La religione come forma di conoscenza in Max Scheler

L’Eterno nell’uomo è, accanto a Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, l’opera che rappresenta la fase centrale della vita e della filosofia di Max Scheler. Con essa, egli cerca di dare risposta a questioni che da sempre muovono i suoi pensieri: Chi è l’uomo? Come può arrivare a Dio? Dio come si mostra all’uomo? Le risposte che Scheler fornisce non rappresentano la soluzione concreta e definitiva a quelle domande, ma sono un modo nuovo e positivo di ri-leggere e ri-vedere importanti tematiche che fanno parte dell’essere dell’uomo stesso.

Importante, sotto questo punto di vista, sarà il sistema di conformità, presentato da Scheler come unica soluzione nel risolvere i rapporti tra religione e filosofia. «La tesi dell’indipendenza e del fondamento in sé della religione non esclude una determinazione del rapporto tra la sua essenza e la metafisica, che chiamo sistema di conformità tra metafisica e religione».1

Una volta chiariti i rapporti e i limiti entro i quali si muovono religione e metafisica, Scheler analizza ciò che lui stesso chiama fenomenologia essenziale della religione, poiché è solo attraverso essa che si può arrivare ad elaborare un criterio positivo di verità della religione, costituito dall’assiomatica essenziale ontologica ed assiologia dell’oggetto e dell’atto religioso.2 Seguendo poi il procedere filosofico di Scheler, emerge chiaramente l’interdipendenza dell’oggetto e dell’atto religioso, in quanto l’atto è modo di conoscere l’oggetto, e l’uno non può stare senza l’altro. Solo così l’uomo arriverà a conoscere la realtà di Dio.

1. Il sistema di conformità

Il sistema di conformità è una teoria che Scheler presenta e analizza in L’eterno nell’uomo, opera pubblicata nel 1921. Importante è il saggio centrale Problemi di Religione, dove dedica ampio spazio alla questione della fenomenologia essenziale della religione, poiché contiene tutto il suo modo di intendere la filosofia della religione stessa. Tentativo di Scheler è proprio quello di costruire su nuove basi una nuova filosofia della religione e ciò potrà accadere solo partendo da un’analisi adeguata dei rapporti tra filosofia e religione, stando attenti a non assorbire l’una nell’altra e a non negare i loro rapporti.

Iniziando le sue indagini, Scheler cerca di capire fino a che punto gli oggetti della fede religiosa, quali l’esistenza e l’essenza di Dio, l’immortalità dell’anima, siano anche oggetto della filosofia. Per poter raggiungere adeguati risultati da cui poi poter trarre nuove elaborazioni, bisogna studiare quegli oggetti dal punto di vista fenomenologico: solo così essi acquisiranno un nuovo senso e un nuovo valore. Allora, a partire dall’essenza della filosofia e della religione, Scheler riesce a delineare, in modo netto e chiaro, il loro rapporto e arriva ad elaborare «l’idea di una teoria filosofica dell’essenza (eidologia) dell’oggetto e dell’atto religioso».3

Per raggiungere questo scopo egli critica tutte quelle false interpretazioni sui rapporti tra filosofia e religione, che non danno vita a niente di nuovo: il sistema di identità parziale e il sistema di identità totale.

Con il primo sistema si tende ad identificare, in modo parziale, l’oggetto della religione con l’oggetto della metafisica. In questo modo, l’uomo acquisisce un sapere certo intorno all’esistenza di Dio solo grazie alla ragione filosofica; mentre, conosce l’intima essenza di Dio solo accettando il contenuto della rivelazione di Cristo, così come è presentata nella teologia positiva.4 Scheler, quindi, riesce a mettere in luce l’errore di fondo di tale sistema. Questo, infatti, non riconoscendo l’indipendenza e l’autonoma fondazione della religione nei confronti della metafisica, arriva a proclamare, come false, proprio le affermazioni religiose più importanti, quali l’esistenza e l’essenza di Dio, in quanto non fondate su affermazioni metafisiche5

Per quanto riguarda, invece, il sistema di identità totale, Scheler lo distingue in gnostico e tradizionalista, a seconda che la teologia nel suo complesso debba risolversi nella filosofia, o viceversa, la filosofia come metafisica, totalmente nella teologia positiva.6 Soltanto seguendo il ragionamento di Scheler si comprende il perché egli arriva a negare anche questo sistema. Dire che la filosofia venga assorbita nella teologia, o viceversa, significa dire che entrambe hanno lo stesso oggetto e che di fronte alle questioni più importanti esse offrono uguali risposte. L’unica differenza che emerge è che mentre la religione procede in modo imperfetto, lasciando spazio alle necessità del cuore umano, la metafisica procede in modo sistematico e completo, con un certo grado di rigore che la mette in connessione con la scienza. Quindi, non è più identificabile un gruppo di oggetti e valori esclusivamente religiosi, raggiungibili attraverso una classe speciale di atti, quali gli atti religiosi; allo stesso modo, non si dà più salvezza, come bene e fine dell’uomo, raggiungibile attraverso la religione e non attraverso la metafisica. Allora, questo sistema di identità totale nega la possibilità di una rivelazione personale di Dio fondando la religione su un sistema di idee svincolato da ogni persona e basato su valori extrapersonali. Secondo Scheler, l’errore sta proprio in questa cattiva interpretazione di Dio.

