Il ruolo della fenomenologia husserliana nel superamento del dualismo mente-corpo: un’analisi del rapporto tra psiche e corpo vivo in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica II

A partire dalla nozione di corpo vivo, si apre forse lo spazio per pensare al di là del dualismo io-corpo.

— Vincenzo Costa, I modi del sentire.1

L’attualità del pensiero di Edmund Husserl è un dato di fatto poco controverso: la ricchezza e profondità del pensiero di questo filosofo sono talmente indiscutibili da rendere superflua qualsiasi discussione sul fatto che una rinnovata meditazione sui suoi testi possa essere l’occasione per trarre molteplici spunti di riflessione.

Tra questi svariate occasioni di riflessione, ve n’è una, in particolare, proprio legata al tema della soggettività, che credo possa meritare particolare attenzione: in un panorama filosofico nel quale ancora aleggia lo spettro di una divisione mente-corpo, penso sarebbe di grande interesse approfondire il ruolo della riflessione husserliana nel superamento di questo dualismo, sulla via di un reincarnazione della psiche nel corpo e, quindi, del pensiero all’interno del sentire, come direbbe Vincenzo Costa, auspicata ormai anche dalla stessa ricerca scientifica.

Il pensiero husserliano è stato in passato, e a mio parere scorrettamente, spesso interpretato come il luogo di un soggetto assoluto, capace di uno sguardo onnicomprensivo e formativo nei confronti del proprio mondo circostante, un soggetto puro, del quale sottolineare unicamente le facoltà più attive, sintetiche.

Ciò che vorrei cercare di dimostrare in questo lavoro è, invece, che il soggetto husserlinano è non solo un essere in grado di giungere ai più complessi livelli di attività sintetica, ma anche un essere completamente radicato all’interno del mondo e della propria corporeità: le facoltà sintetiche sono sì di fondamentale importanza, ma non sono in alcun modo da assolutizzare.

Soprattutto in Idee II,2 emerge un pensiero che non si limita assolutamente a dare importanza alle sole capacità sintetiche, ma che si amplia per ricomprendere e valorizzare anche quelle estetiche e creare una visione dell’uomo come un essere psico-fisico, nel quale cioè corpo e psiche si uniscono in modo originario e inscindibile.

Cerchiamo quindi, in primis, di comprendere in che modo Husserl giunga a caratterizzare l’uomo come essere psico-fisico e in che relazione stia questa sua concezione con alcuni dei massimi pensatori della storia della filosofia.

1. L’incarnazione della psiche nel corpo vivo in Idee II ed un breve excursus di storia della filosofia

Cominciamo la nostra analisi. Lo psichico ci è dato nella sua connessione con la materialità.3

Il primo elemento sottolineato da Husserl in Idee II per dare avvio allo studio della psiche è la connessione di quest’ultima con la materialità: questa è la prima ed imprescindibile caratteristica, da indagare prima di qualsiasi altra, poiché solo comprendendo questo particolare tipo di relazione tra ciò che è fisico e ciò che è psichico si potrà poi avere accesso alla comprensione anche delle altre caratteristiche del nostro oggetto.

Il mondo non è infatti formato solo da esseri inanimati, ma anche da esseri animati, i quali uniscono alle proprietà materiali un nuovo tipo di proprietà, ovvero quelle psichiche, facendo sì che «il mondo nella sua totalità non è soltanto fisico, ma psicofisico.»4

Queste nuove proprietà sono di un genere del tutto particolare in quanto, pur attenendo strettamente alla realtà naturale spazio-temporale animal, tuttavia non ne condividono la caratteristica essenziale dell’estensione:

la loro essenza [delle proprietà psichiche] implica che esse non hanno un’estensione, che esse non sono date nello stesso modo in cui sono date tutte le altre proprietà che riempiono l’estensione del corpo vivo. Non dipende però dal caso, bensì dall’essenza stessa se queste proprietà siano estese oppure no: se quindi gli oggetti che hanno queste proprietà siano oggetti materiali oppure no.5

Se la caratteristica che segna il punto di demarcazione tra fisico e psichico è quindi per Husserl quella dell’estensione, non si può che condurre il discorso verso un confronto, seppur breve, con la posizione cartesiana.

Anche Cartesio indicava infatti proprio nell’estensione l’elemento di differenza tra il fisico e lo psichico. Questo importante punto di vicinanza tra il discorso husserliano e quello cartesiano condurrà però i due filosofi a conseguenze praticamente opposte: cercherò di illustrare in che senso.

Husserl riprende spesso Cartesio, in modo emblematico nelle Meditazioni Cartesiane, ove giunge a ritenerlo un suo vero e proprio maestro, ma per molti punti se ne distanzia anche in modo netto: una delle diversità fondamentali tra i due filosofi è proprio quella riguardante le conseguenze della caratterizzazione della materialità come res extensa all’interno della relazione tra fisico e psichico.

Per Cartesio, escludere la psichicità dalla sfera dell’estensione significa riconoscerle non solo uno statuto ontologico completamente diverso rispetto alla materialità, ma anche separarla da quest’ultima: la materialità è res extensa, mentre la psichicità è res cogitans.

L’uomo è un’unione delle due sostanze, ma la sua essenza risiede nella psichicità e non nella materialità:

dal fatto stesso che so di esistere, e che mi rendo conto intanto che certamente null’altro appartiene alla mia natura, o essenza, se non questo solamente, che io sono una cosa pensante, concludo correttamente che la mia essenza consiste solo in ciò, che sono una cosa pensante. E per quanto forse (o meglio, come dirò in seguito, certamente) io abbia un corpo, che è a me unito molto strettamente, poiché però da un lato ho un’idea chiara e distinta di me stesso, in quanto sono soltanto una cosa pensante, non estesa, e dall’altro lato <ho> un’idea distinta del corpo, in quanto è soltanto una cosa estesa, e non pensante, è certo che io sia effettivamente distinto dal mio corpo, e che possa esistere senza di esso.6

Cartesio non oppone però semplicemente fisico e psichico, ma sostiene una posizione molto più sfumata, nella quale le due sostanze sono mescolate tanto intimamente che

non senza ragione ritenevo che quel corpo, che per un certo speciale diritto chiamavo mio, mi appartenesse più di qualunque altra cosa: infatti mai potevo separarmi da esso come dagli altri; in esso e tramite esso sentivo tutti i desideri e le passioni; e infine avvertivo il dolore e i moti del piacere nelle sue parti, non certo in altre poste fuori esso.7

Emblema dell’assenza in Cartesio di una netta contrapposizione tra le due sostanze è il modo in cui, nella sesta Meditazione metafisica, il filosofo si oppone alla celebre metafora platonica del rapporto anima-corpo come quello di un nocchiero sulla sua nave.

Platone, infatti, nei suoi dialoghi, ricorre frequentemente a questa metafora: il nocchiero è guida della sua nave, ma non ha rapporti imprescindibili con essa (come ben si comprende dal fatto evidente che un marinaio può come e quando vuole abbandonare la propria imbarcazione); è infatti un essere del tutto indipendente dal proprio vascello. Il problema sorge però ad una più attenta considerazione dello stato in cui versa il nocchiero: nonostante egli sia del tutto separato dalla nave che lo ospita, si trova come imprigionato da un legame forzato in questo luogo. Il fine ultimo del nocchiero è, quindi, quello di condurre la barca in porto, di liberarsene e solo secondariamente quello di essere un buon pilota.

Anima e corpo sono in un’opposizione netta ed il corpo è il carceriere dell’anima, la quale anela alla libertà da esso, essendo, come Platone stesso sostiene nell’Alcibiade I, unica detentrice dell’essenza dell’uomo:

E poiché né il corpo, né il corpo e l’anima insieme sono l’uomo, rimane da concludere, penso, che l’uomo non sia nulla o, se è qualcosa, non sia altro che anima.8

Il dualismo platonico è, quindi, talmente radicale da essere insostenibile anche per Cartesio stesso:

Attraverso queste sensazioni di dolore, di fame, di sete, ecc., la natura mi insegna anche che io non sono nel corpo soltanto come un nocchiero è nella barca, ma che sono così strettamente congiunto e quasi mescolato ad esso da costituire con esso un’unità. Se così non fosse, infatti, quando il corpo viene ferito, io, che non sono altro che una cosa pensante, non perciò sentirei dolore, ma percepirei questa ferita per mezzo del solo intelletto, come il nocchiero coglie con la vista se qualcosa nella barca si rompe; e quando il corpo ha bisogno di cibo o di bevanda, capirei ciò direttamente, e non avrei delle confuse sensazioni di fame e di sete. Infatti per certo queste sensazioni di sete, di fame, di dolore, ecc., non sono altro che dei modi di pensare confusi che provengono dall’unione e quasi dalla mescolanza dell’anima col corpo.9

La lontananza tra il pensiero platonico e quello cartesiano non permette però di avvicinare maggiormente quest’ultimo a quello husserliano: per Husserl la psiche è incarnata nella corporeità e quindi egli non potrebbe mai condividere, neppure in parte, una posizione che, nonostante la presenza di un forte intreccio, nonostante la presenza della ghiandola pineale, lascia separati gli ambiti dello psichico e del fisico.

La ripresa di Cartesio per l’attribuzione alla natura materiale della caratteristica dell’estensione e, parallelamente, la critica per aver separato res cogitans e res extensa, è molto palese tra le pagine di Idee II, in particolare nel paragrafo Natura materiale e natura animale:

Ora però, appunto riguardo all’estensione corporea, occorre distinguere tra la cosalità materiale e la cosalità della natura animale. Non senza ragione Cartesio definisce l’extensio un attributo essenziale della cosa materiale, che, proprio per questo, si dice anche semplicemente corporea, in contrapposizione all’essere psichico o spirituale che, nella sua spiritualità come tale, non ha un’extensio, e anzi la esclude per essenza. Di fatto è necessario anzitutto rendere evidente come l’extensio, giustamente intesa, contraddistingua la natura nel primo senso rispetto alla natura nel secondo senso, anche se l’attributo essenziale e più comprensivo dell’essere materiale non è la mera estensione bensì la materialità, la quale in sé stessa, richiede sia un’estensione spaziale sia un’estensione temporale. Ciò che importa è però riconoscere il modo specifico in cui tutto ciò che inerisce alla cosa materiale è a priori (cioè per essenza) in riferimento con la sua estensione. La natura spirituale, intesa come natura animale, è un complesso, costituito da uno strato inferiore di natura materiale contrassegnata dalla caratteristica dell’extensio, e da uno strato superiore, inseparabile dal primo, che ha un’essenza completamente diversa e che, in particolare, esclude l’estensione. Quindi, se la caratteristica essenziale e più comprensiva della cosa materiale è la materialità, è facile comprendere come e perché l’estensione venga presa come la caratteristica essenziale che differenzia la materialità e la dimensione psichica o spirituale.10

In riferimento alla connessione tra corpo vivo e psiche, Husserl si richiama invece esplicitamente al De Anima di Aristotele, testo in cui compare quella teoria dell’ilemorfismo, uno degli argomenti di maggior disputa nella filosofia medievale, che Husserl sembra condividere a pieno titolo, soprattutto quando, cercando di definire in che modo si possa spiegare il movimento dell’anima, lascia direttamente la parola ad Aristotele:

Si muove: “Quando una cosa è legata con un che di mobile, essa si muove insieme con il suo movimento, e così è mosso anche l’intero formato della due cose” (Aristotele, De anima, A 3). Ciò vale tuttavia soltanto quando questo legame è il proprio di un intero psichico.11

Come sostiene Aristotele, la psiche si muove insieme al corpo vivo e questo perché, per Aristotele come per Husserl, «la psiche è costantemente [una12] al corpo vivo.»13

La posizione husserliana è del tutto simile a quella aristotelica: la psiche è un tutt’uno con il corpo perché «l’anima non subisce e non opera nulla indipendentemente dal corpo […]».14

D’altronde, se il Körper-Ding può divenire Leib, corpo dotato di vita, è solo attraverso questa connessione, intrinseca e non estrinseca, con la psichicità:

ciò che noi dobbiamo contrapporre alla natura materiale come un secondo genere di realtà non è la “psiche”, bensì l’unità concreta di corpo vivo e di psiche, il soggetto umano (oppure animale).15

L’unione tra anima e corpo non può essere considerata un avvicinamento di due parti indipendenti: esse possono essere considerate nelle loro specifiche proprietà, ma queste proprietà saranno sempre in costante riferimento ad un’unità, la quale «non è una connessione di due elementi: una sola cosa, soltanto una sola cosa ci si propone»,16 tanto che lo stesso corpo vivo «è sempre partecipe di tutte le altre “funzioni della coscienza” . »17

A riprova di quest’unione inscindibile sta il fatto che se io posso sempre cogliere i corpi in una presentificazione originaria, la psichicità, invece, mi si può sempre offrire solo tramite un’appresentazione, ovvero una peculiare forme di percezione nella quale alcuni elementi rimangono, per essenza, sempre solo compresenti;18 quest’appercezione si fonde con la presentificazione originaria del corpo e fa’sì che io non colga il corpo e la psiche come due elementi distinti, ma in un’unica datità, nella quale alcuni elementi mi rimagono però costitutivamente in ombra. Il solo caso nel quale io posso cogliere con maggior chiarezza la datità psichica è forse quello ove sono io stesso a cercare di afferrare la mia stessa psiche19: anche in questo caso, però, Husserl non ci parla in primis di una capacità di cogliere la coscienza pura, ma di una capacità, espressa nel livello denominato in Idee II dell’io-uomo20, di saper cogliere se stessi come essere psico-fisici, come unione, appunto, di psiche e corpo.

Il medesimo concetto dell’unione tra anima e corpo è espresso da Aristotele con la celebre metafora della cera:

Pertanto non c’è bisogno di cercare se l’anima e il corpo formano un’unità, allo stesso modo che non v’è da chiedersi se formano un’unità la cera e la figura né, in generale, la materia di una data cosa e ciò che ha per sostrato tale materia.21

Quest’unione di psiche e corpo è ribadita da Husserl molto spesso all’interno di Idee II, nel tentativo di rendere la costituzione dell’essere umano nel senso di un’estrema fluidità, evitando qualsiasi tipo di rottura all’interno di questa costituzione stessa: anche per Husserl sarebbe quindi ridicolo chiedere dove finisca la cera e dove inizi l’immagine, per riprendere la metafora di Aristotele.

La psiche è un «movimento animante»,22 il quale «comporta che la corporeità e in definitiva tutto ciò che da un punto di vista qualsiasi può essere detto corporeo, può assumere un significato psichico, anche là dove non è preliminarmente latore fenomenico di una psiche.»23

Un altro passo dove il filosofo espone molto chiaramente il suo pensiero è quello a pagina 98 di Idee II:

Nel discorso normale in prima persona (nell’uso normale dei pronomi personali in generale) il termine io abbraccia l’“intero uomo”, anima e corpo. Perciò si dice: io non sono il mio corpo, ma ho il mio corpo, io non sono la mia anima, ma io ho un’anima.

Ora, se è giusto dire che l’unità dell’uomo abbraccia entrambe le componenti, non come due realtà legate l’una all’altra soltanto esteriormente, bensì come due realtà intimamente intrecciate e in certo modo compenetratesi (come effettivamente è confermato di fatto), è comprensibile anche come gli stati e le proprietà di ciascuna di queste componenti valgano come proprie dell’insieme.24

Il corpo vivo è quindi sin dall’inizio un Seelevollerleib e solo successivamente se ne potrà astrarre il carattere «assolutamente a-spaziale»25 della coscienza:

L’uomo, nei suoi movimenti, nelle sue azioni, nei suoi discorsi, nei suoi scritti, ecc., non è una mera connessione, il collegamento proprio di una cosa detta anima e di un’altra, detta corpo vivo. Il corpo vivo è, in quanto tale, un corpo vivo colmo della psiche. Ogni movimento del corpo vivo è colmo di psichicità, il venire e l’andare, lo stare in piedi e lo stare seduto, il correre e il ballare, ecc.26

Il soggetto è un’unità psico-fisica, un essere inserito nello spazio-tempo del mondo attraverso la propria carnalità,27 e, quindi, a pieno titolo oggetto di un’indagine naturalistica; solo quando si entrerà nel campo della spiritualità si produrrà anche l’allontanamento da questo soggetto psico-fisico, ma, in realtà, solo in parte, dato che anche per lo spirito il corpo vivo resterà pur sempre organo ed espressione.

