1. Introduzione
Il movimento (trasformazione) di cui l’uomo fa esperienza nella realtà quotidiana è un tipo di movimento che si potrebbe definire secondario, in quanto riguarda le variazioni completate della configurazione di uno stesso oggetto di cui è accaduta la Presenza nello Spazio-Tempo-Ordinario. Tale movimento consiste nell’Apparire di una successione di differenze fra configurazioni di uno stesso oggetto che acquistano evidenza sulla base del confronto percettivo. Il movimento primario, definito Movimento Originario, è un movimento di cui l’uomo non può fare esperienza, in quanto esso “accade” nella dimensione dello Spazio-Tempo-Psichico e riguarda il “venire alla Presenza” della trasformazione, movimento che precede il completamento della trasformazione ed è “messo in opera” prima che sia accaduta la sua Presenza nello Spazio-Tempo-Ordinario dove è possibile l’osservabilità e la misurabilità. La Fisica moderna studia quello che abbiamo definito movimento secondario, mentre il movimento primario è quello tematizzato da Aristotele e da lui definito “movimento a partire dalla Physis”. La Fisica moderna a partire da Galilei ha dimostrato di non aver bisogno di definire il movimento primario nel suo modo di “accadere”, peraltro prendendo atto della sua non osservabilità ed intrinseca diretta inconoscibilità, perché il modo in cui le trasformazioni vengono “messe in opera” dal movimento primario è determinato da cause che è possibile ipotizzare, verificandone l’adeguatezza, sulla base degli effetti finali che esse producono, che consistono proprio nelle trasformazioni completate osservabili e misurabili dopo che la loro Presenza è accaduta nello Spazio-Tempo-Ordinario. Per la Fisica moderna è invece importante comprendere la struttura del Movimento Originario perché tale conoscenza può avere un impatto sulle concezioni della struttura della materia coinvolta nelle trasformazioni. Il concetto di limite spaziale in Aristotele, se accettato, comporta la necessità di configurazioni stabili di un oggetto perché ne sia possibile l’osservabilità e la misurabilità, da cui deriva la necessità che le variazioni di configurazione di uno stesso oggetto avvengano per “salti quantici” ben definiti e non per “flussi continui”. Fatto in linea con le ipotesi della moderna Meccanica Quantistica. Inoltre, la necessità di configurazioni completabili fino a livelli stabili è richiesta dal Principio di Identità e Non Contraddizione che qualunque movimento o trasformazione deve rispettare.
2. Movimento Originario e movimento a partire dalla Physis
Secondo Aristotele il movimento (trasformazione) a partire dalla Physis è istallarsi nell’aspetto, cioè venire alla Presenza. Il movimento così definito da Aristotele è il Movimento Originario, che consiste nel transitorio della trasformazione di uno stesso oggetto che passa da una configurazione iniziale ad una configurazione finale. Heidegger traduce nel seguente modo il fondamentale passo di Aristotele che definisce la costituzione dell’ente a partire dalla Physis (Fisica, libro II 193 b 12-18): «Ciò che è un ente a partire dalla Physis e nel modo della Physis, questo parte da qualcosa e va verso qualcosa in quanto è determinato dalla Physis (nella motilità di questo cammino). Ma “in che cosa” va dunque schiudendosi secondo la Physis? Non in ciò “a partire da cui” (volta per volta si stacca) ma in ciò in cui di volta in volta nasce e viene a stare».1 Per rendere visibile l’incisività, ricca di implicazioni, della traduzione heideggeriana, che non disperde l’abissale profondità del pensiero di Aristotele, basta confrontarla con quella di Antonio Russo che trasforma l’argomentazione aristotelica, caposaldo del Pensiero di tutti i tempi, in una sostanziale ovvietà: «Infatti ciò che nasce, in quanto nasce, va da qualcosa verso qualcosa. Ma qual è, pertanto, la cosa che nasce? Non certo quella da cui essa nasce, bensì quella alla quale, nascendo, essa tende».2 Il movimento a partire dalla Physis è concepito da Aristotele come movimento circolare in cui la trasformazione nasce dalla sua fine (telos, eidos, morphè, forma) e si conclude (viene a stare) dove nasce (ùle, materia). La Volta rappresenta per analogia, secondo la nostra interpretazione, il modo (struttura) in cui avviene una trasformazione spaziale, in quanto variazione di configurazione di uno stesso oggetto, ma anche il modo (struttura) del suo accadere temporale.