Per capire il perché di questa affermazione bisogna risalire al concetto di persona, tanto importante in Scheler. Egli sostiene che l’esistenza della persona può essere conosciuta solo quando liberamente si manifesta, indipendentemente dal suo corpo. La persona ha un corpo che le permette di essere un ente fisico, ma ha anche una caratteristica intima, spirituale. Per conoscerla è necessario con- compiere con lei i suoi stessi atti, in modo tale che essa si riveli liberamente e spontaneamente in un atto d’amore. Infatti, per Scheler, la persona è «unità-di-essere concreta e in se stessa essenziale di atti di diversa natura, tale da darsi in sé prima di ogni essenziale differenza d’atto e, in particolare, prima della differenza tra percezione interna ed esterna, tra volontà interna ed esterna, tra sentire, amare, odiare nella propria interiorità o nella sfera dell’alterità, ecc, l’essere della persona “fonda” tutti gli atti essenzialmente diversi».7 Ciò che costituisce l’essere dell’uomo stesso non è solo la sua capacità di costruire il mondo, ma, soprattutto, c’è la sua capacità di trascendere se stesso e ciò che lo circonda e di compiere, così, un gesto di portata cosmica: l’apertura al mondo. Solo in questo modo egli sarà in grado di distinguere l’essere dall’esistenza.

La persona, dunque, si compie nell’atto della trascendenza, si dà solo attraverso l’atto dell’amore, perché è capacità d’amore.8 Allora, solo grazie alla trascendenza e all’atto d’amore, l’uomo riesce a trovare Dio. O meglio, l’uomo e il divino sono strettamente connessi: l’uomo è «intenzione e gesto della “trascendenza” stessa, l’essere che prega e cerca Dio. Anzi, l’“uomo” non “prega”, egli è la preghiera che la vita eleva al di sopra di se stessa; “non cerca Dio”, egli è quella X vivente che Dio cerca».9 Dunque, Scheler potrà affermare che è possibile conoscere la realtà di Dio solo attraverso la fede nella rivelazione: «L’effettiva esistenza “di Dio” si fonda quindi solo ed esclusivamente nella possibile rivelazione positiva di Dio in una persona concreta».10

Quindi la religione, per Scheler, implica un incontro personale e reale dell’uomo con Dio, intesa come persona che si auto- comunica e si auto- manifesta.11 Nonostante critichi i vari modi di interpretare i rapporti tra religione e filosofia, Scheler ammette la possibilità di una metafisica, intesa come conoscenza razionale dei fondamenti ultimi dell’essere e dell’essenza del mondo. Tuttavia, tanto il suo scopo quanto il suo oggetto sono essenzialmente diversi dallo scopo e dall’oggetto della religione, così come è differente il metodo con cui queste procedono. Chiara, infatti, è per Scheler, la differenza tra bisogno religioso e bisogno metafisico. Nell’uomo la filosofia nasce dalla meraviglia per il fatto che c’è qualcosa piuttosto che il nulla;12 la religione, invece, nasce dall’amore originario che Dio rivolge a tutti gli uomini e dal bisogno necessario che l’uomo ha di essere salvato, con un suo atto misericordioso. Religione e metafisica, precisa Scheler, hanno come unico oggetto Dio, studiato secondo due modi diversi. Mentre il Dio della religione vive e si manifesta solo nell’atto religioso, la metafisica studia razionalmente entità e realtà extra religiose. Obiettivo della religione è proprio la salvezza dell’uomo nell’amore di Dio, nella divinizzazione; obiettivo della metafisica è la conoscenza razionale del fondamento del mondo.

A questo punto, appare inevitabile notare come Scheler cerchi di salvaguardare tanto la metafisica quanto la religione, poiché solo in questo modo si può parlare adeguatamente di filosofia della religione. Scheler, però, vuole essere più chiaro e, per questo, rappresenta una novità: la filosofia non si occupa direttamente di Dio, il suo oggetto non è lui, ma si occupa di Dio attraverso la religione, per mezzo di questa. È proprio qui che emerge il sistema di conformità. Punto fermo del sistema è che la religione non può assumere il suo Ens a se dalla metafisica o che, invece, sia la metafisica ad assumerlo dalla religione. Tale Ens a se rimane essenzialmente diverso e per la metafisica e per la religione, pur essendo l’ultimo soggetto logico di ogni loro discorso.