Parlando di corpo vivo e successivamente di psiche, non si vuole quindi in alcun modo innescare il senso di una successione temporale:

L’apprensione degli uomini è tale che attraversa, sotto forma di “senso”, l’apprensione del corpo: non che si parli però di una successione temporale, prima l’apprensione del corpo e poi quella della psiche; si tratta invece di un’apprensione in cui l’apprensione del corpo in quanto somaticità fondante serve da base dell’apprensione che produce la comprensione del senso: in fondo, e per l’essenziale, come il suono della parola è il “corpo vivo” del “senso” che lo anima.28

Psiche e corpo sono da sempre costituite come «un’unità psicofisica naturale che si chiama uomo o animale; si tratta di un’unità fondata in virtù del corpo vivo, corrispondente alla fondazione dell’appercezione.»29

La distinzione tra corpo vivo e psiche può, dunque, essere solo un’astrazione, quasi una forzatura, in quanto, come Husserl sottolinea in una fondamentale parentesi di Logica formale e trascendentale, riguardo all’io psicofisico «non si parla della genesi temporale, bensì di strati costitutivi.»30

Quest’astrazione è però molto utile se si desidera porre in risalto alcuni importanti elementi che altrimenti rimarrebbero oscuri, primo tra i quali il fatto che «lo psichico abbia un privilegio, come sia ciò che determina essenzialmente il concetto di io.»31

È come se la psichicità iniziasse a prendere il sopravvento sulla materialità: l’uomo è corpo vivo e anima, un soggetto psicofisico, ma, in definitiva, ciò che primariamente caratterizza quest’unità, è la psichicità in quanto elemento di distinzione ontologica rispetto a tutta la realtà circostante.

Su questo punto si trovano in accordo tutti i filosofi precedentemente citati: da Platone ad Aristotele, da Cartesio ad Husserl, perché ciò che li distingue è il rapporto con la corporeità della psichicità e non il riconoscimento della funzione primaria di quest’ultima per la natura umana.

La motivazione del “privilegio” dello psichico, come lo chiama Husserl, (assolutamente da non confondere con un’assolutizzazione dello psichico) è un argomento che diverrà centrale per tutto il seguito del discorso: l’uomo è unione di corpo e psiche, il corpo e le sensazioni rappresenteranno una perenne base iletica in tutto lo sviluppo del soggetto, ma da un certo livello genetico in poi il filosofo approfondirà soprattutto i molteplici livelli psichici di questo soggetto, in qualche modo tralasciando i loro diversi possibili legami con lo strato somatico. Comprendere la vera portata della superiorità dello psichico sul fisico significherebbe dunque prendere in esame l’intera analisi husserliana sull’io, compito che, naturalmente, non è possibile svolgere in questa sede.

Per introdurre il ruolo primario della dimensione psichica nella definizione della natura umana si può però dedicare brevemente l’attenzione ad un esempio, proposto da Husserl in Idee II: l’ipotesi della possibilità dell’esistenza di spettri reali.

Una volta posta la possibilità di scindere ipoteticamente fisico e psichico, Husserl si domanda: potrebbe avere un senso immaginare una psiche senza un corpo? E un corpo senza una psiche? La risposta è che, se può apparire in un qualche modo sensato immaginare l’esistenza di uno spettro, cioè di una psiche slegata dal corpo, non si può invece immaginare l’esistenza di un corpo slegato dalla psiche che lo anima perché «se la psiche viene meno, non resta che morta materia, una cosa meramente materiale.»32

Su questa questione, la quale mostra emblematicamente come una psiche possa sussistere, per ipotesi, anche senza un corpo, e come non possa invece valere il contrario, Husserl sente la necessità di riflettere in modo più preciso:

Se riflettiamo più precisamente sulla questione, ci accorgiamo che esistono qui due diverse possibilità. Da un lato il corpo vivo ci è dato percettivamente come una realtà materiale, senza che si produca la coscienza dell’inganno. In questo caso noi non vediamo uno “spettro”, bensì un uomo reale. Se d’altra parte si produce la coscienza dell’inganno nei riguardi della materialità, noi riterremo anche l’uomo un inganno, ma non per questo diremo che è uno spettro. Un inganno, poiché l’esperienza ci insegna che una spiritualità reale può andar connessa soltanto coi corpi vivi materiali e non per esempio con fantasmi spaziali meramente soggettivi (a puri schemi spaziali), talchè il corpo vivo materiale e la psiche vanno per noi necessariamente congiunte nell’idea di un uomo reale. Ma questa necessità è soltanto di ordine empirico. In sé sarebbe pensabile il caso (e in questo modo avremmo un mero spettro) di un essere psichico reale per quanto privo di un corpo vivo materiale, di una cosa naturale normale come supporto delle determinatezze psichiche. Ciò non implica affatto che il corpo vivo manchi o possa mancare.33

Anche Jean-Françoise Courtine, nel suo saggio L’essere e l’altro. Analogia e intersoggettività in Husserl, si è soffermato su questa questione, sottolineando, in particolare, la nota che Husserl scrisse in relazione al passo appena citato, nota di massima rilevanza:

Per distinguere lo spettro dal reale incarnarsi di una soggettività e del suo io in un corpo non è del tutto corretto ricorrere ai fantasmi spaziali. Perché così non si prende in considerazione il ruolo assolutamente essenziale del farsi sonoro di una voce prodotta da se stessi, di quella voce che inerisce alle proprie cinestesi, alle cinestesi originarie dei muscoli vocali. Ciò manca anche nella prima teoria dell’entropatia che abbiamo dovuto abbozzare. Secondo le mie osservazioni, sembra che nel bambino la voce che egli stesso produce e che poi sente per via analogica costituisca il ponte dell’obiettivazione dell’io, cioè per la formazione dell’alter, prima ancora che il bambino colga e possa cogliere l’analogia visibile del suo corpo visivo con quello dell’“altro”, e a maggior ragione prima che possa attribuire all’“altro” un corpo vivo tattile e un corpo vivo capace di volizione.34

Il senso più ampio di questa essenziale nota è che si può sviluppare ogni tipo di considerazioni sulla possibilità dell’esistenza di spettri, che queste considerazioni sarebbero sicuramente utili al fine di mostrare l’importanza predominante dello psichico sul somatico nella valutazione complessiva della natura umana, ma in definitiva si sarebbe pur sempre rinviati ad un soggetto psicofisico, a ciò che Husserl chiama il «reale incarnarsi di una soggettività»,35 poiché, come sottolinea anche Edith Stein, «l’anima è sempre necessariamente anima di un corpo proprio.»36

Anche lo spettro ha un corpo vivo, per quanto sia un corpo vivo ingannevole, in quanto spettrale,37 ma l’inganno di questo corpo si dimostra immediatamente quando mi pongo la domanda: il fantasma può parlare? Come sottolinea Courtine, «la risposta, negativa giunge immediatamente. Il fantasma, non più dello spirito, non può parlare nella misura in cui la voce è essa stessa essenzialmente legata al corpo incarnato»,38 quel corpo del quale il fantasma possiede solo una mera apparenza.

La conclusione di Husserl sull’argomento è, quindi, che:

Ammessa così la possibilità a priori (per quanto del tutto vuota) dell’esistenza di spettri reali, risulta anche che un soggetto psichico è sì pensabile come privo di un corpo vivo materiale, pensabile cioè come uno spettro invece che come un essere naturale e animale, ma che non è pensabile privo di un corpo vivo in generale.39

L’essere psichico dev’essere necessariamente in connessione con il corpo vivo perché unicamente il Leib può permettergli di acquisire il carattere di esperibilità. Unicamente in questo modo può crearsi quel soggetto psico-fisico definito da Husserl «duplice essere, sostanziale-reale, uomo o animale, animal.»40

Tutto ciò sarà di certo più chiaro leggendo il seguito del passo di Idee II appena riportato, un passo capitale, nel quale si accenna ad un’altra tematica fondamentale e strettamente legata al discorso sulla corporeità, cioè quella dell’empatia:

Se l’essere psichico dev’essere, se deve poter avere un’esistenza obiettiva, devono essere soddisfatte le condizioni di possibilità di una datità intersoggettiva. Senonchè questa esperibilità intersoggettiva è pensabile soltanto attraverso l’«entropatia», la quale, a sua volta, presuppone un corpo vivo intersoggettivamente esperibile, un corpo vivo che viene inteso dal soggetto dell’entropatia come il corpo vivo dell’essere psichico in questione, che nella sua datità esige una comprensione entropatica della psichicità e che poi può mostrarsi attraverso l’ulteriore esperienza. Proprio da questo risulta il privilegio della psichicità o, se si vuole, della spiritualità rispetto al corpo vivo: dal fatto della inseparabilità del corpo vivo. Per essere obiettivamente esperibile, lo spirito deve essere il fattore animante di un corpo vivo obiettivo (ma non necessariamente, a priori, di un corpo vivo materiale), mentre, viceversa, l’esperibilità obiettiva di un fantasma spaziale o di una cosa materiale non richiede questo fattore animante. Se consideriamo più da vicino che cos’è la psiche, che cos’è il fattore animante, e se consideriamo anche ciò che è presupposto dalla possibilità di una conoscenza obiettiva di essa, ci accorgiamo che non si dà, qui, un mero collegamento, che non può darsi e infatti non si dà un collegamento contemporaneo. Il corpo vivo non è soltanto una cosa, è anche espressione dello spirito e, nello stesso tempo, un organo dello spirito.41

Per Husserl, quindi, l’unione di psiche e corpo ha il carattere della necessarietà42: infatti solo congiungendosi ad un corpo vivo la psiche potrà acquisire una dimensione naturale, reale, e divenire un soggetto psicofisico:

L’unità della psiche è un’unità reale in virtù del fatto che, in quanto unità della vita psichica, è connessa col corpo vivo in quanto unità del flusso dell’essere somatico, il quale a sua volta, è un elemento della natura.43

In tal modo si può ora comprendere come anche la psiche possa rientrare, seppur in modo che potremmo definire “mediato”, in una ricerca naturalistica:

Il fatto che il corpo vivo e la psiche formano una peculiare unità d’esperienza e che in virtù di questa unità lo psichico viene ad avere un suo posto nello spazio e nel tempo, costituisce la base di una legittima “naturalizzazione” della coscienza.44

Con queste parole Husserl non intende in alcun modo ridurre la coscienza ad un mero oggetto, ma solo valutarla in modo adeguato al livello in cui essa si dà unita al corpo vivo: la psichicità è un medium tra corpo vivo e coscienza pura, un intreccio che, a seconda dei livelli, può richiedere di essere indagata in termini naturali o non naturali.

Ma ancora molto resta da indagare e, in primis, come la psiche possa effettivamente localizzarsi nel corpo vivo, conferendo a quest’ultimo nuovi strati di vita e di senso.

2. L’introiezione della psiche nel corpo vivo e le sensazioni mediate

Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, ma la lingua mi si spezza e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa. Ma tutto si può sopportare, poiché…

Saffo, Poesie45

La psiche è un’unità sui generis: in parte indagabile nel senso della natura e in parte no, deve il suo ingresso nel mondo spazio-temporale unicamente al fatto di essere incarnata in un corpo vivo; come dice Husserl, «dal punto di vista delle scienze della natura, essa non è nulla per sé, è un mero strato di eventi reali dei corpi vivi.»46

Si cercherà dunque di capire in che modo la psiche possa effettivamente essere una al corpo e quali siano le conseguenze di quest’unità sulla corporeità stessa, al fine di ottenere un’idea un po’più precisa del soggetto psicofisico.

Husserl non nasconde di avere qualche difficoltà nel descrivere nei particolari il processo di innervamento della psiche nel corpo vivo: questi ostacoli derivano, come cercato di illustrare anche precedentemente, semplicemente dal fatto che l’esperienza offre l’intero soggetto psicofisico e mai un Körper-Ding al quale si aggiungano poi proprietà psichiche.

Sottolineata questa non secondaria complicazione, non si può non prendere atto che

per l’atteggiamento naturalistico vi sono, diciamo comunemente, certe cose che hanno un particolare contrassegno, costituito da uno strato di determinazioni caratteristiche reali, che non sono specificatamente fisiche, non sono “materiali”, “estensive”: le proprietà dell’eccitabilità, cioè derivanti dalla possibilità di avere sensazioni. Queste nuove proprietà si costituiscono nella forma della “localizzazione” e, per il loro stesso senso, sono dipendenti dalla somaticità fisica e, attraverso essa, dalla natura fisica in generale.47

Questa sorta di introduzione a nuove proprietà non del tutto materiali, di ben difficile definizione, serve proprio ad aprire al problema della stratificazione della psiche nel corpo, infatti Husserl prosegue dicendo:

Così, lo strato superiore, lo strato specificamente psichico, viene esperito in un modo analogo a quello dell’esperienza dell’elemento estesiologico, appunto in quanto strato della cosa corpo vivo, poiché anch’esso è in certo modo “localizzato”. La psiche anima il corpo vivo e il corpo vivo animato è un oggetto della natura nell’ambito dell’unità del mondo spazio-temporale.48

Ma in che modo si potrebbe definire questa particolare forma di localizzazione della psiche? Unicamente in termini ben poco specifici: la determinazione esatta si ritrova solo nel campo di ciò che è strettamente esteso e matematizzabile, mentre qui si è in un ambito che è in parte anche pienamente soggettivo e, quindi, in alcun modo riducibile a schemi, ad indici esatti;49 la psiche è una sorta di «eccedenza di realtà, che va oltre la mera cosa fisica».50

Si leggano le parole di Husserl:

Lo strato sensoriale non è presente come qualche cosa che stia accanto alla cosa fisica; si dà un corpo vivo, che ha determinate caratteristiche fisiche ed estesiologiche insieme. Allo stesso modo il corpo vivo è esperito anche come il corpo vivo di una psiche, ove la parola psiche designa a sua volta uno strato, fondato a un livello più alto, di determinazioni caratteristiche. Essa non è diffusa, nel modo della vera e propria “localizzazione”, dentro il corpo vivo, non si propone come un complesso di “campi psichici”, pensati per analogia con i campi sensoriali, che vengano immediatamente o mediatamente a una coincidenza fenomenica, oppure a una determinata coordinazione, su un punto o per un certo segmento, con pezzi estensivi della compagine corpo vivo. A prescindere da ciò, lo psichico è per l’esperienza una cosa sola, è cioè, da un punto di vista reale, una cosa sola col corpo vivo, e in questo senso è qualche cosa di esso o in esso, ma senza una particolare e distinguibile localizzazione. Si potrebbe utilizzare qui l’espressione, certo passibile di fraintendimento, di “introiezione”, che designerebbe appunto questo stato di cose.51

Anche se in questo brano Husserl sostiene che la psiche «non è diffusa, nel senso della vera e propria “localizzazione”»,52 in una altro luogo di Idee II, esprimendo quell’evidente difficoltà linguistica sull’argomento già rilevata, l’autore utilizza proprio il termine “diffusione”, al fine di interpretare la localizzazione della dimensione psichica nel senso di una para-spazializzazione, di una differenziazione dalla spazializzazione vera e propria:

Gli uomini e gli animali sono localizzati spazialmente; anche la loro dimensione psichica, perlomeno in virtù del suo essenziale fondarsi nella dimensione corporea, si ordina nello spazio. Potremmo persino dire che molto di ciò che va sotto il titolo, ampio e inizialmente non chiaro, di psichico possiede qualcosa come una diffusione [Ausbreitung] (ma non un’estensione nello spazio). Per principio, nulla, da questo lato, è esteso in senso proprio, nel senso specifico dell’estensione che abbiamo descritto.53

Nonostante questa particolare forma di localizzazione nel senso di una “introiezione”, di una “diffusione”, la psichicità viene a costituire uno strato del corpo vivo in senso reale, tanto che «la sensorialità [Empfindsamkeit] del corpo vivo si costituisce interamente come una proprietà “condizionale” o psicofisica.»54

Il senso di tale affermazione è che l’unità di psiche e corpo vivo deve indurre a riconsiderare il corpo vivo come un unicum psico-fisico, luogo di proprietà anche ben diverse da quelle estese, precisamente localizzabili:

il corpo vivo viene appreso come dipendente non soltanto dallo strato primario delle sue sensazioni, quelle localizzate, bensì anche da quei campi e dai quei gruppi di sensazioni che gli sono coordinati mediatamente, che non sono propriamente localizzati, per esempio dal campo visivo.55

La principale caratteristica che portano in luce queste nuove proprietà mediate è quella dell’eccitabilità agli stimoli in un senso non solo fisico, ma anche psicofisico:

La sensibilità agli stimoli diventa così un titolo generale per tutta una classe di proprietà reali, che hanno una fonte completamente diversa da quelle propriamente estensive (e perciò materiali) della cosa, e che di fatto rientrano in una dimensione totalmente diversa. Perché attraverso questo strato, attraverso questo nuovo gruppo di proprietà reali, che si mostrano reali in quanto si costituiscono in virtù di una relazione con circostanze reali nell’ambito del reale, il corpo vivo materiale si intreccia con la psiche; ciò che può essere appreso come uno strato localizzato del corpo vivo, e inoltre ciò che può essere appreso come un che di dipendente dal corpo vivo (in senso pieno, nel senso per cui esso include già anche questo strato) e dagli “organi di senso”, tutto ciò, sotto il titolo di “materia di coscienza”, costituisce un sottofondo della coscienza, e subisce un’apprensione realizzante insieme con questo, in quanto psiche e in quanto io psichico.56

La psiche è una realtà con una stratificazione di dipendenze, tra le quali quelle psicofisiche o fisiopsichiche: la psiche dipende dal corpo vivo e, quindi, dalla realtà naturale e, in questa dipendenza, rientra l’ambito di ogni sensazione, «ivi comprese le sensazioni sensoriali del sentimento e dell’istinto».57

Husserl ribadisce spesso questo concetto all’interno di Idee II, proprio in quanto determinante per illustrare quella sorta di strato intermedio in cui il soggetto, pur non essendosi ancora caratterizzato nel senso della personalità culturale, si è comunque già elevato ad un livello superiore al corpo: esistono delle sensazioni “primarie” e delle sensazioni “secondarie” e, attraverso quest’ultime, come metteva in risalto il passo appena citato, il corpo si unisce alla psiche, animandosi di sentimenti.