La trasformazione di uno stesso oggetto è il “giro di Volta” spaziale compiuto dalla variazione di configurazione dell’oggetto che avviene nel suo “giro di Volta” temporale, al termine del quale accade la Presenza della trasformazione che ha raggiunto la stabilità dei suoi limiti configurazionali. Il movimento (trasformazione), concepito dai Greci come motilità, è così interpretato da Heidegger: «I Greci concepiscono la motilità a partire dalla quiete… là dove la motilità si raccoglie nello stare fermo, e questo stare in sé non esclude, ma include la motilità, anzi non solo la include, ma la schiude… fine (telos) non come conseguenza della cessazione del movimento, ma come inizio della motilità, come mantenimento riprendente il movimento. La motilità di un movimento consiste allora eminentemente nel fatto che il movimento di ciò che è mosso si riprende nella sua fine, nel suo telos, e, in quanto così ripreso nella fine, si “ha”: en-telei-echei, entelechia».3 A pag. 247 dell’opera citata, Heidegger si esprime sull’ente a partire dalla Physis nel seguente modo: «Certo, phùseos odòs eis phùsiv è un modo di venire fuori nella Presenza, nel quale rimane identico il da dove, il verso dove e il come del presentarsi. La Physis è cammino in quanto schiudersi nello schiudersi e così, però, è un ri-andare-in-sé, a quel sé che rimane uno schiudersi. L’immagine soltanto spaziale del girare è essenzialmente insufficiente, perché questo schiudersi che rientra in sé fa schiudere proprio ciò venendo da cui e andando a cui lo schiudersi è ognora in cammino».
In Aristotele ciò che caratterizza la Physis è la kinesis, cioè il movimento in quanto trasformazione di uno stesso oggetto e questo movimento è una trasformazione spaziale che si “sovrappone” e si identifica ad una trasformazione temporale, entrambe trasformazioni aventi la caratteristica di essere stabilmente chiuse su sé stesse, di essere un movimento orbitale. Secondo Aristotele, nel movimento (trasformazione) a partire dalla Physis, l’inizio (ùle, materia) e la fine (morphè, forma) del movimento sono una differenza che si annulla in senso logico nell’identità in quanto i due opposti nel differenziarsi si implicano. Questa identità nella differenza non può sussistere nella realtà spazio-temporale perché non rispetterebbe il Principio di Identità e Non Contraddizione. L’identità logica, se tradotta nella realtà spazio-temporale, dovrà quindi aprirsi nella differenza dei due opposti, e ciò potrà accadere attraverso il loro succedersi nel tempo secondo il prima ed il dopo. Una trasformazione a partire dalla Physis, che passa da una configurazione iniziale ad una configurazione finale di uno stesso oggetto, non potrà che essere prima un allontanamento dall’inizio (ùle,materia) verso la fine (morphè, forma), ma dovendo la fine coincidere con l’inizio, a tale allontanamento dovrà seguire un movimento contrario di avvicinamento dalla fine (morphè, forma) verso l’inizio (ùle, materia). Allontanamento e avvicinamento sono quindi un unico movimento (nella materia) definibile allontanamento (dalla forma iniziale) verso l’avvicinamento (alla forma finale), in cui allontanamento e avvicinamento si convertono l’uno nell’altro, mentre l’opposizione inizio-fine, materia-forma, si annulla nella loro identità con l’accadere della Presenza della trasformazione completata di uno stesso oggetto.
3. Osservabilità e misurabilità delle trasformazioni completate
Il “luogo” che accoglie la Presenza delle trasformazioni completate di uno stesso oggetto è lo Spazio-Tempo-Ordinario. Le trasformazioni sono reali quando le configurazioni di uno stesso oggetto, che si succedono l’una all’altra, hanno raggiunto ciascuna di esse i propri limiti di costituzione (entelecheia), cioè dopo che le trasformazioni hanno completato il loro transitorio di configurazione, in cui consiste il movimento a partire dalla Physis o Movimento Originario. In corrispondenza del completamento delle trasformazioni accade il loro “qui-ora”, cioè la loro Presenza spazio-temporale, che ne rende possibile l’osservazione e la misura. Il Movimento Originario di una trasformazione non è osservabile né misurabile perché nel suo accadere la configurazione finale della trasformazione di uno stesso oggetto non si è ancora costituita nella completezza dei suoi limiti. In questa situazione si può dire che esiste la configurazione iniziale ma manca ancora la configurazione finale, dal cui confronto soltanto sarebbe possibile evidenziare le differenze che lasciano apparire la trasformazione nello Spazio-Tempo-Ordinario.
