Rilettura di Edith Stein alla luce del pensiero di Nikolai Berdjajew. L’essere in quanto Essente (Seiende)

Introduzione

In letteratura non risultano contatti di sorta tra Edith Stein e Nikolai Berdjajew, né indiretti né diretti (a parte un piccolo e molto vago indizio del quale parleremo più avanti). E tuttavia Berdjajew visse esattamente lo stesso tempo in cui visse la Stein, solo precedendola nella data di nascita e seguendola nella data di morte. Infatti nacque nel 1874 e morì nel 1948; visse cioè ben 74 anni. Dunque la sua vita e opera di filosofo poté fortunatamente essere ben più lunga di quella della nostra pensatrice. Ma intanto entrambi vissero le due grandi tragedie delle guerre mondiali. Ed inoltre di fatto vissero in un ambiente filosofico molto simile e svilupparono peraltro interessi filosofici (specie metafisico-religiosi) molto prossimi. Tra l’altro Berdjajew era nato a Kiew e quindi nello stesso mondo slavo che fu estremamente prossimo alla cultura mitteleuropea di lingua tedesca, nel quale anche la Stein aveva trascorso gli anni più fondamentali della sua vita. Ed inoltre Berdjajew visse per breve tempo a Berlino (subito dopo la Prima Guerra), anche se poi successivamente si stabilì definitivamente a Parigi. Ma sappiamo che la Stein non soggiornò mai a Berlino. Come la Stein, ed anzi molto più di lei, egli non ebbe mai parte in maniera pienamente ufficiale al mondo filosofico universitario. Ed infatti a Parigi fondò una sua accademia nel contesto della quale svolse la sua intera attività filosofica. Del resto ciò trova un’eco ben precisa nelle critiche che egli spesso rivolge alla filosofia universitaria, e proprio a partire dalla natura radicalmente personalista che secondo lui doveva contraddistinguere il filosofo stesso, oltre che la filosofia. Insomma il suo fu un pensiero estremamente originale. E questo ci è sembrato forse uno dei motivi più convincenti nel tentare di accostare la sua visione a quella della Stein.

Tuttavia non si tratta solo di questo. Berdjajew dimostra di avere studiato molto a fondo non solo Husserl, ma anche altri pensatori (tedeschi e non) che stettero in diretto contatto con la Stein (Heidegger, Scheler, Maritain) oppure furono a lei più o meno prossimi, anche se solo indirettamente (Jaspers). Inoltre egli menziona come personalista quel William Stern che a Breslavia era stato docente della Stein quando il di lei interesse era ancora la psicologia. Nel menzionare questi pensatori ci riferiamo comunque unicamente al libro Das Ich und die Welt der Objekte (DIWO),1 che è poi l’unico testo sul quale baseremo la nostra indagine. Siamo consapevoli che ciò non è affatto sufficiente per un ampio ed approfondito confronto tra i due pensatori. Ma comunque non è affatto questo il nostro scopo, ed inoltre una simile indagine perderebbe in partenza ogni senso visto che non sussistono obiettivi elementi (specie storico-filosofici) di approssimazione tra Berdjajew e Stein. E, aldilà di ciò, comunque, il libro di Berdjajew è talmente ampio, profondo ed esauriente nell’indagine in esso condotta, da offrirci uno straordinario sguardo di insieme su una grande quantità di aspetti dottrinari che (almeno tendenzialmente) furono certamente in comune tra i diversi pensatori menzionati. Il fatto principale è comunque che Berdjajew non solo menziona spessissimo Husserl, ma inoltre concede alla sua Fenomenologia lo statuto di una vera e propria filosofia dell’esistenza, e peraltro per molti aspetti convergente con quella da lui sostenuta. Troviamo questa tesi piuttosto bizzarra e discutibile (e lo vedremo poi nel corso dell’investigazione), ma comunque di essa va preso atto. Orbene, è assolutamente ovvio che, se Husserl viene così direttamente chiamato in causa da Berdjajew, indirettamente anche la Stein dovrà venire chiamata in causa, per quanto sia probabile che il filosofo russo nemmeno la conoscesse. È probabile che però la Stein abbia conosciuto (almeno vagamente) la sua opera, avendo sentito parlare di lui dal sacerdote Johannes Hogg in una lettera in cui costui trattava di temi mistici, e nella quale Berdjajew veniva posto in relazione con Erich Przywara.2 Infine dobbiamo dire che (come poi vedremo più approfonditamente) la filosofia dell’esistenza di Berdjajew va per certi versi considerata una vera e propria versione moderna della filosofia dell’essere. E questo è un aspetto dottrinario che senza ombra di dubbio chiama in causa la Stein.

A questo punto ci resta però da chiarire secondo quale criterio condurremo la nostra investigazione. Ebbene dobbiamo allora dire che intendiamo soltanto esporre le parti di DIWO che più suggestivamente chiamano in causa la Stein, ed inoltre anche quelle che chiamano in causa pensatori e idee che si lasciano approssimare ad elementi decisivi della di lei visione. Ma, per non estendere oltre certi limiti lo spazio di questo scritto, quando chiameremo in causa la Stein eviteremo (per quanto possibile) un’analisi estesa e diretta dei suoi testi e delle sue idee (oltre che la menzione della relativa bibliografia). Per tale motivo chi si accingerà eventualmente a leggere questo articolo dovrebbe avere già una conoscenza abbastanza approfondita del pensiero steiniano. In ogni caso è proprio per questo che nel titolo abbiamo definito la nostra investigazione come una rilettura del pensiero steiniano. E ci riferiamo con ciò molto più alla sua totalità che non ai suoi dettagli. Ovviamente, comunque, il lettore non si potrà aspettare da tale indagine un’esplorazione sistematica del pensiero steiniano. Quest’ultimo infatti viene chiamato in causa solo relativamente dai punti della riflessione di Berdjajew che riportano ad alcuni tra i suoi tantissimi aspetti. A noi sembra che però gli aspetti del pensiero steiniano che vengono illuminati dalla riflessione del nostro pensatore siano davvero di fondamentale importanza. Va peraltro anche detto che nello spazio di questo articolo non potremo nemmeno parlare di tutte le suggestioni che riportano da Berdjajew al pensiero steiniano, e quindi dovremo giocoforza escluderne alcune. Per la precisione si tratta degli elementi per i quali qui forniremo al lettore solo i riferimenti testuali per poterli ritrovare nel testo di Berdjajew:

