Interrogarsi sul contributo che la fenomenologia husserliana può offrire nel quadro di un’analisi articolata della soggettività richiama, ineludibilmente, alla riflessione sul metodo della filosofia e sul ruolo del pensiero filosofico rispetto ad essa e per giungere a tale meta occorre precisare, in modo ancor più preciso, che tipo di soggettività intendiamo quando parliamo di soggettività fenomenologica.1 La soggettività fenomenologica è la soggettività degli atti della coscienza, della coscienza di essere, di agire, ma è una soggettività autocritica, che, seguendo il modello cartesiano, rimette in discussione i dati immediati della coscienza o le credenze non fondate su una rigorosa evidenza trascendentale.2 Il tema è assai vasto e noi preferiamo, in questa sede, concentrarci su taluni aspetti riguardanti il discorso metodologico sull’intenzionalità della coscienza in Husserl per poi collegarla alla teoria della soggettività, come unità di atti intenzionali, idea proposta da Husserl nel suo fondamentale testo: Ideen zur einen reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie.3 Uno dei punti fondamentali su cui si erge il discorso husserliano riguardante la soggettività è legato al metodo fenomenologico, che si propone di ritornare all’origine del pensiero nella sua effettività, nel suo essere pensiero o rappresentazione di “qualcosa” (oggetto) per “qualcuno” (soggetto), questa effettività si delinea, però, dalla distinzione tra “noesi” e “noema”, cioè tra pensiero pensante e pensiero pensato, distinzione che egli riprende dalla tradizione platonica, integrandola con il percorso cartesiano, al quale Husserl è esplicitamente debitore,4 ebbene questa distinzione è importante per evitare di far scendere la filosofia a livello della mera discorsività, o del mero scambio di opinioni, la filosofia è, per Husserl, una “scienza rigorosa”, è la scienza degli atti della coscienza nella loro varietà. Questo passaggio, qui da noi semplicemente accennato, è fondamentale per osservare la direzione del pensiero husserliano, la sua finalità immanente, che è una finalità ben precisa. Oggi come oggi abbiamo notato come la soggettività sempra essere una tematica divenuta ormai quasi obsoleta, almeno sul piano teoretico e epistemologico, soppiantata dalle filosofie postmoderne e poststrutturaliste, nelle quali essa sembra assumere un valore relativo e non più fondamentale, eppure, noi siamo dell’avviso che la prospettiva fenomenologica husserliana potrà contribuire ad una maggiore chiarezza della distinzione tra i vari atti del pensiero e all’edificazione di una soggettività razionale che possa però avere sempre ben chiara la consapevolezza dei limiti normativi del suo pensiero assertorio o logico, limiti legati alla storicità e alla relatività dei suoi assunti logici.
Qui ci soffermiamo su una analisi delle strutture della coscienza pensante in Husserl in riferimento alla teoria esposta nelle “Ideen”, per poi collegarle ad una proposta di una soggettività non riduzionista e non psicologisticamente limitata ai “pregiudizi” delle scienze naturali, per poi notare come una prospettiva fenomenologica possa, a nostro avviso, ponderare meglio le tendenze riduzionistiche di alcune scienze neuropsicologiche o biologiche, le quali tendono a riproporre l’idea della coscienza solo come prodotto di meccanismi e non come libera attività intenzionale.5 Questo tema verrà da noi analizzato nel quarto paragrafo del presente saggio.
Occorre, ancora una volta, precisare che la fenomenologia husserliana si confronta con il problema gnesologico di fondo, quello inerente la coscienza e le modalità in cui la coscienza pensante entra in contatto con il mondo, se lo rappresenta, lo giudica, lo valuta e agisce in relazione ad esso, in questo spettro concettuale ruota l’asse portante delle modalità di analisi del pensiero in quanto pensiero “intenzionale” e “intenzionato” in cui la soggettività filosofica può essere riconsiderata.
1. Il Significato di «noema» e di «noesi» nella teoria della coscienza e del pensiero filosofico di Husserl
Onde comprendere il ruolo molto importante e, sovente, poco messo in luce, del rapporto tra pensiero “noematico” e pensiero “noetico” in Husserl, occorre ricondurre la distinzione tra le due espressioni, anzitutto alla radice filologica della parola “noein”: il “noein” è il pensiero nella sua intuitività originaria, nel suo essere atto di pensare “qualcosa”, di “porsi verso qualcosa”, quindi è atto intenzionale per eccellenza, solo attraverso il «noein» è possibile il “dianoein”: il pensiero discorsivo, quello che distingue, determina, contrappone, descrive e collega. Il pensiero dialettico in sostanza. Questa distinzione è alla base della gnoseologia occidentale da Platone a Hegel almeno, e ritorna, in una prospettiva ulteriore ad essere una distinzione fondamentale nell’ambito della fondazione “fenomenologica” husserliana e nella logica “attualistica” gentiliana, in quanto questa distinzione segna il punto fondamentale di ogni attività filosofica che sia realmente filosofica. Husserl è stato, come noto agli studiosi di filosofia, uno dei filosofi più influenti del pensiero europeo continentale, sopratutto per via del fatto che egli abbia delineato preponderatamente le basi metodologiche della fenomenologia come disciplina filosofica. Ovviamente qui non è la sede per ripercorrere il vasto e affascinante progetto filosofico husserliana, ma ci limitiamo semplicemente a tracciare le linee fondamentali del discorso di Husserl. Anzitutto Husserl vuole ridisegnare il rapporto gnoseologico a prescindere dalle prevalutazioni, dai pregiudizi che la tradizione, le abitudini culturali, sociali, ideologici, per ritornare all’essenza autentica del pensiero filosofico che è quello di pensare le Essenze di essere Wesenschau,6 per ritornare a questo livello di teorizzazione speculativa, occorre quindi focalizzare per Husserl il discorso sul “pensiero” in se stesso e su come esso si presenti alla coscienza umana. Il pensiero è quindi attività intenzionale nel senso che esso, come già dimostrò Franz Brentano, è sempre “pensiero di qualcosa”,7 ma allo stesso tempo è pensiero anche “di qualcuno” cioè di una soggettività intenzionale che è la coscienza. La fenomenologia husserliana si interessa alle condizioni, ai presupposti trascendentali di ogni teoria, la quale ambisca ad essere una teoria con un margine di plausibilità razionale e, di conseguenza, Husserl si riaggancia alla tradizione greca antica, in particolar modo a Parmenide e Platone per ciò che riguarda la distinzione tra episteme e doxa, tanto Parmenide, quanto Platone avevano parlato della distinzione tra il pensiero apparente (opionione) e il pensiero fondante (epistemologico), il primo è un pensiero dato da prese di posizione più o meno fondate, istintive, intuitive, che sono vere per colui che le afferma, ma che possono non essere vere per colui che ascolta, mentre il pensiero epistemico è un pensiero fondato sull’essere, sul mostrarsi della sua verità trascendentale.