La via della religione ha sempre come punto di partenza il contenuto di una realtà assolutamente santa e capace di santificare, dalla quale viene derivato, in seconda istanza, che questo ens a se è anche l’assoluto fondamento della realtà delle cose. La via metafisica, invece, parte sempre da una determinazione essenziale della realtà assoluta, a partire dalla quale poi viene successivamente derivato che l’unione personale con esso anche conduce l’uomo (o la conformità delle cose con esso anche conduce le cose) alla propria salvezza.13

La metafisica studia razionalmente Dio, cerca delle proposizioni per dare una spiegazione logica all’Ens a se; la religione procede e avanza solo attraverso la recezione della rivelazione che si ha nella fede. Da ciò appare chiaro come in Scheler non sia possibile confondere la metafisica con la religione, poiché la religione rimane una caratteristica del cuore e dello spirito umano, mentre l’altra è un processo conoscitivo dell’uomo. Scheler precisa, inoltre, che i risultati della metafisica non possono essere trasformati in contenuti di fede, altrimenti si perde la base fondamentale della conformità. Grazie al sistema di conformità, egli riesce proprio in questo intento: impedire, cioè, che i risultati della metafisica acquistino un valore di fede, costituendo, così, l’inizio della religione. Dio è conoscibile solo se si rivela e si mostra all’uomo, mentre non è conoscibile attraverso lo studio delle prove della sua esistenza. Solo rivelandosi egli prova la sua esistenza.

Seguendo attentamente il procedere filosofico di Scheler, si nota come egli riesce ad ammettere proprio ciò che ogni uomo tende a negare, perché non supportato da prove scientifiche e dimostrabili: la fede. La fede nella rivelazione si fonda su di una «certezza granitica»: mentre il sapere metafisico nasce e segue da un atto dell’intelletto che si muove per mezzo di un interesse verso le cose; il sapere religioso nasce e segue da un libero atto di fede che rende possibile l’evidenza della fede.

C’è una particolare affermazione di Scheler che racchiude e che rappresenta in pieno il sistema di conformità: «Secondo il sistema di conformità religione e metafisica si stringono le mani liberamente l’un l’altra senza che una mano tiri segretamente l’altra a sé con la forza, mantenendo però nello stesso tempo la pretesa di averla ricevuta liberamente».14 È proprio grazie a questo reciproco stringersi le mani che nascerà una stretta collaborazione tra religione e metafisica: la metafisica, basata sulla ragione, è in grado di purificare il Dio della religione dalle tendenze più fanatiche e dogmatiche; a sua volta, la religione è in grado di trasmettere calore e vita ad un Dio dei filosofi che, se lasciato a se stesso, verrebbe espresso in un concetto impersonale, astratto, perdendo la dimensione misteriosa e sacrale del divino, accessibile solo per mezzo della fede.15 Solo così, e solo con il sistema di conformità, Scheler offre una base solida per la costruzione di una corretta filosofia della religione, che si occupa dello studio e della teoria dell’atto religioso, in quanto noetica della religione.

2. La filosofia della religione

Con il sistema di conformità, Scheler è riuscito ad aprire la strada per quella che lui stesso chiama fenomenologia essenziale della religione. Fondamentale è salvaguardare la «tendenza metafisica» dell’uomo, poiché è la base antropologica indispensabile per l’origine del vero e proprio atteggiamento religioso. Grazie a questa «tendenza metafisica» l’uomo trascende la realtà, i valori vitali, per orientarsi a Dio, al divino; attraverso gli atti spirituali egli ne coglie il valore assoluto e supremo. Dunque, Dio è pensato primariamente in conformità all’essenza assiologia che si è colta di lui nell’atto d’amore.16 Invece, per quanto riguarda la sua esistenza, l’unico modo che l’uomo ha di poterla cogliere è di vivere l’esperienza religiosa della rivelazione positiva.

Ecco che comincia ad emergere l’idea di ciò che per Scheler è la filosofia della religione. Essa è un incontro personale con Dio, che solo in questo modo si rivela. Dio è persona delle persone: tutto in lui e con lui acquista senso. Egli si auto-comunica all’uomo attraverso la rivelazione, per mezzo della grazia.