  1. definizione di spirito;3
  2. dottrina della formazione ed auto-formazione personale;4
  3. relazione tra essere finito ed essere infinito;5
  4. essere quale Fondamento;6
  5. dottrina dell’essere come dinamica potenza-atto;7
  6. dottrina dell’antropologia come spirito-animico-corporeità.8

Comunque nell’analisi testuale che seguirà il lettore potrà ritrovare alcuni riferimenti anche a questi temi. In ogni caso per rendere l’esposizione più ordinata dovremo suddividerla in paragrafi in relazione ai principali gruppi di elementi e argomenti che emergono allorquando nella lettura di DIWO si è indotti a correre col pensiero alla Stein. Come abbiamo accennato, dobbiamo anche precisare che alcuni aspetti del confronto tra Berdjajew e Stein ci riporteranno inevitabilmente anche ad Husserl. Infine ci tocca precisare che (così come abbiamo fatto in altre indagini dedicate all’esplorazione del panorama di pensiero che si apre intorno alla Stein) dovremo qui assumerci lo sgradito compito di fare l’avvocato del diavolo «contro» il pensiero steiniano, ossia assumere una posizione critica verso di esso. Compito sgradito perché non solo ci sentiamo appassionati studiosi di tale pensiero, ma anche lo condividiamo interamente. E tuttavia questo sgradevole lavoro ci sembra estremamente utile per assolvere al compito (sempre inevaso quasi da tutti entro la letteratura critica mainstream) di comprendere chi davvero fu (o non fu) questa pensatrice. Il che è impossibile se non si comprende cosa lei davvero arrivò a dire e pensare ed entro quali limiti. E per questo a noi sembra indispensabile allargare lo scenario dell’indagine ben oltre i limiti della supposta riducibilità della Stein al solo pensiero di Husserl.

Filosofia dell’essere e filosofia religiosa in quanto filosofia cristiana. Il concetto di spirito oggettivo

Com’è assolutamente ovvio, dobbiamo qui partire dal tema della filosofia dell’essere. Ma, per il modo in cui esso compare in Berdjajew ed in Stein, è necessario associare a questo tema anche quelli della filosofia religiosa ed ancor più della filosofia cristiana. Cosa di cui parleremo però solo nelle conclusioni. Ebbene, Berdjajew si fa chiaramente sostenitore di una filosofia dell’esistenza, e quindi rientra senz’altro molto più nella riflessione propria dell’esistenzialismo filosofico che non in quella propria dell’onto-metafisica. Mentre è chiaro che la Stein rientra più propriamente in quest’ultima. Ecco allora che le osservazioni che faremo qui (nell’approssimare i due pensatori) dovranno mettere in evidenza più delle divergenze che non delle convergenze. Ma, come abbiamo già detto, noi crediamo che proprio muovendosi in tal modo sia possibile sviluppare una comprensione ampia e completa del pensiero steiniano; che invece (sia pure paradossalmente) viene a mancare allorquando ci si muove sul campo delle visioni filosofico-metafisiche con le quali esso effettivamente converge (ed alle quale quindi è oggettivamente riducibile).

Ora – assumendo una posizione in principio molto simile a quella di Heidegger ed anche di Jaspers – Berdjajew sostiene che l’essere, non coincidendo affatto con l’oggettualità, è una realtà di fatto talmente profonda da essere inafferrabile. Non a caso l’unico luogo ontico nel quale esso si rende tangibile è di fatto l’esistenza, e più precisamente ancora l’esistente per eccellenza, e cioè l’uomo. Tuttavia (molto diversamente da Heidegger) egli ritiene che l’esistente per eccellenza nella sua pienezza non è affatto l’uomo ma invece Dio. E ciò apre pertanto una prospettiva in cui si può constatare anche una certa convergenza con le riflessioni steiniane. Berdjajew sostiene infatti che il soggetto onto-creante non può assolutamente venire sottomesso alla coscienza trascendentale, per il fatto che il mondo è stato creato da Dio.9 E la Stein converge perfettamente con questa idea nel giudicare la riduzione trascendentale fenomenologica di Husserl colpevole di un egocentrismo che contrasta in modo lampante con il teocentrismo.10 In altre parole per lei una teoria dell’onto-costituzione è sostenibile solo nella misura in cui si ammetta che l’origine dell’essere mondano non sta affatto nella coscienza (resa pura per mezzo della riduzione trascendentale, mettendo così capo ad un misterioso Io puro) ma solo in Dio stesso, in quanto supremo Soggetto creante-conoscente.

In ogni caso va qui anticipato un aspetto del confronto che di per sé configura un’altra certa convergenza tra i due pensatori, anche se solo in prospettiva. Infatti anche Berdjajew parla dell’esistente umano come Essente (Seiende) (vedi conclusioni) –, e questo è per davvero uno dei tratti portanti dell’onto-metafisica steiniana. Ecco allora che il confronto Berdjajew-Stein ci può mostrare – e peraltro da un punto di vista radicalmente alternativo (dato che esso sfugge totalmente all’opposizione idealismo-realismo) − a quale filosofia dell’essere la Stein sarebbe potuta arrivare proprio mediante il suo concetto di Essente. Vedremo inoltre (specie a proposito della riflessione sull’«Io sono» divino) che in effetti questo genere di avanzata filosofia dell’essere è in lei anche in qualche modo presente sebbene solo in maniera involuta. Particolarmente importante è però il fatto che Berdjajew conduce la sua riflessione sull’essere del tutto al di fuori della tradizionale opposizione idealismo-realismo. E proprio questo ci permette di allargare a dismisura la prospettiva dell’arricchimento e chiarimento da lui portato nella filosofia dell’essere steiniana – dato che invece quest’ultima rimase totalmente intrappolata in tale opposizione, e quindi riuscì a manifestarsi solo in quanto realista ed anti-idealista. Vedremo però nelle conclusioni come sia possibile relativizzare anche questa constatazione.

Ma iniziamo ora ad analizzare le idee di Berdjajew, partendo dal luogo in cui egli ci lascia vedere come sia pieno essere tutto ciò che è soggettuale in quanto umano – il soggetto conoscente e l’Io. E ciò avviene esattamente perché si tratta di un Io-in-quanto-esistente. D’ora in avanti indicheremo quest’ultimo come Io-esistente. Ebbene la Stein pervenne a quest’ultimo proprio quando avvenne la svolta decisiva del suo pensiero dall’idealismo trascendentale husserliano al realismo tomistico-aristotelico.11 Laddove poi lo scenario ancora più profondo di tale svolta fu la scoperta di Dio quale essere (Dio-Essere).