Husserl, mediante l’epoche vuole ricondurre la filosofia ad essere scienza che si occupa delle essenze, intese come fenomeni originari, fenomeni che noi ritroviamo nella loro evidenza trascendentale, ciò significa compiere un percorso a ritroso, nel quale si parte dalle evidenze opinabili, le si “spogliano” delle loro accidentalità soggettivistiche e le si riconducono alle condizioni trascendentali intenzionali per comprenderle filosoficamente. Da qui si comprendere l’esigenza di Husserl di proporre il “pensiero” nella sua duplice valenza di noema e di noesis, cioè di pensiero rappresentato e di pensiero riflessivo.
Il verbo noein greco indica il pensiero come attività intuitiva e rappresentativa, il pensiero coem attività assoluta nel senso di pensiero svincolato dai limiti accidentali, pensiero quindi intenzionale, nel senso di indirizzato a qualche cosa di pensato, a un telos logico che lo fonda come pensiero appunto. Per chiarire il discorso ai lettori che hanno meno dimistichezza col gergo fenomenologico possiamo fornire degli esempi molto pratici a tal proposito: pensiamo a una persona A che vede un bel panorama e si rallegra, perchè sente gioia nel contemplare la bellezza della natura e esprime un giudizio riflettente, come direbbe Kant, di tipo: “che gioia vedere un bel panorama come questo! ”, ecco tale espressione, tale giudizio, per quanto semplice e, forse, banale esprime proprio l’intenzionalità nel senso husserliano: la persona non si rallegra perchè si rappresenta il panorama, ma perchè il panorama rappresentato è raffigurato intenzionalmente nella sua coscienza individuale come “bello” e quindi il panorama non è mero oggetto empirico, ma è oggetto raffigurato, appunto noema. Beninteso che lo stesso noema (il panorama) potrebbe essere percepito da un’altra persona, che indichiamo come persona B, come un panorama non gradevole. A questo punto possiamo ricondurre i giudizi estetici, riflessivi delle due persone A e B all’elemento noematico fondamentale: il panorama.
Un altro esempio: se io disegno un albero che vedo di fronte a me e un’altra persona vede il disegno e riconosce l’albero è chiaro, che nessuno direbbe che l’albero disegnato è l’albero empirico, ne è un noema intenzionale che un altra coscienza può comprendere. In questa distinzione, proposta da noi in modo molto semplice e diretto, si determina il discorso sulla riduzione fenomenologica rispetto al pensiero e qui però subentra un discorso sulla modalità del pensiero, su come cioè il pensiero possa effettuare queste riduzioni fenomenologiche e come possa poi determinarsi come filosoficamente come pensiero fenomenologico-scientifico, quindi epistemico.
A tal proposito occorre brevemente vedere come Husserl riprenda il concetto di Intuizione (Anschauung) in un senso diverso da quello kantiano, sostanzialmente l’intuizione è per Husserl un vedere (an-schauen) nel senso di un vedere le essenze, ma la domanda è come è possibile dire che si possano conoscere le essenze? Di che tipo di conoscenza si tratterebbe? Una conoscenza induttiva o deduttiva?
Per rispondere a queste domande, che sono legate al discorso sul noema e sulla noesi, occorre redigere un quadro sintetico delle posizioni fenomenologiche elaborate da Husserl.
Si potrebbe affermare, come spesso è stato effettuato, che Husserl si riagganci per così dire al discorso kantiano, al discorso sul “trascendentale” e in parte, ciò è vero, sebbene Husserl sviluppi un concetto di trascendenza e di intuizione ben diverso da quello elaborato da Immanuel Kant in Kritik der reinen Vernunft: per Husserl la trascendenza significa “trascendenza” rispetto all’immanenza delle rappresentazioni della coscienza e non “trascendenza” rispetto ai concetti dell’intelletto e “intuizione” significa molto di più che “intuzione” delle forme della sensibilità come in Kant, in cui l’intuizione è intuizione di spazio e tempo, come condizioni della appercezione trascendentale.
La intuizione come Anschauung è un “visionare l’essenza”, un’essenza intimamente legata al noema, cioè all’oggetto intenzionale del pensiero come “cogito”, il quale, a sua volta, rinbia alla coscienza come attività intenzionale, non deducibile da altro, se non dalla propria autoreferenzialità evidente. In questo quadro avvicente, si staglia il discorso sulla soggettività “non egologica” di Husserl, punto di estrema vicinanza, come vedremo con l’attualismo gentiliano, almeno nelle finalità speculative: superamento dell’idealismo hegeliano, mediante una rifondazione dell’idealismo stesso.
La non egologicità significa superare i limiti psicologistici di ogni visione soggettiva e ricondurli alla sua trascendenza ideale, tale è il programma della fenomenologia husserliana descritto anche nel rapporto tra psicologia sperimentale e psicologia trascendentale (fenomenologia), in breve, si tratta di ricondurre l’empiricità immediata degli Erlebnisse soggettivi, legati all’Io empirico all’Io trascendentale (Bewusstsein), non per negarli nella loro specificità, ma per riconsiderarli alla luce delle essenze noematiche e noetiche che in essi sono date (Gegebenheiten).8 La prospettiva del fenomenologo quindi è quella di superare definitivamente ogni immediata e acritica presa di posizione filosofica, dettata da pregiudizi, credenze, opinioni empiriche, per andare alle cose stesse (Zu den Sachen selbst!), ma tale esigenza teoretica pone la questione, se tale affermazione andrebbe intesa in senso empiristico oppure no. La risposta, seguendo Husserl, è proprio quella negativa. L’empirismo presuppone ciò che il fenomenologo mette in questione. Per tornare alle “cose stesse” occorre quindi tornare alla struttura universale della noematicità e delle noeticità degli atti che si vogliono analizzare fenomenologicamente, ciò significa passare da un pensiero discorsivo-logico-formale ad un pensiero riflessivo-meditativo: in tedesco, potremmo dire: “vom diskursiven und logischen Denken zum meditativen und nachdenklichen Denken”. Sostanzialmente Husserl sembra riprendere il “filo rosso” della tradizione gnoseologica e metafisica occidentale, di origine platonica, nella quale la conoscenza filosofica viene elevata a “visione” delle Ideen, ma si tratta di stabilire in che misura la visione eidetica possa fornire un fondamento alla fenomenologia come scienza rigorosa. «Noema» e «Noesi» sono quindi interdipendenti: Il noema è strettamente legato alla conoscenza logica deduttiva, per cui se io affermo che A è B poiché A possiede le stesse qualità noematiche di B, allora utilizzo principi logici formale: principio di identità, di non contraddizione e di terzo escluso e rifletto su un piano logico-formale. Non è un caso che tale problematica, quella di un superamento della logica strettamente formale (nel senso hegeliano di Aufhebung) è uno degli obiettivi fondamentali del progetto fenomenologico husserliano (dalla Philosophie der Arithmetik9 all’opera: Erfahrung und Urteil10).
