti si possono riformare i reagenti. In questa situazione non vi è nessuna variazione nel tempo né della quantità dei prodotti né della quantità dei reagenti.
La definizione di “quasi equilibrio” che adottiamo per i processi biologici è determinata dal fatto che in questo caso la velocità di reazione è generalmente molto bassa rispetto a quella riscontrabile in moltissime reazioni in laboratorio, soprattutto perché le energie dei prodotti e dei reagenti sono molto simili.
In queste condizioni variazioni strutturali relativamente piccole o limitate variazioni di condizioni esterne o di concentrazione dei reagenti sono in grado di determinare, in condizioni di temperatura costante, l’andamento della reazione e quindi del processo vitale.
Quanto detto è per illustrare che la complessità di un essere vivente non è determinata dalla complessità delle leggi che regolano la sua vita ma soprattutto dalla enorme varietà di combinazioni con cui le molecole costituenti possono legarsi in strutture sempre più grandi in condizioni determinate sia dall’ambiente esterno sia da ioni od altri agenti interni all’organismo stesso.
Basti pensare che il DNA che costituisce la base della sintesi proteica e che racchiude il codice della trasmissione genetica è costituito esclusivamente da quattro basi nucleiche che si combinano sequenzialmente in vario modo.
Un altro elemento fondamentale che determina al contempo la complessità e la semplicità della vita è determinato dal fatto che ogni essere vivente è costituito da una o più cellule che hanno sostanzialmente gli stessi elementi costitutivi (membrana cellulare, citoplasma, cromosomi, nucleo ecc. ) e lo stesso patrimonio genetico.
Ciascuno di noi nasce come essere unicellulare e prosegue la sua esistenza attraverso un processo continuo di suddivisioni e moltiplicazioni di cellule che procedono ad una continua e progressiva differenziazione che da luogo alla struttura morfologica e funzionale del corpo.
Ogni cellula quindi è dotata di vita propria e svolge le stesse attività di sostentamento, crescita e proliferazione, ogni cellula tuttavia contribuisce con la sua vicina alla costituzione di un unico essere vivente di dimensioni molto maggiori attraverso un processo simbiotico svolgendo una funzione specifica e differenziata.
Questa piccola introduzione sulla struttura cellulare ci serve come base per introdurre l’argomento sulla struttura neuronale e sulla struttura cerebrale umana in particolare che sono il tema fondamentale di questo lavoro.
Neuroni
Le attuali conoscenze biologiche sulla struttura neuronale sono purtroppo ancora estremamente limitate ma tuttavia già sufficienti per individuare una via investigativa molto promettente per la risoluzione del problema della conoscenza. Infatti, come abbiamo visto la struttura della materia cerebrale, che è la sede individuale della conoscenza, è del tutto analoga a quella di qualsiasi altro organo essendo anche essa organizzata in cellule viventi che hanno la stessa costituzione delle altre cellule pur mantenendo un alto grado di specificità determinato dalla loro specifica funzionalità.
Le stesse cellule neuronali si differenziano in forma e dimensioni in base alla loro funzione, per cui le cellule adibite al trasporto di impulsi nervosi dal sistema periferico del corpo umano alla struttura cerebrale (neuroni afferenti) e viceversa (neuroni efferenti) sono caratterizzate da una struttura allungata con la presenza di uno o più corpi cilindrici denominati assoni che sono in contatto con gli assoni delle cellule contigue tramite dei collegamenti denominati sinapsi, gli assoni che costituiscono il midollo spinale possono raggiungere la lunghezza anche di un metro; i neuroni associativi invece sono caratterizzati da una fitta rete di filamenti sottili chiamati dendriti che permettono alle cellule di forma stellare dei collegamenti che si estendono molto al di là delle cellule immediatamente contigue formando una rete estremamente ramificata con una interconnessione molto estesa per cui si può arrivare sino a 10000 sinapsi.1
La funzionalità cerebrale è strettamente legata con questa capacità di interconnessione, che è naturalmente facilitata dalla localizzazione delle cellule adibite ad una certa funzione in zone delimitate e ben individuate del cervello.2
Le informazioni che da tutte le parti del corpo arrivano al cervello tramite i neuroni afferenti vengono codificate ed elaborate nel cervello stesso in modo da poter essere trasmesse ai neuroni efferenti e quindi determinare la reazione, oppure vengono immagazzinate in maniera permanente per costituire la memoria individuale.
In termini scientifici la parola memoria assume un significato leggermente diverso da quello normalmente attribuito nel linguaggio comune.
Viene definita come “memoria” ogni modificazione persistente nel tempo determinata da un qualsiasi evento sia di carattere chimico che fisico che avviene a livello molecolare. Contrariamente alla memoria invece la reazione è un evento determinato da un evento esterno che cessa al momento in cui viene a cessare la causa.
La natura chimico-fisica di ciò che determina la memoria negli esseri viventi non è ancora chiaro e costituisce ancora un problema fondamentale per le neuroscienze e che necessita di risposte.
Uno dei metodi di indagine fondamentale per lo studio delle attività cerebrali è costituito dalla misura delle differenze di potenziale tra vari punti della calotta cranica in corrispondenza di zone cerebrali specifiche per alcune attività nervose.
Questo tipo di studi, insieme alle analisi degli effetti dell’elettroshock su alcuni malati di mente ha portato molti ricercatori ad identificare il processo della memoria, e di conseguenza, secondo il linguaggio comune, il processo della conoscenza con la presenza della polarizzazione permanente di sostanza cerebrale dovuta alla presenza di onde cerebrali che si sviluppano tra le varie cellule neuronali.
Recentemente questa impostazione comincia ad essere almeno in parte superata soprattutto per gli studi di Erik R. Kandel a cui è stato recentemente attribuito il premio Nobel per la medicina per tali scoperte nell’anno 2000.3
Dopo lo studio su alcuni molluschi è stato scoperto infatti che essi avevano la capacità di sviluppare riflessi condizionati anche a distanza di tempo.
In particolare veniva indotta in essi una contrazione muscolare attraverso l’applicazione di scarica elettrica a due elettrodi applicati sul loro corpo.
Dopo un ripetuto trattamento di contatti e di scariche concomitanti è stato osservato che le contrazioni muscolari si manifestavano in presenza del contatto con gli elettrodi indipendentemente dalla presenza della scarica.
Questo significava che il mollusco aveva in qualche modo memorizzato la sensazione del contatto con gli elettrodi e l’aveva collegata con la presenza della scarica, per cui la contrazione muscolare veniva provocata non solo come azione passiva determinata dalla presenza della scarica elettrica ma come azione attiva determinata dalla presenza del solo contatto.
La scoperta fondamentale è che questa memoria indotta tramite esperienze dirette veniva notevolmente diminuita in presenza di farmaci che inibivano la sintesi proteica, dimostrando che la sintesi proteica era un processo determinante nella formazione della memoria.
Questa esperienza ci permette di affermare con sufficiente ragionevolezza che il fenomeno della memoria non è collegato al processo fisico di polarizzazione elettromagnetica quanto piuttosto ad un fenomeno chimico di struttura proteica all’interno o sulla membrana delle cellule cerebrali determinato dalla sintesi proteica delle cellule stesse in conseguenza degli stimoli del sistema vegetativo provenienti dal resto del corpo o degli stimoli sensoriali provenienti dall’esterno.
Quindi una delle attività dei neuroni cerebrali sarebbe quella di sintetizzare proteine sotto l’azione di stimoli interni od esterni.
Questa stretta correlazione tra memoria (intesa in questo caso anche come la base della attività collettiva) e massa cerebrale è dimostrata anche dal fatto che l’uomo è l’unico essere vivente che ha, a parità di peso corporeo, la massa cerebrale maggiormente sviluppata o meglio ancora che ha un maggiore sviluppo della corteccia cerebrale, chiamata neoencefalo.
Infatti sappiamo che la quasi totalità dei meccanismi riflessi inerenti alla vita vegetativa hanno sede nella parte più interna del cervello, parte che è già formata al momento della nascita in cui la funzioni vitali sono tutte presenti ed operanti autonomamente, mentre le zone collegate con le attività sensoriali hanno sede nella corteccia cerebrale che si sviluppa nella fase di crescita sino al raggiungimento della età adulta.
Questo naturalmente non significa che una persona in età adulta non ha la capacità di apprendere, perché la sintesi proteica è un processo che si verifica continuamente, ma significa soltanto che in età adulta non si ha più un aumento di volume della massa cerebrale ma soltanto una sua riorganizzazione in strutture proteiche più o meno riarrangiate.
L’uomo in relazione con l’ambiente circostante
Paradossalmente l’aumentare del progresso scientifico sembra riportare indietro l’uomo ai tempi della preistoria in cui gli dei erano gli artefici dei processi naturali e continuamente presenti nella vita di tutti i giorni, cioè si riscopre sempre di più che l’uomo è figlio della terra piuttosto che figlio di Dio, o per lo meno di quella immagine di Dio che ci siamo costruiti nel corso dei secoli proprio sulla base di quella filosofia greca e di quella tradizione giudaico-cristiana che sono state la culla in cui si è sviluppata la civiltà occidentale e l’attuale progresso scientifico e tecnologico.
Naturalmente il tema dell’uomo e dell’ambiente circostante si pone in termini diversi rispetto a quanto accadeva nella preistoria, nel corso dei secoli alla visione animistica del passato remoto è stata contrapposta una visione idealista della filosofia classica. Come avviene sovente, la giusta via è quella che si pone come intermedia tra queste posizione estreme, intesa non come voglia di compromesso ma come disponibilità ad accettare da ognuna di queste visioni gli aspetti positivi in funzione di quella sinergia che abbiamo invocato nelle pagine precedenti come condizione necessaria per risolvere i grandi problemi di fronte all’umanità del XXI secolo.
In termini moderni il rapporto tra l’uomo e la natura non si pone più in termini di supremazia e di dominio dell’uno sull’altra ma in termini di sviluppo complementare in cui entrambi influenzano e sono influenzati dall’altro.
In una concezione in cui l’essere viene concepito come soggetto in continuo cambiamento sia in virtù di una caratteristica interna che in virtù di un condizionamento esterno, la ridefinizione dei rapporti tra i vari soggetti fa parte della definizione del soggetto stesso.
Un essere è tale non tanto in virtù di una specifica proprietà ma in quanto erede di una storia passata ed in quanto partecipe di una realtà presente che ne determinerà gli sviluppi per una realtà futura.
Forse la definizione di post-umanesimo introdotta da Roberto Marchesini in un recente libro eccede sicuramente nell’espropriare l’uomo dal suo ruolo guida sulla superficie terrestre (tenendo conto anche che la sua teoria è pur sempre una teoria scaturita da un essere umano) tuttavia è da apprezzare il suo tentativo di coniugare la natura umana con la natura circostante e con la stessa tecnologia creata dall’uomo.4
La correlazione tra uomo e natura e tra uomo ed universo va oltre il rapporto etico di comportamento ed investe interamente il problema ontologico.
Le moderne teorie cosmogenetiche seppure lontane ancora da una loro completa definizione e da una esauriente e completa legittimazione, si muovono tuttavia in un’ottica del tutto diversa dal classico creazionismo di tradizione giudaico-cristiana corroborata da generosi innesti di filosofia classica.
La teoria del Big-Bang che fa risalire la nascita dell’universo ad una enorme esplosione in cui lo spazio vuoto veniva riempito di particelle elementari, seguito da una continua e costante fase di ricondensazione della materia sino a formare atomi, molecole, solidi, stelle e pianeti, tra cui la terra con la sua enorme complessità; questa teoria è stata formulata sulla base delle recenti osservazioni su stelle, nebulose e galassie ed è quella che è in grado di dare il maggior numero di risposte esaurienti alle osservazioni fatte essa non si pone assolutamente nessun problema di carattere ontologico o teologico ma può essere riallacciata alla teoria evoluzionistica nella formulazione espressa da Teilhard de Chardin che prenderemo in considerazione nel seguente paragrafo ed ottenuta per strade completamente diverse.
La teoria evoluzionista e la formulazione di Pierre Teilhard de Chardin
Un evento molto importante che ha messo in crisi sin dalla metà del XIX secolo tutto l’impianto della filosofia occidentale e della stessa religione è costituito dalla formulazione della teoria dell’evoluzionismo.