Tutto questo appare nella sua chiarezza e semplicità prendendo in considerazione la concezione cristiana dell’amore, fortemente presente in Scheler. In essa, l’amore è il chinarsi del più ricco verso il povero, del santo verso i peccatori, del Messia verso i peccatori: tutto si fonda in un primario e originario atto d’amore. Quindi, Dio è valore supremo (persona delle persone) perché è considerato Amore Infinito. «Cristo non “ha” la verità, egli “è” la verità, e lo è senza dubbio nella sua piena concretezza».17 Tutte le sue azioni, parole e affermazioni, dunque sono vere perché è da lui che nascono e provengono, poiché è la verità. Allora, la fede dell’uomo nelle parole e nel messaggio di Cristo è legata all’atto d’amore, iniziante con e da Dio stesso. L’amore di Dio è reso comprensibile e accessibile all’uomo perché è un con- amare con lui. Così, la più alta forma dell’amore di Dio non è quella rivolta a Dio dall’uomo, ma è il con-compimento del suo amore verso il mondo (amare mundum in Deo) e, verso se stesso (amare Deum in Deo), è quindi, un amare in Deo. Scheler dichiara, a questo punto, che «così come, d’altra parte, l’amore “in” Dio, cioè il nuovo attivo insediarsi del centro spirituale della persona nel nucleo della persona totale divina e l’amare tutte le cose insieme all’amore di Dio deve ritornare da sé verso Dio come supremo oggetto d’amore, e completarsi, quindi, in modo mistico- contemplativo, nell’amare Deum in Deo».18

Tenendo presenti queste teorie, Scheler inizia a sviluppare proprio la fenomenologia essenziale della religione che, ponendosi all’interno dell’unità della persona, permette di raggiungere una conoscenza assoluta della religione, così come è vissuta dall’uomo. Ciò significa che questo tipo di fenomenologia studia l’orizzonte fenomenologico in cui nasce l’atto religioso stesso, ponendosi, così, come propedeutica alla fede.19 Infatti, essa mostra come l’uomo si prepara a ricevere la rivelazione, il cui contenuto è colto nell’atto di fede, non approdando né ad una conoscenza spontanea di Dio, né permettendo di arrivare ad Esso per immagini o per costruzione degli oggetti religiosi.

L’unico modo che la religione ha di poter proseguire in questo intento è quello di fondarsi solo su se stessa: solo così l’uomo sarà pronto all’incontro originario con il fenomeno religioso, che si dischiude nell’atto religioso stesso. O meglio, la religione studia l’oggetto religioso assoluto, che, a sua volta, si dà nell’atto rivelante: l’atto religioso è sciolto da ogni legame di dipendenza, se pur esistenziale, con il finito.20 Ciò appare chiaro nelle parole di Scheler: «Ogni credere è fondato oggettivamente in un contemplare».21 Scheler, cioè, vuole dimostrare che il fondamento ultimo della conoscenza religiosa è proprio il manifestarsi dell’oggetto religioso nell’atto religioso stesso. L’atto religioso è diretto verso Dio e al modo in cui egli si dischiude alla coscienza dell’uomo. La fenomenologia essenziale dell’oggetto e dell’atto religioso offre un criterio positivo di verità della religione, cioè, sfocia in ciò che è la verità religiosa fondamentale.

Per comprendere il pensiero di Scheler, importante è l’implicazione tra religione, rivelazione e mediazione. Innanzitutto, Scheler distingue due modi diversi e separati attraverso i quali Dio si manifesta all’uomo: la rivelazione naturale e la rivelazione positiva. Con rivelazione naturale si intende il modo in cui Dio si rende accessibile agli uomini nelle cose, nella realtà, nella natura. Con rivelazione positiva, invece, si intende il modo in cui Dio si rende accessibile agli uomini attraverso la parole e attraverso le persone.22 Correlato della prima è la religione naturale, correlato della seconda è la religione positiva. Tuttavia, bisogna tenere ben presente cos’è per Scheler la rivelazione:

«Rivelazione» significa però anche qui- come ovunque- il contrario di tutto ciò che è immaginato, inferito, astratto. Significa che nel momento in cui l’essere assoluto di un oggetto che si qualifica come «divino», diventa da sé e per sé, «traslucido» e «trasparente» in un oggetto empirico dell’essere relativo, solo attraverso questa traslucidità e trasparenza fa risaltare l’oggetto in questione tra tutti gli altri oggetti dell’essere relativo.23

La rivelazione naturale è il primo modo di darsi del divino; in questo modo egli è accessibile all’uomo. Esprimendosi nella natura, tutta la realtà finita rinvia e rimanda a Dio, come sua origine e come suo ultimo termine. La natura ha bisogno di Dio per avere un’origine e un significato; Dio ha bisogno della natura perché è in essa che si esprime e si fa vivo. Questo rapporto è comprensibile fino in fondo solo se lo si estende anche alla relazione simbolica che opera nella rivelazione positiva.24 Infatti, nella rivelazione positiva l’uomo riesce a conoscere la realtà personale di Dio, poiché è Dio che gli si rivela tramite persone. È in questo modo, prosegue Scheler, che si costituisce la religione. Nella rivelazione naturale Dio si manifesta in un oggetto, che egli stesso trascende; nel momento in cui l’uomo coglie l’Essere in quell’oggetto, quest’ultimo acquisisce maggior importanza, arrivando così, ad essere esaltato e separato da ogni altro oggetto.