Ma torniamo al discorso sul noema e a come Husserl lo presenta al terzo capitolo delle Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, dove egli affronta il tema “noesi e noema” specificatamente, noi qui citando i passaggi, a nostro avviso più importanti, tentiamo di delineare sinteticamente i punti salienti del discorso husserliano, per poi trarne delle riflessioni utili al confronto con l’attualismo per ciò che concerne la teoria del pensiero filosofico e della filosofia, nel suo contrapporsi al formalismo logico non riflessivo e al dogmatismo empirista o psicologistica, che entrambi i filosofi criticano in modo definitivo e perentorio, proprio a partire dalla ricontestualizzazione della soggettività nelle sue attività intenzionali che non sono psichiche solamente, ma spirituali, ovviamente per spiritualità si intende la coscienza dell’Io trascendentale. Husserl scrive nelle Vorbemerkungen:
Die Eigentümlichkeit des intentionalen Erlebnisses ist in seiner Allgemenheit leicht bezeichnet; wir verstehen alle den Ausdruck “Bewusstsein von etwas”, insbesondere an den beliebigen Exemplifizierungen. Desto schwerer sind die ihm entsprechenden phänomenologischen Wesenseingentümlichkeiten rein und richtig zu erfassen. Dass dieser Titel ein grosses Feld mühseliger Feststellungen, und zwar eidetischer Feststellungen umgrenzt, dass scheint der Mehrheit der Philosophen und Psychologen (wenn wir nach der Literatur urteilen dürfen) auch heute etwas Fremdes zu sein […] jedes Vorstellen bezieht sich auf Vorgestelltes, jedes Urteilen auf Geurteiltes usw. Ohne dass man ausserdem auf die Logik, Erkenntnislehre, Ethik hinweist mit ihren vielen Evidenzen, und diese nun als zum Wesen der Intentionalität gehörig bezeichnet […] Denn inwiefern logische und in gleicher Weise rein ontologische, rein ethische und sonst welche apriorischen Sätze, die man da zitieren mag, wirklich phänomenologischen Schichten dasselbe jeweilig zugehören mag, das ist keineswegs auf der Hand liegend […] In der Tat ist es ein langer und dornliger Weg, der von den rein logischen Einsichten, desgleichen von der gewöhnlichen normative und psychologischen Erkenntnislehre aus zur Erfassung von in echten Sinn immanent-psychologischen und dann phänomenologischen Gegebenheiten führt.11
Husserl riprende il rapporto, estremamente problematico della “proprietà” dei “vissuti intenzionali”, nel senso di ricondurre i vissuti, nella loro varia molteplicità alla coscienza, come anzitutto coscienza intentionalmente diretta a qualcosa, ma che però si pone essa stessa come coscienza di se stessa, per tale ragione la definizione brentaniana, da cui, nonostante tutto Husserl parte di coscienza intenzionale come coscienza di qualcosa, non è sufficiente a spiegare il rapporto tra i principi oggettivi (logici, etici) e il come l’individualità della coscienza li elabora intenzionalmente. Si tratta quindi di comprendere i momenti del vissuto che sono reali e intenzionali per la coscienza intenzionalmente attiva, da qui il discorso sul noema e la noesi, come Erlebniskomponente (componenti del vissuto intenzionale), qui si pone la domanda su cosa si definisce come “noema” in Husserl, tale domanda va posta alla luce della distinzione fondamentale tra: “componenti autentici dei vissuti intenzionali” e gli elementi “correlati” ad essi. Perciò afferma Husserl che:
Jedes intentionales Erlebnis ist, dank seiner noetischen Momente, eben noetisches; es ist sein Wesen, so etwas wie einen “Sinn” und ev. mehrfältigen Sinn in sich zu bergen, aufgrund dieser Sinngebungen und in eins damit weitere Leistungen zu vollziehen, die durch sie eben “sinnvolle” werden. Solche noetischen Momente sind z. B.: Blickrichtungen des reinen Ich auf den von ihm vermöge der Sinngebung “gemeinten” Gegenstand, auf den, der ihm im Sinne liegt“ […] Überall entspricht den Mannigfaltigkeit in wirklich reiner Intuition aufweisbarer Daten in einem korrelativen ”noematischen Gehalt“ oder kurzweg im ”Noema“ — Termini, die wir von nun ab beständig gebraucht werden. Die Wahrnehmung z. B. hat ihr Noema, zu erst in ihren Wahrnehmungssinn, d. h. das Wahrgenommene als solches. Ebenso hat die jeweilige Erinnerung ihr Erinnertest als solches eben als das ihre genau wie es in ihr Gemeintes oder Bewusstes ist; wieder das Urteilen das Geurteilte, das Gefallen das Gefallende als solches usw. Überall ist das noematische Korrelat, das hier ”Sinn“ heisst, genau so z nehmen, wie es im Erlebnis der Wahrnehmung, des Urteils, des Gefallens usw. ”immanent" liegt.12
In questo discorso husserliano è chiaro che il noema non è da intendersi come l’oggetto empirico del pensiero, della volizione, del giudicato, ma è piuttosto la realtà oggettuale rispetto a una coscienza che si pone ad essa in modo intenzionale, questo punto che sembra ovvio e banale è, in realtà, un punto fondamentale della riflessione fenomenologica, perché non si parla solo di oggettività nuda e cruda, ma di «orizzonte di senso“, infatti traducendo in italiano una parte del testo citato in originale si può leggere: ”La percezione ha ad esempio il suo noema nel senso della percezione, il percepito come qualcosa, allo stesso modo ogni ricordo nel ricordato come qualcosa per come esso è inteso e pensato, ancora il giudicare con il giudicato, il piacere come il piaciuto, dappertutto c’è un correlato noematico che qui chiamiamo “Senso”. Qui allora si può analizzare l’esempio che Husserl conduce onde precisare questa analisi fenomenologica:
Noi guardiamo con piacere in un giardino un albero di mele fiorente. È chiaro che la percezione e il suo piacere emozionale non è la stessa cosa del “percepito” e del “piaciuto”.