La scoperta che l’uomo non è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza sconvolge non solo l’interpretazione letterale delle sacre scritture, come era avvenuto per le scoperte di Galileo Galilei, ma i principi fondamentali su cui si è basata la filosofia antica e la religione.
Questo teoria mette in dubbio l’esistenza di un essere perfetto ed eterno che è l’origine di tutto l’universo ed a cui tutto tende, e sostiene che tutto l’universo, ed in particolare l’uomo che è stato posto al suo centro, pur muovendosi nella direzione di una complessità sempre crescente, ha avuto un origine tutt’altro che perfetta.
Si contrappone cioè ad una visione chiusa di una realtà che si muove lungo una circonferenza partendo da uno stato di perfezione per giungere ad uno stato di perfezione, una visione dinamica ed aperta che ha origine dal caos e si muove lungo una linea evolutiva di cui non si scorge la fine.
Queste scoperte hanno sicuramente contribuito a fare avanzare negli ambienti culturalmente più evoluti quella specie di materialismo e di nichilismo che si risolvevano unicamente in una semplice negazione del trascendente senza peraltro cogliere il vero significato innovativo determinato da quelle scoperte.
Il primo vero tentativo di riconciliare scienza e religione e di ricomporre il binomio trascendente-immanente, è stato compiuto agli inizi del XX secolo da Pierre Teilhard de Chardin, un sacerdote gesuita, che come tale incarna la cultura e la tradizione religiosa e che era contemporaneamente uno scienziato paleontologo di notevole capacità e valore.5
La sua opera è stata volutamente ignorata quando era in vita e pubblicata postuma da un comitato di scienziati ed estimatori non ricevendo peraltro il dovuto riconoscimento.
La ragione fondamentale di questo voluto oscuramento è stata determinata dalla sua doppia natura, se così vogliamo chiamarla, di cattolico e di scienziato che egli ha voluto sviluppare in un percorso coerente ed unificante.
Naturalmente ci sono stati e ci sono ancora molti cattolici che si dedicano alla scienza e molti scienziati che sono cattolici, tuttavia in tutti loro si è compiuta consciamente od inconsciamente una scelta esistenziale per cui una parte della loro natura è stata subordinata all’altra.
In una situazione di guerra aperta tra fede e ragione, il cattolico evoluzionista, come è stato chiamato Teilhard de Chardin, è stato ignorato sia dalla Chiesa che considerava la sua opera pericolosa per la sue esistenza sia dalla scienza che la considerava falsificata dalla sua origine cattolica.
Eppure questo gesuita ha mostrato la capacità di leggere nella preistoria del nostro pianeta in maniera molto più approfondita degli stessi Lamarck e Darwin che sono stati i primi formulatori di questa teoria da cui egli ha attinto.
Né “Il Fenomeno Umano” che resta la sua opera basilare, egli ha saputo cogliere all’interno della teoria evoluzionistica quel processo costante di “complessificazione” che gli ha permesso non solo di leggere il passato ma anche di proiettarsi verso il futuro attribuendo alla sua opera un carattere che non esiteremo a definire profetico.
L’elemento fondamentale della lettura di Pierre Teilhard de Chardin è stato quello di aver scoperto nel libro della vita un filo conduttore che, seppure interrotto molte volte nelle varie specie di animali che si sono estinti, si è sempre dipanato nella stessa direzione, e cioè sempre verso una complessità crescente per cui le nuove specie di animali che si formavano per gemmazione da rami precedenti mostravano sempre una struttura neuronale più complessa che non sempre corrispondeva ad una aumentata performance delle caratteristiche fisiche.
L’ultimo anello in termini temporali della catena della vita è rappresentato dalla comparsa dell’uomo, che all’interno della sua specie si è evoluto nella stesso senso registrato per le altre specie viventi e cioè da ominidi che somigliavano più ai primati che agli uomini all’“homo sapiens” che resta tuttora l’unico essere vivente con il maggiore sviluppo cerebrale.
La naturale connessione tra sviluppo di massa cerebrale e capacità cognitive e creative dell’essere umano ha portato Teilhard de Chardin ad estrapolare la freccia dell’evoluzione nella stessa direzione osservata per il passato portandolo a preconizzare oltre sessanta anni fa quel pianeta della conoscenza, che lui chiamò noosfera, che si sta puntualmente attuando nei nostri giorni tramite la rete telematica globale.
Un altro punto estremamente interessante che porta a qualificare Teilhard come il profeta della globalizzazione, deriva dalla sua teoria sulla divergenza delle specie animali (Phylae) e sulla convergenza della specie umana che dopo una espansione progressiva che l’ha portata a ricoprire tutta la terra, ha cominciato a subire per effetto della socializzazione un progressivo “ripiegamento su se stessa” per determinare una progressiva convergenza destinata ad esaurirsi nel “punto omega” che è il fine ultimo dell’universo e che egli identifica con Dio.
Come avviene per le singole cellule che si organizzano in organi e che successivamente si raggruppano per formare un essere vivente di specie superiore, così anche i singoli individui si coalizzano nei diversi popoli per poi convergere verso un unico sistema umano e sociale che costituisce il punto di massima complessità ed il punto di massima organizzazione.
Non è quindi difficile individuare in questo percorso il processo della globalizzazione di cui trattano attualmente le cronache quotidiane.
Naturalmente come in tutte le teorie scientifiche, ci sono ancora dei punti oscuri che debbono essere chiariti e ci sono delle piccole forzature che sono state introdotte come punti di raccordo e come giustificazioni forse non completamente giustificate; tuttavia esse non sono tali da mettere in dubbio la struttura portante del pensiero di Teilhard ma sono dovute esclusivamente ad una scienza non sufficientemente sviluppata e possono essere in parte giustificate dai recenti progressi scientifici.
Mi riferisco principalmente alla introduzione dell’energia radiale e dell’energia tangenziale che regolano rispettivamente i processi di complessificazione interna ed i processi di interrelazione con altri individui.
L’introduzione di queste due forze indefinite da parte di Teilhard de Chardin è stata determinata dalla necessità di razionalizzare tutta una serie di osservazioni sperimentali inoppugnabili ed a causa di una loro mancata caratterizzazione scientifica (impossibile sulla base delle conoscenze allora accessibili) è stata erroneamente scambiata per una sorta di animismo panteistico. Al giorno d’oggi, sulla base delle attuali conoscenze di genetica e di biologia molecolare queste forze possono facilmente essere identificate con i processi di interazione molecolare sia di carattere elettrostatico che di accoppiamento tra livelli energetici di orbitali molecolari, ed anzi il loro studio costituisce il campo più avanzato dell’indagine scientifica sulla biologica e la chimico-fisica dei processi vitali dopo la trascrizione del genoma umano.
La lettura teilhardiana della teoria evoluzionistica risulta perfettamente in linea con la più recente teoria del Big-Bang data la stretta analogia tra la freccia evoluzionistica di Teilhard verso sistemi a complessità maggiore e la forza di condensazione che porta alla formazione di stelle e pianeti.
Un nuovo approccio: la teoria delle rappresentazioni sensoriali
Abbiamo visto precedentemente che il modo in cui le informazioni che giungono al cervello vengono codificate ed immagazzinate è quasi sicuramente collegate con la struttura delle cellule neuronali e con i meccanismi di sintesi proteica che avvengono in esse e costituiscono quello che in termini scientifici viene definita come memoria.
Molto spesso nel linguaggio comune i termini quali conoscenza, memoria e pensiero vengono utilizzati indifferentemente per descrivere le attività intellettuali, nel nostro caso abbiamo attribuito al termine “memoria” la creazione di strutture cerebrali in seguito alla acquisizione riflessa e sensoriale, mentre useremo il termine “pensiero” per descrivere la capacità intellettiva e creativa propria dell’essere umano chiamando come “conoscenza” l’insieme delle due cose.
Quindi mentre la memoria assume un connotato totalmente passivo e può essere presente anche nel mondo inorganico, al termine pensiero e quindi al termine conoscenza associamo un connotato attivo che è caratteristico esclusivamente del mondo animale. Pensiero e conoscenza che non sono prerogative esclusive dell’essere umano come siamo soliti ritenere e di cui tratteremo in questo capitolo, ma che sono presenti anche in altre specie animali in gradi molto inferiori sino a quasi scomparire in specie viventi estremamente semplici.
La teoria delle rappresentazioni sensoriali trae origine da una lettura unificata delle attività cerebrali basata prevalentemente sulle caratteristiche strutturali della materia costituente il cervello.
Come detto precedentemente, ogni volta che parliamo del cervello siamo istintivamente portati dal nostro bagaglio culturale a considerarlo come un oggetto precostituito di cui scoprire il funzionamento dimenticando che siamo in presenza di una materia viva come qualsiasi altra parte del corpo anche se altamente specializzata. Senza entrare nei dettagli dei meccanismi molecolari, per altro ancora quasi del tutto sconosciuti, con cui i neuroni connettivi esplicano la loro attività, tuttavia possiamo affermare che la loro funzione è strettamente legata alla loro struttura e che la struttura primaria delle proteine, che sono di gran lunga il maggior costituente delle cellule, determinata dalla sequenza degli amminoacidi, sia un fattore determinante nel caratterizzare le funzioni cerebrali.
Su questa base proviamo allora ad analizzare l’attività cerebrale; essa consiste di tre fasi principali: la prima fase consiste nella acquisizione degli stimoli nervosi che provengono dalle altre parti del corpo, siano essi di natura vegetativa e relativi al funzionamento del corpo stesso, che di natura relazionale che provengono dagli organi sensoriali e che mettono in relazione gli individui con gli altri individui e con l’ambiente circostante, questi stimoli vengono trasmessi dai neuroni afferenti che come abbiamo visto hanno una struttura allungata con contatti situati principalmente alle estremità dei vari segmenti e pertanto adatti a trasportare velocemente messaggi per grandi distanze; la seconda fase consiste nella decodificazione degli stimoli, nella loro elaborazione e nella creazione di strutture proteiche che servono come memoria permanente per le nuove acquisizioni (in realtà questa fase è costituita da due diversi processi che definiscono la memoria a breve termine e la memoria a lungo termine che non staremo ad analizzare in dettaglio in questa sede), questa fase avviene all’interno della corteccia cerebrale in zone diverse a seconda del tipo di stimolo sensoriale che viene esaminato e comporta l’attività di un elevatissimo numero di cellule che sono collegate tra di loro attraverso una fitta rete di interconnessione rappresentate dai dendriti.
In questa fase avviene non solo il confronto tra gli input vegetativi e sensoriali con la struttura proteica precedentemente formata e quindi la successiva creazione dello stimolo di risposta, ma anche una vera e propria attività creativa, che noi abbiamo chiamato pensiero, in cui vengono creati degli output anche in assenza di stimoli esterni ma esclusivamente sulla base della memoria già acquisita. Questa fase creativa è peculiare della specie umana anche se non possiamo escludere che sia presente nelle altre specie animali.
La terza fase infine consiste nell’inviare gli stimoli alle altri organi del corpo e quindi determinare la reazione o l’azione in genere.
Secondo questa teoria quindi alla conoscenza, che come abbiamo detto è la combinazione tra memoria e pensiero, viene attribuita una base strutturale di natura molecolare e proteica a livello dei tessuti neuronali cerebrali che funzionano come unica centrale di elaborazione e di gestione di un essere vivente di specie superiore.
Questo significa che la realtà esterna viene acquisita da ogni essere vivente di specie superiore tramite un processo di codificazione che la correla a delle precise strutture proteiche a livello cellulare che hanno sede nella corteccia cerebrale.
Questa teoria ci permette quindi di analizzare il pensiero umano che si è formato attraverso i secoli e di interpretarlo sulla base della struttura cerebrale.
Prendiamo ora in esame questo processo di codificazione che tenteremo di analizzare sulla base di due principi fondamentali che sono ben conosciuti da coloro che lavorano nell’ambito delle scienze naturali e che sono generalmente accettati.
Il primo principio riguarda la stretta interconnessione tra struttura e funzione, e cioè che questi due aspetti non debbono mai essere in contraddizione tra di loro imputando ogni possibile incongruenza ad una non perfetta conoscenza o della struttura o del percorso attraverso il quale si esplica la funzione.
Il secondo consiste nel principio della minor complessità e cioè che nella interpretazione di un fenomeno naturale, quando è possibile, è sempre da preferire la strada della minore complessità a parità di evidenze sperimentali concordanti.
