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Pubblichiamo a scopo di documentazione i passi fondamentali del breve articolo con cui Severino Dianich aprì nel 1995 il dibattito sulla «frammentazione della teologia» e che costituisce anche il punto di partenza del Manifesto per lo studio della teologia. La sua lettura a quasi un decennio di distanza è forse più istruttiva ancora. Le evidenziazioni sono state aggiunte.

La frammentazione della teologia

Severino Dianich, «Rassegna di Teologia», anno 36 (1995), n. 1, pp. 71-73.

È una felice sorpresa per chi fatica nella scuola trovare in libreria il volume curato da Giuseppe Lorizio e da Nunzio Galantino, intitolato Metodologia teologica, edito dalle Edizioni San Paolo di Cinisello Balsamo (MI), nel 1994. [...]

Ma [...] quando passiamo alla conoscenza del curriculum con il quadro completo dei corsi e degli esami da affrontare, viene da sgomentarsi: prendo in mano l'Annuario 94/95 di uno fra i vari Studi teologici esistenti in Italia e trovo che per un ciclo normale di cinque anni, con l'approdo all'infimo grado accademico del baccalaureato, bisogna affrontare ben quarantuno corsi obbligatori, più cinque corsi opzionali, tutti con i loro relativi esami, più cinque seminari. Ma se non hai fatto la maturità in un liceo, prima di entrare devi fare un anno integrativo che ti prepari agli studi teologici, con corsi di filosofia, di greco e di latino. Se poi studi teologia per diventare prete, dopo il quinquennio (o sessennio) dovrai ritornare a scuola ancora per un anno, per una preparazione pastorale più specifica. Dopo tutto questo è anche comprensibile che i giovani preti non vogliano sentir parlare di formazione permanente. Se poi desideri conquistare una licenza in teologia (che lo Stato italiano ti riconoscerà equipollente a una laurea nelle sue Università), dovrai impegnarti per un altro biennio di studi: in totale, da tre a quattro anni in più che per una laurea in lettere e filosofia.

L'enorme lunghezza di questo curriculum è dovuta, ovviamente, all'abbondanza delle materie da studiare: si va dalla storia della filosofia alla filosofia teoretica, nelle sue varie branche, e a quella morale, dagli studi biblici, che intendono affrontare analiticamente tutto l'enorme bagaglio dei testi sacri, alla teologia dogmatica, anch'essa articolata con la pretesa di trattare tutto il complesso dottrinale cristiano, dall'ebraico al greco biblico, dalla teologia morale al diritto canonico, dalla liturgia alla pastorale, alla psicologia, alla sociologia... all'archivistica.

Probabilmente il lettore ingenuo che prenderà in mano il volume curato da Lorizio e Galantino, uscirà dalla lettura del libro piuttosto sgomento: questo non per colpa degli Autori, certamente. Essi ci hanno offerto un quadro realistico, anzi benevolmente ridotto e semplificato, di quello che è in realtà il complesso farraginoso e dispersivo dei piani di studio delle nostre scuole di teologia.

[...] A questo si aggiunge, soprattutto nella nostra tradizione italiana [...] una diffusa ed abbondante interferenza degli interessi pastorali, i quali si trascinano dietro esigenze di diverse competenze in varie scienze umane. Da qui la tendenza, invece che a ridurre e semplificare il piano degli studi, ad una continua moltiplicazione delle discipline, perché ad ogni nuova emergenza che si affaccia all'orizzonte si solleva la richiesta di introdurre un corso in più nel curriculum: è accaduto di recente a proposito della dottrina sociale della Chiesa ed è sembrato che stesse per accadere a proposito di un possibile corso, ventilato da alcuni, sul tema della carità.

Un piano di studi così pletorico e dispersivo porta con sé, oltre alla lunghezza spropositata dei periodo degli studi e al disorientamento degli studenti, anche una dequalificazione del lavoro dei docenti, chiamati in non pochi casi a proporre in brevi corsi semestrali un insegnamento che si pretende completo e sistematico. Ne deriva non di rado una docenza di tipo manualistico, per la quale il professore non è stimolato ad offrire niente di originale, e le lezioni si riducono all'offerta di un materiale compilativo, povero di istanze critiche e privo di creatività.

In questa situazione nella quale sembra che ogni disciplina debba guadagnarsi a denti stretti il proprio spazio, si alimenta la preoccupazione da parte di ciascuna di esse (e il nostro volume ne è una chiara testimonianza) di autolegittimarsi nella sua identità specifica, con la ricerca di un proprio statuto epistemologico e con una presunzione di scientificità non di rado superiore a quella che in genere accompagna la teologia tout court. Tutto questo, ovviamente, non favorisce alcuna convergenza degli insegnamenti verso una visione di sintesi, indispensabile per la formazione dei giovani. Tant'è vero che, in alcune istituzioni, al tutto si aggiunge un corso o un seminario nel quale uno dei docenti dovrebbe offrire (ed è impresa tutt'altro che facile) una visione sintetica di quanto è stato proposto lungo il curriculum.

A trent'anni dal concilio Vaticano II e dal rinnovamento degli studi che ne è derivato, si sente il bisogno di fare il punto della situazione e di riaprire il discorso. [...]