A questo punto si distingue la visione immediata che vuole esservi un rapporto reale e ovvio, ma il fenomenologo applica a questo punto la sospensione del giudizio («epoché»)13 e mette tra parentesi questo nesso, spostando il quesito sul rapporto noetico che vi è in questo vissuto. Qui non si tratta di valutare se l’albero di mela esiste o è invece frutto di allucinazione, questi aspetti sono aspetti empirici, quello che interessa è comprendere che ruolo svolga il percepito, il fenomeno rispetto all’atto intenzionale. Husserl dice allora che occorre descrivere la percezione nel suo aspetto noematico, nel suo aspetto quindi essenziale, ciò comporta una messa tra parentesi di tutti i pregiudizi empirici, psicologistici, razionalistisci che vogliono spiegare gli atti percettivi, senza coglierli nel loro nesso intenzionale, che è strutturale ogni forma di attività umana. A questo punto Husserl vuole inquadrare il “noema” nella sfera “psicologica” e questo programma viene intrapreso nel §89 per poi decostruire l’oggettività ingenua, distinguendo tra “oggetto immanente” e “oggetto reale”, su cui si apre il discorso sull’aspetto “noetico” dell’intenzionalità, aspetto che Husserl tratterà poi nel Quarto Capitolo delle Ideen zur einen reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. La distinzione tra i due livelli di oggettività ha una genuina radice filosofica, che è proprio quella riguardante la “visione filosofica” dell’oggettività noematica in rapporto alla coscienza “noetica” medesima, ma ora citiamo quello che Husserl a tal proposito scrive:
Ähnlich wie die Wahrnehmung hat jedes intentionale Erlebnis eben das macht das Grundstück der Intentionalität aus — sein “intentionales Objekt”, d. h. seinen gegenständlichen Sinn. Nur in anderen Worten: Sinn zu haben, bzw. etwas “im Sinne zu haben”, ist der Grundcharakter alles Bewusstseins, das darum nicht nur überhaupt Erlebnis, sondern sinnhabens “noetisches” ist.14
Sostanzialmente ogni idea di oggettività reale, mentale, immaginaria etc… è, quindi, un atto noetico ed ha un contenuto immanente alla coscienza (noesi) che lo raffigura o lo rappresenta, esprimendo valutazioni, opinioni, valutazioni, ciò stà ad indicare che Husserl rifiuta criticamente ogni forma di riduzionismo empiristico ingenuo (esattamente come, per altre vie teoretiche, fa lo stesso Gentile). In questo punto è importante soffermarsi sul concetto di riduzione fenomenologica, che è simile, ma diversa dalla teoria psicologica: la riduzione fenomenologica non pretende di stabilire nessi logici, deduttivi o induttivi perché essa vuole andare a cogliere l’essenza del «noema» e della «noesi» nella loro reciproca relazione originaria; la teoria psicologica invece ha uno scopo empirico, quello di andare agli aspetti qualitativi del singolo elemento psichico determinato e quindi non pratica la “riduzione” vera a propria. A tal proposito Husserl afferma che tanto nell’ambito fenomenologico, quanto in quello psicologico, si deve tener bene in vista il fatto che la teoria della percezione si riconduca a un elemento oggettivo non autoreferenziale:
Beiderseits, in psychologischer wie phänomenologischer Einstellung, ist dabei scharf im Auge zu behalten, dass das “Wahrgenommene” als Sinn, nicht in sich schliesst (also ihm auch nichts auf Grund “indirekter Kenntnisse” zugemutet werden darf), als was in dem wahrnehmungsmässig Erscheinenden gegebenfalls “wirklich erscheint”, und genau in dem Modus, in der Gebebenheitsweise, in der es eben in der Wahrnehmung Bewusstes ist. Auf diesen Sinn, wie er der Wahrnehmung immanent ist, kann sich eine eigenartige Reflexion jederzeit richten, und nur dem in ihr Erfassten hat sich das phänomenologische Urteil in treuem Ausdruck anzupassen.15
Per Husserl quindi si tratta di ricondurre il percepito, come qualcosa di rappresentato nella modalità della datità (Gebenheitsweise) nella quale c’è la coscienza come “residuo” fenomenologico, come quell’ineludibile realtà che è alla base di ogni atto noematico, tale elemento si trova in ogni atto intenzionale, che è sempre comunque atto di una coscienza che percpisce, pensa, vuole, valuta, giudica etc… quindi, Husserl analizza il rapporto noematico / noetico in rapporto alle varie “regioni” della razionalità in cui si fonda il principio di oggettivita, che è un principio di simultaneità noetico / noematico, il quale si presenta in varie regioni emozionali / volitive / attenzionali e logiche (teoria dei giudizi). Qui passeremo in rassegna sinteticamente i passaggi, a nostro avviso, più importanti nel dicorso sul “pensiero” nella fenomenologia, che condurranno alle riflessioni specifiche del capitolo 4 delle Ideen, quelle in merito agli atti noematici e noetici rispetto alle varie modalità di intenzionalità trascendentale (il rappresentare, il giudicare, il credere, il presupporre, il ritenere etc…). In tale discorso appare evidente che la fenomenologia vuole essere scienza degli atti intenzionali della coscienza, proprio perché la coscienza è sempre immanente e attuale al suo essere intenzionalmente diretta alle strutture noematiche. In questo contesto ci soffermeremo però, specificatamente, su tre aspetti fondamentali del discorso husserliano:
- il rapporto noema /noesi nella sfera dei “giudizi” (Urteilsphäre).
- il momento iletico e noetico come rapporto reale, e il momento noematico come “irreale”
- il discorso sull’atto (§ 115) in relazione al passaggio tra molteplicità degli atti noematici e unità noetica (sintetica) del pensiero intenzionale.
1.1. Noema e Noesi nella sfera dei giudizi logici
Husserl osserva come il noema e la noesi si descrivano nella sfera dei “giudizi” logici, intesi come “logica immanente” e non formale, cioè immanente ad “ogni atto” di valutazione, che è atto logico, a prescindere dal contenuto formale (vero/falso), il rapporto noema / noesi è alla base della attività logica giudicativa, che per Husserl, è alla base di ogni atto rappresentantivo e intenzionale. Riprendendo l’esempio dell’albero nel giardino, già dicendo, semplicemente “vedo un albero di mele nel giardino qui davanti”, si esprime un giudizio logico, nel senso di collegamento di noemi vari (albero, mele, giardino) . Questo tema è molto importante per comprendere tutto il discorso sulla realtà del pensiero intenzionale e della coscienza come “atto sintetico”. Il giudizio è, per Husserl, qualcosa di immanente alla coscienza nella sua intenzionalità logica, si giudica in base a ciò che si prendere per vero (Wahrnehmen) o si prende in considerazione (Annehmen), quindi il “giudizio” è elemento predicativo:
Betrachten wir als Beispiel aus dieser Sphäre fundierter Wesen das prädizierende Urteil. Das Noema des Urteilens, d. i. des konkreten Urteilserlebnisses, ist das "Geurteile als solches, das aber ist nicht anderes, oder mindestens seinem hauptfächlichen Kern nach nicht anderes, als was wir gewöhnlich einfach das Urteil nennen. Es muss hier, um das volle Noema zu erfassen wirklich in der vollen neomatische Konkretion genommen werden, in der es im konkreten Urteilen bewusstes ist. Das Geurteile ist nicht zu verwechseln mit dem Beurteilten.16
Si tratta quindi di partire dalla datità del “giudicato” come “qualcosa”, ma tale giudicato (geurteilten) non va confuso con il “valutato” (beurteilten), per comprendere questo importante passaggio husserliano occorre precisare che la lingua tedesca precisa in modo meticoloso la doppia valenza del “giudicare” (urteilen) come “giudicare” in senso astratto, mentre il verbo tedesco Beurteilen, semanticamente analogo, ha, però, una connotazione qualitativa e valutativa, che è conseguente all’atto originario del giudizio predicativo.