Non è un punto di facile spiegazione, tanto che Husserl stesso, sembra, ancora una volta, faticare a trovare parole precise per l’argomento.

Si legga un altro passo di Idee II:

La localizzazione che si dà nell’intuizione immediata e il riferimento col corpo vivo che in ciò si fonda sono propri non soltanto delle sensazioni sensoriali che esercitano una funzione costitutiva per la formazione delle cose sensoriali, degli oggetti che si manifestano nello spazio, ma anche di sensazioni relative a gruppi completamente diversi, così per esempio dei sentimenti “sensibili”, delle sensazioni di piacere e di dolore, del senso di benessere che attraversa e riempie tutto il corpo, del disagio generale derivante da un’“indisposizione corporea”, ecc. Rientrano qui dunque gruppi di sensazioni che, per gli atti valutativi, per i vissuti intenzionali della sfera del sentimento, oppure per la costituzione dei valori come loro correlati intenzionali, svolgono un ruolo di materiali analogo quello che le sensazioni primarie svolgono per i vissuti intenzionali nella sfera dell’esperienza, oppure per la costituzione di oggetti spaziali cosali. Inoltre rientrano in quest’ambito parecchie sensazioni difficili da analizzare e da illustrare, e che formano la base della vita del desiderio e della volontà, le sensazioni della tensione e del rilassamento dell’energia, le sensazioni dell’inibizione interna, della paralisi, della liberazione, ecc. Tutti questi gruppi di sensazioni localizzate, hanno un’immediata localizzazione somatica, talchè, per ogni uomo, competono in modo immediatamente intuitivo al suo corpo vivo in quanto suo corpo vivo, come un’oggettività soggettiva che si distingue dalla cosa meramente materiale corpo vivo attraverso questo strato di sensazioni localizzate.58

Queste sensazioni “secondarie”, ben difficili da ridurre in un’unica definizione, sono localizzate nel mio corpo tanto quanto quelle “primarie”, ma in un senso del tutto diverso, per il quale forse si potrebbe fare appello ancora una volta al concetto di “diffusione”; ma si legga la continuazione del passo husserliano:

Con questo strato si connettono però le funzioni intenzionali, i materiali assumono una funzione spirituale, così come sopra, le sensazioni primarie subivano un’apprensione, venivano a far parte di percezioni sulle quali poi si costituivano giudizi percettivi, ecc. in questo modo, dunque, l’intera coscienza di un uomo è in certo modo legata al suo corpo vivo attraverso la sua base hyletica, per quanto naturalmente i vissuti intenzionali non siano più localizzati propriamente, in modo diretto, per quanto non costituiscano più uno strato del corpo vivo.59

Se si prende come esempio la sensazione di dolore espressa da Saffo nella lirica citata all’inizio del paragrafo, si avrà un buon esempio di ciò che può significare una sensazione psicofisica: essa è legata al mio corpo vivo, ha influssi non solo sulla mia psiche, ma anche sulla mia corporeità, per quanto io non potrei mai riuscire a spiegare dove essa si possa esattamente localizzare.

Le sensazioni secondarie fanno parte della mia corporeità, ma in un modo sui generis perché con esse si inizia a penetrare nel campo della soggettività: io non so dire dove precisamente si localizzino, ma sono sicuro del fatto, come direbbe anche Cartesio, che queste sensazioni siano, in modo più che certo, nel mio corpo vivo. Io, come soggetto, non sono solo la mia psiche, ma sono un unico soggetto psicofisico, unione di psiche e corpo vivo:

La psiche e l’io psichico “hanno” un corpo vivo; esiste una cosa materiale di una natura tale che essa non è mera cosa materiale, bensì appunto corpo vivo, e quindi: una cosa materiale che in quanto campo di localizzazione di sensazione e di moti del sentimento, in quanto complesso di organi di senso, in quanto elemento fenomenico e controparte di qualsiasi percezione di cose […] è una base fondamentale della datità reale della psiche e dell’io.60

Tra corpo vivo e psiche esiste una «condizionalità psicofisica»61 tale che sarebbe ridicolo cercare di definirne le coordinate precise: si può però in generale affermare che vi è un costante influsso sia dallo psichico verso il fisico, come nel caso del dolore espresso da Saffo, sia dal fisico allo psichico.

Per mezzo di questo influsso bidirezionale, le normali capacità sensoriali divengono capacità ipersensoriali, capaci di condurre al di là della corporeità, verso la sfera della soggettività, dei sentimenti. Come dice Husserl,62 quando io, ad esempio, sento il mio cuore, non solo sento il battito del mio cuore in quanto organo fisico, ma sento anche una sorta di “sentimento del cuore” il quale non fa parte intrinsecamente della superficie tattile percepita, ma che è strettamente connesso con essa.

Il mio cuore, i suoi battiti divengono il fulcro fisico di un qualcosa che io non posso propriamente localizzare, ma che posso però sentire con la stessa intensità delle sensazioni corporee: è la trasformazione, quasi inspiegabile, del fisico in psico-fisico, delle sensazioni in sentimenti molteplici, sino a quelli più elaborati.

Attraverso la modulazione delle palpitazioni del cuore io posso provare, ad esempio, non solo la fisicità dell’affaticamento, ma anche la felicità per una piacevole sorpresa o lo sconcerto causato da una situazione di paura: i battiti del cuore possono divenire irregolari per i più svariati motivi, i quali non sono solo motivi esclusivamente fisici, ma si vengono a caratterizzare come propriamente psico-fisici.

Affaticamento, sorpresa, spavento: la risposta del mio cuore è sempre un’intensificazione delle palpitazioni, ma la fisicità dell’accelerazione, percepibile premendo la mano contro il petto, o attraverso la fatica nel respirare, diviene espressione di stati fisici o di opposte passioni che, per le loro molteplici conseguenze, è ben difficile inquadrare nettamente come sensazioni o sentimenti.

Un esempio legato al “sentimento del cuore”, come Husserl lo chiama, ad un livello forse ancora più profondo è quello del turbamento del cuore nel petto sentito da Saffo: questo sentire non potrà di certo esser tale in senso rigorosamente tattile, ma è un sentire talmente vivido e forte da provocare delle vere e proprie conseguenze definibili psico-fisiche, tanto che ogni senso risulta condizionato da questo turbamento, la lingua si spezza, un fuoco corre sotto la pelle causando la sudorazione, gli occhi non riescono più a vedere, né le orecchie a sentire, perfino il colorito si trasforma da roseo a verdastro.

Un altro esempio, questa volta husserliano, di capacità ipersensoriali è quello in cui il filosofo immagina di penetrare nel cervello:

Ma il corpo vivo come oggetto fisico è esposto a interventi fisici, a cui si collegano, senza che io ne conosca i nessi più precisi, “conseguenze” psichiche. Allora arrivo finalmente fin dentro il cervello, dentro le sue strutture e nei processi fisici che in esso hanno luogo, che sono in corrispondenza con i processi psichici, una corrispondenza che include modificazioni funzionali, dipendenze. Se un processo cerebrale viene modificato, si produce anche una modificazione dei gruppi di vissuti corrispondenti, dei gruppi degli eventi psichici, e forse anche viceversa.63

Le cose che mi circondano non mi stimolano solo a livello fisico, ma anche ad un livello psicofisico, tanto che esse, come osservato, sono alla base non solo delle sensazioni strettamente “primarie”, “localizzate”, ma anche di quelle “secondarie”, “mediate”.

Ma come si potrebbe spiegare questo stimolarmi della realtà circostante anche ad un livello psicofisico oltre che fisico? È bene dedicare alla questione una breve considerazione a parte.

3. La coscienza pratico-emotiva e le sensazioni del sentimento e dell’istinto

Per esporre in modo approfondito il modo in cui le cose possono stimolare a livello sia fisico che psichico, ci si dovrebbe addentrare in un discorso molto lungo e complesso, impossibile da completare in questa sede, ma che si cercherà comunque di delineare nel suo complesso.

Credo che, in primis, si debba considerare in che modo si caratterizzi la Welt alla quale appartengano le cose che “stimolano” (quest’espressione va intesa in senso molto più lato rispetto a quello del mero stimolare fisico, anche se non ancora nel senso di vere e proprie motivazioni della personalità culturale).

Husserl definisce, sia in Idee I che in Idee II, questo mondo come un mondo intuitivo, “alla mano” (vorhanden) :

Così, nella coscienza desta, mi trovo sempre, e senza poter mai modificare tale situazione, in rapporto con un solo e medesimo mondo, per quanto mutevole nel suo contenuto. Esso mi è costantemente “alla mano”, e io stesso sono un suo membro. E mi è dinanzi non soltanto come un mondo di cose, ma, con la medesima immediatezza, anche come mondo di valori, mondo di beni, mondo pratico. Davanti a me trovo le cose fisiche fornite non solo di proprietà materiali, ma anche di caratteri di valore: cose che sono belle e brutte, piacevoli e spiacevoli, gradite e sgradite, ecc. le cose si presentano immediatamente come oggetti d’uso, la “tavola” con i suoi “libri”, il “bicchiere”, il “vaso”, il “pianoforte”, ecc. Anche questi caratteri di valore e pratici appartengono costitutivamente agli oggetti “alla mano” come tali, che io presti o non presti attenzione ad essi e agli altri oggetti.64

Il mondo circostante dell’esperienza non è, quindi, il mondo della scienza, ridotto alle sue qualità primarie, schematizzabili, ma un mondo intuitivo, nel quale sono circondato da un’infinità di cose che influiscono su di me in quanto soggetto psicofisico.

Il mio mondo circostante è una Lebenswelt, è il misconosciuto mondo-della-vita di indagine nella Crisi delle scienze europee, anche quale fondamento per l’indagine scientifica.

Non si è ancora a livello del soggetto scientifico, ma questa è una considerazione molto relativa, in quanto, anche se le scienze stesse sembrano ignorarlo, il mondo-della-vita è una costate della vita dell’uomo a qualunque livello; infatti, sia prima che dopo l’obiettivazione in mondo della scienza, esso influenza l’uomo con i suoi plena, con tutta la sua ricchezza di qualità secondarie e non schematizzabili.

A questo mondo, al mondo nel quale mi trovo e che è insieme il mio mondo circostante, si riferisce il complesso delle mie varie e mutevoli spontanee attività di coscienza: l’indagine scientifica, l’esplicazione e l’elaborazione concettuale nella descrizione, il confrontare e il distinguere, il collegare e il contare, il presupporre e il dedurre, in breve la coscienza teoretizzante nelle sue diverse forme e gradi. Ma vi si riferiscono anche i multiformi atti e stati del sentimento e della volontà: il gradire e il non gradire, il rallegrarsi e il rattristarsi, il desiderio e l’avversione, lo sperare e il temere, il decidersi e l’agire.65

Agli atti di un soggetto teoretizzante corrono paralleli quelli di un soggetto pratico: l’indagine scientifica non potrà mai eliminare quel mondo di cose “alla mano” che provoca i soggetti pratici.

La base dell’“eccitabilità” del soggetto a partire dal mondo circostante è fondata su quelle sensazioni mediate delle quali si è precedentemente parlato come del punto d’unione tra psiche e corpo vivo.

Per parlare di questo tipo di sensazione Husserl propone l’esempio del campo visivo:

Da certe note caratteristiche del corpo vivo, specialmente da quelle dell’occhio, inoltre dai suoi nessi somatici, specie col sistema nervoso in particolare e inoltre, d’altra parte, dagli inerenti stimoli esterni, dipendono il modo in cui si riempie il campo delle sensazioni visive e le motivazioni che in esso possono generarsi: e così anche ciò che il soggetto può esperire nel campo visivo e il mondo di manifestazione secondo cui questo deve proporsi. Così si costituiscono nuove proprietà reali del corpo vivo; a tale costituzione partecipa evidentemente quest’ultimo, in quanto corpo vivo che si è già costituito altrove.66

Il soggetto psico-fisico non ha più solo sensazioni primarie, ma anche secondarie, mediate e, come per le sensazioni primarie, anche per quelle secondarie le cose assumono il loro senso più proprio solo se poste nella loro complessità, cioè nel loro intero campo percettivo, nel loro orizzonte di brentaniana memoria, il quale può idealmente espandersi all’infinito:

Ma in quest’ordine di interessi, non è soltanto la cosa singola a rivelare, in qualsiasi percezione, quest’inattesa multiformità. La singolarità, per la coscienza, in sé non è nulla; la percezione di una cosa è percezione della cosa nel suo campo percettivo.67

L’orizzonte delle cose non ha più, quindi, solo un significato percettivo, ma anche un significato pratico-emotivo, dove per pratico-emotivo si deve intendere tutto ciò che non rientra nella sfera strettamente logica, ma in quella del sentimento, dell’emozione, ovvero in quell’ambito che Husserl denomina Gemüt.

Si è, dunque, ritornati al problema iniziale, il quale può essere ora riformulato in questo senso: com’è possibile che le cose circostanti possano assumere un senso anche per la sfera del Gemüt ?

Il fondamento di questa questione va ricercato nella peculiare strutturazione della coscienza in relazione al darsi delle oggettualità esterne: la coscienza non è coscienza meramente dossica poichè essa non solo “pone” gli oggetti, ma, si potrebbe dire, li pone anche come “oggetti di vita”.

Se nell’atteggiamento teoretico alto la vita è quella della scienza e tende alla riduzione della cosa a schema di qualità primarie, nell’atteggiamento pratico-emotivo la vita è quella del Gemüt, del valore, della cosa percepita nei suoi plena di qualità secondarie e terziarie:

La ragione, in Husserl, non è limitata all’ambito logico-teoretico, ma si allarga anche in senso pratico-emotivo: è fondamentale riconoscere all’ambito del Gemüt un luogo all’interno di diversi campi della ragione, poiché solo in questo modo, riconoscendogli una sua autonomia, lo si potrà considerare come una reale alternativa alla razionalità logico-conoscitiva, anche se ad essa legata.

Il legame tra la ragione pratico-emotiva e quella dossica risulta però un elemento imprescindibile perché, al di là di tutte le variazioni sull’argomento compiute da Husserl, risulta palese l’impossibilità di provare un sentimento in riferimento ad un qualunque oggetto senza che sia primariamente avvenuta la posizione dossica di questo oggetto stesso: non si danno diversi tipi di ragione che lavorano autonomamamente, ma dei campi diversi di un’unica ragione che lavorano all’unisono.

Una volta avvenuta la datità di un oggetto attraverso la coscienza dossica, io potrò però avere, attraverso di esso, non solo le sensazioni primarie, ma anche, sulla base della coscienza pratico-emotiva, quelle sensazioni secondarie, che ora potremmo definire come sensazioni legate al sentimento, all’istinto, all’emozione.

Come le sensazioni primarie accompagnano la coscienza dossica al fine di “porre” un oggetto, così le sensazioni di sentimento accompagnano la coscienza pratico-emotiva, in un intreccio d’atti che restituisce non solo un mero oggetto, bensì un oggetto connotato dal punto di vista del Gemüt.

Queste sensazioni di sentimento non sono però, come facilmente si potrebbe pensare, sensazioni meramente dipendenti dalla soggettività: come la percezione era “guidata” da sintesi passive che istruivano il decorso della percezione, così, allo stesso modo, il livello del sentimento ha le proprie linee guide provenienti dalle cose stesse.

In definitiva, si potrebbe affermare che anche nell’ambito pratico-emotivo si ritrova la “bi-direzionalità” tipica dell’intenzionalità husserliana: il soggetto intenziona l’oggetto e l’oggetto si propone in schemi di esperibilità; questi schemi di esperibilità, nella considerazione del mondo come vorhanden, non informano solo degli aspetti materiali dell’oggetto, ma anche di quelli pratici: è per tal motivo che le sensazioni del sentimento possono essere sensazioni descrittive dell’oggetto in questione.

Attraverso l’azione della sintesi passiva, il mondo intuitivo mi è dato in tutte le sue sfumature: io colgo con la stessa vividezza un valore e una qualità secondaria, l’azzurro del cielo, la commestibilità della mela, la bellezza di un paesaggio o del suono di una nota di violino.

Solo ora si comprende forse appieno il senso delle parole, già citate, di quel brano di Idee I, nel quale Husserl affermava:

Davanti a me trovo le cose fisiche fornite non solo di proprietà materiali, ma anche di caratteri di valore: cose che sono belle e brutte, piacevoli e spiacevoli, gradite e sgradite, ecc. le cose si presentano immediatamente come oggetti d’uso, la “tavola” con i suoi “libri”, il “bicchiere”, il “vaso”, il “pianoforte”, ecc. Anche questi caratteri di valore e pratici appartengono costitutivamente agli oggetti “alla mano” come tali, che io presti o non presti attenzione ad essi e agli altri oggetti.68

Solo in base a queste considerazioni è possibile intendere il senso di quella teoria del “valore come costituito” presente in Idee II: le cose non assumono un valore solo in rapporto alle singole soggettività, ma hanno esse stesse un intrinseco valore.