Uno dei luoghi in cui Berdjajew lascia trasparire un Io-esistente è uno dei momenti in cui egli differenzia chiaramente tra essere e conoscenza dell’essere.12 Per la precisione egli afferma qui che la filosofia dell’esistenza è essa stessa un qualcosa (Etwas), ossia coincide con l’atto di scoperta dell’essere in quanto esistere, e non è quindi affatto una filosofia sopra qualcosa (über Etwas), cioè sull’oggetto. Ciò accade perché in essa l’oggetto è svanito, dato che è svanito anche lo stesso soggetto in quanto oggetto, ossia il soggetto obiettivato conoscitivamente. In altre parole è svanita qualunque dimensione dell’essere in quanto mera conoscenza dell’essere, e quindi conoscenza dell’essere in quanto astratto concetto. Ecco allora che l’essere si presenta esattamente nella forma del soggetto totalmente immerso nell’essere stesso, cioè il soggetto in quanto esistente. Ed ecco allora davanti a noi l’Io-esistente.

Ma Berdjajew ci conduce a questo anche in uno dei punti in cui solleva obiezioni contro il concetto hegeliano di spirito oggettivo.13 Infatti nel giustificare una filosofia davvero personale – nella quale l’uomo si occupa di tutto solo in quanto «mio» −, egli sostiene che la vera risposta alla domanda circa il senso della vita si ha soltanto allorquando si concepisce l’Io nella sua piena portata personale, e cioè come Io concreto. E quest’ultimo è di nuovo l’Io-esistente. Inoltre questa serie di riflessioni si riaggancia anche molto direttamente al tema della filosofia in quanto teoria della conoscenza. Quest’ultima, infatti, cambia decisamente volto una volta che dell’Io si dica: − «Esso conosce in quanto è esso stesso essere» (Er erkennt das Sein, weil er selbst Sein ist). Ma di questo parleremo più direttamente nel prossimo paragrafo.

Intanto, dato che l’uomo stesso è essere, anche l’Io interiore è essere.14 Tanto è vero che esso si sente gettato nel mondo solo quando viene ridotto ad oggetto. E qui emerge chiaramente la divergenza di Berdjajew tanto da Stein quanto da Husserl. Infatti a quanto pare la conoscenza esige per lui l’immersione del soggetto conoscente nell’essere conosciuto, e non invece la distanza teoretica. Del resto Berdjajew chiarisce continuamente che lo stare «davanti» all’oggetto, da parte del soggetto conoscente, è cosa che di fatto rende impossibile la conoscenza.15 Il «davanti» è infatti il frutto di quell’atto soggettuale di obiettivazione – atto posto secondo Berdjajew da parte dell’intero intellettualismo filosofico (inclusa la sua versione realista), dalla filosofia greca, alla Scolastica e fino all’Idealismo tedesco −,16 solo in forza del quale si delinea un oggetto (il quale poi finisce per fungere per l’essere stesso). Il che ha la conseguenza gravissima della cosiddetta tragedia della conoscenza. E con questa espressione il pensatore intende quella ben nota «problematicità della conoscenza» in nome della quale l’intera filosofia moderna si è nutrita di un incoercibile (quanto sorprendente) scetticismo circa la reale possibilità di conoscere l’oggetto. Tale tragedia (o problematicità) viene tra l’altro tematizzata da Berdjajew anche come netta ed irrecuperabile contrapposizione tra soggetto ed oggetto.17 Insomma il soggetto che pone sé stesso davanti all’oggetto per definizione si chiama fuori dallo spazio in cui quest’ultimo esistere, e così cessa di essere un esistente. Ma in definitiva la verità è che, essendo l’Io stesso un essere, esso non ha alcun bisogno di porsi davanti all’essere; tanto più se quest’ultimo viene identificato con le cose, ossia con l’oggettualità.

La realtà dell’Io-esistente si delinea poi di nuovo in maniera strettamente intrecciata alla critica alla filosofia come teoria della conoscenza laddove il pensatore ci mostra come l’esistere viene sempre e per definizione prima del conoscere.18 Però, diversamente da ciò che si potrebbe pensare, questa affermazione non implica affatto quel realismo al quale la Stein sicuramente approdò e si attenne (nel senso che la cosa esteriore esiste indipendentemente dalla coscienza conoscente in quanto incontestabile «mondo fuori di noi»). Essa invece scaturisce semmai da un atto che, secondo Berdjajew (ed in parziale accordo con Jaspers), è essenziale per poter toccare l’essere. Si tratta cioè di quel trascendere da parte del soggetto, che è poi il suo reale e pieno soggiorno entro una conoscenza nell’essere che è essa stessa immersa nell’essere. Cosa possibile solo allorquando il soggetto viene colto come esistenziale. Ed in questo caso la conoscenza diviene uno sprofondare nel mistero dell’esistere, dunque nella profondità stessa dell’essere. Ecco allora di nuovo delinearsi l’Io-esistente. A tale proposito viene però chiarito anche che – proprio in quanto il vero essere è interiore e quindi l’Io è un esistente − in effetti l’uomo può dischiudere solo in sé stesso il mistero dell’esister.19 E questo implica quindi inevitabilmente l’immersione del filosofo nella realtà dell’uomo, facendo sì che la filosofia non debba assolutamente prendere le distanze né dall’antropologismo né dall’antropocentrismo. Anzi è vero semmai che essa conosce solo nell’uomo e per mezzo dell’uomo. Ciò significa allora il dover porre un uomo trascendentale, e non invece una coscienza trascendentale. Insomma di nuovo la distanza teoretica viene considerata del tutto disdicevole per la conoscenza filosofica.

Tra l’altro l’immersione è indispensabile anche laddove l’Io si muove verso gli altri ma senza intanto lasciarsi da essi in alcun modo condizionate a causa del riferimento all’universale (vedi dopo); per cui esso conosce solo intrattenendo una stretta e personale relazione con l’oggetto.20 Peraltro, sempre parlando del trascendere – e precisamente menzionando Kierkegaard del suo sostenere che l’esistere appartiene totalmente al tempo, invece che allo spazio, e quindi appartiene al solo interiore −, Berdjajew ci lascia capire che il soggetto è esistente proprio in quanto interiore, e quindi non appartenente affatto al mondo delle cose.21 Il che significa che il suo connaturato trascendere (il mondo delle cose) è un atto ontologico che rende del tutto superfluo (e forse perfino ridicolo) l’atto gnoseologico della distanza teoretica (postulato invece come primario da Stein ed anche da Husserl).