A questa nostra interpretazione del processo di decodificazione abbiamo dato il nome di “Teoria delle rappresentazione sensoriali” adottando un linguaggio comune nella teoria dei gruppi che ha dato enormi risultati nel campo della spettroscopia molecolare per lo studio della struttura e della dinamica molecolare di sistemi semplici.
Come primo esempio iniziamo ad analizzare il processo che avviene attraverso l’organo sensoriale della vista. Come è noto, l’immagine che viene proiettata sulla retina viene trasmessa attraverso stimoli nervosi all’interno della zona cerebrale pertinente; questa immagine che in genere è molto complessa come ad esempio quella di una fotografia o di un paesaggio, costituisce una rappresentazione della realtà esterna percepita in quell’istante che chiameremo rappresentazione riducibile; tale rappresentazione non viene immagazzinata come tale all’interno del nostro tessuto cerebrale ma subisce un processo di scomposizione in rappresentazioni di minore dimensione sino a giungere a delle rappresentazioni che non possono essere ulteriormente ridotte e che pertanto chiameremo rappresentazioni irriducibili che come vedremo in seguito corrispondono ai concetti fondamentali cioè a quelle che in filosofia classica vengono chiamate idee .
La sintesi proteica avviene al termine di questo processo di suddivisione, o di analisi, delle percezioni spazio temporali che consiste in un semplice confronto tra le informazioni che vengono percepite e le rappresentazioni irriducibili che sono già presenti in forma di strutture molecolari perché acquisite precedentemente; ogni informazione aggiuntiva da origine ad una nuova struttura proteica all’interno delle cellule cerebrali.
La velocità di questo processo di decodificazione e la possibilità di immagazzinare un elevatissimo numero di informazioni è determinata dalla vasta rete di interconnessione tra le varie cellule cerebrali attraverso le ramificazioni dendridiche ed i relativi contatti (sinapsi) infatti queste proteine sintetizzate in seguito ai vari stimoli sensoriali non sono immagazzinate in un singolo neurone ma sono delocalizzate su una serie più o meno vasta di neuroni cerebrali raggruppati spazialmente in funzione dell’apparato sensoriale o funzionale.
Così in un paesaggio possiamo riconoscere un fiume, delle case, dei monti, delle linee geometriche determinate dalla vegetazione ecc. cioè confrontiamo la rappresentazione che arriva dai nostri occhi con delle rappresentazioni irriducibili preesintenti nel nostro cervello
Questa attività di scomposizione e quindi di tipo analitico che costituisce la base di quello che chiameremo “conoscenza di primo livello” non è prerogativa della mente umana ma è comune ad ogni cervello animale che è quindi un organo in grado di sintetizzare proteine in seguito a stimoli nervosi che vengono dagli organi sensoriali e di immagazzinarle al suo interno in modo da costituire un bagaglio cognitivo necessario per la sopravvivenza dell’individuo.
Il cervello Umano, oltre alla capacità del cervello animale propriamente detto che utilizza le rappresentazioni irriducibili come base per la decodificazione degli impulsi sensoriali che provengono dall’esterno ha la capacità esclusiva di utilizzare tali rappresentazioni come base per la creazione di nuove rappresentazioni, conoscenze che sono indipendenti dalla attività sensoriale e che si configurano esclusivamente come pura attività intellettiva e creativa. Viene costituito in questo modo il pensiero che è alla base di ogni conoscenza e che chiameremo “conoscenza di secondo livello”.
Un prodotto tipico della pura attività intellettiva è costituito dalla conoscenza matematica, che pur partendo da basi sensoriali e reali si è sviluppata indipendentemente dagli impulsi sensoriali esterni creando una struttura logica che si è dimostrata fondamentale per la comprensione di una complessità esterna non comprensibile immediatamente attraverso una semplice sensibilità sensoriale. La corrispondenza tra queste rappresentazioni intellettive, create a partire dalle rappresentazioni irriducibili, con i dati sensoriali provenienti da fenomeni esterni complessi costituisce il fondamento stesso della validità della struttura intellettuale teorica elaborata dalla mente umana.
Questa corrispondenza costituisce la base fondamentale della conoscenza scientifica che a partire dai dati sperimentali elabora delle teorie capaci di predire ed interpretare altri stati sperimentali non immediatamente percettibili nella loro complessità strutturale: la mancanza di questa corrispondenza induce il pensiero scientifico a rettificare la propria rappresentazione intellettiva a favore di un’altra che sia in grado di interpretare oltre alle vecchie conoscenze anche le nuove evidenze.
Su questa base quindi di natura strettamente biologica trova spiegazione l’origine delle idee che nella filosofia classica venivano assunte come base della realtà di cui il contingente e lo sperimentale non rappresentava altro che una imperfetta copia ma che sono da noi assunte come le rappresentazioni irriducibili che sono la base della nostra conoscenza ma che sono acquisite dall’esterno tramite i nostri sensi.
Un nuovo concetto di trascendente
Nella sua accezione comune, il concetto di trascendente viene associato con tutto quello che non è oggetto diretto della nostra percezione fisica cioè con quella che viene definita “conoscenza metafisica”. Nella teoria delle rappresentazioni sensoriali, questo tipo di conoscenza trova la sua collocazione all’interno di quella che abbiamo chiamato conoscenza di secondo livello e che si identifica con la parte creativa della mente umana e cioè del pensiero. Questo tipo di conoscenza che molto spesso si basa su algoritmi derivati dalle percezioni sensoriale quali ad esempio il principio di non contraddizione, il principio di causa — effetto, il potere della trasferibilità delle osservazioni, il principio di analogia ecc. non ha tuttavia delle limitazioni se non quelle imposte dalla struttura della conoscenza stessa, in altre parole, le rappresentazioni che vengono create nella nostra mente sulla base delle rappresentazioni irriducibili acquisite su base sensoriale, sono tutte parimenti valide una volta che abbiano soddisfatto i limiti e le condizioni poste dalla mente stessa; il valore innovativo del pensiero scientifico consiste nel non limitarsi a questa autoreferenzialità, ma di cercare un costante riscontro anche parziale o settoriale tra le rappresentazioni create dal pensiero e le rappresentazioni derivate dalle esperienze sensoriali che costituiscono la conoscenza fisica.
Il processo di suddivisione delle percezioni sensoriali in termini più semplici (che noi abbiamo chiamato rappresentazioni irriducibili) ed il corrispettivo processo di creazione di rappresentazioni più grandi (rappresentazioni riducibili) da parte del nostro cervello era già stato individuato, per via puramente filosofica da Kant nella “Critica della ragion pura” come componenti della “Logica trascendentale” e denominati rispettivamente come “Analitica trascendentale” e “Dialettica trascendentale”.
Ma il problema fondamentale di Kant, come quello di tutti i filosofi che lo hanno preceduto e seguito è quello di stabilire se esiste una conoscenza a priori, visto che l’esperienza sensibile di ogni singolo individuo e quindi di carattere soggettivo non era ritenuta sufficiente a spiegare concetti comuni che quindi si presentavano come oggettivi. Parallelamente a questo cammino filosofico si sviluppa un cammino teologico teso ad individuare la presenza di un essere trascendente che è la sede della conoscenza a priori.
Non c’è dubbio che indipendentemente dall’oggetto studiato, cioè la conoscenza a priori e l’essere trascendente (Dio), sia la filosofia che la teologia sono espressioni del pensiero umano, sia che esse siano generate esclusivamente da sensazioni empiriche sia che esse siano ispirate da enti esterni tramite la rivelazione divina. La conoscenza dei meccanismi di formazione del pensiero umano è quindi determinante per individuarne l’origine e lo sviluppo attraverso i secoli e verificare se questo sviluppo può essere interpretato compatibilmente con la teoria delle rappresentazioni sensoriali: solo in questo caso saremo autorizzati ad utilizzare la nuova teoria che ci permette di estendere la conoscenza precedentemente acquisita nella misura in cui essa sarà in grado di interpretare le discrepanze e le eventuali contraddizioni sulla base delle presenti conoscenze di carattere filosofico o tecnico-scientifiche.
Cominciamo ad analizzare la “teoria delle idee” di Platone, che come afferma Giovanni Reale costituisce la pietra miliare che segna la nascita e lo sviluppo di tutto il pensiero occidentale. 6
La motivazione fondamentale che è alla base della “teoria delle idee” e successivamente della dottrina dei Principi è la constatazione della stretta correlazione tra la realtà fisica esterna e la struttura della ragione. Quindi anche in Platone vi è una corrispondenza diretta tra la realtà esterna all’individuo ed il contenuto della mente dell’individuo stesso, il punto di distacco tra Platone ed i filosofi naturalisti avviene nel momento in cui si va a cercare la “causa prima” dell’essere e del divenire delle cose.
È indubbio che data la totale mancanza di conoscenza delle leggi fisiche e della struttura della materia, l’unica risposta a tale domanda poteva essere data esclusivamente attraverso una indagine speculativa che originava nella ragione e si risolveva nella ragione stessa.
Le idee quindi, che secondo il nostro punto di vista sono gli elementi costituenti (rappresentazioni irriducibili) della rappresentazione sensoriale, venivano ad assumere, data la loro generalità, il ruolo di vera causa da cui vengono generate le cose fisiche e di cui esse partecipano. Le idee quindi vengono a costituire la metafisica che si pone al di sopra del mondo sensibile e che costituisce l’unica e vera realtà.
La ragione per cui la metafisica si pone sopra la fisica deriva dal fatto che essa ha la capacità di unificare le esperienze sensibili pur costituendo esse stesse una molteplicità poliforme.
La necessità di una ulteriore unificazione si poneva quindi come sbocco ineluttabile al processo filosofico che ha generato la teoria dei Principi Primi in cui l’Essere si identificava con l’Uno a cui per necessità intrinseche di carattere logico veniva affiancato il principio della Diade che naturalmente era necessario per spiegare la molteplicità fisica.
Per circa duemila anni il pensiero filosofico, sociale e religioso della civiltà occidentale si è confrontato con questi principi primi derivati da un distacco pressoché completo tra realtà sensoriale e struttura mentale ed anche al giorno d’oggi il solco tra filosofia e scienza è ancora molto profondo.
La ragione storica di questo processo di distacco non va certamente cercata nell’invadenza della filosofia ma quanto piuttosto nella deficienza di scienza e di ricerca scientifica che ha cominciato a svilupparsi soltanto negli ultimi secoli proprio sulla base di quella cultura filosofica di durata millenaria che, come vedremo più avanti, continuerà a conservare il suo attributo fondamentale di trascendenza seppure inquadrato in un contesto diverso.
Abbiamo visto quindi come nel mondo classico l’attività della ragione si è talmente distaccata dalla esperienza sensoriale tanto da considerare quest’ultima non come l’origine della conoscenza di cui la mente costituisce la rappresentazione ma al contrario come essa stessa una rappresentazione imperfetta della idea pura; per cui una linea tracciata su di un foglio è la rappresentazione imperfetta dell’idea di linea che risiede nella mente umana come pura entità razionale e quindi come entità perfetta.
Sulla base di queste entità pure ed esterne si e quindi costituita nell’umanità l’idea del trascendente come entità eterna ed immutabile a cui ricondurre tutte le cose materiali. La realtà quindi veniva identificata con la metafisica, a cui la fisica doveva essere ricondotta. Secondo il nostro punto di vista invece la metafisica non è altro che una rappresentazione della fisica, ma questo non significa che, come vedremo in seguito, essa non sia altrettanto reale della fisica.
Il concetto di anima è quindi consequenziale a questa impostazione della filosofia classica ed analogamente anche il concetto di Dio come creatore di tutte le cose.
Il pensiero filosofico occidentale ha quindi imboccato la strada della trascendenza come via maestra per raggiungere la conoscenza e per giustificare l’etica sociale ed individuale.
La nascita delle religioni monoteiste è quindi direttamente collegata a questa idea di trascendenza che viene identificata come la perfezione iniziale, e quindi unica, infinita ed eterna che attraverso la creazione è origine di tutte le cose. La discrepanza tra la perfezione iniziale del creatore e la innegabile imperfezione del creato non poteva certamente essere attribuita all’essere perfettissimo per cui è stato necessario introdurre in maniera funzionale il concetto del peccato originale come causa prima dell’imperfezione che doveva essere rimossa attraverso un duro cammino dell’umanità che avrebbe consentito il riscatto ed il raggiungimento della perfezione iniziale nel paradiso attraverso la resurrezione della carne.