Una configurazione indeterminata di un oggetto reale sarebbe una contraddizione perché ciò che rende l’oggetto reale è proprio la determinatezza della sua configurazione. Una nuova configurazione di uno stesso oggetto è indeterminata, non osservabile né misurabile se non è pervenuta nei suoi limiti di completamento. Ogni trasformazione completata ha sempre un suo “qui” ed un suo “ora”, cioè una sua Presenza spazio-temporale. Tuttavia, la medesima Presenza nell’essere osservata e misurata può assumere limiti spazio-temporali diversi da quelli intrinseci alla trasformazione. Infatti, i limiti di completamento di una nuova configurazione osservata sono dipendenti dal potere risolutivo che definisce l’osservabilità e la misurabilità di una trasformazione. Se il potere risolutivo dell’osservazione e della misura del tempo è il minuto, una trasformazione accaduta e completata in un secondo è come se non esistesse per l’osservatore prima che siano trascorsi gli altri 59 secondi che è il traguardo temporale nel quale avviene l’osservazione. Al sessantesimo secondo avviene l’osservazione nella quale la trasformazione, già completata il primo secondo, appare per la prima volta come se la trasformazione fosse stata completata in un minuto. La stessa cosa accade per tutte le trasformazioni che si completano in un tempo inferiore al minuto le quali ai fini dell’osservabilità e misurabilità sono tutte accadute in un minuto.
Allo stesso modo si può dire che se le lunghezze fossero osservabili e misurabili con un potere risolutivo di un centimetro tutti gli oggetti di lunghezza inferiore al centimetro non esisterebbero. Quindi, i tempi e le dimensioni spaziali delle configurazioni completate, tempi e dimensioni appartenenti alle configurazioni stesse indipendentemente dall’osservazione, possono differire dal tempo e dalle dimensioni spaziali delle configurazioni osservate e misurate in funzione del potere risolutivo dell’osservazione e della misura. Una Trasformazione è completata quando il transitorio si arresta spontaneamente, e la trasformazione non può essere considerata arrestata se viene “fermata” in corrispondenza di un determinato traguardo temporale di osservazione nonostante sia ancora in movimento, perché in questo caso la nuova configurazione non apparirebbe, non essendo ancora accaduta, ma apparirebbe la vecchia. Una trasformazione di uno stesso oggetto è certamente completata nel momento in cui viene incontrata percettivamente, perché nel momento dell’osservazione può essere incontrata solo la configurazione di un oggetto di cui è accaduta la Presenza, vecchia o nuova che sia. La Presenza spazio-temporale della configurazione di uno stesso oggetto è un esporre il proprio aspetto da parte dell’oggetto, che è una Presenza intrinseca all’oggetto, cioè un “qui-ora” dello Spazio-Tempo dell’oggetto, che può apparire come Presenza all’osservatore nel momento in cui viene incontrata. La Presenza accade con la trasformazione e appare con l’osservazione.
4. Trasformazioni elementari e salti quantici
Se la Presenza della configurazione di uno stesso oggetto deve accadere indipendentemente dall’osservatore ed essere reale solo se completata, ciò implica necessariamente che qualunque trasformazione sia scomponibile in trasformazioni intermedie che costituiscono ciascuna un transitorio elementare in cui il movimento si attua partendo dalla quiete e raggiungendo la quiete. Il Movimento Originario è la successione delle trasformazioni elementari, interpretate come salti quantici tra due livelli configurazionali stazionari e successivi, che avvengono ciascuna in un “giro di volta” di periodo non conoscibile. Per esempio, il passaggio dell’elettrone dell’atomo di idrogeno da un livello energetico al successivo è definito salto quantico in quanto trasformazione elementare che avviene tra un livello energetico stabile ed un livello successivo anch’esso stabile, non esistendo altri livelli energetici intermedi stazionari occupabili dall’elettrone. Il salto quantico è quindi una trasformazione intrinsecamente non osservabile nel suo transitorio, ma completabile in un tempo comunque non misurabile prima di accadere come Presenza. Il salto quantico è la trasformazione “minima” che appartiene alla dimensione del Movimento Originario, che non è possibile osservare nel suo transitorio e di cui sono osservabili gli esiti in quanto trasformazioni stabili completate che accadono nello Spazio-Tempo-Ordinario.