Infine l’Io-esistente si delinea laddove Berdjajew mette impietosamente a nudo la del resto di per sé lampante contraddizione presente nel «cogito-sum» di Cartesio.22 Infatti egli volle dedurre l’esistere dell’Io da qualcosa, e precisamente dal pensare. Laddove poi vedremo che l’Io invece è un assoluto originario e quindi non è deducibile da alcunché. E questo ha una conseguenza che rovescia totalmente il cogito – «In realtà io non esisto perché penso, ma invece io penso perché esisto» (In Wirklichkeit existiere ich nicht, weil ich denke, sondern ich denke, weil ich existiere). E bisogna qui aggiungere che in effetti questo era stato intuito infallibilmente da Agostino, il cui cogito non è affatto, come sembrerebbe, equivalente a quello cartesiano.23 Ma a ciò consegue un’affermazione ancora più succinta ed efficace, che ci porta dritto come una freccia all’Io-esistente – «’Io’ sono in primo luogo un esistente» (’Ich’ bin vor allem ein Existierende). Ancora una volta insomma l’esistere sembra precedere l’essere – nel senso che l’Io comporta soprattutto l’«Io esisto», e non invece l’«Io sono». E questo ci porta ad anticipare quest’ultimo tema che è anch’esso uno dei punti più forti della riflessione steiniana. In particolare si viene colti dal sospetto che forse lei non si sia nemmeno resa conto di tutto quanto viene posto in evidenza da Berdjajew. Infatti io dico «Io sono» unicamente in virtù della purissima valenza esistenziale dell’Io di per sé, e quindi della sua pienezza incondizionata di esistente. Non invece in virtù di quella tautologia – la cui intuizione Stein condivise perfino con Agostino ed Eckhart.24 − in cui l’ist si ripercuote sull’Io facendo sì che (per mezzo della predicazione) l’oggetto della proposizione sia perfettamente identico al suo soggetto. E nella riflessione sull’«Io sono» biblico ciò significa che Dio (il supremo Soggetto) è l’Essere in assoluto. Ma intanto è vero anche (e forse ancor più) che l’Io è già di per sé un «sono», e cioè prima ancora di qualunque predicazione.

Ma veniamo ora più direttamente al tema dell’«Io sono» come esso si presenta in Berdjajew. Esso si delinea allorquando egli constata che la filosofia dell’esistenza va considerata una piena ontologia dell’esistenza senza però essere in alcun modo costruita su concetti e categorie.25 Essa è insomma una filosofia dell’essere che diverge totalmente dalla tradizionale onto-metafisica, e quindi vede la Stein per definizione estremamente spiazzata. Ebbene non vi è dubbio sul fatto che il concetto è sempre un sopra qualcosa (über Etwas) e non invece un vero qualcosa. E tale è effettivamente l’essere concepito dall’onto-metafisica in quanto conoscenza dell’essere. Ma lo stesso non vale però per l’Essente (Seiende). E qui Berdjajew chiama in causa Solov’ëv nel suo istituire una differenza tra essere (Sein), (= questo concetto è) ed essente (Seiende), (= io sono). Tale differenza consiste quindi nel fatto che il secondo costituisce un io sono, e proprio come tale è l’essere nella sua pienezza; tuttavia però lo è solo quale essere-in-quanto-esistente. In altre parole l’essere è appena predicato, mentre invece l’Essente non lo è. In questo senso esso non è essere in termini riduttivi in quanto astratti (concettuali), ma lo è in termini reali ossia concreti. Il che accade perché l’essere si delinea per davvero solo quando emerge dal profondo. Ed esso emerge dal profondo solo quando viene impersonato. Cosa non può accadere in un mero ente, ma solo in un ente pensante e spirituale, ossia nell’Io-esistente. È evidente che qui il pensiero esistenzialista di Berdjajew si differenzia nettamente da quello di Heidegger, che invece riconosceva la «scopertezza dell’essere» in qualunque ente mondano.

Ecco che allora l’io sono è la formulazione più piena dell’essere. Dato che essa sfugge al concetto nel presentare l’Io come assolutamente non sottomesso al concetto (universale) bensì esso stesso essere, e quindi senza alcuna obiettivazione. Insomma proprio l’Io è l’essere (il che ci riporta all’Io-esistente), ed il modo per esprimerlo è proprio l’«Io sono»; specie nella sua suprema formulazione rivelazionale, ossia come affermazione divina. In altre parole la Stein aveva avuto la giusta intuizione nel riflettere proprio su questa realtà. E tuttavia (come abbiamo visto) ella lo fece in quella seconda parte di Endliches und ewiges Sein (EES)26 nella quale era ormai decisamente tornata dal realismo all’idealismo (e precisamente quello agostiniano-platonico). Ecco allora che Berdjajew ci mostra quanto piena sarebbe potuta essere la sua riflessione sull’essere a tale proposito se essa fosse sfuggita all’opposizione idealismo-realismo. E peraltro la via verso questo era proprio quella dell’Essente che la Stein effettivamente iniziò a percorrere. In altre parole tutto ciò ci mostra che probabilmente in una qualche misura la riflessione steiniana sull’essere (per quanto approdò al realismo per poi riuscire perfino a superarlo) restò comunque involuta.

A tutto ciò va aggiunto che Berdjajew si oppone radicalmente anche a quella curiosa forma di filosofia dell’essere che si configura con il concetto di spirito oggettivo.27 Tale concetto va infatti di pari passo con la sottomissione di ogni cosa all’universale, con il risultato finale dell’obiettivazione di quest’ultimo e quindi di una sua presenza immanente e addirittura concreta. La relativa operazione filosofica venne condotta da Hegel, ma il concetto poi si ritrova in diversi pensatori successivi e in diverse forme – mondo dei valori, mondo delle produzioni culturali umane, mondo degli enti razionalizzati e così consegnati ad un ordine spirituale mondano diverso da caos etc. E bisogna dire che esso compare anche in Stein con delle valenze molto simili a quest’ultime. Intanto lo spirito oggettivo non corrisponde di certo all’essere stesso in assoluto, ma comunque corrisponde a qualcosa di simile ad un «essere mondano», e cioè ad un essere portato allo scoperto dall’azione del soggetto spirituale. Berdjajew chiarisce al proposito che l’obiettivazione reca di per sé alla perdita della libertà dello spirito, in quanto il mondo obiettivato non è affatto un mondo spirituale (geistige Welt).28 Esso è insomma in verità del tutto privo di soggetti spirituali. Perché il vero mondo spirituale è un mondo di soggetti spirituali cioè ordine dell’esistere interiore ed anche della comunità interiore (innere Gemeinschaft). Fuori di ciò non vi è altro che la dimensione sociale in quanto ordine forzosamente obiettivato. Inoltre va considerato quanto il pensatore dice della storia e della cultura (cioè aspetti dello spirito oggettivo per eccellenza) quale luogo inevitabile di realizzazione della persona.29 Essi sono un luogo obbligato ma per nulla accogliente, dato che hanno la stessa indifferenza crudele per l’uomo che ha anche la Natura. E quindi è indispensabile che la persona li trascenda nel mentre soggiorna in essi. E questo trascendere lascia emergere quell’eternità nella quale il mondo degli oggetti risulta definitivamente cancellato. Sta di fatto che Berdjajew demolisce l’intera operazione filosofica (e relativo concetto) nel sostenere che lo spirito oggettivo in definitiva non è altro che il frutto puramente artificioso del prevalere di quella dimensione sociale e comunicativa entro la quale è indispensabile la sottomissione del particolare all’universale. In altre parole si tratta di una realtà affatto genuinamente filosofica, ma invece più che altro ideologico-politica. E quindi per nulla autentica. Quello che è certo è che in essa naufraga qualunque filosofia personalista. E questo costituisce un grave problema quando ci si pone davanti a quella visione steiniana che proprio al personalismo fu tra l’altro dedicata. In essa infatti non è contenuta alcuna critica all’universale.