Come nel caso della percezione è necessaria la considerazione di un’uguaglianza di base nella sfera della sensibilità, così anche il valore deve potersi fondare su una struttura tale da poter consentire l’accesso alla molteplicità dei soggetti in modo almeno simile, se non propriamente uguale: naturalmente, come le mie rappresentazioni percettive sono primariamente “mie” e solo in secondo luogo condivisibili, lo stesso ragionamento deve valere a maggior ragione per la sfera pratica.

Il parallelismo tra percezione e percezione del valore è chiaramente espresso da Husserl nelle prime pagine di Idee II e viene poi ripreso, ad uno stato avanzato dell’opera, in relazione alla formazione del mondo circostante personale.

In queste pagine Husserl chiarisce che lo stato immediatamente successivo all’apprensione della “mera cosa” è quello della percezione dei valori, legata alla sfera dell’emotività: a partire da questa riflessione è necessario chiedersi se possa o meno esistere la reale percezione di una “mera cosa”, slegata dagli strati di senso che questa cosa reca con sé.

Io credo che la distinzione tra percezione della mera cosa e percezione del valore di questa cosa stessa sia una distinzione a fini metodologici: ciò che sempre si dà è la cosa nella sua interezza, nelle sue molteplici stratificazioni di senso derivanti dal nostro intenzionarla in una molteplicità di atti intrecciati.

Se è però indubbio il cogliere sempre le cose nella loro interezza, è anche indubbio lo sforzo husserliano di restituire nei particolari il complicato processo genetico sotteso alla percezione: la percezione e la percezione-del-valore procedono parallele nel processo percettivo se considerato da un punto di vista statico, ma mostrano, da un punto di vista genetico, l’incremento delle capacità del soggetto di cogliere la realtà circostante in modo sempre più complesso.

Espressione di questo sviluppo nei gradi complessità è il fatto che le cose richiamano sempre, se così si può dire, non solo dal punto di vista della coscienza dossica, ma anche da quello della coscienza pratico-emotiva, in quanto, lo si ribadisce, queste cose stesse non influiscono sull’essere umano unicamente a livello sensibile, ma anche a livello del Gemüt. Attraverso il rapporto con le cose del mio ambiente circostante, io non ho solo sensazioni primarie, ma anche sensazioni secondarie.

Ma si leggano le parole di Husserl:

Vivendo nell’intuizione meramente sensibile, nel grado inferiore, attuandola teoreticamente, abbiamo colto teoreticamente e nel modo più diretto, una mera cosa. Passando ad afferrare esteticamente dei valori, a valutare dei valori, abbiamo più che una mera cosa, abbiamo una cosa col carattere dell’esser-così (oppure con l’espresso predicato) del valore, abbiamo una cosa di valore. Questo oggetto-valore, il cui senso oggettuale implica il carattere dell’essere costituito in quanto ente-valore, è il correlato dell’atto teoretico che coglie il valore. È quindi un oggetto di grado superiore. Osserviamo che la valutazione generale-originale del valore o, in termini generali, che qualunque coscienza come tale, che costituisca originariamente un oggetto di valore, implica necessariamente una componente che rientra nella sfera dell’emotività.69

Il processo è quello già spiegato: attraverso la coscienza dossica io pongo una cosa, ma questa cosa, grazie anche alla stimolazione della coscienza emotiva, mi si dà inoltre nelle sue specifiche caratterizzazioni di valore; con un grado più alto della coscienza teoretizzante io posso poi ritornare, con una modificazione dell’atteggiamento, sulla percezione del valore e obiettivarlo, sino a creare un oggetto di grado superiore, cioè un oggetto di valore.

Noi possiamo osservare un quadro “godendolo”. In questo caso viviamo nella realizzazione del piacere estetico, nell’atteggiamento del piacere, che è appunto un atteggiamento della “fruizione”. Poi possiamo giudicare “bello” il quadro con gli occhi del critico o dello storico dell’arte. Allora viviamo in un atteggiamento teoretico, nell’atteggiamento del giudizio e non più nell’atteggiamento valutativo, della fruizione. Se per “valutare”, per “stabilire un valore” intendiamo una disposizione emotiva dell’animo, siffatta che noi viviamo in essa, non possiamo definirla un atto teoretico. Se invece, come avviene spesso e in modo piuttosto equivoco, intendiamo per valutare un ritenere valido, un ritenere di ordine giudicativo, eventualmente un predicare su quel determinato valore, il termine valutare esprime una disposizione teoretica e non emotiva.70

Inoltre Husserl aggiunge che

questa peculiare modificazione dell’atteggiamento inerisce come possibilità ideale a tutti gli atti, e a essa corrisponde, per tutti gli atti, la corrispondente modificazione fenomenologica. Cioè tutti gli atti che non sono in partenza teoretici possono essere trasformati, attraverso una modificazione dell’atteggiamento, in atti teoretici.71

Ma per lo stadio attuale di questa ricerca è interessante soprattutto il momento iniziale dell’attivazione della coscienza emotiva, ovvero quello più originario e “fruitivo”, nel quale la percezione del valore ancora non si è trasformata in un giudizio sul valore:

La costituzione più originaria del valore si realizza nell’ambito emotivo, è quella dedizione preteoretica e fruitiva (nel senso più largo della parola) del soggetto egologico che sente, una dedizione per la quale, già decenni fa, in certe mie lezioni, avevo proposto l’espressione percezione del valore [Wertnehmung] . Quest’espressione designa qualcosa di analogo, nella sfera dei sentimenti, alla percezione [Wahrnehmung] , la quale, nella sfera dossica, significa la presenza originaria (autoafferrante) dell’io all’oggetto. Nella sfera del sentimento si ha, quindi, quel sentire per cui l’io vive nella coscienza di essere presso l’oggetto “stesso” sentendolo, e proprio a questo allude l’espressione “godere”, ecc.72

Della fase più originaria della percezione del valore, Husserl parla anche a pagina 191 di Idee II, inserendo nel discorso anche l’esempio della percezione della nota di violino:

Innanzitutto il mondo è, nel suo nucleo, un mondo che si manifesta sensibilmente, un mondo che si caratterizza come mondo “alla mano”, dato in una diretta esperienza intuitiva ed eventualmente colto nella sua attualità. L’io, nei suoi nuovi atti, si trova in riferimento con questo mondo dell’esperienza, per esempio negli atti valutativi, negli atti del piacere e del dispiacere. In questi atti, l’oggetto è presente alla coscienza come oggetto di valore, come oggetto gradevole, bello, ecc., e ciò in modi diversi, per esempio in una datità originaria, ove si costruisce, sulla base della mera rappresentazione intuitiva, un valutare il quale, se noi lo presupponiamo, nell’immediatezza della sua vivente motivazione svolge il ruolo di una “percezione” di valore [Wert-«Wahrnehmung»] (nei nostri termini: assunzione di valore [Wertnehmung] ), nella quale il carattere del valore si dà originariamente nell’intuizione. Quando sento una nota di violino, la gradevolezza, la bellezza è originariamente data se la nota muove il mio animo in modo originariamente vivente, e la bellezza come tale è data appunto attraverso il medium di questo piacere; lo stesso per il valore mediato del violino che produce questo suono, in quanto lo vediamo direttamente mentre le corde vengono sfiorate dall’arco, e cogliamo intuitivamente il rapporto causale che svolge qui un ruolo fondante. Nello stesso modo è data immediatamente e originariamente la bellezza della sua conformazione esterna, l’eleganza della sua forma, ove i particolari e i nessi che motivano il piacere vengono realmente in luce ed esercitano la loro forza motivante nell’unità dell’intuizione costituita. Ma la coscienza del valore può anche assumere il modo del piacere non originario e dell’apprezzamento del gradevole come tale, senza che l’animo venga sfiorato in modo “originario” e vivente: è questo, nella sfera del sentimento, l’analogo delle rappresentazioni oscure rispetto a quelle chiare. Quando io, a prima vista, trovo “bello” un violino, lo trovo un’“opera d’arte”, il piacere è imperfetto, e non è certo che dia veramente la bellezza. Quando trovo bello un violino, posso vederlo benissimo senza che il mio animo venga “propriamente” stimolato.73

La percezione è allargata a quella del valore, all’interno di un generale ampliamento dei cinque sensi ad un’iper-sensibilità: la costituzione del mondo da parte del soggetto non avviene solo attraverso le percezioni dei cinque sensi, approfondite nel primo capitolo, ma anche attraverso delle iper-percezioni della sfera pratico-emotiva, la quale fornisce non dei caratteri accessori della cosa, ma delle vere e proprie datità descrittive della cosa stessa (naturalmente non a livello sintetico, bensì estetico, passivo, anche se probabilmente ad un livello maggiormente attivo di questa stessa passività: esistono diversi strati non solo di attività, ma anche di passività e la percezione-del-valore, nel senso inteso in queste pagine, si pone sicuramente ad un livello di passività superiore, cioè con un elemento di attività maggiore, rispetto alla percezione). Solo l’ampliamento della nostra visione del soggetto ad un soggetto psicofisico ha permesso di poter comprendere appieno questo importante livello.

Il parallelismo tra la sfera della percezione e quella della percezione del valore, valido anche per tutte le altre sfere della ragione pratico-emotiva,74 non si ferma però a questo punto e prosegue nel senso di un’analogia delle modalità di funzionamento, di riempimento:

Ma così come esiste, per così dire, un rappresentarsi da lontano, un intenzionare dossico rappresentativo vuoto, un rappresentare che non comporta un essere-presso, esiste anche un sentire riferito all’oggetto, ma che è vuoto; e come il primo si riempie attraverso la rappresentazione intuitiva, così il vuoto sentire si riempie attraverso il godimento. In entrambi i casi abbiamo due intenzioni parallele che tendono verso qualcosa: da un lato vi è un tendere rappresentativo (conoscitivo, mirante alla conoscenza), dall’altro un tendere valutativo, mirante alla realizzazione di certe aspettative, al godimento. L’espressione parallela percezione-percezione del valore [Wahrnehmen-Wertnehmen] dovrebbe esprimere l’analogia. “Sentire il valore” rimane l’espressione più generale per dire coscienza del valore, e, in quanto sentire, esso è implicito in ciascun modo della coscienza, anche nei modi non originari.

Qui va pure tenuto presente che anche in una coscienza mirante a percepire il valore (in termini dossici: a intuire un valore), l’intuizione può essere “inadeguata”; vale a dire può essere anticipante e quindi munita di orizzonti di sentimento che si proiettano in avanti ma che sono vuoti, analogamente a quanto avviene per la percezione esterna. Con uno sguardo io colgo la bellezza di un antica costruzione gotica, che colgo però pienamente soltanto percependone gradualmente il valore e pervenendo, attraverso un rivolgimento dossico corrispondente, a una piena intuizione del valore. Infine, lo sguardo effimero può essere anticipante in un senso completamente vuoto, può preafferrare sulla base di indizi la bellezza senza pertanto cogliere realmente nulla della stessa. Questa anticipazione del sentimento basta già a un rivolgimento e a una predicazione di ordine dossico.75

Giunti all’esplicitazione del forte parallelismo tra percezione e percezione del valore, si comprende, dunque, anche il parallelismo, che sul primo si fonda, tra l’influsso che le cose possono svolgere sia a livello fisico che psichico.

Se da una parte è il mondo a stimolarmi, dall’altra, esso risulta sempre dipendente dalla mia soggettività, nel senso che

il mondo circostante non è il mondo “in sé”, ma un mondo “per me”, è, appunto, mondo circostante del suo soggetto egologico, esperito da esso, comunque presente alla sua coscienza, un mondo posto con un suo particolare statuto di senso attraverso i vissuti intenzionali del soggetto stesso. Come tale esso, in certo modo diviene costantemente, genera costantemente se stesso attraverso le evoluzioni di senso e le sempre nuove formazioni di senso, che comportano inerenti posizioni e cancellazioni di senso.76

Il mio mondo circostante è, dunque, dipendente non solo dalla mia somaticità, ma anche dalla mia psichicità:

Il mondo che sta di fronte al soggetto dipende dal corpo vivo e dalla peculiarità della psiche. Anche a prescindere dagli elementi riproduttivi che sono implicati nell’appercezione della cosa, la dimensione psichica ha un suo significato per la datità del mondo esterno in virtù delle relazioni di dipendenza esistenti fra il corpo vivo e la psiche. L’uso di stimolanti, le malattie del corpo vivo influiscono sul presentarsi delle sensazioni, dei sentimenti sensibili, delle tendenze, ecc. Viceversa, uno stato psichico come l’allegria, la confusione e simili influisce sui processi somatici. Grazie a questi nessi, il mondo esterno che si manifesta risulta relativo, non soltanto al corpo vivo, ma anche all’intero soggetto psicofisico. Bisogna quindi distinguere tra la cosa stessa, identica, e i suoi modi di manifestazione, che sono condizionati soggettivamente, cioè le sue note caratteristiche soggettivamente condizionate, che hanno una consistenza in relazione con me, col mio corpo vivo, con la mia psiche.77

Ma in cosa consiste questa essenziale peculiarità della psiche?

4. La psiche a confronto con l’oggetto: la funzione della temporalità

Sottolineando la realtà sostanziale della psiche, si afferma che la psiche è un’unità sostanziale-reale, in un senso analogo a quello in cui è tale la cosa materiale che costituisce il corpo vivo.78

Il discorso svolto sinora ha tentato di mettere in risalto proprio la questione appena espressa da Husserl: la psiche è incarnata nel corpo vivo ed è quindi parte della realtà cosale e possibile oggetto degli stimoli provenienti dalla realtà circostante.

È però ora arrivato il momento, per completare il quadro generale sull’unione tra psiche e corpo vivo, di sottolineare come la psiche presenti anche alcune caratteristiche tipiche di un ambito specificatamente soggettivo, tanto da renderla non solo irriducibile ad una mera cosalità materiale, ma anche una forma di “realtà” con caratteristiche proprie.

Si tratta di una ricerca che si potrà solo sfiorare perché, come dice Husserl nella Crisi:

se potessimo identificare la psychè di Eraclito con questa soggettività, varrebbero per essa la sue parole: “Qualsiasi strada tu percorra non arriverai mai a toccare i confini dell’anima, tanto profondo è il suo fondo. ” Qualsiasi “fondo” si raggiunga esso rimanda effettivamente ad altri fondi, qualsiasi orizzonte si dischiuda esso ridesta altri orizzonti; tuttavia il tutto infinito, nell’infinità del suo movimento fluente, è orientato verso l’unità di un senso, ma non è mai possibile giungere ad afferrarlo e a capirlo completamente.79

Sarà bene, dunque, cercare di procedere con ordine: nella valutazione delle specificità della dimensione psichica, ci si dovrà prima di tutto interrogare su cosa stia a significare il termine psichico:

Che cosa intendiamo con questo termine [psichico]? La prima cosa che l’esperienza porta in questo campo alla datità è un flusso senza inizio e senza fine di “vissuti”; questi vissuti ci sono noti in una molteplicità di tipi attraverso la percezione interna, l’“introspezione”, mediante le quali ciascuno di noi coglie nella loro originarietà i “propri” vissuti.80

In questa definizione del concetto di “psichico”, Husserl si richiama esplicitamente81 al pensiero di Wilhelm Dilthey: la coscienza è un’unità formata da un flusso perenne di stati di coscienza, di Erlebnisse; all’interno di questo flusso si trovano quindi una pluralità di vissuti82 legati l’uno all’altro attraverso dinamiche motivazionali.

Seguendo il corso del flusso io potrò concentrare l’attenzione su un insieme di vissuti o anche su un singolo vissuto, ma dovrò sempre anche tener presente l’unità del flusso stesso, i legami esistenti tra i diversi vissuti poiché, per essenza, lo psichico, non avendo un’estensione nel senso rigoroso del termine, non può subire alcuna frammentazione83:

Come mostra la stessa espressione figurata “flusso di vissuti” (o flusso di coscienza), i vissuti, le sensazioni, le percezioni, i ricordi, i sentimenti, gli affetti, ecc., non ci sono dati nell’esperienza come meri annessi, privi di connessione, dei corpi vivi materiali, come se venissero unificati vicendevolmente soltanto attraverso la comune connessione fenomenica con questi. I vissuti sono invece congiunti in virtù della loro stessa essenza, sono legati e intrecciati l’un l’altro, fluiscono l’uno nell’altro e a strati, e soltanto in questa unità è possibile il loro flusso. Nulla può essere strappato a questo flusso, nulla può essere posto come una cosa per sé.84

All’interno di questo flusso si possono riconoscere delle “aggregazioni”, degli strati perché «di contro all’inframmentabilità, indubbiamente essenziale, della psiche (inframmentabilità connessa con l’essenziale impossibilità che il flusso di coscienza si scomponga in una pluralità di connessioni monadiche) sussiste d’altra parte una certa divisione della psiche, una differenziazione in strati psichici che corrispondono agli strati della coscienza».85 Queste stratificazioni sono essenzialmente i vari concetti di io e il concetto di psiche:

Ma in certo modo, questo flusso unitario comporta anche altre unità, o meglio a questo flusso s’intrecciano unità che possono essere colte intuitivamente atteggiando adeguatamente lo sguardo, e anche queste unità devono essere considerate se si vuol portare alla chiarezza il campo fenomenologicamente originario dello psichico. Con questo campo sono in relazione i vari concetti di io (che vanno intesi in sensi diversi), oltre che il vero e proprio concetto di psiche, il quale non coincide affatto con il concetto di vissuti e di flusso dei vissuti.86

Il problema della stratificazione dell’io è fondamentale, ma l’elemento che si deve ora porre primariamente in luce è come il concetto di “flusso di vissuti” permetta di entrare nella sfera dell’immanenza, nella quale la caratteristica dominante è quella della temporalità:

Mentre per quanto riguarda gli stati materiali ci troviamo nella sfera della trascendenza, questo annunciarsi delle unità della psiche, dell’io psicologico, sembra portarci direttamente nella sfera dell’immanenza. Gli stati psichici, a prescindere dall’apprensione superiore, non sono più unità trascendenti, non sono altro che i vissuti, percepibili nell’immanenza, del flusso immanente dei vissuti; di quel flusso nel quale in definitiva si annuncia, attestandosi, ogni essere “trascendente”.87

Il fatto che in questa sfera dell’immanenza del flusso venga a svolgere un ruolo non solo importante, ma propriamente costitutivo, la temporalità, si evince già dallo stesso concetto eracliteo di flusso, ripreso da Husserl per caratterizzare questa sfera stessa. La soggettività, la psychè eraclitea, non solo è caratterizzata dallo scorrere, ma in questo scorrere è come se si trovasse la sua stessa essenza.