Questa dicotomia tra trascendente ed immanente e cioè tra divino ed umano si è protratta sino alla seconda metà del XX secolo e ha dominato il pensiero filosofico, religioso e sociale occidentale attraverso varie fasi alterne in cui veniva via via privilegiato l’aspetto divino o l’aspetto umano.
La stessa origine del Cristianesimo prefigura il superamento di questa dicotomia attraverso l’incarnazione del divino perfetto che assume l’aspetto umano con tutte le sue angosce e le sue imperfezioni per condurre l’umanità al riscatto dal peccato originale ed alla vita eterna. Questa umanizzazione del divino costituisce una forte fonte di speranza per l’umanità e sposta in basso il baricentro di questa struttura dipolare costituita dal binomio dio — uomo.
Naturalmente il messaggio del Cristianesimo non è esclusivamente di natura filosofica ma coinvolge anche e soprattutto la struttura sociale, politica etica e morale dell’intera umanità.
Nel cristianesimo il messaggio di amore verso gli altri uomini e verso la natura si prefigura come l’unica strada percorribile da parte dell’umanità per arrivare alla perfezione ed alla vita eterna e costituirà la base etica e politica per un comportamento dell’uomo nel mondo che sia in grado di consentire lo sviluppo dell’umanità sino alla chiamata del giudizio universale.
Il rapporto tra uomo e Dio quindi si configura sempre di meno come un rapporto individuale per assumere un valore comunitario e sociale che si estende oltre la stessa vita dell’individuo che è partecipe alle sorti dell’umanità anche dopo la sua morte fino alla chiamata del giudizio universale. La liturgia stessa del Cristianesimo si articola in questi aspetti comunitari che vengono estesi a tutta la vita del credente anche al di fuori dei luoghi di culto attraverso una partecipazione attiva alla vita sociale.
A questo aspetto umano di questa dicotomia tra immanente e trascendente, si accompagna l’aspetto divino in cui emerge un rapporto più individuale tra uomo e Dio attraverso la preghiera, la contemplazione e l’ascesi per favorire un maggiore distacco dalle cose terrene ed avvicinarsi agli aspetti spirituali dell’umanità. Questa tendenza trova maggiore sviluppo in momenti storici in cui prendono il sopravvento strutture autoritarie legittimate da un imprimatur soprannaturale ed in questo contesto il periodo del medio evo rappresenta il culmine di questa tendenza spiritualistica.
La teoria delle rappresentazioni sensoriali, che assegna alla memoria una natura di carattere bio-organico ed al pensiero una funzione correlativa, capace di creare delle rappresentazioni di maggiori dimensioni non nega affatto la presenza del trascendente, e quindi della metafisica, ma le assegna semplicemente un significato diverso da quello che queste parole hanno assunto nel corso dei secoli.
Le rappresentazioni irriducibili che vengono ottenute al termine del processo di riduzione delle rappresentazioni sensoriali sono infatti delle entità che trascendono le stesse rappresentazioni sensoriali in quanto possono essere utilizzate per altre situazioni ed in altre circostanze, sia per analizzare altre rappresentazioni sensoriali che per creare rappresentazione del tutto nuove come ad esempio le opere d’arte, la poesia, od un’opera di ingegneria: in questo senso quindi la base della conoscenza è originata dalla fisica ma diventa di natura trascendente e cioè metafisica.
Ma questo nuovo concetto di trascendenza va molto oltre a questa classificazione gerarchica tra le rappresentazioni riducibili e le rappresentazioni irriducibili interne alla mente per identificarsi in qualcosa di immateriale e nello stesso tempo di reale che va oltre i singoli individui ed i singoli popoli pur condizionandone prepotentemente la vita e la natura e travalica qualsiasi limite di carattere spaziale e temporale. La oggettività di queste rappresentazioni irriducibili deriva essenzialmente dal fatto che tutti gli esseri umani utilizzano per tale attività lo stesso meccanismo biologico caratteristico della specie che si è trasmesso per via ereditaria. Fermiamoci ora ad analizzare quella che abbiamo chiamato conoscenza di seconda specie e che abbiamo identificato con il pensiero.
Come accennato precedentemente il pensiero è quella attività, prevalentemente di tipo correlativo, che riesce a creare, sulla base delle rappresentazioni irriducibili, delle rappresentazioni di maggiori dimensioni, queste rappresentazioni costruite o ricostruite all’interno del cervello rappresentano quella che abbiamo definito “conoscenza”.
Secondo questa interpretazione quindi la conoscenza, come la memoria, non è una prerogativa esclusiva della razza umana ma è presente, seppure in dimensioni estremamente inferiori anche nelle specie animali. Questo spiega la ragione per cui ad esempio un animale domestico che viene bastonato da una persona tende ad allontanarsi anche dalle altre persone anche se non sono le dirette responsabili della bastonatura, infatti esso associa il pericolo alla rappresentazione irriducibile della persona umana e non alla rappresentazione globale del singolo individuo. Naturalmente questo tipo di pensiero, presente nelle specie animali che costituisce una parte integrante della loro conoscenza, pur evidenziando uno stesso basamento di tipo correlativo è soltanto un processo estremamente semplificato se messo a confronto con il pensiero presente nella specie umana in cui esso è esplicato ad un livello molto superiore e per di più in misura sempre crescente sia con il passare degli anni che con l’avvicendarsi delle generazioni. Quanto detto non vuole essere affatto una affermazione di tipo riduzionistico, cioè che assimila la persona umana alla specie animale in una visione esclusivamente materialistica, ma mette in risalto una linea continua all’interno di una visione evoluzionistica della vita di cui l’essere umano costituisce la massima espressione senza nello stesso tempo negare la presenza di quel salto qualitativo che determina la differenziazione tra specie animale, in senso lato, e specie umana. Questo salto qualitativo non costituisce una eccezione nella storia del nostro pianeta e Teilhard de Chardin né “Il fenomeno umano” ne sottolinea la sua frequente apparizione sia nel mondo inorganico, in cui passaggi stato di aggregazione della materia o reazioni chimiche determinano la formazione di nuove sostanze con caratteristiche intrinseche del tutto diverse dai loro componenti, sia nel mondo biologico in cui l’apparizione di nuove specie viventi sono la diretta conseguenza di salti di qualità che avvengono in un periodo molto limitato di tempo. L’aspetto peculiare che caratterizza la transizione tra animale e uomo è determinato dalla enorme differenza che esiste tra l’essere umano ed il resto dell’universo, tale da giustificare la convinzione della presenza di un intervento diretto di un ente esterno postulata all’inizio della storia del genere umano ma che attualmente è difficilmente compatibile con le attuali scoperte scientifiche, per lo meno nel modo in cui essa è stata espressa. La maggiore e peculiare differenza morfologica che si riscontra tra l’essere umano ed il suo più immediato predecessore consiste nel volume della scatola cranica e nella conseguente maggiore massa cerebrale che contraddistingue l’uomo.
Si è prodotto cioè in quest’ultimo il raggiungimento di quella massa cerebrale critica che ha determinato una vera e propria esplosione mentale, in modo del tutto analogo a quello che avviene nelle esplosioni nucleari. Si è cioè incominciato a produrre quel surplus di attività cognitiva che gli ha permesso di non limitarsi alla gestione del contingente e del contiguo ma di cominciare a guardare oltre la cortina dell’immediato ed immaginare il futuro.
Nei termini della nostra teoria delle rappresentazioni sensoriali, l’uomo ha iniziato a produrre delle rappresentazioni sulla base delle sue esperienze immediate, sulla base cioè di quelle rappresentazioni irriducibili che egli aveva acquisito tramite i suoi sensi e che aveva codificato nella sua memoria.
È a questo punto che nasce il linguaggio, come necessità di trasmettere le proprie conoscenze agli individui che gli sono accanto e nello stesso tempo ha origine una caratteristica che è soprattutto peculiare del genere umano e cioè quella di apprendere non solo attraverso le proprie percezione sensoriali ma anche attraverso le esperienze di altri soggetti che vengono loro trasmesse tramite il linguaggio.
Questo processo di trasmissione delle conoscenze che abbiamo descritto come processo di tipo mentale, in realtà è reso possibile da alcune caratteristiche di carattere morfologico, come ad esempio la conformazione della cavità orale dell’uomo che rende possibile una elevata articolazione dei suoni, oppure la conquista della posizione eretta e la possibilità di utilizzare le mani ecc. cioè il mentale non è mai separato dal fisico, sia che si tratti di materia cerebrale con la sua struttura ed i suoi neuroni, che si tratti di arti od organi funzionali.
Forme primitive della trasmissione della conoscenza si riscontrano anche in altre specie animali, come ad esempio in quelle in cui le cure parentali si protraggono per un tempo rilevante per permettere alla mamma di trasmettere in qualche modo al cucciolo le sue esperienze sensoriali od in quelle in cui sono presenti forme evolute di organizzazione sociale; tuttavia in tutte queste specie, la trasmissione della conoscenza non va mai oltre il contatto diretto tra i singoli individui.
La specie umana, grazie alle sue caratteristiche morfologiche, ereditate per via genetica, è riuscita a travalicare i limiti imposti dalla trasmissione diretta consistenti nella contemporaneità e nella contiguità per proiettarsi oltre i limiti dello spazio e del tempo.
I graffiti e le pitture rupestri trovati nelle grotte del periodo paleolitico rappresentano il primo tentativo documentato di trasmissione del pensiero a distanza sia temporale che spaziale in cui gli uomini primitivi traducevano in segni grafici le rappresentazioni da loro create sulla base delle loro rappresentazioni irriducibili che erano destinate sia ai conviventi ma anche a coloro che sarebbero giunti da altre parti sia durante l’arco della loro vita che in tempi successivi. La prima forma del linguaggio, o se vogliamo la prima forma artistica, ha rappresentato il nascere di quello che noi oggi chiamiamo cultura e che è caratterizzata, come l’evoluzione biologica, da un filo continuo che si spinge a ritroso per migliaia di anni e che si protrae nel futuro e che non racchiude solamente le espressioni artistiche ma coinvolge l’intera attività umana.
Questa forma di conoscenza quindi che dall’alba della preistoria accompagna le varie generazioni umane sino ad arrivare ai nostri giorni è qualche cosa di diverso dalla conoscenza sensoriale diretta caratteristica di ogni specie animale e trascende il contingente, e cioè la conoscenza fisica, immediata e diretta, per collocarsi al di fuori dello spazio e del tempo ma nello stesso tempo è ancorata al contingente perché è basata sulla memoria (che abbiamo definito come conoscenza di primo livello) attraverso il pensiero (cioè la conoscenza di secondo livello).
La cultura è qualcosa di immateriale, cioè è puro spirito, ma nello stesso tempo è qualcosa di profondamente reale; essa è trascendente perché è al di sopra dell’individuo, qualcosa che esisteva prima di noi individui e che esisterà dopo di noi, qualcosa che ci è stato trasmesso dai nostri predecessori e che ci proietterà nel futuro attraverso le nostre opere e le nostre idee e le nostre azioni e che quindi in questo senso (nel nostro piccolo) ci renderà immortali come immortali sono Dante, Platone, Michelangelo e tutti gli altri.
Qualcosa di immateriale perché il valore della poesia di Leopardi o della Gioconda di Leonardo prescindono dalla carta su cui sono stampati i versi o dai colori usati nella pittura.
Qualcosa di reale perché è capace di darci forti emozioni e nel contempo ci permette anche di viaggiare in aeroplano o di navigare sui mari o di parlare con nostri simili dall’altra parte del mondo o dallo spazio.
La cultura si configura dunque come prodotto della ragione ed è riconducibile alla esperienza sensoriale solo attraverso la ragione.
La definizione comune di ‘trascendente’ derivata dalla filosofia occidentale, va oltre la definizione che noi abbiamo dato della cultura attraverso una formulazione abbastanza ambigua, infatti da una parte si definisce come trascendente qualcosa che non è riconducibile in alcun modo alla esperienza reale, neppure tramite la ragione umana, ma dall’altra si ammette che la ragione (o l’anima) è la sola che può accedere al trascendente quindi si attribuisce alla persona umana una doppia natura e cioè una natura terrestre di cui fa parte la ragione contingente ed una natura divina di cui fa parte la ragione trascendente o l’anima.