Ulteriori considerazioni sulla filosofia dell’essere steiniana ci vengono poi permesse da Berdjajew laddove nel suo discorso entra in gioco la presa di posizione filosofica propria del realismo, che egli non esita più volte a definire ingenuo – e ciò in quanto sostanzialmente non critico −, identificandolo così con quello della tradizionale onto-metafisica ed allineandosi così decisamente con quanto sosteneva Husserl.30 Eppure la Stein diede forma ad una filosofia dell’essere proprio quanto approdò a questo genere di realismo (ed ovviamente in conflitto con l’idealismo husserliano). E quindi, sulla base di Berdjajew, è presumibile che una qualche pecca deve esserci stata nella sua visione a tale proposito. Vediamo dunque in cosa questa pecca può consistere. Il problema sta per Berdjajew nel fatto che, una volta oggettivato, l’essere non è più essere.31 In tal modo infatti esso è stato appena preparato dal conoscente per scopi unicamente conoscitivi. In altre parole, dunque, la conoscenza dell’essere è appena una finzione dell’effettivo coglimento dell’essere. E ciò avviene massimamente nella più estrema forma di obiettivazione, cioè quella in cui il soggetto conoscente è stato addirittura già cancellato (sebbene solo per convenzione), e cioè appunto nel realismo. È allora del tutto legittimo il dubbio che la Stein non abbia affatto ritrovato l’essere nel realismo. Sebbene va detto che per cercarlo dovette necessariamente fuggire dall’idealismo. In quest’ultimo infatti, dice Berdjajew, vi è un atto conoscitivo che è puramente logico e quindi non può in alcun modo avere contatto con l’ontologico. Quindi nemmeno l’idealismo ha alcuna possibilità di intercettare davvero l’essere. In tale contesto insomma i pensieri vengono scambiati per realtà. Ed il passo successivo, cioè il realismo, reca in sé ancora questa confusione. Ed ecco allora delinearsi una metafisica naturalistica che è del tutto assurda (quella fatta di sostanze e gerarchie dell’essere), e con essa inoltre fatalmente si delinea un mondo degli oggetti (Objektwelt) che preme da fuori esercitando il suo potere sul soggetto. Il soggetto lo ha appena creato con l’oggettivazione, ma poi ha finito per presupporlo come esistente fuori di sé. Ed eccoci così di fronte a quell’indipendente «mondo fuori di noi» che la Stein credette di aver scoperto superando l’idealismo trascendentale husserliano.

Ma sta di fatto che proprio in questo modo si delinea una conoscenza fatalmente disconnessa dall’essere perché né essa né il conoscente vi sono immersi dentro in quanto esistenti. Il fatto è che, come dice Berdjajew,32 la stessa opposizione inconciliabile tra soggetto ed oggetto (ed inoltre la conseguente riduzione dell’uno all’altro) è esattamente ciò che fa svanire l’essere. Dato che in verità esso non si trova né nell’oggetto né nel soggetto. Dunque è del tutto vano lo sforzo di arrivare ad una filosofia dell’essere superando l’idealismo verso il realismo. Berdjajew dice che nell’Idealismo tedesco post-kantiano (proprio in quanto superamento del realismo ingenuo e non-critico) vi fu di certo una embrionale intuizione del fatto che il soggetto è essere e quindi è di fatto una realtà esistenziale.33 E questo aprì anche in qualche modo la strada verso la possibilità reale di una rivelazione (Enthüllung) dell’essere in quanto esistere (Existieren). Eppure, per poter davvero arrivare a questo, era ancora necessario escludere la dimensione del «davanti» per realizzare la completa immersione. Dato che la conoscenza dell’essere si compie solo in esso e con esso («nell’intimo dell’essere e con l’essere»; im Innern des Sein und mit dem Sein). Quindi l’atto di conoscenza è un atto esistenziale (existentieller Akt). Ma a tutto questo l’Idealismo post-kantiano non arrivò mai. Del resto, per Berdjajew, questa primarietà dell’esistere rispetto al conoscere implica strettamente quel dubbio circa la realtà del mondo visibile e oggettivo, che è poi l’inizio stesso della filosofia. Il che rende pertanto strettamente necessaria la critica al realismo. Laddove però intanto non è giustificato nemmeno l’idealismo con la sua netta contrapposizione tra soggetto ed oggetto; e quella conseguente obiettivazione che riporta di nuovo al realismo chiudendo così il cerchio.

Insomma ancora una volta sembra che proprio il persistere in lei della tensione idealismo-realismo abbia reso impossibile alla Stein di cogliere pienamente la realtà dell’essere. E ciò significa allora che, perché questo divenisse possibile, ella avrebbe forse dovuto fare un piccolo passo verso la filosofia dell’esistenza. Cosa che però non avvenne mai (ebbene di essa vi sia forse un vago abbozzo nella sua critica ad Essere e tempo di Heidegger).34 Ma l’aspetto più generale dell’intera problematica è in fondo la definizione stessa di filosofia.35 Berdjajew sostiene infatti che la vera filosofia è solo quella che si pone davanti al mistero dell’essere, anzi che vi sta totalmente immersa dentro. Il che richiede che il filosofo stesso sia l’Io-esistente per eccellenza. Ma ciò significa che egli si deve porre fuori di qualunque forma di obiettivazione filosofica del mondo (come sono idealismo e realismo), così come fuori della stessa Natura (nella quale domina la conoscenza scientifica). E ciò avviene specialmente nell’atto di un costante trascendere. E questo lo pone come una persona nel mentre configura un dualismo che non solo è inevitabile ma è anche filosoficamente fondamentale. Esso infatti è l’unico modo in cui la filosofia può essere personale. Posto questo può allora anche darsi che lo spiritualismo di Berdjajew vada inteso proprio in questi termini – ossia come estraneità del soggetto spirituale a tutto ciò che è obiettivato. E questo sicuramente non avviene nella Stein a causa della sua accettazione del concetto di spirito oggettivo.