Ciò sta ad indicare una rifondazione della logica a partire non dalla formula astratta dei sillogismi presi in se stessi, ma dalla contestualizzazione immanente del noema, nel suo riferirsi al giudizio espresso da una coscienza valutante, il che significa tradurre la predicatività logica formale in una logica dell’attualizzazione immediata. Ciò che ci si rappresenta intenzionalmente ha un valore fondativo per la sfera del giudizio, in quanto il giudizio è espressione dell’intenzionalità valutativa (che può essere vera o falsa, a seconda delle prospettive in cui la si analizza), per ciò Husserl specifica:
Das Vorgestellte (als solches) erhält die Form des apophantischen Subjektes oder Objektes u. dgl. Der Einfachheit halber sehen wir dabei von der höheren Schicht des verbalen “Ausdrucks” ab. Diese “Gegenstände worüber”, insbesondere die Subjektgegenstände, sind die beurteilten. Das aus ihnen geformte Ganze, das gesamte geurteilte Was und zudem genau so genommen, mit der Charakterisierung, in der bildet das volle noematische Korrelat, den “Sinn” des Urteilserlebnisses. Prägnanter gesprochen, ist es der “Sinn in Wie seiner Gegebenheitswesen”, soweit diese an ihm als Charakter vorfindlich ist.17
Quindi per Husserl la soggettività e l’oggettività sono sempre legate alla rappresentazione, la quale si fonda su una forma di conoscenza visuale (Anschauen), il che indica che la soggettività non fonda l’oggettività come in Fichte,18 ma che essa si configura come simultanea all’atto intenzionale del pensiero, tale punto è fondamentale per comprendere la prospettiva fenomenologica nella sua pretesa di essere “scienza rigorosa” del pensiero.
Tale aspetto ha un ruolo fondamentale nella rifondazione del pensiero filosofico contemporaneo, tanto nella fenomenologia, quanto nella attualismo italiano, come analizzeremo nel prossimo paragrafo. Dunque la rappresentazione di un oggetto è il sostrato per la costruzione tanto della oggettività quanto della soggettività ed essa stessa è’una forma di conoscenza, qui la differenza tra Husserl e Kant, per Husserl esiste una intuizione noetica e conoscitiva, una intuizione trascendentale delle essenze (Wesenschau), che si esprime anche nella modalità del giudizio logico. Ogni giudizio è un atto della coscienza che lo formula a prescindere dal contenuto più o meno valido e come tale, va letto, fenomenologicamente, alla luce delle strutture noematiche e noetico che lo fondano fenomenologicamente.
Quindi la struttura noematica è il contenuto di un insieme di rappresentazioni che-si-presentano-come-già-date (Selbstgegebenheit), occorre poi comprenderne il discorso alla luce della ragione che le inquadra logicamente e filosoficamente, quindi Husserl non sostiene che il contenuto di verità si riduca ai «noemi» che in esso sono presenti, ma semplicemente che ogni possibilità di giudizio apofantico si struttura a partire dalla noematicità che si presenta alla attività intenzionale del pensiero logico, ma anche in questa riduzione trascendentale si ha l’esigenza di comprendere come il pensiero si possa per così dire sdoppiare in momento reale e irreale, concreto e astratto, momenti che in realtà sono uno con l’altro interdipendenti.
A tal proposito diamo una rapida occhiata al discorso sugli aspetti iletici del pensiero (noesi) e sugli aspetti formali (noematici), aspetti che mostrano come Husserl abbia in mente proprio il fondamento “vivente”, “reale” del pensiero filosofico come pensiero della coscienza intenzionale sul senso delle attività ad essa inerenti.
Husserl si sofferma attentamente sugli aspetti logico- formali delle varie tipologie di giudizi apofantici, assertorio e sul loro ruolo “oggettivo” in relazione all’oggettività intenzionale della ragione. Qui riportiamo sinteticamente i tratti essenziali di tale teoria protesa a salvaguardare l’autonomia del pensiero filosofico da altre posizioni scientifiche e l’autonomia dell’oggettività logica presente nel pensiero filosofico stesso.
1.2. Il momento iletico e noetico come rapporto “reale” e il momento noematico come “irreale”
Sempre nella stesura delle Ideen zur einen reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie Husserl teorizza una distinzione molto interessante per tutto il discorso sulla fondazione della logica filosofica e sulla Filosofia come strenge Wissenschaft, quello inerente agli aspetti del pensiero: iletico e formale. Cosa si intende con queste due espressioni? Cosa vuol sottolineare Husserl in questa sede? Per afferrare più adeguatamente il discorso in questione riteniamo utile citare le stesse parole del filosofo e poi commentarle in senso discorsivo, onde comprendere il fondamento in rapporto alla teoria sull’intenzionalità e sugli atti intenzionali in generale. Il momento iletico indica il momento del pensiero immediato, legato ai rapporti rappresentativi delle percezioni intenzionali a cui noi intenzionalmente ci rapportiamo nell’atto del giudizio, della valutazione, dell’opinione, a tal proposito scrive Husserl:
Ein phänomenologisches reines Erlebnis hat seine reelen Komponenten. Beschränken wir uns der Einfachheit halber auf noetische Erlebnisse unterster Stufe, somit auf solche, die nicht durch mehrfach übereinander gebaute noetische Schichten in ihrer Intentionalität komplex sind, wie wir dergleichen bei den Dankakten, den Gemütsakten und Willensakten konstatieren. Uns diese als Beispiel etwa eine sinnliche Wahrnehmung, die schlichte Beaumwahrnehmung, die wir, soeben in den Garten hinausblickend, haben, wenn wir in einer Einheit des Bewusstseins diesen Baum dort betrachten, der jetzt ruhig dasteht, dann vom Winde bewegt erscheint, und der sich auch insofern in sehr verschiedene Erscheinungsweise darbietet, als wir während unserer stetigen Betrachtung unsere räumliche Stellung zu ihm wechseln, etwa aus Fenster herantretend, oder bloß der Kpf oder Augenstellung verändernd, zugleich etwa die Akkomodation entspannend und wieder anspannend usw. Die Einheit einer Wahrnehmung kann in dieser Art eine große Mannigfaltigkeit von Modifikationen in sich befassen, die wir, als natürlich eingestellt Betrachter, bald dem wirklichen Objekte als seine Veränderungen zuschreiben, bald einem realen und wirklichen Verhältnis zu unserer realen psychophysischen Subjektivität, und endlich dieser selbst. Es gilt jetzt aber zu beschreiben, was davon als phänomenologisches Residuum verbleibt, wenn wir auf die “reine Immanenz” reduzieren, und was dabei als reeles Bestandstück des reinen Erlebnisses gelten dürfe, und was nicht. Und da heisst es sich völlig klarmachen, dass zwar zum Wesen des Wahrnehmungserlebnisses in sich selbst der “wahrgenommene Baum als solcher” gehört, bzw. das volle Noema, das durch die Ausschaltung der Wirklichkeit des Baumes selbst und der ganzen Welt nicht berührt wird; dass aber andererseits dieses Noema mit seinem “Baum” in Anführungszeichen ebensowenig in der Wahrnehmung reell enthalten ist, wie der Baum der Wirklichkeit.19