Infatti il flusso di vissuti non è un flusso che scorre in modo casuale, vorticoso, ma è un’unità in base alla motivazione.88

Il concetto di motivazione è un concetto fondamentale per tutto il discorso di Idee II: esso assume un ruolo fondamentale quando il soggetto diviene personalità culturale, ma già da quando il corpo dell’uomo si trasforma da Körper a Leib, quindi non appena ad un corpo inanimato si aggiunge il versante animante della psiche, esso inizia a far sentire il proprio influsso, trasformando la causalità naturale in una causalità psicofisica, sino a divenire poi vera e propria motivazione legata ad un soggetto caratterizzato dalla piena libertà.

Il concetto di motivazione è l’espressione più alta del fatto che il soggetto psicofisico è ««una cosa di un genere particolare, tanto che non si può ordinare senz’altro nella natura come un elemento tra tanti.»89

Se, infatti, tutte le cose della natura materiale sono identificabili tramite un insieme di proprietà matematiche permanenti, sottostanti alla legge della causalità naturale,

la psiche non ha un “in sé” come la “natura”, non ha né una natura matematica come la cosa della fisica né una natura come la cosa dell’intuizione (perché non è un’unità schematica). Per quanto riguarda la causalità bisogna dire: se chiamiamo causalità quel rapporto funzionale o legale di dipendenza, che è il correlato della costituzione di proprietà permanenti di un reale permanente del tipo natura, non si può parlare di una causalità a proposito della psiche. Non ogni funzionalità regolata secondo leggi della sfera dei fatti è di ordine causale. Il flusso della vita psichica ha la sua unità in sé, e se la “psiche” che inerisce a un corpo vivo sta nel contesto funzionale di una reciproca dipendenza col corpo vivo cosale, la psiche ha certe sue proprietà psichiche permanenti, che esprimono certe dipendenze regolate dello psichico dal somatico. Essa è un essente che sta in un riferimento condizionale con le circostanze somatiche, con circostanze della natura fisica. Allo stesso titolo la psiche è caratterizzata dal fatto che gli eventi psichici hanno un seguito, e in modo regolato, nella natura fisica. D’altra parte, questa connessione psicofisica e le sue regole caratterizzano anche il corpo vivo: ma né il corpo vivo né la psiche ottengono così “proprietà naturali” nel senso della natura logico-matematica.90

La psiche sottostà al regno della motivazione, e «il poiché-dunque della motivazione ha un senso completamente diverso da quello della causazione naturale»91: se nella causazione naturale regnano leggi ineluttabili, nel campo della motivazione legata alla soggettività è, invece, ben difficile reperire leggi fisse. All’interno della soggettività, e della motivazione che la regola, non si ritrovano infatti leggi fisse, ma si possono al massimo constatare delle invarianze.

Spiegandosi meglio: la sfera dello psichico è un flusso di vissuti, ma questi vissuti non sono in alcun modo proprietà della psiche:

Così come non tutto ciò che una cosa materiale ha è una proprietà reale in senso specifico (e ciò vale per esempio per la sua estensione e per il suo schema), analogamente, non tutto ciò che il soggetto psichico ha è una proprietà reale. Esso è in riferimento con i vissuti di coscienza in modo tale che li ha, li vive e vive in essi; ma questi vissuti non sono sue proprietà, sono semplicemente i suoi modi di comportamento, i suoi “stati psichici”. Il soggetto “ha” anche il suo corpo vivo e, si dice, col suo corpo vivo sono “connessi” i suoi vissuti psichici. È chiaro però che il soggetto psichico non è primariamente in relazione con il corpo somatico in quanto cosa materiale e, mediatamente, con i vissuti che a esso ineriscono. Le cose stanno proprio al contrario: il soggetto psichico ha una cosa materiale come corpo vivo, perché questo è animato, cioè perché ha vissuti psichici, i quali, in virtù del senso stesso dell’appercezione dell’uomo, sono fusi in una maniera particolarmente intima con il corpo vivo.92

Io ho i miei vissuti, li vivo, ma essi non sono mie proprietà, anzi, essi sono la base sulla quale possono poi fondarsi le mie proprietà psichiche:

Ogni proprietà psichica […] è in relazione con determinati e omogenei gruppi di vissuti reali e possibili; questa relazione è analoga a quella esistente tra la proprietà materiale e le “manifestazioni” schematiche reali e possibili in cui essa si annuncia o potrebbero annunciarsi.93

Quindi anche la psiche, come la cosa, è un’unità di proprietà, ma la differenza tra queste due unità di proprietà è che se quella della cosa è schematizzabile in base all’azione della causazione, quella del soggetto non è invece schematizzabile proprio in base alla diversa azione della motivazione: io non vengo motivato come la cosa viene causata, io non sono un’unità nella quale si possano riconoscere invariabili rapporti di causa-effetto, ma posso al massimo essere un’unità nella quale si possono riconoscere delle permanenze nei miei modi di comportamento, legati, a loro volta, alle reali circostanze.

Io posso essere motivato in modo sempre diverso e non posso, dunque, essere schematizzato, circostanza che si amplifica sempre più al crescere del soggetto. Anche «le proprietà psichiche sono quindi “unità che si annunciano”»,94 ma esse possono, in definitiva, annunciarsi in modi sempre diversi: a partire dal mio comportamento sensibile, sino alle mie proprietà come personalità “alta”,95 culturalmente determinata, le mie proprietà psichiche sono in continuo divenire e, quindi, mai schematizzabili.

Per chiarire la questione, sarà utile leggere il passo con il quale, in Idee II, Husserl apre l’importante paragrafo Differenze fondamentali tra la realtà materiale e la realtà psichica, in cui il filosofo chiarisce «in che misura si possa parlare allo stesso titolo di realtà […] sia per la natura materiale sia per la natura psichica»96:

Per quanto riguarda la causalità, essa è un’idea costitutiva per la natura materiale, per l’idea della cosa fisica; cioè: tutte le note caratteristiche “interne” della cosa, in quanto note caratteristiche di un essere permanente, di una durata, sono a loro volta permanenti, e ciascuna di queste caratteristiche esprime un comportamento permanente (una permanente conformità del comportamento a certe leggi) nel contesto causale delle modificazioni.

Ma che dire della realtà della psiche? Anch’essa è un essere permanente di fronte a circostanze mutevoli, e tuttavia bisogna considerare più da vicino il genere di queste “circostanze” e di questo “permanere”. Questa realtà è portatrice di una vita psichica e del suo avere soggettivo, e come tale è un’unità che si estende attraverso il tempo (lo stesso tempo entro cui si dà la durata del corpo vivo), “agisce” entro la physis e ne subisce certi influssi; essa mostra la sua identità in questo: che nell’insieme, date certe circostanze fisiche, si “comporta” e reagisce secondo certe regole, sente così e così, percepisce così e così, ecc. Grazie a questi modi regolati di comportamento le vengono attribuite certe proprietà psichiche. Ma non si tratta di proprietà permanenti dello stesso genere della cosa.97

Husserl continua sottolinenando come per chiarire la questione si debba

far presente il modo in cui si costituiscono le proprietà della cosa e il modo in cui si costituiscono le proprietà della psiche. La cosa si costituisce come un’unità di schemi; più precisamente, come l’unità della necessità causale nel contesto delle dipendenze, la quale si presenta attraverso molteplicità di schemi. La psiche invece non si schematizza.98

La causa fondamentale dell’impossibilità di attuare schematizzazioni all’interno dello psichico risiede soprattutto nel fatto che la psiche, essendo un flusso, non può per principio rimanere immodificata e, quindi, sempre con le medesime proprietà:

Inoltre: nell’ordine delle possibilità di principio, la cosa materiale può restare completamente immodificata, nelle sue proprietà come riguardo ai suoi stati. Allora il molteplice schematico riempie la durata con un’uguaglianza continua e priva di modificazioni. La “cosa” psichica invece non può, per principio, rimanere immutata e innanzitutto non può permanere in uno stato psichico immodificato. La vita psichica è, per una necessità essenziale, un flusso; quindi, ovviamente, è priva di qualsiasi analogia con la forma spaziale in quanto forma di realtà che, almeno nell’ordine della possibilità, può esistere senza alcuna modificazione. Per la psiche, insieme con la necessità del mutamento degli stati, si dà la necessità della citata modificazione delle proprietà psichiche attraverso la formazione di nuove disposizioni: ogni vissuto lascia indietro certe disposizioni e crea una certa novità nella realtà psichica. Sicchè questa realtà è qualcosa che si modifica costantemente.99

Se il flusso è di per sé in totale antitesi anche solo con l’ipotesi dell’immodificazione, della stabilità, all’interno di questo scorrere si potranno comunque anche rilevare delle invarianti: la prima invariante di base da riconoscere è proprio quella dello scorrere stesso, ovvero della temporalità interna.

Che cosa infatti potrebbe mai essere lo scorrere del flusso se non temporalità? È in questo senso che Husserl può affermare, come già visto, che il flusso non si caratterizza come un turbinio indistinto, bensì come un insieme regolato di mutazioni e di permanenze in base all’azione della temporalità che lo lega.

In Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Husserl scrive:

Ma, per principio, nessuna fase di questo flusso va dispiegata in una serie continua; quindi, il flusso non bisogna immaginarselo come se ogni sua fase si estendesse in identità con se stessa. Tutto al contrario: noi troviamo, di principio, e necessariamente, un flusso di costante “mutamento”, e tale mutamento ha questo di assurdo, che scorre esattamente come scorre, e non può scorrere “più veloce” né “più lento”.100

La costante di base del flusso di coscienza è quindi la forma della coscienza interna del tempo, la quale è anche l’unità primigenia della motivazione, nel senso che, come Husserl stesso chiarisce in Idee II, pur non essendo io sempre motivato, stimolato in modo razionale, in qualsiasi motivazione potrò sempre ritrovare la regolare forma della temporalità:

Non è detto che nell’unità del mio flusso di vissuti ogni vissuto sia necessario, necessariamente condizionato dai vissuti precedenti e impliciti in quello attuale. Quando diciamo che ogni vissuto di un atto è motivato e sta in un intreccio di motivazioni, ciò non implica che ogni prendere di mira sia tale “in conseguenza di”. Quando io percepisco una cosa, la tesi implicita nel percepire non sempre è una tesi “in conseguenza di”; così quando nel cielo notturno vedo improvvisamente brillare un meteorite, o quando sento d’un tratto schioccare un colpo di frusta. Eppure, anche qui si può dimostrare un specie di motivazione, che è inclusa nella forma della coscienza interna del tempo. Questa forma è qualcosa di assolutamente stabile: è la forma soggettiva dell’adesso, del prima, ecc. A questo non posso cambiare nulla. Tuttavia sussiste qui una unità dell’inerenza in virtù della quale la posizione giudicativa “adesso è questo” determina la posizione futura “ci sarà qualche cosa”, oppure anche: adesso ho un vissuto-prima c’è stato un vissuto. Abbiamo qui un giudizio motivato da un altro, ma prima ancora del vissuto si motivano a vicenda le forme temporali. In questo senso si può dire che anche l’unità globale del flusso di coscienza è un’unità della motivazione.101

Non bisogna però in alcun modo confondere questa temporalità interna della coscienza con il tempo obiettivo102: ogni flusso ha il proprio scorrere, la propria intrinseca temporalità e

nulla di tutto questo è tempo obiettivo. Per mezzo della analisi fenomenologica non si può trovare neanche una briciola di tempo obiettivo. Il “campo temporale originario” non è qualcosa come una porzione di tempo obiettivo, l’“ora” vissuto, in sé preso, non è un punto del tempo obiettivo, e così via. Spazio obiettivo, tempo obiettivo e, con essi, il mondo obiettivo delle cose e degli eventi reali — queste sono tutte trascendenze.103

Al livello attuale della ricerca, ciò che risulta particolarmente interessante è la temporalità interna, presente in ogni soggettività come base caratterizzante e specifica: ognuno ha la propria temporalità e solo successivamente queste diverse temporalità soggettive possono trovare una forma comune nella temporalità obiettiva.

Come sostiene Husserl:

Le diverse persone hanno un loro diverso tempo soggettivo in quanto i singoli soggetti (fin tanto che non si è ancora attuata tematicamente un’entropatia e non si è ancora prodotta tematicamente la collettività delle persone entro cui la persona si è costituita come tale) hanno dal canto loro la loro temporalità nel fluire della loro coscienza.104

Il fatto che ogni soggettività abbia una propria specifica temporalità non deve però far pensare che la temporalità svolga una funzione d’isolamento. Ognuno ha costitutivamente un proprio tempo soggettivo, e questa è una caratteristica imprescindibile proprio in quanto basata sul diverso flusso interno di coscienza presente in ogni soggetto, ma queste diverse temporalità soggettive possono, come Husserl stesso lascia esplicitamente intendere nel passo sopra citato, mediarsi attraverso l’empatia. La differenza tra le diverse temporalità soggettive permane tale solo sino a quando si considera il soggetto nel suo stato primordiale, ma non appena si tiene conto della naturale condizione di essere empatico di quest’ultimo, si scoprirà che la diverse temporalità, pur permanendo tali, possono mediarsi sino a creare un tempo unico obiettivo.

La distinzione tra diverse temporalizzazioni, tra diversi flussi, al fine di spiegare l’unicità, la singolarità dei corpi vivi psicofisici,105 non implica in alcun modo isolare il soggetto, ma significa solo voler sottolineare l’unicità di ogni singola soggettività in quanto storia unica ed irripetibile.

La considerazione della psichicità come storicità è una considerazione vitale per tutto il discorso husserliano, non solo poiché apre allo studio delle tematiche sulla temporalità interna, ma anche perché credo rappresenti il punto d’arrivo del discorso sulla ricerca delle distinzioni tra Ding e Leib: solo il soggetto umano è dotato di una coscienza interna del tempo e di una storicità e, quindi, l’uomo è anche l’unico essere che mai, per principio, potrà ritornare ad uno stesso e identico stato complessivo.