Volendo trarre le conclusioni da quanto abbiamo visto finora, possiamo certamente dire che la filosofia dell’essere steiniana è stata insufficiente per due principali motivi − in primo luogo perché ha finito per sposare il realismo della tradizionale onto-metafisica (che Tommaso aveva mutuato interamente da Aristotele), ed in secondo luogo perché il suo sforzo di non ricadere così in un realismo ingenuo la costrinse a mantenere in piedi (almeno come metodo di indagine) l’idealistica distanza teoretica dall’oggetto di conoscenza filosofica che ella continuò a condividere con Husserl. Si può dire che però le cose cambiarono sensibilmente allorquando (nella seconda parte di EES) il suo pensiero virò nuovamente verso l’idealismo, ma questa volta verso un idealismo di stampo decisamente platonico (per l’intermediazione di Agostino). E proprio qui si delineò quella sua riflessione sugli Universali scolastici (della quale parleremo più avanti), nella quale forse vi sono elementi per riconoscere una filosofia dell’essere più piena in quanto incentrata sull’Essente (Seiende), ossia l’Individuo ideale divino-trascendente. Tuttavia, nemmeno così ella pervenne ad una filosofia dell’essere esclusivamente esistenziale com’è quella di Berdjajew.

La filosofia come teoria della conoscenza e la filosofia dell’essere

È risultato già abbastanza evidente che per Berdjajew la filosofia in quanto teoria della conoscenza non ha alcuna possibilità di cogliere l’essere (in quanto concepito unicamente come concetto) e quindi non ha alcuna possibilità di configurare una filosofia dell’essere. E bisogna dire che ciò «condanna» in partenza la Stein. Infatti lei non solo non abbandonò la filosofia come teoria della conoscenza nemmeno quando approdò alla filosofia dell’essere come deciso realismo, ma inoltre si era avvicinata a quest’ultima proprio per ritrovare in essa una teoria della conoscenza che fosse però metafisica come quella di Husserl non era mai stata. Infatti la pensatrice cercò in tal modo di trovare una certa convergenza tra Husserl e Tommaso.

Ma vediamo come questo può venire ulteriormente compreso entro la riflessione di Berdjajew. Berdjajew afferma che la contrapposizione tra soggetto e oggetto di fatto fa letteralmente svanire l’essere.36 Ed essa corrisponde esattamente alla conoscenza (Erkenntnis) stessa. Dunque è proprio la conoscenza ciò che fa svanire l’essere. Prima di tutto perché il conoscente stesso cessa di costituire un essere, dato che si pone «davanti» all’essere. Inoltre con ciò l’essere viene ridotto ad oggettualità. E così l’essere deve svanire dato che in verità esso sta del tutto aldilà del sensibile, ossia è mistero. Ecco che anche il solo tener presente una teoria della conoscenza rende impossibile professare una vera filosofia dell’essere. Infatti Berdjajew sostiene che la teoria della conoscenza è una dottrina senza alcuna via di uscita, dato che in essa il soggetto viene scorporato (herausgelöst) dall’essere nel mentre intanto l’essere viene obiettivato.37 Ed ecco che, proprio in forza di questa teoria, la conoscenza finisce fatalmente in tragedia. Essa diviene cioè impossibile, e quindi condanna sé stessa in partenza.

Nel sostenere la creatività della conoscenza in quanto atto dello spirito (Akt des Geistes), Berdjajew afferma poi che essa è incompatibile con qualunque concezione statica dell’essere.38 E da ciò egli trae la conclusione che la conoscenza non è evolutiva (evolutionäre) ma invece va sempre di pari passo con la creazione del nuovo, che è poi tipica dell’azione dello Spirito. In particolare si tratta del fatto che l’essere è per definizione incompiuto e come tale deve sempre venire a compimento. Ebbene ciò ricorda alla lontana quella dottrina della relazione tra potenza ed atto che la Stein applicò tra l’altro anche alla dottrina della conoscenza. Ma in essa la conoscenza era appunto evolutiva, nel senso che portava ad attualità ciò che era appena potenziale, e quindi era di fatto un essere (anche se non ancora esplicato). Non sembra però che in tal modo si possa intendere la stessa cosa che intende Berdjajew, e cioè che la conoscenza è un’autentica forza generativa del nuovo, ossia qualcosa che non c’è mai stato. Mentre invece il potenziale è per definizione un «già stato». Quindi, anche in questa sua forma metafisica (quella di Tommaso e Aristotele, la teoria della conoscenza sembra essere un ostacolo al coglimento dell’essere autentico, e precisamente al coglimento della sua realtà integralmente dinamica – nel senso che (proprio in quanto sempre radicalmente nuovo) l’essere affiora incessantemente dal non-essere e non procede quindi affatto a partire dall’essere potenziale.

Ancora una volta l’essere viene colto qui come un inafferrabile ed inesauribile mistero. E quindi proprio in relazione a questo Berdjajew intende la conoscenza filosofica unicamente come domanda (circa il senso della vita e del destino personale).39 Il che implica però che la filosofia non consiste affatto nell’atto di indagare gli oggetti. In questo modo infatti essa si pone solo come secondaria e non come primaria. Ebbene proprio così è la filosofia come teoria della conoscenza, e cioè appena secondaria. Questo significa allora che, anche allorquando la Stein aveva creduto di aver fatto sposare perfettamente la teoria della conoscenza (tendenzialmente idealistica e moderna) con la filosofia dell’essere (tendenzialmente realistica ed antica), ciò non era in realtà avvenuto. E non era avvenuto principalmente per il fatto che l’essere pieno ed autentico restava ancora nascosto a queste due forze congiunte.