La stessa cosa accade nella rivelazione positiva. Qui, Dio si rivela a persone per messo di esse, che, a loro volta, acquistano un nuovo valore, poiché in esse Dio appare come immagine vivente. Ecco perché ciò che l’uomo religioso dice è la verità: le sue affermazioni provengono dall’Essere Assoluto. «Sono verità assolute sull’essere assoluto e in secondo luogo sono anche “la” verità (su Dio), cioè la verità totale, perfetta, che non può né aumentare né diminuire.25 Con questo Scheler non intende assolutamente affermare che c’è un modo di conoscere Dio attraverso la rivelazione naturale ed uno attraverso la rivelazione positiva, ma che questi sono due modi diversi di un’unica rivelazione, necessaria per la conoscenza di Dio. È per questo che non c’è religione senza rivelazione.

3. L’oggetto e l’atto religioso

A questo punto, è chiaro che nella rivelazione è Dio che per primo compie il passo verso l’uomo: è lui che si china verso l’uomo e si lascia cogliere nella sua essenza più intima. È Dio, allora, che si dà e si rivela all’uomo:

La realizzazione di questa conoscenza anche solo possibile, deve iniziare in lui stesso, nel suo chinarsi maestoso e libero verso di noi, in un qualche tipo di atto nel quale egli si dischiude a noi, si comunica a noi, e si svela come persona. Ma una comunicazione di questo genere si chiama “rivelazione”. Sappiamo dunque che un Dio personale- se esiste e nella misura in cui si pone la questione del suo essere personale- può essere conoscibile per l’uomo solo attraverso la rivelazione (la grazia, l’illuminazione).26

Dio e l’uomo sono due esseri diversi ma la conoscenza del primo, del più perfetto, da parte del secondo, essere imperfetto e contingente, dipende dal primo e spontaneo darsi del primo verso il secondo, di Dio verso l’uomo. Dunque, la rivelazione è un atto spontaneo, liberamente voluto ed attuato da Dio. È per un libero atto d’amore, poi, che Dio creò il mondo. Negare questo significa negare all’uomo la sua stessa libertà di accogliere, per amore, il rivelarsi divino nell’atto di fede. Il compito dell’uomo, o meglio, il suo dovere, è di aprire le porte del suo cuore e della sua anima a Dio, poiché egli è Amore Infinito e Incondizionato. È sempre e comunque un accettarlo e un accoglierlo per un libero atto di fede. È in Dio che tutto trova senso e significato. Allora, l’amore dell’uomo è una risposta positiva a quell’Amore. L’uomo ha la certezza di Dio perché gli si rivela in oggetti unici e ben determinati, che acquistano, così, un valore religioso importante. In questa relazione simbolica è l’oggetto che simboleggia qualcosa, l’annunciarsi di qualcuno: è nell’oggetto che si crea e si realizza la relazione. A sua volta, l’uomo si intuisce e si comprende come creatura di Dio solo nell’atto religioso stesso, come simbolo della sua onnipotenza.

Dio si manifesta all’uomo in duplice modo: come Ens a se assoluto, diversamente da tutti gli altri esseri che sono relativi, e come essere onnipotente e creatore, da cui poi dipendono, per la loro realtà, tutti gli altri esseri viventi.27 L’uomo, dalla sua, riceve il divino che gli si rivela, nell’atto religioso attraverso due sentimenti che corrispondono alla duplicità divina: il sentimento della propria parziale nullità di fronte all’assoluto essere di Dio, unito a quello della parziale nullità di ogni essere finito; il sentimento della propria creaturalità di fronte alla sua causalità assoluta, unito a quello della creaturalità di ogni altro essere che da lui dipende.28 Il primo sentimento è esprimibile con l’affermazione: “Io nulla-Tu tutto”. Con questo l’uomo riesce a comprendere quanto sia nulla, un niente di fronte alla maestà divina, si sente una nullità. Si percepisce come un finito essere nulla.