Quello che manca nel pensiero filosofico è il punto di raccordo tra il materiale e lo spirituale, cioè tra il corpo e la mente per cui anche al giorno d’oggi si continua ad assistere a questa netta contrapposizione tra monismo in cui si ha la perfetta coincidenza tra mente e corpo entrambi sottoposti ad uno stretto determinismo materialistico e dualismo in cui si rivendica prepotentemente l’indipendenza ed il primato dell’anima sulle leggi fisiche che governano il mondo.
4. La rilettura del passato
Il linguaggio
Prima di procedere ad analizzare le conseguenze di questa teoria dobbiamo prendere in esame un elemento fondamentale per la trasmissione delle conoscenze e quindi della cultura e cioè il linguaggio. Questo strumento da la possibilità di trasferire le rappresentazioni che si generano all’interno della materia cerebrale, cioè il pensiero, ad altri soggetti simili attraverso organi specifici che operano all’interno delle leggi naturali.
Esistono vari tipi di linguaggi, ciascuno con la propria peculiarità determinata soprattutto dalla modalità di trasmissione, dal livello di conoscenze dei singoli individui e dalle caratteristiche del messaggio da trasmettere.
Vi è un linguaggio del corpo che attraverso gesti, espressioni ed atteggiamenti, trasmette all’esterno le proprie sensazioni, le paure, le gioie come pure i comandi o le minacce; vi è un linguaggio figurativo in cui l’artista trasmette le proprie rappresentazioni cerebrali, cioè il proprio pensiero attraverso disegni o sculture tramite una scelta particolare e individualissima della composizione, dei colori, delle proporzioni ecc. in modo da esprimere e proiettare all’esterno i propri sentimenti e le proprie sensazioni; vi è il linguaggio musicale in cui il compositore o l’esecutore, generano delle vibrazioni che giungono direttamente al cuore dell’ascoltatore creando una sorta di risonanza emotiva capace di creare una perfetta condivisione di sentimenti, di dolcezza o di ansia.
Vi è inoltre il linguaggio più comune che è la parola, sia parlata che scritta, in cui il trasferimento avviene in termini più semplici pur raggiungendo tramite la poesia forme sublimi di espressione.
Tramite la parola vengono trasmesse agli altri le rappresentazioni che sono elaborate nella nostra mente attraverso l’emissione orale di onde sonore che a loro volta vengono percepite da altri soggetti e trasformate esse stesse in rappresentazioni cerebrali. Queste rappresentazioni possono essere semplici, come ad esempio casa, albero, cerchio uovo ecc. e corrispondono alle rappresentazioni irriducibili che noi abbiamo precedentemente estratto dalle percezioni sensoriali, o possono essere delle rappresentazioni più complesse che noi esplicitiamo attraverso una concatenazione di rappresentazioni successive semplici ed unite con regole più o meno complicate: possiamo quindi stabilire una corrispondenza, spesso biunivoca, tra rappresentazioni cerebrali ed espressioni vocali che in prima approssimazione possiamo definire come semplice, cioè ad ogni parola che è determinata da una sequenza di suoni vocali corrisponde una sequenza molecolare cerebrale che corrisponde alla nostra rappresentazione irriducibile. Questa “parola” non ha la capacità di determinare nel cervello del nostro interlocutore che ci ascolta una rappresentazione irriducibile, ma ha la possibilità soltanto di rievocarla una volta che tale rappresentazione sia stata decodificata attraverso l’analisi di una percezione sensorialmente completa. In altri termini, due individui che hanno acquisito la rappresentazione irriducibile di casa attraverso una individuale sensazione visiva, hanno la possibilità di rievocare tale rappresentazione ed utilizzarla per la costruzione di rappresentazioni più complesse, come ad esempio la descrizione di un paesaggio, senza la necessità di una ulteriore sensazione visiva.
Quanto detto mette ulteriormente in evidenza la stretta connessione tra l’aspetto fisico, che è la base della memoria, e l’aspetto metafisico (la cultura) che agisce sulle strutture cerebrali pur non avendo una consistenza materiale e pertanto non essendo percepibile attraverso i sensi.
La cultura, infatti, può essere trasmessa solo se siamo in presenza di una base di conoscenze condivise, ma non si limita all’ambito delle conoscenze già acquisite: essa ne aumenta notevolmente la consistenza sia quantitativa sia qualitativa attraverso un valore aggiunto sempre maggiore.
L’oggettività di questa base di conoscenze condivise, all’interno del genere umano è garantita dalla quasi perfetta omogeneità strutturale dei singoli individui che pur non essendo perfettamente identici hanno pur tuttavia un enorme patrimonio genetico in comune che ne determina le caratteristiche specifiche della specie.
Viene così rimosso l’eterno equivoco presente nella filosofia occidentale secondo il quale si riteneva impossibile trasferire le esperienze sensoriali soggettive senza ricorrere alla presenza di un ente esterno che garantiva la oggettività delle sensazioni.
La parola, sia parlata sia scritta, rappresenta di gran lunga il tipo di linguaggio più diffuso sulla terra per la trasmissione della conoscenza tra gli esseri umani tanto e con il sostantivo lingua si indica l’insieme delle parole e delle regole che vengono utilizzate per questo tipo d’espressione.
Tradizionalmente la lingua viene considerata come il frutto di un certo numero di convenzioni che si sono stabilite tra i singoli soggetti per costituire una base comune di comunicazione e pertanto le viene assegnata una connotazione esclusivamente culturale; in tempi abbastanza recenti si è preso coscienza che, nonostante le diverse descrizioni grafiche e le diverse emissioni sonore collegate con le varie parole, tuttavia la quasi totalità delle lingue mostrano una struttura sintattica del tutto analoga lasciando intravedere una comune struttura più di carattere fisico-antropico collegato con la struttura anatomica e cerebrale che un carattere esclusivamente acquisito di tipo culturale. (forse può sembrare una coincidenza fortuita ma vogliamo far notare che gli amminoacidi principali che costituiscono la nostra struttura proteica sono circa 20 così come circa 20 sono le lettere che costituiscono le parole nell’alfabeto occidentale)
In effetti, sulla base dei due principi enunciati precedentemente che riguardano la stretta correlazione tra funzione e struttura e la massima semplificazione dei processi descrittivi, possiamo ipotizzare che la parola e le espressioni linguistiche non soltanto siano determinate dal pensiero, come è ovvio, ma che rispecchino il pensiero anche da un punto di vista strutturale tale da poter risalire, tramite l’analisi delle parole e dei concetti espressi alla struttura formale delle interconnessioni neuronali ed al contenuto delle conoscenze codificate a livello cellulare che noi abbiamo identificato con la memoria.
Evoluzione culturale
L’intuizione fondamentale di Teilhard de Chardin è stata quella di riconoscere un filo continuo all’interno del processo evolutivo biologico che non si ferma agli aspetti morfologici ma continua all’interno dell’uomo stesso coinvolgendo i suoi processi mentali.
Guardiamo allora se utilizzando la teoria delle rappresentazioni sensoriali e la metodologia propria del mondo scientifico la formazione del pensiero umano e con esso la filosofia e la teologia possono essere interpretate in termini evoluzionisti sulla base della crescita, non tanto del volume cerebrale quanto della organizzazione cerebrale in termini di acquisizione e di codificazione di quel bagaglio immateriale ed in continua espansione che è costituito da quello che noi chiamiamo in genere “cultura”.
Le implicazioni sia dal punto di vista filosofico che scientifico del lavoro di Teilhard de Chardin sono molto profonde e destinate ad incidere sul futuro dell’umanità.
A cavallo degli anni cinquanta del secolo scorso, epoca in cui si collocano gli ultimi lavori del gesuita francese, le conoscenze nel campo delle neuroscienze erano del tutto limitate e quello che Teilhard affermava a proposito dell’ultimo prodotto dell’evoluzione e cioè l’uomo, era basato molto sulla intuizione e sul processo di estrapolazione che egli aveva eseguito in seguito al suo percorso scientifico nel campo della paleontologia.
Un’analisi grossolana della struttura anatomica della specie umana negli ultimi 5000 anni mostrava infatti che l’evoluzione fisiologia della specie si fosse praticamente arrestata indipendentemente dalla trasformazione dell’ambiente esterno, in realtà un esame più attento rivela che l’interazione tra ambiente e struttura fisica è molto più stretto di quanto ci si possa aspettare e che tale interazione va sempre più intensificandosi con il passare del tempo e l’avanzare del progresso socio-culturale.
L’aumento di 10 centimetri nella statura media degli italiani riscontrato negli ultimi 50 anni mostra come le abitudini di vita, determinate principalmente da fattori antropici, siano in grado di influire sulla morfologia dell’uomo stesso. La cultura quindi, attraverso la variazione degli stili di vita, è capace di influire in maniera determinante sul fisico, ma nello stesso modo, i recenti processi delle neuroscienze ci mettono sempre più in evidenza quanto il fisico, in grado di influire su quello che sinora era dato come terreno esclusivo del mentale.
Quel muro invalicabile quindi che la filosofia aveva eretto tra il corpo e la mente, comincia quindi a sgretolarsi in maniera sempre più consistente prefigurando in parte una nuova rivoluzione copernicana in cui il mentale risulta determinato dal fisico senza peraltro cadere nelle tesi riduzionistiche e materialistiche perché come abbiamo visto il mentale è tale da condizionare esso stesso il fisico.
In sintesi occorre abbandonare ogni schema di tipo egemonico di un aspetto rispetto all’atro per renderci consapevoli che siamo di fronte a due aspetti diversi di un unico processo iterativo di tipo circolare che porta costantemente ad un’autoridefinizione attraverso una correlazione continua. Se ci si consente un’immagine poetica potremmo definire il camino dell’umanità come un raggio di luce che si propaga verso l’infinito in cui vi è una continua oscillazione del campo elettromagnetico tra il polo positivo ed il polo negativo, che rappresentano il corpo e la mente (o viceversa) e quest’oscillazione permette l’avanzamento dell’onda verso traguardi infiniti, oppure paragonare l’evoluzione alla doppia elica del DNA che si avvolge continuamente su se stessa pur sviluppandosi in una direzione ben precisa.
Questa nuova connotazione del processo evoluzionistico si affranca completamente dal determinismo darwiniano per ricollocare l’uomo al centro dell’universo e renderlo artefice del proprio destino.
L’uomo infatti tramite la cultura ed il pensiero può determinare il suo futuro e quello dei propri simili ed addirittura quello della propria specie e del pianeta in cui vive; ogni singola persona od ogni gruppo od ogni nazione può scegliere infatti se collocarsi all’interno di quella linea evolutiva che si volge verso il progresso collettivo delle specie e dell’ambiente o se invece subordinare tutto e tutti ai propri interessi personali o di categoria.
Una nuova ottica prospettica
Proviamo ora a dare uno sguardo retrospettivo a quella che è stata la storia dell’umanità per cercare di capire se gli avvenimenti ed i progressi raggiunti possono essere ricollocati all’interno di questa nuova ottica con cui cerchiamo di interpretare il presente e di prospettare il futuro.
Il punto di partenza del nostro lavoro era costituito dal tentativi di riconciliazione tra trascendente ed immanente, e questo problema che si ripropone all’inizio del terzo millennio risale agli inizi della civiltà umana, cioè al momento in cui per la prima volta l’uomo ha preso coscienza di essere un essere pensante.
La percezione fisica di una realtà esterna e la consapevolezza della propria esistenza e della propria individualità è stato il primo passo che ha spinto l’uomo a postulare la presenza di un ente superiore alla sua natura. Sulla base del principio deterministico di causa-effetto, l’esistenza del creato presupponeva necessariamente la presenza di un creatore; quindi la prima rappresentazione di Dio è stata determinata sulla base della percezione fisica attraverso una legge elaborata dalla ragione. Il principio di causa ed effetto non implicava la presenza di un unico creatore e quindi di un unico Dio né tantomeno implicava la perfezione e la trascendenza di Dio. La mitologia greca è piena di Dei completamente immersi nelle vicende umane e tutt’altro che perfetti.
Paradossalmente la profonda rottura tra trascendente ed immanente ha avuto origine dal continuo sforzo di unificazione che l’uomo ha tentato nella sua storia, e cioè dal tentativo di risalire alla causa prima di tutte le cose e quindi alla presenza di un unico Dio creatore che sia al contempo essere perfettissimo e trascendente. Quindi l’uomo, tramite la ragione ha postulato la presenza di Dio sulla base delle percezione sensoriale del mondo esterno e di se stesso.