La riflessione sugli Universali ed i suoi riflessi sulla dottrina dell’individuazione e dell’unicità personale

Berdjajew conduce un attacco davvero frontale contro il concetto filosofico di universale e generale (Allgemeine), e peraltro in diversi luoghi del suo scritto.40 Ed anche questo attacco chiama inevitabilmente in causa la Stein. Infatti una larga parte della sua ormai matura ontologia (in ESS) fu dedicata ad una riflessione estremamente dettagliata su questo tema, e precisamente nel collocare a tale livello ontologico le essenzità (Wesenheiten) in quanto principi ideali delle cose. Orbene Berdjajew ritiene che proprio la riflessione scolastica sugli Universali abbia in filosofia sbarrato la strada a qualunque personalismo, dato che essa riteneva l’individuale un mero particolare che (in obbedienza alla tradizione greca sia platonica che aristotelica) perdeva qualunque valore e consistenza ontologica per essere diametralmente opposto agli universali. In altre parole qui si era sostenuto che il particolare coincideva di fatto con il non-essere. Proprio in tal modo a suo avviso la categoria della personalità (in quanto erroneamente fatta coincidere con il particolare e l’individuale) ha subito sempre una radicale svalutazione filosofica. Che poi ha finito per prolungarsi fino ad Hegel ed all’Idealismo tedesco. A ciò ci sentiremmo di aggiungere anche la speciosa e maligna polemica contro il valore della persona (peraltro diretta soprattutto contro Agostino) che è stata condotta dal pensiero tradizionalista neo-pagano ed anti-cristiano in nome della presunta radicale sovra-essenzialità e sovra-personalità dell’Uno divino.41 A nostro avviso questa è stata peraltro anche una delle radici ideologiche del Totalitarismo del XX secolo specie nel suo versante nazi-fascista. E da ciò possiamo comprendere la grande pericolosità dell’anti-personalismo universalista dell’intera filosofia (senza alcuna distinzione tra antica e moderna).

Ebbene le cose non stanno esattamente così anche per la Stein, dato che tratto essenziale della sua riflessione al riguardo fu proprio l’accento posto sull’onticità delle essenzità, che apparivano essere dei veri e propri individui (se non persone) trascendenti, per quanto solo potenziali.42 E peraltro l’Essente come radice dell’unicità personale immanente (quella umana) trovava proprio a questo livello il suo paradigma. Eppure, nel seguire il ragionamento di Berdjajew, appare chiaro che l’universale deve oggettivamente venire considerato l’esatto contrario dell’esistente, e quindi qualcosa che non potrà mai presentarsi come personale. Quindi una certa qual confusione di concetti ci deve essere stata a tale riguardo anche nella riflessione steiniana. Che del resto era fortemente influenzata da quella Scolastica che Berdjajew con solide ragioni considera fortemente anti-personalista. La concordanza a tale proposito tra i due pensatori viene però ritrovata laddove Berdjajew (così come la Stein) sottolinea che l’idea in quanto universale (o generale) trova realtà solo nell’individuo.43 Un ulteriore concordanza vi è anche laddove il pensatore afferma che in definitiva anche l’universale è individuale pur essendo del tutto vuoto di essere.44 E ciò ci approssima di nuovo all’onticità delle essenzità che la Stein postulò abbastanza chiaramente. Tra l’altro Berdjajew stesso ammette che nell’universale e nel generale (Allgemeine) va registrata la presenza del Logos divino.45 E il Logos divino venne dalla Stein equiparato all’intero campo delle essenzità in quanto essere essenziale (wesenhaftes Sein) divino-trascendente.

Vi è poi un’affermazione al riguardo di Berdjajew che (sebbene in maniera abbastanza discutibile) coinvolge anche Husserl nel discorso sulle essenzità.46 Egli ritiene infatti che il pensatore tedesco abbia voluto vedere dei veri e propri esistenti in quegli oggetti reali che si presentano come Wesenheiten nello spazio della pura coscienza. In ogni caso egli ritiene però ciò insufficiente a dischiudere il mistero dell’esistere. E tuttavia sembra che il pensatore non sia assolutamente disposto ad ammettere che l’unicità personale possa essere compatibile con l’universale ed il generale.47 La persona è infatti per lui qualcosa di assolutamente speciale (Besonderes) proprio solo perché è diametralmente opposta a questi due elementi ontologici. Infatti essa resta un Tutto pur essendo una piccolissima parte del cosmo e della Natura. Conseguentemente egli afferma che la dimensione personale della filosofia svanisce totalmente quando si pretende di sottomettere il personale all’universale.48 E bisogna qui ammettere che – per quanto la Stein sottolineasse con molta forza che l’unicità personale compariva solo alla fine del processo di individuazione e cioè molto lontano dal livello delle essenzità trascendenti (e cioè nell’individuo in carne ed ossa) −, tuttavia il suo paradigma originario restava l’Essente universale che costituiva l’intero campo delle essenzità ideali-trascendenti. In effetti, dunque, è probabile che la stessa riflessione steiniana a tale proposito non sia stata poi così vicina a quella scolastica – cioè non abbia affatto considerato l’Universale come un vuoto di essere opposto all’individuale in quanto particolare. Non a caso, come abbiamo già detto, tale riflessione era in questa fase ormai di nuovo lontana dal realismo. Ed inoltre abbiamo anche già visto che la pensatrice aveva tentato di trovare proprio a questo livello la pienezza trascendente del personale in quanto Essente divino. E del resto l’analisi critica della Borden supporta fortemente tutto questo.

Ma tutto questo ci conduce al cospetto dei temi dell’individuazione e dell’unicità, che nel pensiero steiniano trovano una trattazione davvero intensiva, e che comunque sono strettamente legati tra loro. Berdjajew, dopo aver analizzato in modo davvero profondo l’assoluta originarietà dell’Io (cosa che non permette ci comprenderlo affatto in maniera né unilateralmente filosofica né unilateralmente psicologica, ossia come coscienza o come ego), giunge alla conclusione che esso, in quanto totalmente incondizionato, è un centro stabile di azione che viene determinato solo da dentro e non da fuori.49 E tale sua stabilità equivale esattamente all’identità immutabile che lo caratterizza anche nel cambiamento. Ma è proprio per questo che esso non assomiglia ad alcun altro Io, e quindi costituisce un’irriducibile unicità. Il che comporta che esso riconosce nell’altro un Io solo su questo piano e non su quello della socializzazione. Anzi esso è destinato a muoversi espressamente verso l’altro. Berdjajew pensa infatti in generale che la persona sia destinata per natura a cercare di uscire dalla solitudine che la caratterizza onticamente, ma intanto vive anche drammaticamente la consapevolezza di svanire come persona nel collettivo.50 E così accade che l’Io vada di pari passo con la percezione del suo proprio essere speciale – laddove poi Berdjajew indica l’unicità con gli stessi identici aggettivi impiegati dalla Stein, e cioè specialità (Besonderheit), unicità (Einzigartigkeit), irripetibilità (Einmaligkeit).51 Si tratta insomma dell’essere diverso (Anderssein) in maniera irriducibile, che caratterizza indelebilmente la persona. Ed a ciò consegue che io sento sempre tutto estraneo (fremd) a me.