Ma si legga il fondamentale passo dove Husserl, in Idee II, esprime questo concetto:

Come risulta dall’illustrazione delle differenze tra la natura materiale e la natura psichica, l’idea di realtà richiede, dunque, una più precisa delimitazione. Entrambe si ordinano sotto l’idea formale: “unità di proprietà permanenti in relazioni con inerenti circostanze”. Ma per quanto riguarda il genere particolare delle “proprietà” e delle “circostanze” occorre stabilire una differenziazione. Le “circostanze” […] possono essere esterne o interne, oppure parzialmente esterne e parzialmente interne. Le circostanze interne non sono naturalmente stati del reale stesso in quel segmento di tempo a cui si rifà l’osservazione; piuttosto, noi prendiamo lo stato complessivo, e quindi il reale così com’è in un dato punto del tempo, e cerchiamo di stabilire ciò da cui esso dipende in quanto stato reale.106

In base a questa distinzione tra le diverse possibili tipologie di circostanze

si profila questa curiosa constatazione: che le cose materiali sono condizionate esclusivamente dall’esterno e non dal loro proprio passato; esse sono realtà senza storia. Ciò risulta da questo (e insieme determina il senso di queste considerazioni): che l’essenza della realtà materiale implica, sia pure in mezzo a tutta una vicenda di modificazioni, la possibilità dell’identità materiale, e più precisamente in maniera tale che in questa modificazione non ha luogo alcun incremento o diminuzione della materialità (due possibilità che a loro volta ineriscono all’essenza di questa realtà). Parimenti alla realtà materiale inerisce la possibilità ideale di un ritorno, attraverso processi ciclici, a circostanze esterne identicamente uguali a quelle in cui già si era trovata, per quanto ciò possa essere, in determinati casi, estremamente improbabile. Ma la realtà materiale è articolata in modo tale che, nel caso di un simile ritorno ciclico, dovrebbe presentare uno stato complessivo identicamente uguale. Al contrario, l’essenza della realtà psichica implica che per principio essa non può tornare allo stesso e identico stato complessivo: le realtà psichiche hanno appunto una storia. Due cicli limitrofi di circostanze esterne agirebbero nello stesso modo sulla stessa psiche, ma nella psiche stessa i decorsi psichici degli stati non sarebbero gli stessi, perché lo stato precedente determina funzionalmente quello successivo.107

Essere soggetti storici significa possedere non solo quelle dipendenze psicofisiche delle quali si è gia precedentemente parlato, ma anche dipendenze che Husserl chiama “idiopsichiche” e ciò significa che

la coscienza (se lasciamo parlare l’apprensione che troviamo di fronte a noi, e non un’interpretazione teoretica che le è estranea) risulta dipendente, per così dire, da se stessa. Nell’ambito di un’unica e medesima psiche la particolare compagine complessiva di vissuti dipende dalle precedenti compagini di vissuti, oppure: quando, date certe circostanze interne, cioè nell’ambito di un certo stato complessivo di coscienza, interviene una modificazione nella forma di un nuovo stato che si fa avanti, ciò dipende anche dallo stato precedente della stessa psiche.108

Inoltre Husserl sottolinea anche che

persino là dove si fa avanti una sensazione come “effetto di stimoli esterni”, il modo in cui “viene accolta nella coscienza” è condeterminato da questa nuova regolamentazione. I vissuti passati non sono scomparsi senza lasciar traccia, ogni vissuto ha delle ripercussioni. L’essenza della psiche comporta una continua riformazione e riplasmazione di disposizioni che vanno sotto i titoli noti di associazione, abitudine, memoria, oltre che modificazione sensoriale motivata, modificazione motivata delle convinzioni, delle direzioni del sentimento (disposizioni o prese di posizione nell’ordine del sentimento oppure corrispondenti astensioni), delle direzioni della volontà, che certamente non possono venir ridotte, per il senso stesso dell’apprensione, alla mera associazione. La psiche ha quindi complessi di disposizioni, e perciò conformazioni reali, che si annunciano in quanto generate da essa stessa, sottoposte ai suoi influssi e non determinate da relazioni esterne. È chiaro che questo genere di dipendenza non può essere definito un analogo della causalità fisica, meno ancora della condizionatezza da parte di circostanze esterne.109

L’unione tra psiche e corpo crea dunque qualcosa di unico: la materia diviene vita e la causalità deve cedere il passo alla storicità, all’individualità delle singole motivazioni di ciascuno, base per la formazione di ogni personalità.

5. Conclusioni ed un breve confronto con le ricerche di Antonio Damasio

Attraverso le considerazioni appena svolte nei paragrafi precedenti (le quali non pretendono in alcun modo di proporsi come esaustive sull’argomento), siamo quindi giunti a comprendere quale sia la posizione husserliana riguardo al rapporto tra psiche e corpo e riguardo a ciò che più caratterizza la realtà psichica.

Proprio in questa più totale contrapposizione al dualismo tra res cogitans e res extensa, in questa volontà di reincarnare la psichicità nella materialità del corpo e del mondo, io credo si possa ritrovare una dei maggiori elementi di attualità del pensiero husserliano. Si deve, infatti, anche considerare con attenzione che le riflessioni del filosofo tedesco sullo statuto del Leib (da intendersi sempre come unione di psiche e corpo vivo) non sono fini a se stesse, ma informano anche la visione gnoseologica della fenomenologia.

Se, infatti, il soggetto fenomenologico non trova più la propria essenziale peculiarità nella caratteristica di un’assoluta sinteticità, se il suo destino è invece un costante legame con la propria base iletica, ciò significherà dover ripensare non solo lo statuto della soggettività, ma anche quello delle modalità che a questo soggetto sono offerte per giungere alla conoscenza.

Il legame del soggetto con la propria base iletica non deve infatti essere concepito come un mero intralcio sulla via della conoscenza teoretica: nel pensiero husserliano non esiste solo un avvicinamento alla realtà di ordine logico, ma ne esiste, come penso di aver messo in luce, anche uno di ordine estetico. Questa conoscenza estetica diviene una modalità gnoseologica a pieno titolo, non solo, come si potrebbe semplicisticamente pensare, in quanto base per gli atti di ordine teoretico, ma in quanto per Husserl viene ad assumere un valore proprio, autonomo, arricchendo la vita dell’uomo con nuovi strati di senso, ai quali il pensiero logico non potrebbe mai farci accedere.

La necessità di un rinnovato legame tra soggetto ed esperienza credo si possa rinvenire anche nella caratterizzazione della psichicità nel senso della temporalità interna. Se, infatti, la psiche viene intesa come un flusso temporale legato in base a dinamiche di tipo motivazionale e se la prima forma di motivazione che si può riconoscere è quella della temporalità interna, ciò significherà legare l’essenza stessa della psichicità alle dinamiche corporee: da dove potrebbe infatti provenire il senso primario della temporalità se non dal continuo susseguirsi di ritenzioni e attese che ci giungono attraverso l’opera della sensibilità?

L’attualità del pensiero husserliano sulla questione credo si faccia ancora più evidente considerando la sua incredibile vicinanza con le riflessioni scientifiche emerse in questi ultimi anni nell’ambito della neurologia in seguito alla fondamentali scoperte, tutt’ora in progresso, sull’azione dei neuroni-specchio.110 Anche la ricerca scientifica, penso in particolare a scienziati come Vittorio Gallese o Antonio Damasio, percepisce infatti sempre più l’esigenza di considerare l’individuo come un unicum psico-fisico, “carne del mondo” come direbbe Maurice Merleau-Ponty, e di reincarnare la comprensione all’interno della corporeità viva.

Ripercorrere in modo completo il percorso di possibili analogie riscontrabili tra la fenomenologia husserliana e le riflessioni della neurologia è un compito che richiede tutt’altro spazio di approfondimento e considerazioni su problemi differenti rispetto a quello che ho cercato di trattare in questa ricerca (come, ad esempio, la basilare questione dell’empatia husserlina), vorrei però ugualmente provare a focalizzare l’attenzione su alcuni punti principali.

In primis vorrei concentrarmi sul concetto di “simulazione incarnata” proposto da Vittorio Gallese, concetto di una rilevanza enorme non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello filosofico: se Husserl giunge a parlare dell’«incarnarsi di una soggettività»,111 Gallese esprime la stessa basilare necessità proprio attraverso la “simulazione incarnata”, la quale esprime la fondamentale evidenza che l’uomo, in quando imprescindibilemente legato alla propria corporeità, non necessita originariamente di nessuna spiegazione di ordine teoretico-linguistico per conoscere; proprio come in Husserl, la prima possibile forma di conoscenza è di ordine estetico, non sintetico, è legata alla nostra corporeità, «a come siamo fatti e a come funzioniamo nel mondo.»112 Con il concetto di “simulazione incarnata”, Gallese intende infatti «un meccanismo di natura essenzialmente motoria, molto antico dal punto di vista dell’evoluzione umana, caratterizzato da neuroni che agirebbero immediatamente prima di ogni elaborazione più propriamente cognitiva»113: attraverso l’azione di questi neuroni con proprietà “specchio” noi saremmo, per esempio, in grado di vivere come significative le azioni altrui esclusivamente su base motoria, in un ordine di conoscenza “passiva” come direbbe Husserl.

La medesima concezione del soggetto come “organismo” e la medesima necessità di ricongiungere la conoscenza all’ambito della sensibilità si ritrovano nelle ricerche di Antonio Damasio.

Antonio Damasio è un neuroscienziato, neurologo e psicologo che si è profondamente interrogato sulle possibili basi biologiche della coscienza. I suoi studi scientifici, naturalmente, travalicano gli interessi e le possibilità di questa breve ricerca, ma, proprio in questi studi, si trovano considerazioni che ritengo molto interessanti dal punto di vista filosofico in generale e, in particolar modo, se pensate in relazione proprio alle ricerche husserliane sullo statuto del Leib.

L’intenzione di Damasio è quella di interrogarsi sul problema della coscienza partendo, proprio come Husserl, da un contesto che elimini il dualismo mente-corpo e che si basi, all’inverso, sul concetto di essere umano come organismo. Il senso di tale scelta credo risieda nella convinzione che, unicamente considerando l’uomo come un essere psico-fisico, si potranno trovare gli adeguati supporti per interrogarsi sui fondamenti della sua psichicità.

Si legga cosa sostiene l’autore nel suo scritto dal titolo Emozione e coscienza:

l’organismo coinvolto nell’attività relazionale della coscienza è l’intera unità del nostro essere vivente, il nostro corpo, per così dire, e tuttavia risulta che quella parte dell’organismo che si chiama cervello mantiene al suo interno una sorta di modello di tutta la faccenda. È un fatto strano, degno di nota e solitamente trascurato, ed è forse l’indizio di per sé più importante per capire quale possa essere il fondamento della coscienza.

Sono giunto alla conclusione che probabilmente l’organismo, così come viene rappresentato all’interno del suo cervello, è un precursore biologico di ciò che alla fine diviene l’elusivo114 senso di sé. Le radici profonde del sé, compreso il sé articolato che abbraccia identità e persona, vanno ricercate nell’insieme di dispositivi cerebrali che mantengono continuamente e non consciamente lo stato del corpo entro il ristretto intervallo e la relativa stabilità necessari alla sopravvivenza. Tali dispositivi rappresentano senza interruzioni, non consciamente, lo stato del corpo vivente, nelle sue molteplici dimensioni.115

Se già in Husserl si era osservato quanto fosse complicato capire in che modo potesse darsi il “passaggio” tra percezione della corporeità e coscienza della propria integrità psico-fisica, in Damasio questo passaggio viene risolto in un modo che trovo pienamente in linea con le riflessioni husserliane: non può esistere una divisione netta tra la percezione della corporeità e la consapevolezza della propria organicità psico-fisica, perché la coscienza è, alle sue origini, consapevolezza delle modificazioni che gli oggetti esterni provocano sull’organismo, «il senso di sé nell’atto di conoscere un oggetto».116

La tesi che Damasio si propone di sostenere in tutto il suo libro Emozione e coscienza è infatti che «la coscienza, proprio come l’emozione, sia mirata alla sopravvivenza dell’organismo e, proprio come l’emozione, affondi le radici nella rappresentazione del corpo.»117 Non può essere un caso, sostiene l’autore, se le strutture dell’attenzione, dell’emozione e quelle che regolano e segnalano lo stato del corpo sono addirittura anatomicamente sovrapposte, ma ciò sta invece a dimostrazione del fatto che esse sono tutte tese alla gestione della vita118: la coscienza sarebbe il mezzo più avanzato che la natura abbia sviluppato per la gestione della vita.

L’importanza della coscienza per l’intera vita dell’organismo dipende dal fatto che “il problema della coscienza” non è limitato alla dimensione psichica, «confinato alla questione del sé»,119 ma è un problema che ingloba l’intero essere vivente, in quanto la coscienza è intrinsecamente, come direbbe Husserl, intenzionale: la coscienza è sempre coscienza di qualcosa, è sempre coscienza di una modificazione che un oggetto provoca su di noi.

Su queste basi, Damasio divide il “problema della coscienza” in due punti fondamentali:

Il primo è di capire come il cervello umano produce le configurazioni mentali che, in mancanza di un termine migliore, chiamiamo le immagini di un oggetto.120

Quanto al secondo problema della coscienza, si tratta di capire come il cervello, insieme alle configurazioni mentali, genera un senso di sé nell’atto di conoscere.121

La coscienza troverebbe quindi il proprio fondamento in una rappresentazione non cosciente degli stati dell’organismo, alla quale l’autore dà il nome di «proto-sé, il precursore non cosciente dei livelli del sé che nella nostra mente appaiono come i protagonisti coscienti della coscienza: il sé nucleare e il sé autobiografico.»122

Proprio come in Husserl, «la coscienza non è un monolito»,123 ma ha molteplici stratificazioni; Damasio ne riconosce, come fondamentali, due: la coscienza nucleare e quella estesa.

La “coscienza nucleare”, alla quale corrisponde un “sé nucleare”, è un senso di sé nel “qui ed ora” contingente ed è definito come

un fenomeno semplice, biologico, che ha un unico livello di organizzazione, è stabile in tutto l’arco della vita dell’organismo, non è una caratteristica esclusiva degli esseri umani e non dipende dalla memoria convenzionale, dalla memoria operativa, dal ragionamento o dal linguaggio.124

La “coscienza estesa”, alla quale corrisponde un “sé autobiografico”,125 è il tipo di coscienza maggiormente stratificato ed è un «senso elaborato di sé»,126 il quale fornisce all’organismo un’identità e una persona «e colloca la persona in un punto del tempo storico individuale, con la piena consapevolezza del passato vissuto e del futuro previsto e con una profonda conoscenza del mondo circostante»;127 inoltre si può definire come «un fenomeno biologico complesso, con vari livelli di organizzazione, che si evolve nel corso della vita dell’organismo»;128 è probabilmente presente anche in altri animali, ma solo negli esseri umani raggiunge i suoi massimi livelli e si arricchisce del linguaggio.

Ad ognuno di questi livelli la coscienza è «la configurazione mentale unificata che riunisce l’oggetto e il sé»129 ed è «un fenomeno privato, vissuto in prima persona»,130 anche se è però collegato a comportamenti esteriori, osservabili da terzi: in essa, infatti, si riconosce sia l’emozione, cioè «la collezione di risposte, in gran parte osservabili pubblicamente»,131 sia il sentimento, termine che l’autore utilizza «per l’esperienza mentale, privata, di un’emozione».132

Il sentimento ha un ruolo primario nella dimensione non cosciente del “proto-sé”, definito come «una collezione coerente di configurazioni neurali che formano istante per istante le mappe dello stato della struttura fisica dell’organismo nelle sue numerose dimensioni.»133 Proprio su questa “rappresentazione inconscia del corpo” si fonderebbe la coscienza:

Suggerisco che il senso di sé abbia un precedente biologico preconscio, il proto-sé, e che le prime e più semplici manifestazioni del sé emergano quando il meccanismo che genera la coscienza nucleare opera su tale precursore non conscio.134

Ogni livello di coscienza sarebbe quindi legato alla corporeità e, incredibilmente, proprio attraverso ciò che anche nelle riflessioni husserliane si può individuare come il punto di maggior intreccio tra psichicità e corporeità: il sentimento.135

Il senso di sé, il quale si sviluppa a partire dal proto-sé, troverebbe infatti la propria base nel «sentire di conoscere, il sentire ciò che accade quando un organismo è impegnato nell’elaborazione di un oggetto.»136 Correlativamente, la coscienza nucleare viene indicata in questi termini:

L’essenza della coscienza nucleare è proprio il pensiero di voi, proprio il sentimento di voi, come esseri individuali coinvolti nel processo del venire a conoscenza della vostra stessa esistenza e di quella degli altri.137

Se in Husserl il sentimento nasceva, ad esempio, come il “sentimento del cuore” ,138 come una iper-percezione che, partendo dal battito fisico del cuore si estendeva all’ambito dello psichico, così anche Damasio sembra descrivere la stessa situazione, descrivendo la coscienza

come sentimento di ciò che accade quando vediamo, udiamo o tocchiamo. Detto con parole un poco più precise, è un sentimento che accompagna la formazione di ogni genere di immagine, visiva, uditiva, tattile, viscerale, all’interno dell’organismo vivente. Collocato nel contesto giusto, il sentimento marca queste immagini come nostre e ci consente di dire, nel vero senso della parola, che vediamo, udiamo o tocchiamo.139

A questo riguardo, Damasio stesso, in Emozione e coscienza, ammette che:

Forse l’idea più sorprendente che presento in questo libro è che, in conclusione, la coscienza inizia come un sentimento, un genere particolare di sentimento, senza dubbio, ma nondimeno un sentimento.140

Quindi «le emozioni e i sentimenti riguardano tangibilmente il corpo»,141 esse hanno un perenne legame con la loro base iletica, ma proprio come in Husserl, anche in Damasio, affinché il soggetto divenga cosciente di questo suo proprio livello psico-fisico, esso deve prendere consapevolezza delle proprie emozioni, dei propri sentimenti. Come in Husserl esisteva il livello dell’io-uomo, così in Damasio si ritrova la necessità che, affinché gli stati psico-fisici possano «influenzare il soggetto al di là dell’immediato qui e ora»,142 debba essere presente anche uno «stato del sentir reso conscio»,143 chiamato altresì “sentimento del sentimento”.144

Naturalmente questo stato di coscienza del “sentimento del sentimento” nasce come una consapevolezza del tutto pre-logica, pre-inferenziale, pre-linguistica;145 anzi, è proprio questo stesso livello iniziale di coscienza a fornire il supporto per la fondazione dei meccanismi della ragione:

quando si dispone della coscienza, i sentimenti producono il massimo effetto e gli individui possono anche riflettere e pianificare. Possiedono lo strumento per controllare la tirannia delle emozioni: si chiama ragione. Ironia vuole, naturalmente, che i motori della ragione abbiano comunque bisogno dell’emozione, il che significa che la capacità di controllo della ragione spesso è modesta.146

In conclusione possiamo quindi affermare che sia la fenomenologia husserliana che le nuove ricerche scientifiche, le quali sembrano ormai le prime ad auspicare una “fenomenologizzazione delle scienze”, condividono la stessa concezione dell’uomo come organismo, come totalità psico-fisica: l’uomo è un essere incarnato e questa incarnazione non può essere concepita come una semplice caratteristica tra le tante, come un elemento estrinseco dell’essere umano, ma deve essere riconosciuta come ciò che più caratterizza l’uomo e come un’importante fonte di conoscenza, probabilmente molto più ampia e complessa di quanto la scienza e la filosofia stessa avrebbero potuto immaginare.