Il secondo sentimento è esprimibile con l’affermazione: «Io non sono semplicemente nulla, bensì una creatura di Dio». Ciò significa dire che l’uomo non è causato, bensì, è creatura di Dio. In questo suo essere creatura è presente la concezione spirituale e personalistica del divino:

Che l’uomo, dunque, in qualunque stadio del suo sviluppo religioso si trovi, guardi sempre e fin dal principio ad un ambito dell’essere e del valore radicalmente distinto da tutto il restante mondo dell’esperienza, ambito che né è inferito da questo mondo dell’esperienza, né è raggiunto attraverso l’idealizzazione e, inoltre, è accessibile solo ed esclusivamente mediante l’atto religioso, questa è la prima verità certa di tutta la fenomenologia della religione.29

Condizione di possibilità dell’oggetto religioso, è l’atto religioso in sé. Ciò che costituisce la loro unità è il fatto che si autoriferiscono a Dio e, quindi, presuppongono come già data l’idea di Dio. Scheler chiarisce che gli atti religiosi non hanno a che fare con i desideri, i bisogni e gli aneliti dell’uomo, altrimenti la religione corre il rischio di essere intesa come fenomeno storico ingannevole, da cui l’uomo stesso richiede di essere liberato. Gli atti religiosi sono radicati nel profondo dell’anima umana ed esprimono la voglia dell’uomo di trascendere se stesso e di raggiungere l’assoluto. Ciò significa che l’uomo, per mezzo di questi tipi di atti, non è ripiegato su se stesso, ma cerca il centro e il senso del proprio essere in una realtà irriducibile da sé.30

Prima caratteristica fondamentale degli atti religiosi è la trascendenza. Scheler richiama la capacità dell’uomo di trascendere il mondo empirico e se stesso. Infatti, sostiene che si può parlare di trascendenza per questi tipi di atti solo quando ciò che è trasceso è la totalità del mondo, inteso come unione delle cose e dei fatti sperimentati dalla persona stessa, e come insieme di cose finite e contingenti, inclusa la persona stessa.31 Per Scheler, la trascendenza è caratteristica di ogni intenzione di coscienza perché «solo quando ciò che è trasceso è il mondo come un tutto (inclusa la propria persona), abbiamo il diritto di parlare di un atto religioso».32

Seconda caratteristica degli atti religiosi è che essi non si compiono e non si attuano nel mondo terreno. Questo perché gli atti religiosi non sono rivolti ad un oggetto di amore di tipo finito e al suo grado di perfezione, ma sono rivolti ad un essere che è completamente differente e incomparabile con qualsiasi altra cosa finita. Inoltre, l’atto religioso, diversamente da ogni altro tipo di atto conoscitivo, implica una risposta, un atto reciproco da parte dell’oggetto verso cui tende, secondo la sua essenza intenzionale.33 Dunque, con l’atto religioso non si costruisce l’oggetto verso il quale l’atto tende, ma è piuttosto un riceverlo; così come l’oggetto stesso lo riceve per rivelazione.

La rivelazione, a questo punto, appare in Scheler in tutta la sua completezza come «quel modo strettamente correlato all’essenza dell’atto religioso, con cui si dà una realtà di essenza divina in generale. Essa in quanto modo di darsi, si estende tanto quanto si estende la religione in generale; e abbraccia quindi anche l’antitesi, di tipo del tutto differente, tra vera e falsa religione».34 Così, mentre Dio, amore infinito e persona delle persone, si manifesta all’uomo attraverso la rivelazione, l’uomo riceve Dio solo nel suo atto religioso di fede. Questo rapporto tra Dio e l’uomo è immediato perché l’uomo arriva a Dio senza passare attraverso la mediazione della conoscenza del mondo, gli basta solo la sua spiritualità per riuscire a toccare Dio.

Tuttavia, non si può dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, poiché la sfera dell’assoluto non appartiene al mondo reale. È qui che emerge chiaro il pensiero di Scheler. Egli sostiene che l’unica cosa che si può fare è trovare Dio, tramite l’atto religioso che lo coglie: «Insegnare a trovare Dio, però, è qualcosa di fondamentalmente differente e più eccelso che dimostrare la sua esistenza».35 L’unico modo che l’uomo ha di trovare Dio è seguire ed ascoltare l’atto religioso. La prova della sua esistenza è la presenza nell’uomo di atti religiosi, perché questi sono la conditio sine qua non dell’esistenza dell’oggetto degli atti religiosi, cioè, la sfera del divino, la quale è l’unica spiegazione possibile dell’esistenza di quegli stessi atti.

Ecco che il rimando tra l’atto e l’oggetto religioso è compiuto e giustificato. È proprio grazie a questi atti che l’uomo riesce a cogliere Dio nella sua esistenza e natura; tuttavia, questi atti precedono tutti gli atri tipi di atti della ragione finita. Con questa implicazione tra oggetto e atto religioso, Scheler fornisce una risposta positiva e concreta alla questione se è possibile dedurre l’esistenza di Dio dall’esistenza dell’atto religioso stesso. Infatti, egli sostiene a gran voce:

Soltanto un essere reale con il carattere essenziale del divino può essere l’origine dell’inclinazione religiosa dell’uomo, ossia dell’inclinazione alla realizzazione effettiva di quella classe di atti, i cui atti non possono trovare riempimento attraverso l’esperienza finita ma che nel tempo stesso esigono un riempimento. L’oggetto degli atti religiosi è al contempo la causa della loro esistenza. Ovvero: tutto il sapere su Dio è necessariamente allo stesso tempo un sapere per mezzo di Dio.36

