La presenza dell’assenza. Nichilismo e negatività del Divino in Andrea Emo

Scrivere poesie non è difficile. Difficile è viverle.

— Charles Bukowski.

Il nulla, se non è sostenuto dall’essere, svanisce in quanto nulla e noi ricadiamo nell’essere. Il nulla non si può annullare che sulla base dell’essere; se del nulla può essere dato, ciò non avviene né prima né dopo l’essere, né, in senso generale, al di fuori dell’essere, ma nel seno stesso dell’essere, nel suo nocciolo, come un verme.

Jean-Paul Sarte, L’etre et le néant.

1. Il pensiero dell’assenza di senso

Tentare un confronto con i testi di Andrea Emo è estremamente arduo, non solo per la profondità abissale dei temi affrontati nel suo ‘solitario’ meditare, ma soprattutto perché tali temi sono resi in una forma non sempre chiara, spesso ‘ellittica’, talvolta addirittura ‘criptica’. Tuttavia, è una prova che merita di essere affrontata per l’interesse che la meditazione di Emo suscita, soprattutto in merito alla questione del paradosso all’interno dello stesso Principio ontologico. I curatori dell’edizione dei suoi scritti teoretici che vanno dal 1925 al 1981, intitolati emblematicamente Il Dio negativo,1 Massimo Donà e Romano Gasparotti, nel loro Saggio introduttivo, avvertono subito il lettore che ci si trova di fronte ad un pensiero che «sfida i limiti del Logos, e azzarda un dire di cui la contraddizione, l’assurdo, è il nucleo portante».2 In Emo, pensatore formatosi peraltro anche sotto l’influenza dell’attualismo gentiliano, troviamo un pensiero certamente dialettico, ma si tratta di una dialettica in cui è assente qualsiasi soluzione ‘conciliativa’ delle opposizioni tragiche dell’esistenza, e dunque in cui è improponibile qualsiasi superamento della contraddizione. Anzi, nel suo pensiero vi è un «senso radicalmente contraddittorio e nullificante del ‘dialettico’»,3 che naufraga inesorabilmente nel paradosso e nell’assenza di senso. Paradosso che mostra, in tutta la sua insolubilità, la radicale nullità della realtà e dello stesso Assoluto, perché la realtà «non è che il risultato dell’autonegarsi dell’Assoluto»;4 il quale, poi, a considerarlo più profondamente, si scopre anch’esso come un auto-negarsi nel suo stesso porsi, e come un porsi nel suo stesso negarsi. Ciò vuol dire che ha la medesima struttura, riscontrabile in altre ontologie e mistiche della storia del pensiero, del tipo: qualcosa che è posto se e soltanto se non è posto, µ ↔ ¬ µ.

In effetti, come spiegano Donà e Gasparotti evidenziando una sintonia di fondo di alcune nozioni emiane con le concezioni neoplatoniche, l’Assoluto «analogamente all’Uno di plotiniana memoria, è al di là dell’essere e del nulla (e quindi della loro stessa contrapposizione), nel senso che in esso questi ultimi sono ‘lo stesso’».5 Questo perché costitutivamente la realtà è «presenza del Nulla originario; eppure ‘è’».6 Detto in altri termini: l’atto originario stesso contiene in sé sia l’Essere che il Nulla, è pertanto coincidenza dei contraddittori.7 Affermare l’identità di essere e nulla non può non significare l’accettazione incondizionata della contraddizione, vale a dire la consapevole trasgressione del principio di non-contraddizione aristotelico. Questo perché l’identificazione non è da parte di due termini identici, bensì da parte di termini assolutamente non-identici, cioè è l’identità di veri opposti contraddittori (il Nulla oggetto delle meditazioni di Emo, puntualizzano Donà e Gasparotti, è il nulla come «assoluta mancanza d’essere, alterità assoluta»,8 non relativa, rispetto all’essere). D’altra parte, i termini della contraddizione sono tali non solo perché si oppongono radicalmente, ma anche e soprattutto perché nella contraddizione vengono ‘identificati’.9 In tal modo, l’Assoluto è perfetta coincidenza di essere e nulla, a tal punto che l’essere è, in quanto essere, nulla, e il nulla è, in quanto nulla, essere.10 Così qui la contraddizione in gioco nel pensiero emiano è tale da opporre radicalmente essere e nulla e simultaneamente identificarli. Ma proprio questo è il senso proprio della contraddizione: identificare due cose che sono totalmente opposte (da un punto di vista logico, in verità, si parla di ‘congiunzione’ dell’affermazione e della negazione di uno stesso asserto). Ed essa è la struttura fondamentale della realtà e dell’Assoluto in Emo. Donà e Gasparotti rilevano che l’accettazione della contraddizione, nel pensiero emiano, ha anzi la funzione di essere «rivelazione di Dio». Se Dio è il senso dell’esistere, questo Dio è intrinsecamente ‘contraddizione’, l’incoglibilità di qualsiasi senso, e dunque l’assurdo. Non può esserci, dunque, nell’istituirsi originario dell’Assoluto, un Uno, un Medesimo, che non sia immediatamente Non-Uno o Non-Medesimo, così come questo Non-Uno o Non-Medesimo non può non essere costitutivamente Uno e Medesimo. Donà e Gasparotti sottolineano la necessità di un originario «autonegarsi dell’indivisibile Uno, in realtà sempre identico a se stesso».11