È incredibile come la fenomenologia husserliana, dopo un secolo di vita, riesca ancora a farci pensare, interrogare, problematizzare, addirittura in relazione a scoperte scientifiche contemporanee come quelle neurofisiologiche: tutto ciò non può che significare che questa stessa ricerca è ancora estremamente viva, attuale e proiettata verso il futuro.

6. Bibliografia

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  • Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, traduzione italiana di Alfredo Marini, Franco Angeli, Milano, 2001.
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  • Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Dalla parte di Swann, traduzione italiana di Giovanni Raboni, Mondadori, Milano, 2007.
  • Saffo, Poesie, traduzione italiana di Franco Ferrari, Rizzoli, Milano, 2001.
  • Edith Stein, Il problema dell’empatia, a cura di Elio Costantini ed Erika Schulze Costantini, Studium, Roma, 2000.

  1. Vincenzo Costa, I modi del sentire. Un percorso nella tradizione fenomenologica, Quodlibet, Macerata, 2009. ↩︎

  2. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, libro II, traduzione italiana di Enrico Filippini, rev. di Vincenzo Costa, Einaudi, Torino, 2002. ↩︎

  3. Edmund Husserl, Idee II, p. 96. ↩︎

  4. Edmund Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologia, libro I, traduzione italiana di Vincenzo Costa, Einaudi, Torino, 2002, p. 135. ↩︎

  5. Edmund Husserl, Idee II, p. 37. ↩︎

  6. Cartesio, Meditazioni metafisiche, traduzione italiana di Lucia Urbani Ulivi, Bompiani, Milano, 2007, cit. p. 269. ↩︎

  7. Cartesio, Meditazioni metafisiche, cit. pp. 263-265. ↩︎

  8. Platone, Alcibiade primo, in Opere complete, traduzione italiana di Piero Pucci, Laterza, Bari, 1971, cit. p. 47. ↩︎

  9. Cartesio, Meditazioni metafisiche, cit. p. 275. ↩︎

  10. Edmund Husserl, Idee II, pp. 33-34. ↩︎

  11. Edmund Husserl, Idee II, p. 169. ↩︎

  12. La traduzione di Enrico Filippini, rivista da Vincenzo Costa, recita «la psiche è costantemente fusa al corpo vivo», ma credo sia meglio tradurre «la psiche è costantemente una col corpo vivo», visto che nel testo originale tedesco si trova: «sie ist ja mit dem Leib ständing eins.» (Edmund Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Zweites Buch, hrsg. von Marly Biemel, Martinus Nijhoff, Haag, 1952, p. 167). ↩︎

  13. Edmund Husserl, Idee II, p. 169. ↩︎

  14. Aristotele, L’anima, traduzione italiana di Giancarlo Movia, Bompiani, Milano, 2008, cit. p. 59. ↩︎

  15. Edmund Husserl, Idee II, p. 142. ↩︎

  16. Edmund Husserl, Idee II, p. 241. ↩︎

  17. Edmund Husserl, Idee II, p. 154. ↩︎

  18. Si legga, ad esempio, ciò che Husserl sostiene a pp. 165-166 di Idee II: «Gli uomini come elementi del mondo esterno sono originariamente dati, in quanto siano appresi come un’unità di corpo vivo e di psiche: io esperisco i corpi vivi che mi stanno di fronte nella loro presenza originaria, come le altre cose, esperisco invece l’interiorità dello psichico attraverso l’appresenza.» ↩︎

  19. In realtà, nemmeno io stesso riuscirò mai del tutto a conoscere la mia psichicità e, a riprova di ciò, sta il fatto che a pagina 226 di Idee II Husserl parla esplicitamente della presenza di un inconscio↩︎

  20. A pagina 97 di Idee II, Husserl sostiene che: «Sotto il titolo […] di “io empirico” troviamo anche l’unità “io-uomo”, quell’io cioè che non soltanto si attribuisce i propri vissuti in quanto stati psichici, le sue nozioni, le sue peculiarità di carattere e tutte le altre caratteristiche permanenti che si manifestano nei vissuti, ma che definisce anche “sue” e quindi fa rientrare nella sfera dell’io anche le sue caratteristiche corporee.» ↩︎

  21. Aristotele, L’anima, cit. p. 117. ↩︎

  22. Edmund Husserl, Idee II, p. 100. ↩︎

  23. Edmund Husserl, Idee II, p. 100. ↩︎

  24. Edmund Husserl, Idee II, p. 98. ↩︎

  25. Edmund Husserl, Idee II, p. 183. ↩︎

  26. Edmund Husserl, Idee II , p. 242. ↩︎

  27. Husserl esprime molto chiaramente questo concetto a pp. 135-136 di Idee I: «La coscienza diventa coscienza umana e animale in senso reale soltanto grazie a un rapporto empirico con il corpo vivo, e soltanto così può occupare un posto nello spazio e nel tempo che si misura fisicamente.» ↩︎

  28. Edmund Husserl, Idee II, p. 242. ↩︎

  29. Edmund Husserl, Idee I, p. 137. Proprio legata a questa frase si trova una nota a margine che mi sembra importante ricordare: «completare, specie riguardo all’unità.» ↩︎

  30. Edmund Husserl, Logica formale e trascendetale, traduzione italiana di Guido Davide Neri, Laterza, Bari, 1966, p. 297. ↩︎

  31. Edmund Husserl, Idee II, p. 98. ↩︎

  32. Ibidem. Anche Edith Stein, ne Il problema dell’empatia, si sofferma sull’esistenza o meno della possibilità di scindere psiche e corpo vivo, condividendo la medesima posizione di Husserl: «Sussiste la possibilità di un Io senza corpo proprio [ in nota: «Ovviamente ci sarebbe da indagare che sorta di Io sarebbe mai questo, ossia se potrebbe essergli dato un mondo e quale esso potrebbe essere.»]. Viceversa un corpo proprio senza Io è assolutamente impossibile. Immaginare, fantasticando, il mio corpo proprio abbandonato dall’Io significa immaginare non più il mio corpo proprio, ma un corpo fisico che gli assomiglia in ogni tratto, ossia il mio cadavere. (Mentre io abbandono il mio corpo proprio, esso diviene per me un corpo come gli altri, e se io penso il corpo proprio allontanato da me, anziché averlo io abbandonato, questo allontanamento non è un “muoversi”, ma è un puro movimento del corpo).» (Edith Stein, Il problema dell’empatia, a cura di Elio Costantini e di Erika Schulze Costantini, Stdium, Roma, 2000, cit. p. 133). ↩︎

  33. Edmund Husserl, Idee II, pp. 98-99. ↩︎

  34. Edmund Husserl, Idee II, nota 1, p. 99. ↩︎

  35. Edmund Husserl, Idee II, nota 1, p. 99. ↩︎

  36. Edith Stein, Il problema dell’empatia, cit. p. 124. ↩︎

  37. A pagina 98 di Idee II, Husserl dice esplicitamente che: «Persino lo spettro ha necessariamente un corpo vivo spettrale. Certamente, quest’ultimo non è una cosa reale e materiale, la materialità che si manifesta è un inganno, ma proprio per questo è un inganno anche la sua psiche e lo spettro nel suo insieme.» ↩︎

  38. Jean-Françoise Courtine, L’essere e l’altro. Analogia e intersoggettività in Husserl, in A.A.V.V., Studi di filosofia trascendentale a cura di Virgilio Melchiorre, “Vita e Pensiero”, Milano, 1993, cit. p. 208. ↩︎

  39. Edmund Husserl, Idee II, p. 99. Anche a pagina 140 di Idee II, Husserl sostiene la possibilità dell’esistenza di realtà soprannaturali come vuota: «Sembra così che, in linea di principio e in termini formali, le realtà si suddividano in realtà meramente naturali, in realtà soprannaturali (prive di natura, prive di lati e di determinazioni di ordine naturale) e in realtà miste che, come la psiche hanno un lato naturale e uno idiopsichico. La seconda possibilità è per noi una possibilità vuota, ed è dubbio che possa essere mostrata. Nel mondo “obiettvivo”, nel mondo spazio-temporale, non possono darsi simili realtà.» ↩︎

  40. Edmund Husserl, Idee II, p. 125. ↩︎

  41. Edmund Husserl, Idee II, pp. 99-100. ↩︎

  42. Il concetto dell’incarnazione della psichicità in un corpo vivo come conditio sine qua non per una sua possibile esperibilità all’interno del mondo naturale, viene ribadito da Husserl anche a pp. 182-183 di Idee II, in un breve paragrafo intitolato La localizzazione dello psichico; mi sembra utile, almeno qui in nota, riportarlo quasi interamente: «A questo punto risulta ancora quanto segue: ogni strato è un’unità costituita. Noi possiamo considerare l’elemento “materiale” della costituzione nella sua essenza, staccandone l’apprensione realizzante (“formante”), possiamo dirigere lo sguardo verso il materiale della sensazione ed eliminare ciò che l’apprensione comporta in quanto sensazione localizzata del corpo vivo; allo stesso modo possiamo dirigere lo sguardo verso l’unità del flusso di vissuti e staccarne l’apprensione in cui esso si presenta in quanto stato dei vissuti di una cosa animale che ha vissuti. Allora, nel molteplice che volta per volta ci si propone, possiamo anche ritrovare unità che non sono più unità della natura. In particolare bisogna rendersi conto che con questa modificazione dell’atteggiamento, con questo stacco di ciò che prima era appreso come psichico dal corpo vivo fisico, va perduto qualsiasi inquadramento entro il mondo obiettivo, nello spazio e nel tempo del mondo. La psiche è nel corpo vivo, è là dove il corpo vivo adesso è. Nello stesso luogo sono anche questi e questi altri gruppi di stati di coscienza, queste e queste altre rappresentazioni, questi e questi altri moti del pensiero, giudizi, ecc. […]. Come la coscienza perde l’apprensione appercettiva in quanto complesso di stati psichici, in quanto strato del corpo vivo, come viene posta puramente in quanto coscienza, attraverso la riduzione fenomenologica (anche se non eidetica), viene meno la sua articolazione empirica nello spazio obiettivo. Tutto ciò può essere appreso anche come segue: la coscienza in sé, per esempio questa singola cogitatio nel suo contesto, è pensabile senza una natura; l’appercezione della natura stessa può essere posta in sé, come “questo qui!”. È pensabile però che essa, più precisamente: che la posizione, in essa implicita, della natura non possa giungere a esibire la sua legittimità, che non esista affatto una natura. In questo caso non esiste nemmeno uno spazio obiettivo, e la coscienza non può essere posta come essente nella natura (come stato di un animal), la coscienza è assolutamente a-spaziale.» ↩︎

  43. Edmund Husserl, Idee II, p. 142. ↩︎

  44. Edmund Husserl, Idee II, pp. 169-170. ↩︎

  45. Saffo, Poesie, traduzione italiana di Franco Ferrari, Bur, Milano, 2001, cit. p. 127. ↩︎

  46. Edmund Husserl, Idee II, p. 180. ↩︎

  47. Edmund Husserl, Idee II, p. 180. ↩︎

  48. Edmund Husserl, Idee II, p. 180. ↩︎

  49. Il confronto tra cosa materiale e soggetto sarà a breve oggetto di analisi. ↩︎

  50. Edmund Husserl, Idee II, pp. 181-182. ↩︎

  51. Edmund Husserl, Idee II, p. 181. ↩︎

  52. Edmund Husserl, Idee II, p. 181. ↩︎

  53. Edmund Husserl, Idee II, pp. 37-38. ↩︎

  54. Edmund Husserl, Idee II, p. 157. ↩︎

  55. Edmund Husserl, Idee II, p. 157. ↩︎

  56. Edmund Husserl, Idee II, pp. 158-159. ↩︎

  57. Edmund Husserl, Idee II, p. 138. Mi sembra interessante riportare l’intero passo: «Non abbiamo ancora considerato da vicino la sua [della realtà psichica] dipendenza dalle «circostanze». Da questo punto di vista, anche qui, si propone una certa stratificazione in base alla quale possiamo distinguere: 1) il lato psicofisico (o meglio fisiopsichico), 2) il lato idiopsichico, 3) le relazioni intersoggettive di dipendenza della realtà psichica. Per quanto riguarda il primo, è noto che la psiche dipende dal corpo vivo e perciò dalla natura fisica e dalle sue numerose relazioni. Innanzitutto, questa dipendenza sussiste per quanto riguarda le sensazioni (ivi comprese le sensazioni sensoriali del sentimento e dell’istinto), inoltre anche per le relative riproduzioni; l’intera vita di coscienza è investita da questa dipendenza, già per il fatto che ovunque le sensazioni e le riproduzioni di sensazioni (fantasmi) svolgono un certo ruolo.» (Edmund Husserl, Idee II, p. 138). ↩︎

  58. Edmund Husserl, Idee II, pp. 154-155. ↩︎

  59. Edmund Husserl, Idee II, p. 155. ↩︎

  60. Edmund Husserl, Idee II, p. 159. ↩︎

  61. Edmund Husserl, Idee II, p. 68. In questo breve passo a pagina 68 di Idee II, Husserl sottolinea anche come la condizionalità psicofisica debba necessariamente fondarsi su quella somatologica: «È questa la compagine originaria della condizionalità psicofisica (ove, sotto questo titolo, raccogliamo tutti i rapporti condizionali, che intercorrono tra l’essere cosale e l’essere soggettivo). Ogni condizionalità psicofisica comporta necessariamente una causalità somatologica; questa causalità investe immediatamente i rapporti dell’irreale, di un evento nella sfera soggettiva, con un reale che è il corpo vivo: mediatamente, invece, con un reale esterno, con un reale legato attraverso un nesso reale, e quindi causale, col corpo vivo.» ↩︎

  62. A pagina 167 di Idee II, Husserl afferma: «Per esempio, io “sento il mio cuore”, quando premo sulla corrispondente superficie del corpo; “nei paraggi del cuore” avverto anche un “sentimento del cuore”, che si fa più forte, che viene un po’ modificato; un sentimento che non fa parte della superficie tattile ma che è connesso con essa.» ↩︎

  63. Edmund Husserl, Idee II, pp. 166-167. ↩︎

  64. Edmund Husserl, Idee I, p. 63. Lo stesso importante concetto è ribadito in Idee II, in un passo sul quale si dovrà ritornare e che, quindi, preferisco qui citare in nota e solo in parte: «Innanzitutto, il mondo è, nel suo nucleo, un mondo che si manifesta sensibilmente, un mondo che si caratterizza come mondo “alla mano”, dato in una diretta esperienza intuitiva ed eventualmente colto nella sua attualità. L’io, nei suoi nuovi atti, si trova in riferimento con questo mondo dell’esperienza, per esempio negli atti valutativi, negli atti del piacere e del dispiacere.» (Edmund Husserl, Idee I, p. 191). ↩︎

  65. Edmund Husserl, Idee I, pp. 63-64. ↩︎

  66. Edmund Husserl, Idee II, p. 158. ↩︎

  67. Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, traduzione italiana di Enrico Filippini, Saggiatore, Milano, 2002, p. 189. Mi sembra interessante, almeno in nota, riportare per intero questo fondamentale passo husserliano: «Ma in quest’ordine di interessi, non è soltanto la cosa singola a rivelare, in qualsiasi percezione, quest’inattesa multiformità. La singolarità, per la coscienza, in sé non è nulla; la percezione di una cosa è percezione della cosa nel suo campo percettivo. E come la cosa singola della percezione ha un senso soltanto entro un orizzonte aperto di “percezioni possibili”, in quanto ciò che è propriamente percepito “rimanda” a rappresentazioni percettive che gli ineriscono concordemente, la cosa ha ancora una volta un orizzonte: di fronte all’“orizzonte interno”, c’è un “orizzonte esterno”, appunto perché la cosa è in un campo di cose; e ciò rimanda infine al mondo nel suo complesso, al “mondo della percezione”. La cosa è un cosa nel gruppo complessivo delle cose percepite in modo realmente simultaneo, ma questo gruppo, dal punto di vista della coscienza, non è per noi il mondo; in esso il mondo si rappresenta; esso, in quanto campo percettivo momentaneo, ha sempre per noi il carattere di un ritaglio “del” mondo, dell’universo delle cose di percezioni possibili. Questo è dunque il mondo volta per volta presente; esso si rappresenta per me attraverso un nucleo di “presenza originale” (che indica il carattere continuamente soggettivo di ciò che è attualmente percepito come tale), e attraverso validità interne ed esterne di orizzonte.» (Edmund Husserl, Crisi, pp. 189-190). ↩︎