Qui Husserl affronta un tema di grande importanza per ogni analisi fenomenologica critica delle percezioni, che rifiuta ogni interpretazione deterministica delle medesime, perché mette in luce la prospettiva olistica delle teorie della percezione e di come questa prospettiva sia realmente legata alle modalità della interazione tra unità della coscienza e molteplicità delle rappresentazioni, legate alle percezioni neomatiche, ciò però indica l’aspetto iletico della rappresentazione, in altre parole della sua spazialità intellegibile, il momento iletico, quindi, è il momento in cui la coscienza percepisce e si orienta in una serie di atti logici, emozionali, affettivi che sono molteplici. Questo passaggio è importante per comprendere il rapporto tra “percezione” e “pensiero noematico”, rapporto che Husserl ritiene seguendo la tradizione di Berkeley e dell’idealismo simultaneo, come vedremo più approfonditamente nel prossimo capitolo del presente saggio. Husserl mette in luce il fatto che l’unità della percezione riferita ad un oggetto rappresentato (esempio: l’albero di melo nel giardino) può racchiudere una varietà molteplice di modificazioni alle modalità di “come esso viene visto” e ciò crea una questione per il metodo fenomenologico, il quale fonda il compito della fenomenologia che consiste nel descrivere ciò che rimane come “residuo” fenomenologico, quando noi riduciamo il tutto all’immanenza pura e ciò che invece elemento reale di un puro vissuto intenzionale. Qui si evince il discorso fondamentale della fenomenologia, il quale verte sul “ripensamento” del rapporto tra oggettività immediata e soggettività mediata come “coscienza di” su cui si apre la prospettiva filosofica come “scienza rigorosa” della coscienza umana.
Il momento iletico è il momento del pensiero percettivo nel suo “essere così e così” nel suo delinarsi alla coscienza in “un certo modo attuale” o in un “certo modo attualizzato (mediante il ricordo ad esempio) ed è un momento indeducibile, esso si presenta alla coscienza vivente dell’Io alla sua corporeità vitale (Leiblichkeit), intesa non nel senso materialistico o biologistico, ma nel senso fenomenologico di ”immediatezza di essere vivente“, non è casuale che Husserl usi la parola: «ileticità» e non materialità, la»ileticità» è la materia quasi come ”spazialità“ concreta di una serie di oggetti intenzionalmente legati alla ”prassi della coscienza intenzionale“ e non astrattamente pensati come ”noemi irreali".
Cosa intende però Husserl con “realtà ” e “irrealità” in questo contesto? Occorre precisare il senso, per nulla scontato, di queste due espressioni, sempre nel contesto della fenomenologia husserliana: L’unità della percezione manifesta una varietà di modificazioni che sono legate ai vari atti intenzionali della coscienza noetica, nel suo mettersi in “relazione ai noemi” stessi. Il momento iletico è questo momento attuale, in cui l’astrazione formale viene rimessa per così dire in discussione, mediante il flusso percettivo — riflessivo della coscienza attuale, che quindi “rivede” o ricontestualizza le sue opinioni, le sue convinzioni rispetto all’oggetto intenzionato o rappresentato.
1.3. Il discorso sull’Atto in Husserl: Il passaggio tra molteplicità degli atti noematici e unità noetica (sintesi) della coscienza intenzionale
Husserl sulla scia della grande filosofia tedesca critica e idealista è profondamente convinto del fatto che “pensare” sia, comunque unificare, riordinare, sistemare e orientarsi nella critica, di conseguenza, egli affronta in modo preciso le dinamiche teoretiche e trascendentali che sussistono tra la molteplicità degli atti noematici, riferiti alla molteplicità di oggetti che si esperiscono nella percezione, nel ricordo, nel desiderio, nell’azione e l’unità della coscienza che ad essi si riferisce e qui entra in gioco la struttura portante del pensiero filosofico e fenomenologico: la domanda sul come pensare la coscienza, sul come definirla o, comunque, interpretarla. Qui si passa dalla coscienza noematica come “coscienza degli alberi o dell’albero che vedo davanti a me” alla “coscienza dell’atto pensante: noesi”, cioè alla coscienza di me come soggetto che si intenziona nei suoi atti noematici, pur rimanendo “unità sintetica”. Questo tema viene affrontato dettagliatamente da Husserl nel paragrafo §115 delle Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie e in questa trattazione si comprende come la fenomenologia voglia rifondare il discorso sul pensiero soggettivo a partire da una indagine delle strutture trascendentali della sintesi teoretica che si pone quindi come «atto», Husserl sostiene, quindi che occorre ricondurre il “cogito” alla sua essenza originaria, la quale è quella di intenzionalità:
Der Begriff des intentionalen Erlebnisses überhaupt setz insofern schon den Gegensatz von Potenzialität und Aktualität und zwar in der allgemeinen Bedeutung voraus, als wir nur im Übergang zum expliziten cogito und in der Reflexion auf das nicht explizierte Erlebnis und seine noetisch-noematischen Bestände zu erkennen vermögen, dass es Intentionalität in sich berge, bzw. Noemen, die ihm zu eigen sind. Das explizite intentionale Erlebnis ist ein “vollzogenes” “Ich denke”. Dasselbe kann aber auch auf dem Wege attentionaler Wandlungen in ein “unvollzogenes” übergehen. Das Erlebnis einer vollzogenen Wahrnehmung, eines vollzogenen Urteils, Gefühls, Willens verschwindet nicht, wenn die Aufmerksamkeit sich “ausschliesst” einem Neuen zuwendet; worin liegt, dass das Ich in einem neuen cogito ausschliesslich “lebt”. Das frühere cogito “klingt ab”, sinkt ins “Dunkel”, es hat aber noch immer ein, wenn schon modifizierendes Erlebnisdasein. Ebenso drängen sich cogitationes im Erlebnishintergrunde empor, bald erinnerungsmässig oder neutral modifizierte, bald auch unmodifizierte […] Das cogito bezeichnet also in der Tat (und so haben wir den Begriff von vornherein eingeführt) den eigentlichen Akt des Wahrnehmens, Urteilens, Gefallens usw. Andererseits ist aber der ganze Bau des Erlebnisses in den beschriebenen Fällen, mit all seinen Thesen und noematischen Charakteren, derselbe, wenn ihm die Aktualität fehlt. Insofern scheiden wir deutlicher vollzogene Akte überhaupt verwenden. Solche