L’ipotesi dell’esistenza dei livelli energetici quantici, che è alla base della Meccanica Quantistica, è quindi perfettamente in linea con la necessità che le trasformazioni rispettino il Principio di Identità e Non Contraddizione. Perché una qualunque trasformazione possa accadere è necessario che essa sia individuata nella sua singolarità e diversità e ciò non può accadere se le trasformazioni fossero un continuum la cui divisibilità implica l’illimitatezza (l’infinito). Infatti, in questo caso accadrebbe l’assurdo di osservare trasformazioni intrinsecamente non completate che verrebbero “colte” nell’indeterminatezza del loro in-fieri, cioè sarebbero “osservabili” senza avere connotati stabili in grado di identificarle. Tutto ciò che è osservabile e misurabile deve essere definito nella sua stabilità configurazionale e pertanto, anche se viene colto apparentemente in movimento, in realtà di quel movimento viene colto sempre uno stadio intermedio stabile, diciamo un “livello quantico”, che proprio perché stabile risulta osservabile. Per accadere, le trasformazioni reali apparentemente continue devono avvenire per “salti quantici”, partendo ogni volta da un livello configurazionale stabile e arrivando ad un livello successivo altrettanto stabile, ciascuno dei quali accade nell’“extra-tempo” non osservabile e non misurabile in cui si completa il “giro di volta” del “salto quantico”, come avviene per i singoli fotogrammi di una pellicola cinematografica che “sostano” sulla retina un tempo superiore al loro apparire e scomparire legato al movimento della pellicola, costituendo così un movimento apparente continuo, determinato dalla discontinuità di singole immagini ben definite e diverse l’una dall’altra. Se è necessario che esista un limite stabile e ben definito di ogni configurazione di uno stesso oggetto perché essa possa costituirsi ed essere osservata nello Spazio-Tempo-Ordinario, è altrettanto necessario che il passaggio da una qualsiasi configurazione iniziale ad una finale avvenga per “salti quantici”, attraverso i quali le configurazioni raggiungono ogni volta livelli intermedi stazionari. In effetti anche le dimensioni si misurano per “salti quantici” corrispondenti alle unità di misura adottate, proprio perché altrimenti le misure, se “realizzate” in un continuum sarebbero indeterminabili e pertanto non sarebbero misure. Se si aumenta il potere risolutivo delle osservazioni e delle misure si aumenta la precisione fino a quando si va all’“interno” dei salti quantici e la precisione diventa improvvisamente indeterminatezza. Inoltre, l’indeterminatezza delle misure, oltre certi limiti di precisione, invece che diminuire con l’aumento del potere risolutivo dell’osservazione, diventa addirittura indeterminatezza assoluta, poiché la misura stessa può alterare la configurazione da misurare senza che sia possibile conoscere la vera configurazione prima della misura.