La meditazione di Emo, si è già detto, si esprime, come in molti pensatori dalla profondità abissale, attraverso un linguaggio aforistico. Cogliere l’unitarietà del suo discorso, perciò, può sfuggire ad un primo esame. Tuttavia, essa è sicuramente presente è si potrebbe individuarla in una affermazione che pare avere quasi un’aria ‘programmatica’, contenuta nell’aforisma 30 del 1954, in cui è scritto: «nessun principio è definibile e oggettivabile».12 Qualsiasi pensiero che voglia cogliere il principio finisce sempre per porlo come non-posto, cioè per dissolverlo in una infinità di mediazioni altre, che lo conducono fuori dall’immediatezza dell’Inizio. In tal senso, la dialettica paradossale e aporetica di Emo ha non solo la funzione di mostrare l’inafferrabilità dell’Assoluto tramite le categorie logico-ontologiche non-contraddittorie, ma anche quella di «chiave» che permette l’accesso ad un pensiero metafisico «Altro», in grado di cogliere nel modo autentico l’Assoluto, e cioè appunto attraverso il paradosso. L’Assoluto non è oggettivabile perché qualsiasi ‘oggettivazione’ di esso lo inverte immediatamente nel suo altro, secondo una dialettica contraddittoria che può avere un antecedente significativo nella peritropè («capovolgimento» o «inversione») damasciana.13 Nel Principio (che Emo denomina anche ‘atto’, o ‘attualità’) tutto è identico, ma proprio per questo tutto è Nulla: «nell’attualità l’essere e il nulla coincidono assolutamente»,14 nel senso che sono non soltanto simultaneamente uno, ma anche simultaneamente non-uno; si identificano, eppure in questo stesso atto al medesimo tempo si oppongono radicalmente.

2. La presenza come auto-negarsi dell’atto originario

Perché l’attualità dell’origine deve auto-negarsi nel suo stesso porsi? Perché essa deve essere immediatamente ed eternamente Nulla in se stessa? La risposta di Emo è netta: perché «il tutto (l’essere è il tutto) non può essere un dato […]. Quindi il tutto (l’essere) nega anche se stesso».15 Di conseguenza, «se la attualità non fosse la pura attualità del nulla, se fosse un in sé, senza contenere la propria negazione, sarebbe una oggettività trascendente — cioè niente»,16 poiché ogni porre come un ‘qualcosa’ l’Assoluto significa tentare di ridurlo ad un dato, col risultato che la comprensione di esso poi sfugge in una infinità di mediazioni, che finiscono per determinarlo e quindi ‘positivizzarlo’. Di conseguenza, «il nulla è creatore dell’essere».17 Che l’Assoluto sia, per Emo, immediata ‘presenza’ non vuol dire che esso sia un dato; anzi, essere presenza significa immediatamente ‘auto-negarsi’. Se l’atto originario della presenza non fosse simultaneamente attualità del Nulla, e se dunque la presenza non coincidesse paradossalmente con l’assenza, allora l’Assoluto sarebbe un in sé, una oggettività, cioè qualcosa di determinato, incapace di darsi inizio da sé, dovendo attendere da altro il proprio porsi in essere. L’atto originario, insomma, è proprio questo: auto-istituirsi negandosi, togliendosi, e quindi, paradossalmente, auto-istituirsi auto-destituendosi, proprio come l’Uno-Uno della prima ipotesi del Parmenide, che proprio perché si pone immediatamente si annulla nel non-essere-nemmeno-Uno.18