Se Dio, prosegue Scheler, per sua essenza fosse dato prima degli atti religiosi, e come loro causa efficiente, in una esperienza dimostrabile e reale, sarebbe come pretendere di dimostrare l’essenza dei colori ancor prima di vederli e di conoscerli, o dei suoni prima di sentirli.37 Ciò sarebbe vero se la religione fosse comprensibile a partire dai fatti extra-religiosi, se il suo oggetto fosse dimostrabile a partire dall’esperienza fattuale. Se ciò fosse vero, l’uomo sarebbe costretto ad abbandonare del tutto e completamente la verità della religione. Se, invece, non è tutto questo, secondo Scheler, allora bisogna porre per essa un suo ambito di realtà, cioè gli atti religiosi, allo stesso modo e con la stessa certezza con cui si pone il mondo interno, la propria e l’altrui coscienza. Posto e chiarito tutto questo, appare ferma la verità della religione:

Anche a partire dalla classe degli atti religiosi diventa dunque per noi certa l’esistenza di Dio e di un regno di Dio. Se niente altro dimostrasse l’esistenza di Dio, la dimostrerebbe l’impossibilità di derivare l’inclinazione religiosa da qualsiasi altra cosa che non sia Dio, il quale, attraverso di essa, si rende conoscibile all’uomo per via naturale.38

La fede, dunque, è una particolare forma di sapere, è il luogo in cui si manifesta, rendendosi conoscibile, il sacro, l’essere quale valore assoluto, fonte di salvezza, poiché assolutamente trascendente e fondamento di tutto ciò che esiste e da cui tutto dipende.39 L’eterno nell’uomo appare, in conclusione, una novità nei confronti delle dottrine teologiche e filosofiche fino ad allora esistenti. Dio essendo un’eternità vivente non è futuro, presente o passato, Dio è piuttosto Colui che era, è un passato eterno, è un eterno presente, è Colui che sarà in quanto eterno futuro. Allora, l’eterno si manifesta nell’uomo, Dio si fa Cristo, l’eterno diventa finitezza. Irrompe, nella finitudine del tempo, l’eternità, ciò è simbolo della creazione. Dio stesso diviene. Con questa tesi del Dio in divenire, in Scheler emerge quanto sia importante l’eternità, costitutivamente presente nell’uomo.

Il Dio in divenire è un Dio che genera il tempo, crea fecondando in continuazione il tempo e, in questo modo, fa irrompere nell’attimo l’eterno.40 Questo tempo eterno, allora, costituisce sempre un nuovo inizio, che permette all’uomo di abbandonare tutto ciò che lo lega all’esperienza, e lo innalza ad un’esistenza più piena e degna di essere tale. L’eternità non si misura: solo Dio è eterno, l’uomo non è altro che finitudine. Dio crea facendo partecipare della sua eternità la temporalità finita dell’uomo. È per questo che Scheler parla dell’eterno nell’uomo. L’eterno non è ciò che dura per sempre, non è un fluire continuo del tempo, non è la speranza dell’uomo di vivere in eterno, ma è l’attimo che lo salva dal danno e dal deperimento, permettendogli di dar fondamento per una propria rinascita.


  1. M. Scheler, Religione e Filosofia, in L’eterno nell’uomo, a cura di Paola Premoli De Marchi, edizione Bompiani, Milano, 2009, p. 397. ↩︎

  2. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, Vita e Pensiero,Milano, 1972, p. 113. ↩︎

  3. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 361. ↩︎

  4. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 363. ↩︎

  5. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, cit., p. 122. ↩︎

  6. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 365. ↩︎

  7. M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, trad. dall’edizione originale del 1928. A cura di G. Cusinato, FrancoAngeli, Milano, 2009, p. 473. Scheler in questo testo studia approfonditamente l’uomo, analizzando e chiarendo le differenze che intercorrono tra lui e gli animali. L’uomo, ormai non è più considerato solo animal rationalis, ma anche come homo faber. ↩︎

  8. G. De Simone, L’amore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, San Paolo, Milano, 2005, p. 52. Nella filosofia di Scheler, l’amore è l’apice di tutta la vita emotiva, perché è solo grazie ad esso che si arriva a conoscere l’oggetto che si ha davanti. Quindi, colui che ama precede sempre colui che conosce, poiché l’uomo prima di essere un ens cogitans o un ens volens è, innanzitutto, e soprattutto, un ens amans. Scheler dedica all’amore e al rapporto che questo ha con la conoscenza un brillante testo intitolato Amore e Conoscenza. ↩︎