Il pensiero umano quindi ha creato una prima rappresentazione di Dio che fosse capace di razionalizzare le sue percezioni sensoriali. Sin da quel momento e per secoli l’uomo ha affidato alla ragione ed alle strutture create dalla ragione il compito di accedere alla conoscenza del trascendente, pur non tralasciando di introdurre opportuni dogmi di fede ogni qual volta la ragione si rivelava incapace di fornire spiegazioni convincenti.
L’idea di perfezione di Dio e d’immortalità dell’anima nella cultura occidentale ha avuto origine dalla filosofia greca di Platone ed Aristotele e si è integrata della religione cristiana, per questo si è venuta a creare una situazione in cui il dualismo fra trascendente ed immanente ha costituito l’aspetto fondante stesso della religione.
Numerosi ed importanti sono stati i tentativi dei filosofi e dei teologi di colmare il solco che divide il divino dall’umano e quindi di superare questa doppia natura della persona umana che determina un comportamento schizofrenico della personalità umana, pur tuttavia, l’incapacità di sanare questo conflitto tra trascendente ed immanente senza far ricorso ai postulati della fede, ha suscitato profonde divisioni all’interno del tessuto sociale che hanno dato origine a fuorvianti correnti di pensiero che si autodefiniscono come idealiste, o positiviste o nihiliste limitandosi a mettere in evidenza solo aspetti parziali dei significati sottesi ai relativi termini.
La teoria evoluzionistica, nella estensione operata da Teilhard de Chardin ed interpretata nei termini della teoria delle rappresentazioni sensoriali, mette fine a queste profonde lacerazioni che si sono prodotte all’interno della cultura occidentale e toglie consistenza a tutte quelle correnti di pensiero che si sono sviluppate a partire dal XVIII secolo in aperto contrasto con la filosofia e la teologia classica attraverso al negazione pura e semplice del trascendente. Correnti di pensiero che hanno affascinato ed affascinano tuttora vasti strati della popolazione occidentale e che sono state la concausa delle immani tragedie vissute nel XX sec.
Affermare che la scienza, la metafisica e la religione sono frutto di attività cerebrali, non significa affatto abbracciare le tesi del materialismo e del nihilismo che negano ogni presenza trascendentale e riducono la nostra realtà individuale a una massa di circa 1500 centimetri cubici di materiale organico racchiuso nella nostra scatola cranica ma significa prendere coscienza dei meccanismi di formazione del pensiero che sono basati non solo sulle nostre percezioni sensoriali ma anche e soprattutto sulle esperienze e sulle conoscenze di quelli che ci hanno preceduto.
Il materialismo risolve il problema del trascendente-immanente, semplicemente abrogando uno dei due termini, non dissimilmente a quanto fanno gli struzzi che credono di eliminare il pericolo mettendo la testa sotto la sabbia.
Il nihilismo abbraccia il concetto del divenire, che è una parte integrante della teoria evoluzionistica, esclusivamente come mezzo per demolire la filosofia classica e la religione, trovandosi inevitabilmente sospeso in un mondo senza un passato e senza un futuro e costretto ad inventarsi una teoria dell’eterno ritorno (Nietzsche) 7 che parte da qualche cosa che non esiste per arrivare a qualche cosa che non esiste.
Ma il divenire dell’evoluzionismo è qualche cosa che ha profonde radici nel passato e che si protrae nel futuro e non il semplice passaggio da qualche cosa che non esiste a qualche cosa che non esiste come teorizzato da Heidegger 8 e da Emanuele Severino9 che paradossalmente chiude quel cerchio che si era aperto con la negazione di un essere eterno ed immutabile per ritrovarsi con una infinità di enti eterni ed immutabili.
Tutto questo dimostra come la ragione umana, senza un riscontro costante con la realtà esterna, rischia di creare delle rappresentazioni che nel migliore dei casi sono esclusivamente autoreferenziali se non addirittura autocontraddittorie.
Evoluzione e religione
Tutta la vita di Teilhard de Chardin è stata spesa cercando di risolvere questo binomio che appare tutt’oggi ancora inconciliabile e che costituisce il punto di snodo del conflitto tra scienza e religione ed ancora più in generale tra fisica e metafisica.
Tutti i suoi scritti di carattere scientifico e religioso sono permeati da questa costante volontà di conciliazione tra questi due aspetti della natura umana (scienza e religione) che egli ha mostrato non solo di non essere contraddittori ma profondamente costitutivi dell’uomo futuro, come lo sono stati dell’uomo del passato.
In realtà nella sua opera d’unificazione sono emersi alcuni punti d’attrito soprattutto nelle sue opere spirituali dove egli cerca di ridurre la sua teoria all’interno della stretta struttura dogmatica della religione per non provocare reazioni scomposte da parte della gerarchia ecclesiastica ma questo non significa l’inconciliabilità dei due aspetti quanto piuttosto l’inadeguatezza dell’attuale struttura dogmatica della religione.
Prendiamo in esame alcuni punti in cui l’evoluzionismo teilhardiano reinterpretato sulla base della teoria delle rappresentazioni sensoriali risulta non solo compatibile con il messaggio religioso ma costituisce il suo naturale prolungamento sulle basi delle attuale conoscenze scientifiche.
Un elemento fondamentale del pensiero di Teilhard è costituito dalla sua teoria della convergenza che lui estrapola sino alla definizione del punto omega, questo concetto che lui ricava dalle sue osservazioni scientifiche riveste un aspetto fondamentale sia dal punto di vista filosofico che religioso.
Il punto omega innanzi tutto delinea una connotazione della natura umana che travalica l’individuo per identificarsi con l’intera specie e per estensione con l’intero sistema globale.
Siccome ogni individuo è parte integrante della specie umana, la natura ed il destino d’ogni individuo è indissolubilmente legata alla natura ed al destino della specie umana. In termini più religiosi potremmo dire che la salvezza di ogni individuo si realizzerà solamente nella misura in cui si realizzerà la salvezza della specie umana.
In questo semplice assioma si racchiude il fondamento principale di tutte le religioni che si rivolgono costantemente all’uomo come essere sociale; questo non significa che la sorte di ogni individuo è stata o sarà perfettamente uguale a quella di tutti gli altri individui, ma che ciascun essere umano deve essere consapevole che realizzerà pienamente la propria natura nella misura in cui i suoi simili saranno in grado o messi nella condizione di realizzare se stessi.
Il messaggio d’amore verso il prossimo che è comune a tutte le religioni è la strada attraverso la quale viene trasmesso agli individui ed ai popoli il concetto d’appartenenza e di comunione ad un unico corpo che per il credente s’identifica con il corpo mistico e con Dio.
Sotto questo punto di vista quindi non vi è nessuna contraddizione tra scienza e religione, nella misura in cui ciascuna di loro si pone al servizio dell’umanità in un’ottica di servizio e non di sopraffazione.
La teoria evoluzionistica non si contrappone con i basamenti teologico-filosofici della religione cristiana ma soltanto con un’acquisizione letterale delle sacre scritture così com’era avvenuto per le scoperte di Copernico e Galileo, anzi, ponendo l’attenzione alla specie umana come ultimo anello evolutivo della specie animale contribuisce a spostare verso il basso il baricentro del binomio trascendente-immanente com’è avvenuto con l’incarnazione di Dio che ha dato origine al cristianesimo.
La dimensione umana della divinità rappresenta l’aspetto fondante del Cristianesimo che lo distingue nettamente dalle due altre religioni monoteiste che sono la religione ebraica e la religione musulmana.
Proviamo per un momento a lasciare da parte quella che è il maggiore punto di contrasto tra la scienza e la religione, e cioè la definizione di quella che è la causa prima dell’essere e del divenire ed analizziamo quelli che sono i punti di snodo della tradizione religiosa nel corso dei millenni.
Il primo aspetto che risulta evidente è che le tre principali religioni monoteiste del nostro pianeta prendono come base della loro fondazione il riferimento a dei testi sacri cioè su dei prodotti caratteristici della ragione e della cultura umana; vi è cioè una attribuzione di sacralità legata non ad un particolare oggetto quanto al contenuto di questi testi che si considerano come ispirati dalla presenza divina e questa sacralità viene sancita anche in virtù della tradizione tramandata dalle generazioni passate.
Vi è quindi un espresso riferimento alla cultura anche se naturalmente non viene percepita in se stessa ma come emanazione della potenza divina.
Potenza divina che non viene mai definita come fine a se stessa ma che intreccia continuamente il suo cammino con la vita dell’uomo sulla terra sino a dettarne atteggiamenti e comportamenti.
In questa continua opera di ridefinizione del trascendente in termini più vicini all’immanente, la religione cristiana si spinge così avanti da attribuire alla divinità una connotazione umana tramite l’incarnazione del figlio di Dio che assume non solo le sembianze ma addirittura la natura umana attraverso la nascita e la morte.
Il cristianesimo quindi rappresenta l’aspetto più avanzato in questa opera di ricongiungimento tra trascendente ed immanente e quindi tra Dio e l’uomo; e questo soprattutto in virtù della resurrezione della carne che rappresenta l’atto supremo di confluenza dell’aspetto materiale e dell’aspetto spirituale in un unico ente inscindibile. Il messaggio evangelico abbraccia non solo l’uomo in quanto tale ma tutto il creato come è dimostrato da quel magnifico inno alla natura scritto da Francesco d’Assisi che costituisce uno dei primi esempi della letteratura italiana.
Il punto omega di Teilhard de Chardin non consiste solo nel punto di destinazione finale della specie umana ma nel punto di convergenza di tutta la terra, facendo proprio in questo modo tutto il messaggio di San Francesco e la tradizione naturalistica di molte religioni.
Da un punto di vista etico quindi il Cristiano evoluzionista non è per niente in contrasto con il cristiano ortodosso, ed il messaggio di amore verso Dio e verso il prossimo s’inquadra in questo processo evolutivo in cui ciascun essere è sempre più cosciente di essere parte di un tutto che si evolve e si perfeziona costantemente nel tempo, ed è cosciente che la propria individualità sarà perfettamente realizzata solo all’interno di questo processo evolutivo che coinvolge il mondo intero.
Del resto molti elementi, che a posteriori potremmo interpretare in termini evoluzionistici, sono già presenti nel pensiero filosofico occidentale antico e moderno e nella stesse religioni che esso ha espresso. Il concetto del popolo in cammino verso la terra promessa ha insita in se una visione dinamica della vita dell’uomo. Lo stesso percorso interiore del misticismo verso la santità è un forma di evoluzionismo metafisico caratteristico della religione cristiana.
L’evoluzionismo non è una teoria materialistica o deterministica, come erroneamente ci è stato fatto credere, perché, nonostante che le forze della natura siano tali da favorire un cammino verso un’interazione ed una complessificazione maggiore, l’essere umano ha la facoltà di opporsi con la sua opera a questo processo naturale rimanendo perfettamente libero di scegliere tra il bene ed il male, e questa scelta è effettuata sulla base della propria coscienza, o meglio ancora, della propria conoscenza che riveste come abbiamo detto quell’aspetto trascendente e metafisico ereditato dalle passate generazioni.
L’evoluzionismo non implica di per se la presenza di in Dio creatore, ma nello stesso tempo non la esclude nella misura in cui siamo in grado di distaccarci da quella immagine altamente poetica ma anche un po’ ingenua di un artigiano che si costruisce una ad una tutte le statuine con cui vuol popolare la terra dopo aver soffiato in loro la vita e prendiamo atto umilmente della nostra parziale conoscenza non solo dell’universo ma anche del pianeta su cui viviamo.
Il contrasto tra l’evoluzionismo e la tradizionale quanto inevitabile descrizione del paradiso terrestre è evidente, come pure è evidente l’inconciliabilità tra l’evoluzione ed il peccato originale per lo meno nei termini in cui ci è stato tramandato. .
Questo tema implica numerosi risvolti filosofici e psicologici oltre che dottrinali; come conseguenza dalla metafisica classica, la presenza di un Dio perfettissimo presuppone che anche la sua opera sia perfetta e che quindi il creato, cioè il paradiso terrestre fosse anch’esso perfetto. L’introduzione quindi del peccato originale quindi, come abbiamo detto, era necessaria per colmare la discrepanza tra un Dio perfetto ed un creato imperfetto.