Cosa è la presenza? La presenza è la presenza del togliersi, cioè l’attualità del togliersi. […] La presenza non è un immediato. […] Il negarsi del presente è il suo esser atto, esser in atto, esser presente, attuale […]. Il nulla giustifica, fonda l’originarietà dell’attuale. Appunto perché il nulla è attuale. L’attuale non contiene il nulla staticamente, come un recipiente, ma attualmente, negandosi, togliendosi.19

Essere pura ‘presenza’ vuol dire per Emo, essenzialmente negare, togliere l’immediatezza, ‘de-coincidersi’ dall’implosione infinita originaria in cui niente può ancora cogliersi. Presenza è il portarsi alla presenza nei confronti di ciò di cui essa è presenza, e nell’Inizio questo portarsi alla presenza non avviene che nei confronti di se stesso, dell’Atto originario, poiché nessun Altro c’è nell’Inizio. Anzi, nell’Inizio senza che ci sia l’Altro, a rigore, nemmeno il Se-stesso c’è: il sé, infatti, è già una determinazione, ed è tale solo perché si distingue da altro. Ecco perché Emo afferma anche che la presenza «si identifica», ossia si ‘trova’, coglie se stessa nella nullità dell’Indistinzione originaria. Tuttavia, quest’atto non avviene altro che implicando la stessa nullità (è un originario auto-annullarsi, infatti, non preceduto da nulla), e a partire dall’indifferenza originaria con il nulla. Il portarsi a presenza della presenza avviene solo sul fondamento (-infondato) dell’assenza, ossia di quell’implosione abissale in cui niente è mai coglibile, ma in cui comunque l’Assoluto paradossalmente si dà. Solo il nulla stesso consente, nel suo darsi, l’identificazione stessa della presenza, giacché questa «nega tutto ciò di cui essa è presenza». In questo modo, l’atto originario, proprio nel creare tutto, simultaneamente crea il nulla, e proprio mentre si-fa-presenza non può che farsi-assenza, ossia ‘abolizione’ d’essere e di presenza; infatti,

la presenza crea tutto in quanto crea il nulla e crea il nulla in quanto si identifica, in quanto si riduce a pura presenza, cioè nega tutto ciò di cui è presenza. […] facendosi presenza dell’essere e della presenza, essa nega e abolisce l’essere e la presenza. In quanto è presenza di essere è presenza di nulla.20

Qui, Emo asserisce in modo esplicito una perfetta verità paradossale: la presenza è presenza di nulla proprio perché è presenza di essere, e ciò vuol dire che la presenza di essere implica la presenza di nulla, e viceversa; se è presenza di nulla, allora è presenza di essere, ma se è presenza di essere, allora è presenza di nulla. Come si vede bene, qui è in opera il paradosso in senso pieno: p? ¬ p. Ora, è chiaro che la presenza in quanto Nulla di cui parla Emo, se da un lato si riconduce all’assoluta assenza, dall’altro non elimina il momento opposto in cui il nulla nel suo darsi, al tempo stesso è: «dire che il nulla è presente è come dire che il nulla è». Tuttavia, Emo chiarisce che questo essere del nulla, ossia il suo significato in quanto essente, non va inteso come un ridursi del nulla a qualcosa che è, in modo da perdere la sua nullità e tornare alla positività mediante una negatio negationis, poiché l’auto-negarsi del nulla è un assoluto annullarsi del nulla, e dunque è un mantenere la nullità, il suo tornare a darsi come tale, come nullità. Dire che il nulla è, allora, «è dire che il nulla si nega, appunto perché nega il suo essere; altrimenti se non negasse, non sarebbe nulla; e, se non fosse (non fosse essere), non sarebbe nulla, non sarebbe essere — cederebbe il posto al puro essere».21