Il fatto che esistono limiti alla misurabilità non significa che le trasformazioni non siano date da configurazioni finali determinate e ben individuate. Il concetto aristotelico di limite (telos, peras), anche se viene applicato ad un continuum spaziale che esclude il vuoto, non è una contraddizione, perché il nuovo limite stabile di una configurazione può essere raggiunto secondo un transitorio che, non essendo osservabile, potrebbe essere costituito da un continuum confinato all’interno del “salto quantico”, il cui esito finale è il raggiungimento del nuovo limite stabile. In questo modo le trasformazioni che avvengono per “salti quantici”, cioè per passaggi discontinui delle configurazioni da un limite stabile ad un altro, sono intrinsecamente ben definite e distinguibili anche all’interno di flusso. Ogni “salto quantico” è una trasformazione ben individuata, osservabile e misurabile, che è spontanea se avviene con l’emissione di un quantum di energia ed è forzata se avviene con l’assorbimento di un quantum di energia. Tutto ciò è in accordo alle ipotesi della Meccanica Quantistica in base alle quali, nelle trasformazioni della configurazione di uno stesso oggetto, l’energia in gioco osservata e misurata si trasmette per “pacchetti” discreti e non secondo un flusso continuo, flusso continuo che comunque potrebbe accadere, non essendo possibile osservarlo, all’interno del transitorio del “salto quantico”. In realtà questa ipotesi dei “salti quantici” delle trasformazioni di uno stesso oggetto non è nemmeno un’ipotesi, poiché è una conseguenza della necessità che tutto ciò che accade rispetti il Principio di Identità e Non Contraddizione. Le trasformazioni osservate e misurate che accadono nella realtà sono trasformazioni anche di grande entità le quali sono comunque costituite da una successione discreta di trasformazioni elementari corrispondenti ai “salti quantici”. In questo caso il Movimento Originario Complessivo è la sommatoria dei Movimenti Originari elementari corrispondenti ai singoli “salti quantici” nei quali il movimento totale è suddiviso.
5. Indeterminatezza della Spazio-Tempo-Psichico e determinatezza dello Spazio-Tempo-Ordinario
La Scienza studia le Leggi che governano il Movimento Originario Complessivo di micro o macro-trasformazioni. Tali Leggi sono correlazioni fra grandezze osservabili e misurabili di configurazioni di uno stesso oggetto dislocato nello Spazio-Tempo-Ordinario, Leggi che interpretano il modo di accadere di Movimenti Originari Complessivi non osservabili né misurabili appartenenti allo Spazio-Tempo-Psichico. Per esempio, il Secondo Principio della Dinamica è espresso matematicamente come un’uguaglianza fra una grandezza, la forza, riferita alla dimensione dei “fenomeni” ipotizzabili ma non osservabili né misurabili appartenenti allo Spazio-Tempo-Psichico, ed il prodotto di due grandezze, quali la massa e l’accelerazione dell’oggetto mosso da quella forza, riferite alla dimensione dei fenomeni reali osservabili e misurabili appartenenti allo Spazio-Tempo-Ordinario. Quando un oggetto reale di una certa massa si muove con un’accelerazione costante che posso osservare e misurare, se sulla base di queste due grandezze osservate e misurate ne “costruisco” una terza, non osservabile né misurabile direttamente, data dal loro prodotto e la chiamo forza, questa terza grandezza derivata è come se fosse osservabile e misurabile, perché costituita da due grandezze, massa e accelerazione, osservabili e misurabili direttamente. La forza è quell’entità ipotizzata, “mente concipiendi”, che “opera” nella dimensione dell’indeterminatezza dello Spazio-Tempo-Psichico nel quale avviene il Movimento Originario Complessivo, i cui esiti, in termini di movimento completato e ben individuato, sono osservabili e misurabili in quanto accadono ad un oggetto reale dislocato nello Spazio-Tempo-Ordinario. Ciò significa che un’entità derivata ipotizzata e non osservabile, chiamata forza, espressa come prodotto della massa misurabile di un oggetto reale per la sua accelerazione misurabile, è di fatto un’entità quantitativamente determinabile. Sulla base del Secondo Principio della Dinamica, se tale forza, espressa come prodotto di una massa e di una accelerazione prefissate, interagisce in tutta la sua completezza e determinatezza quantitativa con un corpo reale della massa assunta, essa è in grado di imprimergli un’accelerazione effettiva uguale a quella assunta per calcolare la forza. Se misuro la massa e l’accelerazione di un oggetto in movimento, ne misuro, attraverso il loro prodotto, anche la forza che determina quel movimento.