  9. M. Scheler, Sull’idea dell’uomo, in M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di M. T. Pansera, Armando editore, Roma, 1997, p. 67. ↩︎

  10. M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, ed. it. A cura di G. Caronello, Edizioni San Paolo, 1996, p. 490. ↩︎

  11. G. Ferretti, Max Scheler.1.Fenomenologia e antropologia personalistica, Vita e Pensiero, Milano, 1972, p. 490. ↩︎

  12. Scheler in L’essenza della filosofia e la condizione morale della conoscenza filosofica, in L’eterno nell’uomo, cit., affronta il problema del punto di partenza della filosofia, offrendone una soluzione a partire dall’enunciare, nell’ordine, le prime tre evidenze filosofiche fondamentali. La prima evidenza fondamentale è che qualcosa è, o meglio, che “non c’è il nulla”. Questa evidenza sta a fondamento di tutte le altre. Da ciò deriva la prima e più intensa meraviglia filosofica. Il filosofo si meraviglia proprio di fronte a quelle cose che sono le più evidenti: che c’è l’essere piuttosto che il nulla. Questo perché il filosofo scopre che, dietro a questo stesso essere, si apre un nuovo mondo che lo coinvolge interiormente e totalmente: per questo si meraviglia. Strettamente connessa è la seconda evidenza: «Esiste un ente assoluto o un ente grazie al quale ogni altro ente non assoluto possiede l’essere che gli compete» (M. Scheler, L’essenza della filosofia e la condizione morale della conoscenza filosofica, cit., p. 295.). Scheler, così, introduce la terza evidenza filosofica e che deriva dalle prime due poiché ne presuppone la conoscenza. Ogni ente possibile, afferma Scheler, possiede un’essenza ed un’esistenza; la capacità di distinguerle e concepirle è tipica dello spirito umano. La conoscenza dell’esistenza di un ente è legata alla realtà contingente, quindi, è mutevole e cangiante; la conoscenza dell’essenza, invece, è evidente perché non accresce né diminuisce la conoscenza dell’esistenza della cosa stessa. ↩︎

  13. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 383. ↩︎

  14. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 407. ↩︎

  15. G. Cusinato, Katharsis. La morte dell’ego e il divino come apertura al mondo nella prospettiva di Max Scheler, Napoli, 1999., p. 150. ↩︎

  16. M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, cit., p. 364. ↩︎

  17. M. Scheler, Amore e Conoscenza, a cura di E. Simonotti, Morcelliana, Brescia, 2009, p. 60. ↩︎

  18. M. Scheler, Problemi di religione, in M. Scheler, L’eterno nell’uomo, cit., p. 575. ↩︎

  19. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, cit., p. 191. ↩︎

  20. G. De Simone, L’amore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, cit., p. 73. ↩︎

  21. M. Scheler, Alcuni recenti tentativi di fondazione di una religione naturale, in M. Scheler, L’eterno nell’uomo, cit., p. 727. ↩︎

  22. Il santo originario. Questo tipo d’uomo ha due caratteristiche che lo distinguono dagli altri uomini: la qualità carismatica e l’originale rapporto che ha con il divino. Grazie a queste qualità, tutto ciò che egli dice è la verità, poiché il suo messaggio è il messaggio di Cristo, quindi è la verità. M. Scheler, Religione e Filosofia, cit., p. 371. ↩︎

  23. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, in M. Scheler, L’eterno nell’uomo, cit., p. 437. ↩︎

  24. G. De Simone, L’amore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, cit., p. 91. ↩︎

  25. M. Scheler, Perché non una nuova religione?, in M. Scheler, L’eterno nell’uomo, cit., p. 845. ↩︎

  26. M. Scheler, Perché non una nuova religione?, cit., p. 823-825. ↩︎

  27. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, cit., p. 201. ↩︎

  28. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, cit., p. 201. ↩︎

  29. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 459. ↩︎

  30. G. De Simone, L’amore fa vedere. Rivelazione e conoscenza nella filosofia della religione di Max Scheler, cit., p. 72. ↩︎

  31. G. Ferretti, Max Scheler.2.Filosofia della religione, cit., p. 250. ↩︎

  32. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 631. ↩︎

  33. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 637. ↩︎

  34. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 639-641. ↩︎

  35. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 651. ↩︎

  36. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 653. ↩︎

  37. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 659. ↩︎

  38. M. Scheler, La fenomenologia dell’essenza della religione, cit., p. 661. ↩︎

  39. G. De Simone,Filosofia e sapere della fede secondo Max Scheler, in S. Muratore, Teologia e filosofia. Alla ricerca di un nuovo rapporto, 1990, ed. A. V. E., p. 83. ↩︎

  40. G. Cusinato, Scheler. Il Dio in Divenire, Ed. Messaggero, Padova, 2002. ↩︎