Il nulla, quindi, nell’annullarsi originario che è l’Inizio in quanto dà-inizio (a Tutto), o atto originario con cui la presenza si istituisce, è pur sempre un non cedere il posto all’essere, un salvaguardarsi come puro nulla, e, in questo senso, un custodire l’assenza come risorsa. Il valore dell’assenza è esaltato nell’auto-eclissarsi di Dio stesso, il quale, secondo Emo, si rivela solo nel non-manifestarsi, nel non-apparire: «Dio è nascosto nella propria negazione. Quale altro nascondiglio, latebra, grotta? Ogni divinità nasce in una grotta».22 Viene riaffermata, qui, l’ineliminabilità del nulla, anche nel suo stesso annullarsi. Ciò implica che l’atto costitutivo con cui l’Assoluto stesso si dà è originariamente rapporto con il Nulla come con se stesso (ricordiamo che solo il creare il nulla identifica l’Assoluto): «l’assoluto non ammette relazione altro che con il nulla. Dalla relazione iniziale (nozze abissali, infernali) tra il tutto e il nulla sono nati l’universo, gli esseri e le cose».23

Queste ‘nozze abissali’ tra l’essere e il non essere sono anche le nozze implicite di tutti gli opposti, dell’Uno e del Non-Uno, dell’identità e della non-identità di tutto nel principio. Metafora perfetta della assoluta contraddittorietà dell’Atto originario e della realtà che ne è scaturita. La contraddittorietà ha qui il suo proprium nel fatto di essere assolutamente insolubile, e quindi di evocare come suo ‘destino’ il paradosso, tant’è che, per Emo, «ogni verità è sempre in sé contraddittoria (ciò spesso si chiama paradossale), eppure mediante questa contraddittorietà riesce a esprimere qualche profonda unità. […] Quale altro modo per esprimere una unità, che la contraddittorietà? Quale altra espressione è possibile per questa intuizione dell’uno? ».24 Occorre, insomma, concepire persino l’Uno come identico col Nulla, in quanto Uno non vuol dir altro che Indistinzione pura, e dunque il coincidere assoluto con l’indeterminazione del niente. Ritroviamo, non a caso, gli esiti aporetici della prima ipotesi del Parmenide, in cui l’Uno si auto-cancella per non essere neppure Uno. Ed è questo, forse, il motivo per cui Emo ritiene che «l’uno puro è lo zero», poiché l’Inizio proprio in quanto si annulla, in quanto si eclissa, insomma «essendo zero, crea la diversità».25

Ma non possiamo chiudere queste riflessioni sulla meontologia emiana senza aver mostrato che la centralità della nozione del Nulla nel suo pensiero non è individuabile solo nelle meditazioni più propriamente ‘protologiche’, sull’atto originario della presenza; essa è anche lo snodo teoretico focale nelle speculazioni riguardanti l’escatologia. Qui, forse, viene all’evidenza un tratto che non sarebbe inappropriato chiamare ‘nichilistico’:

Il regno dell’Essere è alla fine. L’Essere non è più considerato una salvezza; l’essere è stato una funesta sopraffazione contro l’innocenza del nulla. … L’eternità dell’essere è stanca; l’essere vuole ritornare ad essere l’eternità del nulla, unico salvatore. Il nulla è il salvatore crocifisso dalla soperchieria dell’Essere?26

L’ultima parola sulla Fine è la stessa di quella sull’Inizio: anche qui, l’autentica Icona della verità contraddittoria dell’Assoluto è il paradosso; paradosso che, ovviamente, per i suoi caratteri di insolubilità e assoluta intrattabilità con gli strumenti logici non-contraddittori, può essere colto solo attraverso l’apertura alla ‘sovra-razionalità’ come dimensione in cui il logos nel suo auto-annullamento (già visto come esito del neoplatonico Damascio), andrebbe a ‘nozze’, se così si può dire, col lato notturno del pensare, e cioè il mito. Emo, infatti, ribadisce ancora una volta che «nel paradosso è sempre e finalmente l’unica verità; ma nel paradosso, e perciò nella Verità, possiamo soltanto credere. Il linguaggio, il Verbo del Paradosso, è il mito; soltanto il mito sa esprimere il paradosso».27 Occorre rilevare che proprio la valorizzazione del linguaggio mitico, come espressione di una verità profondamente paradossale e ‘sovra-razionale’, è stata uno degli intenti più tenacemente perseguiti da Luigi Pareyson,28 il cui pensiero non a caso, soprattutto nell’ultima sua fase, ha aperto orizzonti inusitati e abissali nella riflessione sulla meontologia del Principio.