Aktregungen sind mit all ihren Intentionalität erlebt, aber das Ich lebt in ihnen nicht als “vollziehendes Subjekt”. Damit erweitert sich der Aktbegriff in einem bestimmten und ganz unentbehrlichen Sinne. Die vollzogenen Akte, oder wie es in gewisser Hinsicht (nämlich in Hinsicht darauf, dass es sich um Vorgänge handelt) besser heisst, die Aktvollziehungen machen die “Stellungnahmen” im weitesten Sinne aus, während die Rede von Stellungsnahmen im prägnanten Sinne auf fundierte Akte zurückweist, der Art, die später näher erörtern werden: z. B. auf Stellungnahmen des Hasses, bzw. des Hassenden zum Gehassten, das seinerseits für das Bewusstsein in Noesen unterer Stufe schon konstituiert ist als daseiende Person oder Sache; ebenso würden hierher gehören Stellungnahmen der Negation oder Affirmation zu Seinspraätention und dgl. […] Alles beuhte darauf, dass jeder thetische Aktcharakter überhaupt jede Akt “intention” z. B. die Gefallensintention, die wertende, wollenden Intention, der spezifische Charakter der Gefallens, Willenssetzung in seinem Wesen einen sich mit ihm in gewissen Weisen “deckenden” Charakter der gattung doxische Thesis in sich birgt.20
Husserl quindi non si limita a delineare il percorso di riduzione fenomenologica a partire delle qualità soggettive secondarie per tornare al noema trascendentale (dall’albero verde o rosso con questi o quei fiori all’idea di albero come eidos), ma parallelamente riconduce il momento iletico, reale del vissuto della coscienza intenzionale ad “io penso” che non è mera funzione sintetica, ma è attività sintetica che si attua nelle percezioni, nel giudizio, nel sentimento, nella volontà, come quindi “sintesi attuale”, come elemento intenzionale, riflessivo e autoriflessivo, noetico. Questo elemento noetico del pensiero, preso in se stesso, amplia il concetto di “atto”, il quale non si limita più ad essere “coscienza di qualcosa”, ma “coscienza di qualcuno”, cioè soggettività immediata, che si manifesta nel pensare come “prendere posizione” (Stellungnahmen), cioè come aspetto dossico, che manifesta l’attività sintetica del pensiero, tale elemento dossico non va inteso in senso dispregiativo, ne tanto meno negativo, esso tratteggia la unità immediata dell’io penso nella sua sinteticità preriflessiva; l’opinione, come i giudizi, non sono sempre e necessariamente frutto di una ponderazione razionale, ma anche di reazioni emozionali pre-razionali o a-razionali, se per razionalità si intende la verificabilità oggettiva di un certo contenuto di giudizio, eppure tali aspetti fondano proprio la sinteticità della coscienza nella sua concretezza logica. La sintesi di cui parla Husserl quindi non è una sintesi astratta o formale, ma è sintesi attiva di noesi e noema, in cui le molteplicità noematiche vengono rielaborate a partire dalle modalità in cui esse si offrono alla luce della coscienza sintetica della soggettività, sul cui sfondo si riconfigura il discorso sul pensiero non ridotto psicologisticamente, ma riletto filosoficamente a partire da una soggettività trascendentale iletica.
Quindi il pensiero filosofico è visione di essenze, ma esso stesso è anche elaborazione attiva di un pensiero intenzionale che si dirige attraverso le modalità dell’opionione, della credenza, della valutazione alla modalità attiva della coscienza umana, ragion per cui il pensiero filosofico, lungi dall’essere mera contemplazione astratta di essenze “sospese, per così dire in formula trascendentali, è riflessione autocritica, tesa a superare ogni forma di dogmatismo. In fondo la prassi della ”epochè “ è proprio il tentativo di evitare ogni formulazione ”scontata“ o ovvia di ciò che invece il pensiero vuole percepire nella chiarezza logica del suo ”eidos" e della sua realtà immanente rispetto alla coscienza umana, che in esso risulta fondante.
2. La prospettiva fenomenologica husserliana come proposta alternativa al riduzionismo meccanicistico della soggettività
In questo paragrafo conclusivo, vogliamo rispondere, alla luce della nostra ricerca sulle tematiche inerenti le strutture portanti dell’analisi del pensiero in Husserl, alla domanda di partenza, inerente al contributo che la fenomenologia può dare ad una più ampia rilettura e interpretazione della soggettività futura. In tale prospettiva siamo dell’avviso che il primo e fondamentale contributo che il metodo fenomenologico può offrire è quello di una lettura attenta e ponderata della soggettività, che rifiuti ogni spiegazione deterministica dei fenomeni intenzionali della coscienza umana e che si ponga in modo trascendentale, riscattando il primato della coscienza e della soggettività davanti al rischio di una completa “tecnicizzazione” del mondo attuale, poiché solo a partire da una riesamina seria dei fondamenti della filosofia come “scienza rigorosa”, nel senso di un “sapere” che non è dato immediatamente, ma che è il risultato di un processo autocritico e critico profondo, in cui tutte le immediate rappresentazioni semplicistiche vengono passate al “vaglio” critico della “epochè”, al fine di contribuire ad una evoluzione culturale della mentalità umana, che ha anche, ovviamente, implicazioni etiche profonde. Il ricondurre la coscienza ai suoi atti intenzionali, significa essenzialmente osservarla nella sua dinamica aperta e non “asfissiata” in dogmatismi, sia metafisici, sia religiosi, sia scientifici, che ne negano la sua natura autenticamente umana.21 Per tale motivo, siamo fermamente convinti che la prospettiva fenomenologica possa riscattare l’esigenza di riscoperta della filosofia nell’ambito della Humanitas, della riscoperta dell’umanità nella soggettività filosofica.
L’intenzionalità che Husserl delinea costituisce l’asse capace di ricollocare, in un nuovo equilibrio, polo soggettivo (noetico) e polo oggettivo (noematico): si tratta di riferirsi al mondo e di rappresentarlo, senza ridursi a esso, o venirne schiacciati, smarrendo ogni valore di verità nella ‘fatticità’e nel primato dell’efficacia.
Nel grandioso orizzonte interpretativo tracciato da Husserl, l’intera filosofia moderna europea sembra ingaggiare una magnanima lotta contro il positivismo e il naturalismo scientista, allo scopo di salvaguardare il peculiare rilievo della soggettività umana; nelle analisi husserliane, le stesse scienze si lasciano ricondurre all’attività costituente della coscienza, a un ‘mondo della vita’ (Lebenswelt) già dato, fin dall’inizio, alla coscienza, ma che essa, con un’opera destinata a riprendere ‘sempre daccapo’, ha il compito di rielaborare, quasi di ricreare, in una straordinaria tensione quotidiana.