Il peccato originale tradizionalmente si configura come un atto di superbia e di ribellione a Dio che ha provocato la cacciata dell’uomo dal paradiso terrestre e l’inizio di quel cammino di riscatto che l’umanità avrebbe dovuto compiere per ritornare allo stato di perfezione.
Il problema del peccato ed il problema del male che hanno portato molti uomini alla negazione stessa di Dio, nasce da questa inconciliabilità tra un creatore perfettissimo ed i singoli uomini che sono condannati a pagare per un reato da loro non commesso.
Quindi la presenza di un Dio perfettissimo costituisce il presupposto stesso della sua negazione; la teoria dell’evoluzione pone lo stato di perfezione non all’inizio ma alla fine dello stesso processo evolutivo per cui il male non assume la connotazione di uno stato determinato dal peccato ma è la manifestazione di uno sviluppo non ancora raggiunto ed a cui occorre tendere.
Sotto questo punto di vista il peccato originale non è stato quello di aver disubbidito a Dio per poter accedere ai frutti dell’albero del bene e del male ma quanto piuttosto il peccato di presunzione che ha commesso l’uomo nel ritenersi simile a Dio.
Peccato di presunzione che si ripresenta costantemente quando l’individuo si pone al di sopra delle cose e degli altri individui che lo circondano senza prendere coscienza della sua limitatezza e senza rendersi conto che il suo destino è indissolubilmente legato al destino di coloro che lo circondano.
L’identificazione del punto omega con la figura di Cristo che fa Teilhard de Chardin può lasciare sconcertati se noi, come è naturale, collochiamo la figura di Cristo all’interno del nostro sistema di coordinate spazio-temporali ma può risultare del tutto giustificato in un sistema di coordinate che travalica i confini del globo terrestre per estendersi nell’infinito dell’universo.
Questa identificazione non significa mettere in discussione la realtà storica del Cristo ma significa solamente mettere in evidenza che la sua opera sarà completata al momento della resurrezione della carne e del ricongiungimento di tutti gli uomini nel corpo mistico.
La maggior parte delle critiche rivolte a Teilhard da parte cattolica, nascono da pregiudizi più o meno velati verso l’evoluzionismo considerato come una dottrina materialistica non rendendosi conto che il contributo fondamentale della lettura teilhardiana della storia dell’evoluzione è stato quello di aver messo in risalto il ruolo della conoscenza e dello spirito all’interno del processo evolutivo tramite il concetto di noosfera come frutto e completamento della biosfera.
5. Un modello per il futuro
L’etica, la politica ed i comportamenti umani
Una delle funzioni fondamentali delle religioni è stato quello di essere la cornice fondamentale di riferimento per le norme di comportamento umano, sia etico sia politico, per permettere uno sviluppo ed una convivenza sociale accettabile. La consapevolezza di questo ruolo fondamentale è stata la ragione per cui da sempre il termine “religione” è stato sinonimo di tradizione, perché essa era basata fondamentalmente sugli insegnamenti delle generazioni passate che avevano determinato un certo status quo che garantiva la permanenza di certi comportamenti acquisiti e nello stesso tempo evitava il rischio di pericolosi salti nel buio. Sempre su questa base si spiega come mai, tranne poche eccezioni, le religioni si sono sempre affiancate all’ordine costituito contrarie non soltanto a qualsivoglia forma di rivoluzione, ma molto spesso anche a moderati processi di cambiamento.
Questa istintiva resistenza al cambiamento, se non viene mitigata dalla attività della ragione rischia di produrre l’effetto contrario di quello per cui era stata generata. Infatti rischia di contrapporsi a quel processo evolutivo naturale sia di natura biologica sia di natura culturale per cui il tentativo di salvare una cornice di riferimento valoriale a tutti i costi, si risolve in una perdita completa di riferimenti divenuti ormai obsoleti.
Purtroppo è quello che sta accadendo attualmente in un mondo in cui scienza, filosofia e religione stanno marciando per strade spesso divergenti ed in cui l’etica, la politica e l’economia non sono in grado di scegliere una precisa collocazione e precisi punti di riferimento.
L’interpretazione teilhardiana della teoria evoluzionistica, offre dei punti di riferimento fondamentali per le scienze umane e per le scienza naturali che cominciano ad emergere costantemente nei processi mondiali, anche se spesso in maniera confusa non sistematica, in modo spontaneo e che Teilhard aveva predetto più di 50 anni orsono.
Questi punti di riferimento sono tali non solo per coloro che si dichiarano esplicitamente come cristiani, ma anche per coloro che rivendicano il loro agnosticismo e la loro laicità.
A questo proposito va fatto notare che nonostante la presenza costante di una visione unitaria del binomio scienza e religione, l’opera di Teilhard de Chardin si muove sempre su due piani distinti anche da un punto di vista procedurale dove l’aspetto scientifico, vedi “Il fenomeno umano”, e l’aspetto religioso come ad esempio né “L’ambiente Divino”, sono trattati in maniera autoconsistente in modo tale da non dar adito a dubbi e critiche basati su presupposti fenomeni di contaminazione tra i due piani.
L’aspetto scientifico ha una sua validità basata su presupposti scientifici, come pure l’aspetto religioso ha una sua validità e consistenza interna; l’aspetto innovativo dell’opera di Teilhard è stato quello di mostrare che le linee guida tracciate sui due piani sono convergenti e portano ad uno stesso risultato o se vogliamo ad uno stesso punto finale.
Il paleontologo Pierre Teilhard de Chardin ci ha mostrato la storia della vita sul pianeta terra come un continuo dipanarsi di un unico filo conduttore che procede attraverso continui stadi e veri e propri salti di qualità verso una progressiva complessificazione della materia sino a giungere alla formazione dell’essere umano. Lungo il trascorrere dei millenni siamo quindi passati da organismi molto semplici, quali gli organismi unicellulari, ad organismi del tutto complessi come i primati, sino a giungere all’uomo sapiens.
La scomparsa di intere specie animali che erano presenti nelle precedenti ere geologiche e la permanenza di specie che sono rimaste praticamente le stesse da molti miliardi di anni, testimoniano come sia infondata l’accusa di determinismo che alcuni hanno rivolto all’opera di Teilhard, infatti narrare lo sviluppo di una storia non significa minimamente affermare che la storia non avrebbe potuto svolgersi altrimenti, né tanto meno che il narratore o qualcun altro abbia determinato tale sviluppo ma che il processo si è sviluppato perché si sono verificate contemporaneamente alcune condizioni che lo hanno permesso ma che avrebbero potuto essere tali da determinare lo sviluppo di altre specie umane che si sono estinte.
Questa complessificazione che ha portato alla comparsa dell’uomo è stata la conseguenza di continue interazioni tra esseri più semplici che hanno formato esseri di maggiore dimensione ma soprattutto di maggiori capacità di adattamento e di maggiori potenzialità.
Abbiamo accennato alla formulazione di moderne teorie cosmologiche che fanno risalirà alla presenza di forze di interazione similari la formazione dell’universo a seguito della esplosione del big bang.
Quello che ci interessa a questo livello è che il processo di interazione non si ferma con la comparsa dell’uomo ma continua sotto diversa forma con la comparsa di organizzazioni sociali sempre più complesse e sempre più strutturate e che questo processo di strutturazione prosegue oltre la struttura fisica per trasferirsi nella struttura mentale con la creazione di un vero e proprio ambiente che coinvolge l’intero pianeta e che Teilhard chiama noosfera.
La più valida dimostrazione della validità delle intuizione di Teilhard ci è data dalla presenza della rete telematica mondiale e dai processi di globalizzazione in atto in questo inizio di terzo millennio.
Ma per quale ragione l’opera di Teilhard de Chardin e le moderne scoperte scientifiche e tecnologiche dovrebbero influenzare in qualche maniera il nostro modo di agire nel vivere quotidiano ed influenzare le nostre scelte politiche o religiose?
La risposta è molto semplice ed è direttamente collegata con la capacità che l’opera di Teilhard e le nuove conoscenze hanno di contribuire alla risposta delle tre domande di natura esistenziale che ci eravamo posti nelle prime pagine: conoscere la nostra natura e riscoprire le nostre origini ci danno la possibilità di orientarci per il futuro ed indicarci la strada per la nostra piena realizzazione.
Solo attraverso la completa consapevolezza della nostra natura e della nostra storia potremmo mettere in atto tutti quei comportamenti necessari per arrivare ad una vera realizzazione della nostra identità sia come singoli, che come specie che come abitanti di questo nostro pianeta terra.
Come abbiamo detto precedentemente il contributo fondamentale che Teilhard de Chardin ha dato allo sviluppo della teoria evoluzionistica è stato quello di inserire l’uomo all’interno del percorso evolutivo che si è sviluppato sul nostro pianeta a partire dalla comparsa dei primi essere viventi sino ai nostri giorni non come puro effetto della selezione da parte dell’ambiente, nei termini proposti da Darwin, ma come soggetto attivo in grado di condizionare il proprio ambiente all’interno di quel processo da lui definito di “complessificazione crescente” che è stato il vero motore della nascita e dello svilupparsi della vita nel nostro pianeta; complessificazione che assume l’aspetto della condensazione nei primi milioni di anni succedutesi alla grande esplosione del Big Bang e che assume l’aspetto della socializzazione e della globalizzazione negli ultimi migliaia di anni.
L’uomo attuale non è quindi il frutto della competizione e della selezione quanto piuttosto il frutto della coagulazione e della cooperazione; questo significa affermare che entrambi questi due processi si siano verificati nel corso della vita travagliata del genere umano, ma significa prendere coscienza che lo sviluppo e l’evoluzione del genere umano sta nella cooperazione più che nella competizione e cioè che la selezione e la legge del più forte è destinata a successi fittizi e a ritorcersi contro gli stessi vincitori.
Questi due sostantivi quindi, competizione e cooperazione sottendono due filosofie completamente opposte che sono state alla base della nostra storia e che purtroppo troviamo ancora presenti al giorno d’oggi dopo aver raggiunto gradi estremi nel secolo scorso.
Nella sua storia della vita terrestre Teilhard de Chardin distingue due diverse fasi caratteristiche della storia dell’uomo su questo nostro pianeta, la prima fase, in continuità con il processo riscontrato per gli organismi superiori e per gli ominidi consiste in un processo di espansione, anche da punto di vista spaziale, in cui una continua gemmazione corpuscolare nelle diverse zone della terra porta alla comparsa di diverse specie, destinate prima o dopo ad estinguersi, ed una seconda fase di ripiegamento su se stessi in cui si assiste ad una convergenza sino a formare un unico corpo che raggiunge il suo culmine con il punto Omega.
Questo processo è stato descritto molto efficacemente come il movimento di un’onda che partendo ad esempio dal polo sud del globo terrestre si diffonde allargandosi sino a raggiungere il punto di massima circonferenza all’equatore per poi ritornare a convergere successivamente verso il polo nord.
Il nostro destino naturale quindi, quello che si propaga parallelamente alla linea evolutiva che ha determinato la nostra esistenza come esseri e come coscienze, ci porta ad un’ulteriore complessazione attraverso un processo di cooperazione destinato a diffondersi in tutta la terra. Questo non significa che l’essere umano non sia in grado di opporsi a questo cammino tramite le sue azioni ed il suo operato, ma certamente ci da la consapevolezza che una deviazione da questa linea ci porta inevitabilmente verso una recessione e forse verso l’autodistruzione dell’umanità.
La storia della nostra pur breve vita di esseri umani ci mostra continuamente come il progresso sia costantemente legato con l’aumento della cooperazione e della interazione tra esseri distinti attraverso una continua complessificazione della struttura sociale ed una continua condivisione di idee e di conoscenze, e come d’altronde come i processi di disgregazione sociale, di parcellizzazione delle comunità urbane siano legate ai fenomeni apocalittici concomitanti con la scomparsa di intere civiltà che si sono succedute nel corso dei millenni sulla nostra terra.
La competizione, e nella sua forma più estrema il conflitto, sono per loro natura portatori di contrapposizione tra singoli ed anche di sopraffazione dell’uno sull’altro, sia che si parli di individui sia che si parli di popoli e si muovono in una direzione diametralmente opposta a quella linea evolutiva che ci ha permesso di arrivare allo stadio presente di civiltà.
Il modello di sviluppo
La precedente affermazione che individua nella cooperazione il mezzo privilegiato per la costruzione della società del futuro in quanto è l’unico mezzo in linea con la direzione evolutiva della vita sul pianeta terra e costituisce la base fondamentale su cui delineare un nuovo modello di sviluppo che permetta una crescita equilibrata degli individui, delle società e di popoli della terra.