  1. Cfr. A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, a cura di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Marsilio Editori, Venezia 1989. ↩︎

  2. M. Donà e R. Gasparotti, Gli «scritti teoretici» di Andrea Emo, in A. Emo, Il Dio negativo ecc., cit., p. XXI. ↩︎

  3. Donà e Gasparotti, Gli «scritti teoretici» di Andrea Emo, cit., p. XV. ↩︎

  4. Ibid. ↩︎

  5. Ivi, p. XV. ↩︎

  6. Ivi, p. XVII. ↩︎

  7. Donà e Gasparotti parlano esplicitamente dell’Origine, nel pensiero di Emo, come «identità degli opposti (identità di ‘essere’ e ‘nulla’)» (Ibid.). ↩︎

  8. Ibid. ↩︎

  9. Ove il senso della reale contraddizione non fosse ancora chiaro, vorrei riportare questo passo di Donà e Gasparotti: «l’Identità assoluta, l’Origine, deve essere identificazione di quei diversi assoluti che sono appunto l’Essere e il Nulla» (ivi, p. XVIII, il corsivo è mio). ↩︎

  10. Ancora una precisazione, da parte di Donà e Gasparotti, servirà a fugare ogni dubbio sulla effettiva contraddittorietà qui messa in gioco: «la presenza di tutto ciò che è presente è in realtà la presenza dello stesso Nulla originario […]. L’essere, cioè, non è al posto del nulla — non c’è l’essere invece del nulla. Bensì l’essere è la stessa presenza del nulla (il nulla non è presente se non come essere)» (Ibid.). ↩︎

  11. Ibid. ↩︎

  12. Cfr. A. Emo, Il Dio negativo ecc., cit., p. 18. ↩︎

  13. Il neoplatonico Damascio, nell’opera Dubitationes et solutiones de primis principiis, Paris 1899, sostiene che il Principio Ineffabile (tò apòrretos) del tutto non coincide con l’Uno e si trova epékeina tou henòs, al di là dell’Uno (quest’ultimo denominato da lui, talvolta, «indicibile», arrètos, ma mai «ineffabile»). Il Meta-Principio, insomma, non è identificabile con niente, e non è definibile in nessun modo, neanche come indefinibile: «Infatti, noi non lo [l’Ineffabile] diciamo neppure ‘totalmente inconoscibile’, in modo che esso, essendo qualcos’altra cosa, possieda per natura l’inconoscibilità; ma non lo diciamo né ‘ente’, né ‘uno’, né ‘tutto’, né ‘principio del tutto’, né ‘al di là del tutto’; noi riteniamo di non predicare di esso assolutamente nulla. Dunque, neppure questi predicati costituiscono la natura di esso e neppure ‘il nulla’» (cfr. Damascio, De Princ. I, p. 13.17-21). In tal modo, il paradosso auto-referenziale è lo sbocco aporetico necessario di qualsiasi discorso sull’Assoluto, del quale si può parlare soltanto attraverso continui «capovolgimenti» o «inversioni» del logos; infatti, afferma Damascio, «se invece è necessario dare qualche indicazione [del Principio], bisogna allora servirsi delle negazioni di questi predicati; dire che non è né uno né molti, né generatore né non generatore, né causa né non causa. Bisogna per l’appunto servirsi di queste negazioni che, non so come, si capovolgono [peritrépesthai] totalmente all’infinito» (cfr. Damascio, De Princ. I 22, 15-19 e I 26, 3-5, corsivo mio). ↩︎