  68. Edmund Husserl, Idee I, p. 63. ↩︎

  69. Edmund Husserl, Idee II, p. 14. ↩︎

  70. Edmund Husserl, Idee II, p. 13. ↩︎

  71. Edmund Husserl, Idee II, p. 13. Lo stesso importante concetto, teso a conferire pari dignità a qualsiasi tipo di atto, è ribadito anche poche pagine dopo: «Si tratta qui in realtà di peculiarità essenziali e generali che ineriscono a tutti gli atti costruiti e fondati. Il soggetto dei vissuti può vivere dapprima, in generale, nel compimento di un atto; e ciò può essere espresso in questo modo: nel senso privilegiato l’io è diretto verso il dato oggettuale, è dedito all’oggettualità. A seconda del genere fondamentale dell’atto, l’oggettualità si caratterizza in modi diversi e si presenta alla coscienza in modi diversi: oggetto di giudizio, oggetto di valore, oggetto di volere. Ma a questa situazione inerisce a priori la “possibilità” di una modificazione dell’atteggiamento del soggetto, una modificazione grazie alla quale, se non era inizialmente in un atteggiamento teoretico, può passare a un atteggiamento teoretico, a un atteggiamento, quindi, in cui l’oggettualità diventa oggetto teoretico, cioè oggetto di una posizione d’essere attualmente, in cui l’io vive e coglie elementi oggettuali, e li coglie e li pone come essenti.» (Edmund Husserl, Idee II, p. 16). ↩︎

  72. Edmund Husserl, Idee II, p. 14. ↩︎

  73. Edmund Husserl, Idee II, p. 191. Il seguito di questo passo continua nel senso di un’analogia con gli altri tipi di atto della sfera pratico-emotiva: «Analogamente stanno le cose a proposito degli oggetti degli atti del desiderio e pratici. Gli oggetti esperiti, in quanto oggetti di questo senso dell’esperienza, stimolano il mio desiderio oppure rispondono a certi bisogni in relazione con certe circostanze coscienzialmente costituite, per esempio in relazione col bisogno di nutrizione che di continuo si ridesta.» (Edmund Husserl, Idee II, pp. 191-192). ↩︎

  74. A pagina 15 di Idee II, Husserl sostiene chiaramente che il ragionamento di analogia tra percezione e percezione del valore, vale per tutta la sfera pratico-emotiva: «lo stesso accade in tutte le altre sfere. Anche nella sfera della volontà.» ↩︎

  75. Edmund Husserl, Idee II, pp. 14-15. ↩︎

  76. Edmund Husserl, Idee II, pp. 190-191. ↩︎

  77. Edmund Husserl, Idee II, p. 78. ↩︎

  78. Edmund Husserl, Idee II, p. 125. ↩︎

  79. Edmund Husserl, Crisi, p. 196. ↩︎

  80. Edmund Husserl, Idee II, p. 96. ↩︎

  81. È evidente che sia Husserl che Dilthey riprendono, a loro volta, il concetto di “flusso” da Eraclito, che viene citato da Husserl anche nella Crisi. Si potrebbe dire che i frammentari versi di Eraclito risuonano, come un vero e proprio sottofondo, in tutte quelle parti ove Husserl parla del coscienza come flusso. In Husserl si ritrovano anche le più vicine tesi di William James sulla fondamentale unitarietà della corrente di coscienza. ↩︎

  82. All’interno della sfera dei vissuti, Husserl, in Idee I, aveva compiuto una distinzione che, alla luce delle considerazioni precedentemente svolte sulle sensazioni mediate, risulta particolarmente importante; la distinzione è quella tra: «1) tutti i vissuti che nelle Ricerche logiche erano indicati come “contenuti primari”; 2) vissuti, o momenti appartenenti ai vissuti, che portano in loro la proprietà specifica dell’intenzionalità [nota a margine della copia A: “questa sarebbe dunque fondamentalmente un’intenzionalità di livello superiore”]. Appartengono al primo gruppo certi vissuti “sensoriali” che formano un’unità in quanto fanno parte di un medesimo genere supremo. Essi sono “contenuti di sensazione”, per esempio dati cromatici, acustici e simili, che ci guarderemo dal confondere con i momenti cosali che si manifestano, come colorazione, ruvidezza, ecc., che al contrario “si presentano” dal punto di vista del vissuto tramite i contenuti di sensazione. Allo stesso modo, appartengono al primo gruppo le sensazioni sensoriali del piacere e del dolore, del solletico, ecc., come pure i momenti sensoriali della sfera degli “impulsi”. Troviamo tali dati concreti appartenenti ai vissuti quali componenti in vissuti concreti più comprensivi che, presi come un intero, sono intenzionali, nel senso che al di sopra di quei momenti sensoriali c’è uno strato che, per così dire, li “anima”, che conferisce il senso (o che implica per essenza il conferimento di senso), grazie al quale dall’elemento sensoriale, che non ha in sé alcuna intenzionalità, si realizza appunto il concreto vissuto intenzionale. Non dobbiamo decidere qui se, nella corrente dei vissuti, questi vissuti sensoriali implichino sempre e necessariamente una qualche “apprensione animatrice” (con tutti quei caratteri che quest’ultima esige e rende possibili), cioè, come possiamo anche dire, se stiano sempre in funzioni intenzionali.» (Edmund Husserl, Idee I, pp. 213-214). ↩︎

  83. A pagina 137 di Idee II, Husserl sostiene espressamente: «Bisogna inoltre sottolineare un’altra differenza: la cosa materiale, in quanto res extensa, è per principio frammentabile conformemente all’estensione, con la quale essa coincide, può cioè frammentarsi in realtà parziali. In relazione con queste possibilità di suddivisione dell’estensione è evidente che la cosa si forma così e così [beschaffen] in questo punto, in questa parte, mentre altrove è conformata altrimenti. La psiche invece non conosce punti, non conosce parti. Essa è un’unità assolutamente indivisibile, naturalmente nel senso genuino e rigoroso di una psiche nella quale sarebbero distinguibili e quindi staccabili come parti altre psiche.» ↩︎

  84. Edmund Husserl, Idee II, p. 97. ↩︎

  85. Edmund Husserl, Idee II, pp. 137-138. ↩︎

  86. Edmund Husserl, Idee II, p. 97. ↩︎

  87. Edmund Husserl, Idee II, p. 135. ↩︎

  88. A pagina 229 di Idee II, Husserl, con un chiaro intento polemico sostiene: «Ma il problema è appunto questo: in che misura ciò è pensabile [una dimensione in cui non esistono ancora motivazioni], in che misura l’unità di un flusso di coscienza può essere unità anche senza una qualsiasi motivazione?» ↩︎

  89. Edmund Husserl, Idee II, p. 159. ↩︎

  90. Edmund Husserl, Idee II, p. 136. ↩︎

  91. Edmund Husserl, Idee II, p. 232. ↩︎

  92. Edmund Husserl, Idee II, p. 126. ↩︎

  93. Edmund Husserl, Idee II, p. 126. ↩︎

  94. Edmund Husserl, Idee II, p. 126. ↩︎

  95. A pagina 126 di Idee II, Husserl cerca di definire l’ambito delle proprietà psichiche dicendo: «Tra le proprietà psichiche nel senso che qui abbiamo illustrato, rientrano tutte le proprietà personali, il carattere intellettuale dell’uomo e tutte le disposizioni intellettuali che egli nutre, il carattere affettivo, il carattere pratico, tutte le sue facoltà spirituali, le sue abilità, le sue doti matematiche, il suo acume logico, la sua generosità, la sua gentilezza, la sua abnegazione, ecc. Anche i suoi sensi, le disposizioni che gli sono proprie e che lo caratterizzano nel suo comportamento sensibile, le disposizioni della sua immaginazione e simili sono proprietà psichiche.» ↩︎

  96. Edmund Husserl, Idee II, p. 131. ↩︎

  97. Edmund Husserl, Idee II, p. 131. ↩︎

  98. Edmund Husserl, Idee II, p. 131. ↩︎

  99. Edmund Husserl, Idee II, p. 136. ↩︎

  100. Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, traduzione italiana di Alfredo Marini, Franco Angeli, Milano, 2001, p. 102. ↩︎

  101. Edmund Husserl, Idee II, p. 230. ↩︎

  102. Anche Proust, in Alla ricerca del tempo perduto, sottolinea spesso la differenza tra il tempo obiettivo e il tempo interno della coscienza nel senso di due temporalità che scorrono in modo differente. Un esempio si può ritrovare a pagina 472 di Dalla parte di Swann: «anche da un punto di vista puramente quantitativo, i giorni della nostra vita non sono uguali fra di loro. Per percorrere i giorni, i temperamenti un po’ nervosi, come allora il mio, dispongono, al pari delle automobili, di diverse “velocità”. Vi sono giorni montuosi e malagevoli che richiedono per superarli, un tempo infinito, e giorni in discesa che si lasciano attraversare di gran carriera, cantando.» ↩︎

  103. Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, p. 45. ↩︎

  104. Edmund Husserl, Idee II, p. 209. ↩︎

  105. A pagina 209 di Idee II, Husserl sostiene che del fatto che «l’indice di questa situazione fenomenologica [diversi soggetti non possono per principio avere lo stesso “qui”] è l’impenetrabilità dei diversi corpi vivi coevi.» ↩︎

  106. Edmund Husserl, Idee II, p. 139. ↩︎

  107. Edmund Husserl, Idee II, pp. 139-140. ↩︎

  108. Edmund Husserl, Idee II, p. 139. ↩︎

  109. Edmund Husserl, Idee II, p. 139. ↩︎

  110. La possibilità di un reciproco scambio tra neurofisiologia e fenomenologia dell’empatia si inserisce all’interno di un progetto, ideato da Francisco Varela, il quale va sotto il titolo di “neurofenomenologia”. Per questioni di spazio non mi è possibile chiarire i termini di questo ampio e complesso progetto, per il quale posso solo rimandare al volume di A.A.V.V. Neurofenomenologia (a cura di Massimiliano Cappuccio, Mondadori, Milano, 2006), nel quale sono contenuti alcuni importanti contributi, tra i quali il saggio fondamentale di Vittorio Gallese Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività. Anche in questo caso è evidente come per la filosofia contemporanea, e più in particolare per la fenomenologia, sia non solo possibile, ma doveroso, confrontarsi con gli stimoli che altre discipline, scientifiche e non, possono offrire, soprattutto nel caso in cui altri settori possono fornire spunti fondamentali per un avanzamento nella scoperta della complessità del nostro rapporto con il reale. Collaborazione non implica forzatamente confusione tra discipline e metodologie diverse, ma, come direbbe Dieter Lohmar, “mutual inspiration and fertilisation” nel mantenimento di una chiara distinzione tra le diverse identità dei settori. La filosofia non può non mettersi in ascolto degli stimoli che la contemporaneità può offrirle perché altrimenti ciò significherebbe deteriorare la propria stessa essenza, che consiste nella generazione continua di strumenti per indagare ciò che fainomai, ciò che appare all’interno e all’esterno di noi stessi. La filosofia deve declinarsi al presente e al futuro, non solo al passato e perché ciò avvenga «bisogna essere pronti ad ascoltare. Se lo siamo, siamo anche in grado di oltrepassare il recinto dell’opinione corrente e di giungere su un terreno più libero.» (Martin Heidegger, Che cosa significa pensare?, traduzione italiana di Ugo Ugazio e Gianni Vattimo, Sugarco, Città di Castello, 1996, cit. pp. 105-106). Se solo un rinnovato legame tra scienza e filosofia potrà far recuperare alle scienze il legame con la complessità del mondo della vita, facendole recedere dal loro misconoscimento dell’ambito del qualitativo, dell’ambito percettivo, dalla generalizzazione che sfocia in eccessiva semplificazione, dalla loro possibile crisi, parallelamente, solo l’apertura della filosofia agli stimoli del presente potrà sottrarla all’eventualità di una crisi della filosofia stessa. ↩︎

  111. Edmund Husserl, Idee II, nota 1, p. 99. ↩︎

  112. Vittorio Gallese, Corpo vivo, simulazione incarnata e intersoggettività, in A.A.V.V., Neurofenomenologia, a cura di Massimiliano Cappuccio, Mondadori, Milano, 2006, cit. p. 315. ↩︎

  113. Michele Bracco, Empatia e neuroni a specchio. Una riflessione fenomenologica ed etica, in «Comprendere», 15, 2005, cit. p. 34. ↩︎

  114. Questo “elusivo senso del sé” non si riferisce all’intero del senso del sé che si potrà poi sviluppare nella coscienza, ma al livello di coscienza immediatamente successivo alla base organica, cioè il proto-sé che è “elusivo” in quanto non ancora cosciente. ↩︎

  115. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, traduzione italiana di Simonetta Frediani, Adelphi, Milano, 2007, cit. pp. 37-38. ↩︎

  116. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 41. ↩︎

  117. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 54. ↩︎

  118. Cfr. il paragrafo Una notevole sovrapposizione di funzioni, pp. 328-330 del testo di Antonio Damasio, Emozione e coscienza↩︎

  119. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. pp. 21-22. ↩︎

  120. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 22. ↩︎

  121. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 23. ↩︎

  122. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 38. ↩︎

  123. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 30. Anche a pagina 151 di Emozione e coscienza Antonio Damasio ribadisce che: «la coscienza non è un monolito. È ragionevole distinguere diversi livelli di coscienza, vi è quanto meno uno stacco naturale tra il genere semplice e il genere complesso ed esteso, ed è ragionevole anche distinguere diversi livelli o gradazioni nell’ambito della coscienza estesa.» ↩︎

  124. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 30. ↩︎

  125. Credo sia molto interessante notare come il concetto di “sé autobiografico” rinvii intrinsecamente al concetto di temporalità. Mi sembra di poter affermare che, sia in Husserl che in Damasio, la consapevolezza della propria interna temporalità si possa intendere come la caratteristica basilare di una coscienza che inizi ad essere una coscienza di tipo più maturo, caratteristica, per molti versi, esclusivamente degli esseri umani. ↩︎

  126. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, p. 30. ↩︎

  127. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, p. 30. ↩︎

  128. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 31. ↩︎

  129. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 24. ↩︎

  130. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 26. ↩︎

  131. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 59. ↩︎

  132. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 59. ↩︎

  133. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, p. 189. Importanti considerazioni in relazione al proto-sé sono anche le seguenti: «Non siamo coscienti del proto-sé. Il linguaggio non fa parte della struttura del proto-sé. Il proto-sé non ha capacità percettive e non detiene conoscenza.» (Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 190). «Il proto-sé non si trova in un unico posto ed emerge dinamicamente e di continuo da molteplici segnali interagenti che attraversano vari ordini del sistema nervoso. Inoltre, il proto-sé non è l’interprete di alcunché. È un punto di riferimento in ogni punto in cui è.» (Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 190). ↩︎

  134. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 189. ↩︎

  135. In Emozione e coscienza, Damasio ribadisce spesso la concezione del sentimento come punto d’unione tra corporeità e coscienza. Si legga ad esempio il seguente passo, il quale mi sembra particolarmente esplicito sull’argomento: «I sentimenti sono legati alla carne e alle azioni del cervello sulla carne e la coscienza che nascesse in un altro substrato non sarebbe coscienza umana.» (Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 378). ↩︎

  136. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 42. ↩︎

  137. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 158. ↩︎

  138. Faccio qui riferimento ad un passo fondamentale di Idee II: «Lo stesso quando io non soltanto tocco la superficie del mio cuore, ma premo più forte su di essa, quando schiaccio la carne, quando, attraverso essa, “sento”, col dito che preme, le mie ossa o le parti interne della mia carne (in modo analogo a quando sento l’interno di altri corpi); allora, con queste sensazioni di pressione e tattili, si connettono nuove e particolari sensazioni, che vengono attribuite alle parti corrispondenti e sentite dal corpo vivo.» (Edmund Husserl, Idee II, p. 167). ↩︎

  139. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 42. ↩︎

  140. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 375. ↩︎

  141. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 45. ↩︎

  142. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 53. ↩︎

  143. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 53. ↩︎

  144. Damasio sostiene infatti che: «alla semplice definizione di emozione come mutamento transitorio, con cause specifiche, dello stato dell’organismo corrisponde una semplice definizione del sentimento di un’emozione: è la rappresentazione di tale mutamento transitorio in termini di configurazioni neurali e conseguenti immagini. Quando le immagini sono accompagnate, un istante più tardi, da un senso di sé nell’atto di conoscere, e quando vengono intensificate, divengono coscienti. Sono, davvero, sentimenti di sentimenti.» (Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 339). ↩︎

  145. In proposito Damasio afferma che: «Le parole e le frasi del linguaggio sono la traduzione di qualcos’altro, una conversione di immagini non linguistiche che rappresentano entità, eventi, relazioni e inferenze. Se il linguaggio opera per sé e per la coscienza nello stesso modo in cui opera in ogni altro caso, vale a dire simboleggiando in parole e frasi ciò che già esiste in forma non verbale, devono esistere un sé non verbale e un conoscere non verbale dei quali le parole “io” e “me” o la frase “io so” sono le traduzioni appropriate, in qualsiasi lingua. Ritengo che sia legittimo dedurre dalla frase “io so” la presenza di un’immagine non verbale del conoscere centrato su un sé, che precede e motiva l’espressione verbale.» (Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 136). ↩︎

  146. Antonio Damasio, Emozione e coscienza, cit. p. 78. ↩︎