In questa ottica globale basata sulla cooperazione, un effettivo sviluppo non può essere che uno sviluppo globale, cioè uno sviluppo in cui il benessere è effettivamente distribuito a livello planetario per tutti gli uomini della terra.
Un tale obiettivo può risultare del tutto utopistico se noi misuriamo il tasso di sviluppo nei termini ecominicistici che si sono progressivamente affermati nelle odierne società capitalistiche e cioè essenzialmente in termini di prodotto interno lordo. In effetti basta fare un calcolo elementare per renderci conto che l’estensione alla intera popolazione mondiale degli attuali livelli di consumo presente nelle società occidentali non solo sarebbe impossibile per la mancanza di materie prime, ma sarebbe catastrofico in termini di inquinamento e di impatto ambientale; uno sviluppo globale, quindi rimane possibile solo nei termini in cui venga ridefinito il concetto di sviluppo sino ad ora utilizzato.
La storia passata e recente ha dimostrato che sottrarsi a questo processo evolutivo generale attraverso il perseguimento del proprio interesse particolare, si di individui che di popoli non può che essere destinato all’insuccesso e portare alla scomparsa della nostra civiltà. La caduta dei grandi imperi che si sono succeduti nei passati millenni e di conseguenza la scomparsa di intere civiltà è sempre coincisa con l’insostenibilità di una situazione in cui gli interessi dei singoli erano in contrasto con gli interessi dei molti ed imposti con la sopraffazione e la guerra.
La caduta dell’impero romano d’occidente è l’esempio classico di questo tipo di fragilità causata dalla diseguaglianza, dalla povertà e dal disinteresse. Un popolo, o meglio ancora un impero che era giunto al suo massimo di civiltà e di ricchezza è dovuto soccombere di fronte alle invasioni barbariche di popoli incivili in cerca di sostentamento. Un impero dotato di un esercito capace di sconfiggere ogni nemico si è rilevato del tutto incapace di contrastare la fame e la necessità di popoli provenienti da terre lontane.
Gli attuali flussi migratori che caratterizzano questo inizio di millennio si inscrivono nella stessa ottica di povertà e di necessità di cui il mondo occidentale deve farsi carico se non vuole soccombere e rinunciare per sempre alla sua civiltà.
In questo pianeta che diventa sempre più stretto e sempre più interconnesso, o ci salviamo tutti o periremo tutti, ogni strada diversa da uno sviluppo generalizzato porta solo a dei risultati temporanei e destinati a scomparire in breve tempo.
La necessità a cui dunque occorre fare fronte consiste nel promuovere lo sviluppo dei paesi del terzo e del quarto mondo senza allo stesso tempo provocare recessione e miseria nel mondo industrializzato.
Questo obiettivo si può perseguire soltanto attraverso una ridefinizione del termine sviluppo diversa da quella che si è venuta formano nel mondo occidentale nel XX secolo ed una riparametrizzazione delle componenti costituenti gli indici di valutazione: occorre quindi sostituire alla unica variabile monodimensionale di natura economica che è costituita dal Prodotto Interno Lordo, un bouquet di variabili che nell’ordine potremmo definire come Ambientale, Culturale, Sociale ed Ecomico; cioè passare da un mondo monodimensionale ad un mondo a quattro dimensioni.
Attraverso una combinazione lineare di queste quattro componenti è possibile modulare la crescita in maniera appropriata nelle varie aree geopolitiche in modo che lo sviluppo di una determinata area non comporti necessariamente il sottosviluppo di un’area più o meno adiacente e della rispettiva popolazione.
È del tutto evidente che nelle zone del pianeta in cui regnano la miseria, la fame e la disperazione l’espansione economica debba rivestire un ruolo prioritario indispensabile per poter provocare nel rispetto e nella salvaguardia Ambientale uno sviluppo sociale e culturale adeguato non solo alla sopravvivenza ma anche alla crescita di quei popoli.
Questo sviluppo economico, contrariamente alla attuale impostazione capitalistica globale, deve essere concepito in modo tale da portare questi popoli alla autosufficienza alimentare in modo da metterli in condizione in un futuro prossimo di contribuire attivamente alla loro emancipazione: occorre cioè fare in modo che essi lavorino per se stessi e non per il mondo occidentale, rompendo quella catena di dipendenza dai paesi ricchi che in cambio di un pezzo di pane li rende sempre più schiavi e senza speranza. In una dimensione monodimensionale dello sviluppo parametrizzata unicamente dal PIL essi non riusciranno mai dalla loro condizione di riserva di mano d’opera a basso prezzo ed innescare un vero processo di emancipazione.
I paesi occidentali, che attualmente costituiscono la parte più ricca del pianete terra debbono invece abbandonare in modo sempre maggiore il loro modello di vita consumistico per privilegiare insieme alla variabile ambientale la variabile culturale tale da permettere un vero progresso sociale.
Incrementare la produzione e lo sviluppo della cultura (sia di tipo umanistico che di tipo scientifico) permette allo stesso tempo di liberare risorse e materie prime necessarie per i paesi in via di sviluppo e di non innescare quel processo di recessione che si innescherebbe in una diminuzione dei consumi pura e semplice.
È giusto quindi auspicarsi un incremento della ricerca scientifica, come viene continuamente ripetuto da tutte le parti, ma occorre che questa ricerca e questo sviluppo culturale non siano finalizzati all’aumento della competitività per incrementare un consumismo sempre più sfrenato, ma debbano acquisire un proprio valore intrinseco per aumentare la qualità della vita sia per gli attuali abitanti della terra che per quelli futuri.
Questo passaggio progressivo dalla società dei consumi alla società della conoscenza, sia a livello locale che a livello globale, ha iniziato ad essere evidente nell’ultimo decennio del XX° secolo ma sta acquisendo un carattere filosofico ed esistenziale alla luce del pensiero di Teilhard De Chardin che già agli inizi degli anni 50 del secolo precedente profetizzava l’avvento della noosfera, cioè della globalizzazione delle conoscenze non come fenomeno economico ma come esito coerente della natura stessa del “Fenomeno Umano” che si è sviluppata nella sua evoluzione biologica.
6. Conclusioni
Come sarà risultato chiaro al lettore, nonostante l’argomento, il linguaggio usato nella stesura del saggio è tutt’altro che di tipo filosofico e mostra tutti i suoi limiti nella eleganza di esposizione e nella compiutezza delle argomentazioni senza addentrarsi nella discussione delle varie teorie della filosofia della mente o dei fenomeni emergenti che sono strettamente collegati con quanto esposto. Quanto esposto vuole essere soltanto un piccolo contributo alla risoluzione dei problemi esistenziali visti non dalla parte del filosofo ma dalla parte di un ricercatore di professione che si è dedicato e che si dedica all’indagine scientifica.
Dopo quanto abbiamo detto possiamo quindi provare a dare (o forse meglio a proporre) delle risposte alle quattro domande che ci siamo posti all’inizio di questo scritto e che qui riformuleremo nell’ordine:
a) Esiste il trascendente e come si manifesta?
Per più di 25 secoli il materialismo e l’idealismo sono vissuti in costante contrapposizione reciproca sostenuti rispettivamente da coloro che manifestavano l’esigenza di riferirsi alle cose naturali, e quindi alla materia, e coloro che sostenevano l’innegabile presenza delle idee e degli ideali che sono in grado di muovere gli esseri umani ed a cui attribuivano una natura trascendente ed esterna alla materia stessa.
L’inconciliabilità derivava dal fatto che si riteneva impossibile un collegamento tra corpo e spirito a causa della loro diversa natura; in realtà abbiamo visto che le idee ed il pensiero traggono origine dalla materia ed allo stesso tempo che la materia può essere dominata dal pensiero pur restando le due cose di natura diversa.
Il trascendente quindi esiste senza presupporre, ma nello stesso tempo senza escludere, la presenza di un’entità divina che sia l’origine sia del corpo che dello spirito.
b) È conciliabile la scienza con la filosofia?
Nonostante l’innegabile tendenza di scienziati e di filosofi di spartirsi l’intero campo della conoscenza per coltivarsi ciascuno il proprio orticello in santa pace è ormai indubbio che il muro di divisione che era stato costruito all’interno del corpo umano e che separava il cervello dalla mente e dai sentimenti sta sgretolandosi continuamente ed in poco tempo sarà del tutto scomparso.
La scienza e la filosofia quindi più che ignorarsi reciprocamente dovranno coordinarsi e collaborare per la risoluzione dei problemi dell’umanità abbandonando ogni tentativo di supremazia e mettendo a frutto ciascuna le esperienze e le conoscenza dell’altra.
c) La religione è ancora in grado di dare risposte convincenti?
Una delle caratteristiche fondamentali di ciascuna delle tre religioni monoteiste è quella di considerarsi come verità rivelata e naturalmente come verità unica. Come abbiamo visto la base fondamentale di ciascuna religione consiste essenzialmente nella interpretazione dei sacri testi, sia che si tratti del vecchio e del nuovo testamento sia che si tratti del corano. Naturalmente con il passare dei secoli si è manifestata in maniera sempre crescente la necessità di abbandonare un’interpretazione letterale delle scritture che risultava in manifesto contrasto con le nuove scoperte scientifiche (vedi il caso di Galileo Galilei) a favore di un’interpretazione più dottrinale. Quindi non tutto quello che è contenuto nei sacri testi è verità unica ed immutabile ma solo quello che si riferisce agli aspetti fondanti della religione e della fede, si può anzi affermare che un’acquisizione integrale del contenuto dei sacri testi, che poi è all’origine dei sempre ricorrenti fenomeni di integralismo religioso e politico, sia addirittura contraria allo spirito stesso delle religioni che deve essere costantemente orientato verso la salvezza dell’umanità.
Anche nel campo della religione quindi la teoria evoluzionistica si rivela come strumento fondamentale per il riconoscimento delle verità di fede attraverso l’individuazione di quei concetti che sono espressione della evoluzione intellettuale e delle acquisizioni culturali e soggetti a continui mutamenti ed approfondimenti per poter discernere in maniera più compiuta quelli che sono i valori fondanti della fede stessa.
La religione quindi ha la capacità di dare risposte convincente all’uomo del futuro solo nella misura in cui sarà in grado di rinunciare progressivamente alla sua struttura dogmatica per coniugarsi in maniera sempre più stretta con la ragione.
d) L’etica, la politica ed i comportamenti umani possono trovare fondamenti alternativi alla religione?
Per sgombrare il campo da possibili equivoci, con il termine religione, in questo contesto non intendiamo riferirci ad un particolare credo ne tantomeno ad una particolare chiesa, ma intendiamo piuttosto come religione quell’insieme di valori, di tradizioni e di comportamenti che costituiscono la base fondamentale su cui ciascun essere umano costruisce la sua vita ed il futuro dei suoi figli. In questo senso quindi anche coloro che si definiscono atei od agnostici praticano un certo tipo di religione che si classifica in modo diverso da quella di coloro che si definiscono credenti ma che fa riferimento a tutta una serie di valori e di dettati morali fondanti sia per l’individuo sia per la società.
L’alternativa alla religione, intesa in questo senso lato, si prefigura quindi come una assenza completa di valori, legata alla contingenza ed alla individualità, in netta contrapposizione con una visione globale della specie umana all’interno della sua storia e del suo processo evolutivo.
La conoscenza di noi stessi e della nostra storia passata costituisce quindi l’elemento fondamentale su cui basare la nostra etica ed i nostri comportamenti per non vanificare il cammino percorso dall’umanità e compromettere il futuro delle prossime generazioni.
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C. George Boeree, The Neuron, in “General Psychology” [in linea], 2003, http://www.ship.edu/~cgboeree/theneuron.html. ↩︎
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http://www.brainconnection.com/topics/?main=gal/homunculus. ↩︎
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http://www.treccani.it/iteronline/rubriche/archivio/rp1b1a.htm, http://www.treccani.it/iteronline/rubriche/archivio/rp1b_kandel.htm, http://nobelprize.org/medicine/laureates/2000/kandel-lecture.html. ↩︎
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Roberto Marchesini, Post-Human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002. ↩︎
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Walter Kasper, “Ecumenismo come processo spirituale”, Giornale di teologia, 316 (2006). ↩︎