  14. Cfr. A. Emo, Il Dio negativo ecc., cit., p. 52 (corsivo mio). ↩︎

  15. Ivi, p. 10. ↩︎

  16. Ivi, p. 52. La assoluta co-originarietà o simultanea coincidenza di essere e nulla, di identità e non-identità nel principio, viene ancora di più messa in gioco in quest’altro passo di Emo, in cui viene indicato anche il motivo per cui il nulla è nell’Inizio, motivo che risiede nel fatto che l’origine è proprio l’annullarsi stesso dell’Inizio, un distanziarsi da se stesso in quanto Abisso infinitamente imploso nel non darsi assoluto: «Il nulla è l’assoluto che si annulla, appunto perché il nulla è l’assoluto […] L’origine è il nulla, in quanto è l’origine che si annulla […], cioè è l’annullarsi dell’origine; l’origine è l’atto dell’annullarsi, del suo annullarsi» (ivi, p. 53). ↩︎

  17. Ibid. ↩︎

  18. Platone, nel Parmenide, conclude la prima ipotesi con alcune delle più sconcertanti asserzioni dell’intera storia della filosofia. Proprio ponendo l’Uno in quanto Uno, e cioè come assoluta negazione del Non-Uno, l’Uno non può non coincidere paradossalmente con il proprio auto-annullamento, cioè non può che coincidere col Non-Uno, ma sempre in quanto è Uno: «E allora per nessun modo l’uno è (??daµ?? ??a ?st? t? ??). […] Non è tale quindi da essere uno (??d? ??a ??t?? ?st?? ?ste ?? e??a?); se fosse uno infatti esso sarebbe e parteciperebbe all’essere, ma a quanto pare l’uno né è uno né è assolutamente (t? ?? ??te ?? ?st?? ??te ?st??)» (Parm., 141 d 9-11). ↩︎

  19. Cfr. A. Emo, Il Dio negativo ecc., cit., pp. 10-11. ↩︎

  20. Ivi, pp. 12-13 (corsivo mio). ↩︎

  21. Ivi, p. 10. ↩︎

  22. Ivi, p. 33. E, in un altro passo, Emo torna su quest’auto-cancellarsi assoluto di Dio: «Dio ‘consiste’ nel suo annichilirsi» (ivi, p. 64). Sulla predilezione di Dio di rivelarsi solo nel paradossale non-rivelarsi, cfr. anche Pareyson, il quale, in Ontologia della libertà, afferma che «Dio, nella sua inesorabile e impervia trascendenza, si nasconde, e nascondendosi si rivela, né si rivela se non nascondendosi, al punto che d’ogni manifestazione si deve dire ch’essa vela nell’atto che svela e viceversa» (cfr. L. Pareyson, Ontologia della libertà, Einaudi, Torino 1995, p. 103, corsivo mio). ↩︎

  23. Ivi, p. 34. Questa metafora delle ‘nozze abissali’, quasi segrete, ‘notturne’, tra essere e nulla (che è scritta in un aforisma datato 1960), è stata utilizzata anche da Emanuele Severino (ma è chiaro che si tratta di pura coincidenza, dato che gli scritti di Emo sono rimasti inediti fino al 1989). Egli, infatti, in Ritornare a Parmenide, a proposito del pensiero nichilistico, presente anche nel principio di non-contraddizione, nella misura in cui questo ammette un tempo in cui qualcosa ‘non è’, afferma: «Pensare ‘quando l’essere non è’, pensare cioè il tempo del suo non essere significa pensare il tempo in cui l’essere è il nulla, il tempo in cui si celebra la tresca notturna dell’essere e del nulla. Ciò che l’opposizione dell’essere e del nulla rifiuta è appunto che ci sia un tempo in cui l’essere non sia, un tempo in cui il positivo sia il negativo» (cfr. E. Severino, Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 22). ↩︎

  24. Ivi, p. 84. ↩︎

  25. Ivi, p. 136. ↩︎

  26. Ivi, p. 75. ↩︎

  27. Ibid. ↩︎

  28. Come per Emo, anche per Pareyson il linguaggio mitico è «l’unico adatto» a rappresentare la Trascendenza divina, «in quanto idoneo a dire cose che non si possono dire se non in quella maniera» (cfr. L. Pareyson, Ontologia della libertà, cit., p. 103). Ciò soprattutto perché esso si esprime, piuttosto che con la ‘metafora’, attraverso il ‘simbolo’, il quale «col salto di tutti i passaggi proporzionali produce una concentrazione così densa, che mantiene in perfetta simultaneità e coincidenza l’identità e la differenza, l’unità e l’alterità, l’assimilazione e la dissomiglianza» (ivi, p. 110, corsivi miei). ↩︎