Galilei aveva intuito, il primo dopo quasi duemila anni di totale incomprensione, che una forza non determina un movimento costante nel tempo, come si pensava fin dai tempi di Aristotele, ma al contrario che tale movimento costante è costante proprio perché avviene senza l’intervento di forze. Ciò che una forza determina è invece la discontinuità della costanza del movimento di un oggetto, cioè la variazione della velocità, definita accelerazione. Il Secondo Principio della Dinamica è stato formulato da Newton con l’espressione matematica f = ma. Se s è lo spostamento complessivo dell’oggetto nel tempo in cui accade il movimento, l’espressione precedente si può scrivere come fs = mas, dove l’uguaglianza è tra lavoro erogato dalla forza (dunamis) sviluppata dalla trasformazione di uno stesso oggetto e lavoro assorbito (energheia) dalla trasformazione di un altro oggetto, nel tempo in cui avvengono le due trasformazioni, come deve essere perché le trasformazioni accadano nel rispetto dell’equilibrio del bilancio energetico di un sistema isolato di due o più trasformazioni (Primo Principio della Termodinamica). Ciò significa che la forza “sta” nella trasformazione spontanea che la attiva (poiesis) come la trasformazione forzata (pathesis) “sta” nella forza che la determina (Aristotele). A seconda del modo di accadere della trasformazione, se la trasformazione è spontanea e produce energia (lavoro) essa consiste nella forza propriamente detta (dunamis), mentre se la trasformazione è forzata e assorbe energia (lavoro) essa è la trasformazione propriamente detta (energheia).
Il Movimento Originario appartiene alla dimensione dell’Anima-Psiche delle cose, a partire dalla quale il Movimento Originario, consistente nei transitori delle trasformazioni, viene “concepito” e guidato, dimensione che è parte dello Spazio-Tempo-Psichico. A tale dimensione appartiene la causa ipotizzabile e non osservabile dell’accadere della Presenza delle trasformazioni reali di uno stesso oggetto nello Spazio-Tempo-Ordinario. L’uomo, che non è una cosa, appartiene alla dimensione della Psiche-Umana, che insieme all’Anima-Psiche delle cose è parte dello Spazio-Tempo-Psichico, dove vige l’opposizione tra indeterminatezza delle configurazioni e possibilità progettuale della loro determinatezza. Nello Spazio-Tempo-Psichico avviene sia il movimento-psichico-obbligato che “progetta” e guida le trasformazioni delle cose (Anima-Psiche), sia il movimento-psichico-libero della mente umana (Psiche-Umana) che progetta e guida il comportamento umano e la comprensione del “comportamento” delle cose. In entrambi i casi il movimento-psichico trasforma, rispettivamente obbligatoriamente e liberamente, l’indeterminatezza delle configurazioni finali di uno stesso oggetto in determinatezza del loro progetto, incluso il modo di realizzarle a partire dalle configurazioni iniziali. La Scienza disegna “mente concipere”, nella dimensione della Psiche-Umana, “congetture” di cause di trasformazioni di uno stesso oggetto e ne calcola teoricamente gli effetti, cioè le configurazioni finali in funzione delle configurazioni iniziali e delle “condizioni al contorno” che attivano le trasformazioni. La Scienza predispone inoltre nello Spazio-Tempo-Ordinario le già definite “condizioni al contorno” in modo che esse determinino realmente l’accadere della trasformazione. Dal confronto degli effetti osservati e misurati con gli effetti “calcolati”, viene dimostrata la correttezza dell’ipotesi fatta circa le cause della trasformazione reale, pervenendo indirettamente alla loro conoscenza. L’indeterminatezza ed incompletezza strutturali della dimensione della Psiche-Umana è quindi condizione della possibile determinatezza e adeguatezza dei progetti interpretativi delle cause delle trasformazioni reali delle cose, le quali cause appartengono alla dimensione nascosta dell’Anima-Psiche delle cose. Attraverso l’adeguatezza del suo comportamento alle situazioni della vita, l’uomo scopre sia l’ordine razionale dei fenomeni guidati dall’Anima-Psiche delle cose in vista della loro prevedibilità e controllabilità, incluso il comportamento psico-fisico del corpo umano, sia l’efficacia dei comportamenti spirituali progettati e guidati dalla Psiche-Umana in vista della sua felicità.
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M. Heidegger, Sull’essenza e sul concetto della “Physis”. Aristotele, Fisica, B, I. Un’interpretazione di Aristotele (1939), in Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, pag.245. ↩︎
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Aristotele, Fisica libro II, 193 b 18, in Opere, Laterza, Roma-Bari 2019, pag. 30. ↩︎
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M. Heidegger, Sull’essenza e sul concetto della “Physis”. Aristotele, Fisica, B, I. Un’interpretazione di Aristotele (1939), in Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, pag.238. ↩︎