L’impostazione di Husserl è, dal punto di vista interpretativo, all’origine di molti tentativi compiuti, successivamente, dall’ermeneutica contemporanea; per la sua impostazione, dietro a ogni proposizione scientifica, che obiettiva una sfaccettatura del mondo naturale, è possibile identificare uno strato anteriore e più profondo, e così via, in un processo di regressione che ci conduce a mettere in luce le strutture di una temporalità e spazialità anteriori a ogni predicazione e tematizzazione, anteriori anche rispetto alla dimensione categoriale.
Tali strati ultimi possono solo venir intuiti, non costruiti e configurati in precisi paradigmi, e la regressione a tali strati ultimi ha una funzione decisiva per quella ‘presa di coscienza radicalè alla quale Husserl invita l’umanità europea: si tratta di procedere a ritroso, di ricomprendere il processo che le scienze hanno seguito, per la loro costituzione, in Europa, non tanto fermandosi ai loro esiti cristallizzati e dogmatici, ma piuttosto cogliendone a fondo le movenze originarie, per riprendere il ‘compito di verità’che le scienze stesse, nell’ultima fase della loro parabola, sembrano aver dimenticato.
Questa tematica si riconduce allo studio psicologico relativo al problema della soggettività e della coscienza, e Husserl affronta questo tema proprio in una delle pagine conclusive della Krisis der europäischen Wissenschaften22 sono dedicate all’iter della psicologia in Europa; liberata da ogni residuo obiettivistico e naturalistico, la psicologia potrebbe, secondo Husserl, ritornare ai suoi fondamenti filosofici, riaccostandosi alla fenomenologia trascendentale, avendo un atteggiamento diverso e funzioni diverse, ma possedendo come tema la soggettività universale, la quale, pur nella varietà delle sue manifestazioni, rimane invincibilmente unitaria, il che significa eliminare ogni tentativo riduzionista del pensiero a fatto meramente biologico o neurologico, ma a ricondurlo a riflessione profonda sulle modalità di essere della soggettività umana medesima in tutta la sua ampia varietà trascendentale. La fenomenologia, come scrisse Husserl, in celebre passo delle “Ideen” non giudica ontologicamente, ma vuole semplicemente avere l’obiettivo di spiegare, per “fare chiarezza” per riprendere la tradizione nobile dell’illuminismo23 quello di liberare la mente dai “pregiudizi” che ci impediscono di scoprire la soggettività originaria umana, soggettività che è la presa di coscienza di una verità trascendentale che è l’orizzonte a cui l’uomo, anche nell’oblio della propria origine, da sempre tende. Per concludere, siamo quindi dell’avviso che un rigoroso metodo fenomenologico, non necessariamente husserliano (come è ad esempio quello della «neue Phänomenologie» di Hermann Schmitz)24 ha il compito di superare ogni schematismo riduzionistico, per permettere alla filosofia di tornare ad essere una guida critica per orientare l’umanità nella sua riflessione e nella sua prassi sociale e storica.25
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Occorre, comunque, precisare che all’interno della fenomenologia, si assiste ad una poliedrica idea di soggettività che va dalla coscienza husserliana al «Dasein» heideggeriano, alla «corporeità vivente» (Leib) di Schmitz. In questa sede, però, ci soffermeremo sul rapporto: soggettività-pensiero-coscienza in Husserl. ↩︎
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Per una lettura specifica della questione inerente la fondazione della filosofia in Husserl: cfr. A. Marini, La fenomenologia trascendentale, Firenze 1974; R. Cristin, Introduzione a Husserl, Milano 2000; N. Ghigi, La metafisica in Edmund Husserl, Milano 2007. ↩︎
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Nella nostra trattazione faremo riferimento all’edizione in lingua tedesca: E. Husserl, Ideen zur einen reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Tübingen 1993. ↩︎
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Per il discorso inerente Husserl e Cartesio: Cfr. E. Husserl, Cartesianische Meditationen, Hamburg 1995. ↩︎
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Si tenga presente che una delle tematiche fondamentali di Husserl è proprio la critica allo psicologismo naturalistico e deterministico: Cfr. Husserl, Die Phänomenologie und das Fundament der Wissenschaften, Hamburg 1986, pp. 23-72. ↩︎
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La Wesenschau è la visione intuitiva dell’essenza noetica di un pensiero, ben diversa, quindi, dall’intuizione formale kantiana, la quale non è di tipo conoscitivo, poiché per Kant non si offre mai una vera ed esaustiva conoscenza intuitiva dell’essenza trascendentale. ↩︎
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Per la intendere la teoria brentaniana dell’intenzionalità si veda: F. Brentano, La psicologia dal punto di vista empirico, trad. it., Bari 1997. ↩︎
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E. Husserl, Phänomenologie und Fundamente der Wissenschaften, Hamburg 1986, pp. 15-21 ↩︎
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E. Husserl, Philosophie der Arithmetik, München 1997. ↩︎
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E. Husserl, Erfahrung und Urteil, Hamburg 1985. ↩︎
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E. Husserl, Ideen zur einen reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, op. cit., p. 179. ↩︎
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Ibid., p. 182. ↩︎
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Per un’approfondimento ulteriore del significativo valore dell’epochè husserliana, cfr. G. Hoffmann, Bewusstsein, Reflexion und Ich bei Husserl, Freiburg/München 2001. ↩︎
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Ibid., p. 185 ↩︎
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Ibid., p. 184 ↩︎
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Ibid., p. 194. ↩︎
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Ibid., p. 194. ↩︎
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Qui, ovviamente, ci riferiamo alla celebre teoria fichtiana esposta nella Wissenschaftslehre. ↩︎
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Ibid., p. 202. ↩︎
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Ibid., pp. 236-237. ↩︎
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A tal proposito si veda: E. Husserl, Die Phänomenologie und die Fundamenten der Wissenschaften, op. cit., pp. 95-103, pp. 95-103. ↩︎
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E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften, Den Haag, 1954, pp. 104-120. ↩︎
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E. Husserl, Ideen zur einen phänomenologischen Philosophie und einen philosophischen Phänomenologie, op. cit., p. ↩︎
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H. Schmitz è un filosofo attuale che ha fondato la »neue Phänomenologie«, la quale contraddice alcuni assunti propri della fenomenologia riduzionista husserliana dando risalto alla preponderanza dell’immediatezza vitale (Leib) di ogni forma di conoscenza umana legata alla spazialità dei sentimenti (Gefühlsraum). Per avere uno sguardo complessivo sugli assunti teorici del sistema schmitziano si veda: H. Schmitz, Was ist neue Phänomenologie, Rostock 2003. Per un approfondimento completo: H. Schmitz, System der Philosophie, Bonn 1964-1980. ↩︎
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Si intende qui tutta la complessità immanente del pensiero umano nella sua realtà storico-etico-sociale e nella sua valenza non deterministica, ma antropologica. ↩︎