Ciò sta peraltro in relazione con il fatto che, essendo la persona una categoria dello spirito, e con ciò del tutto estranea alla Natura, essa è costantemente chiamata ad un lavoro di auto-formazione come atto di irriducibile resistenza per poter restare ciò che è.52 È del resto lo stesso lavoro che lo spirito fa costantemente sulla propria anima e sul proprio corpo. E questa resistenza (tendente a conservare la propria originalità) è onticamente caratteristica della persona, che in sua assenza resta invece appena un mero individuo. Ecco che il processo di individuazione si rivela essere meramente quantitativo, mentre invece quello che reca alla persona si rivela essere puramente qualitativo. E bisogna dire che questo fu esattamente quanto sostenne anche la Stein in polemica con Tommaso. In tal modo abbiamo quindi accennato anche al tema dell’auto-formazione che purtroppo però non potremo trattare in questo articolo.

Berdjajew chiarisce però anche che la persona deve questo suo stato ontico alla sua totale similitudine (Gleichnis) a Dio.53 Essa infatti appartiene interamente all’ordine di Dio in quanto identico all’ordine dello Spirito. Ed in questo consiste quel suo mistero, che poi a sua volta coincide con la dimensione del cuore in quanto autentico nucleo del suo essere. Laddove il cuore sta per la stessa inafferrabile Totalità che l’uomo costituisce. È dunque questo il più profondo fondamento dell’unicità umana. Ed è quindi questo ciò che rende l’uomo radicalmente diverso da qualunque altro essere vivente o ente. E su questa base, peraltro, Berdjajew sostiene la natura sostanzialmente aristocratica (e non democratica) della persona e del personalismo – da intendere però non in senso élitario ma invece come affermazione dell’irriducibile dignità (Würde) di ogni uomo.54 Ecco allora che emerge di nuovo una notevole divergenza tra i due pensatori, dato che la Stein invece si sforza di fondare l’unicità umana su un’onticità spirituale che è soprattutto di tipo intellettuale e razionale. E ciò è peraltro paradossale, dato che proprio lei (successivamente alla dottrina dell’empatia) aveva inteso l’anima umana come il nucleo della persona in quanto dominata dalle emozioni specialmente etiche. E per questo ci sono peraltro molti appigli nel libro di Berdjajew, dato che egli pone l’accento proprio sulla dimensione emozionale della natura umana.55

Infine il pensatore56 sottolinea che l’amore consiste proprio nel concedere all’altro Io lo statuto di persona (in quanto è un qualcuno che non assomiglia a nessun altro); e peraltro in maniera così intensa da rinunciare addirittura al primato in tal senso di colui che ama in quanto persona. È per questo, egli dice, che il mistero dell’amore e mistero della personalità vanno di pari passo. In sintesi, dunque, possiamo dire che l’unicità della persona umana venne sostenuta da Berdjajew in maniera che in molti aspetti differisce molto dal modo in cui la Stein l’aveva postulata. In particolare perché per il pensatore russo l’unicità è del tutto incompatibile con l’avvaloramento filosofico dell’universale. Ed inoltre perché nella sua postulazione dell’unicità umana non ha alcun posto l’avvaloramento filosofico della dimensione intellettuale. Abbiamo però anche visto che la riflessione steiniana sull’Essente (Seiende) offre non pochi spunti per ritenere che anche la pensatrice abbia intuito (sia pure vagamente) la sostanziale esistenzialità dell’Io in veste di Persona. E questo ci mostra che ella deve aver in tal modo compiuto almeno in parte il cammino che la distanziava dall’onto-metafisica realista, per poter in tal modo giungere al risultato che stava a cuore a lei come anche a Berdjajew, ossia giungere ad intendere la persona umana come un Esistente straordinariamente simile a quello divino.

Due personalismi a confronto

Non vi è dubbio su fatto che la lettura di Berdjajew ci può aiutare a comprendere meglio la Stein (sia pure nella tendenziale critica) per il semplice fatto che entrambi sono stati due pensatori personalisti. Questo è dunque un aspetto che non può assolutamente venire ignorato in questa investigazione. Certamente il discorso su questo tema potrebbe e dovrebbe essere molto lungo. Ma in questo articolo non c’è lo spazio per farne una trattazione estesa. Per cui, proprio allo scopo di abbreviare, mi limiterò ora a sintetizzare gli aspetti principali del personalismo di Berdjajew per poi tentarne un finale brevissimo confronto con quello della Stein.

Secondo Berdjajew il personalismo inizia con la filosofia stessa in quanto sempre personale e soggettiva.57 E qui egli contrappone nettamente Kierkegaard ad Hegel. Proprio come tale la presa di posizione personalista è sempre connotata tanto dalla dimensione del «mio» (come carattere della conoscenza e del relativo filosofare) quanto anche dal fatto che la personalità del filosofo è un aspetto decisivo del suo filosofare. E diremmo che questo approssima molto Berdjajew alla definizione di filosofia che venne sostenuta da Jaspers in WA.58 In particolare si delinea così in una conoscenza personale che per definizione non è obiettiva, esattamente come non lo è nemmeno la stessa conoscenza dell’esistere (e cioè la filosofia dell’esistenza); ossia è un puro conoscere attraverso sé stessi, e quindi configura di fatto un pensare sempre solo con tutto sé stesso.59 Infine il pensatore dichiara che il personalismo equivale di per sé totalmente alla filosofia dell’esistenza.60

Poi aldilà del tema dell’aspetto filosofico del personalismo, Berdjajew mette in evidenza anche gli aspetti ontici che sono specifici della persona. La persona sussiste invariabilmente in quanto opposizione dell’universale al particolare.61 Infatti essa è soggetto solo nella misura in cui non è mai obiettivata in quanto radicalmente diversa dall’universale. Abbiamo visto infatti che la sottomissione di qualunque cosa all’universale ne determina l’obiettivazione, ossia la trasformazione in oggetto. La persona rappresenta un Io personale invece che impersonale, e quindi non coincide affatto con l’Io puro.62 Essa per definizione è un non-oggetto, e precisamente non è un oggetto del mondo ma è invece un soggetto caratterizzato però dalla valenza ontologica e non psicologica.63 La persona coincide onticamente con l’Io in quanto esso è assolutamente e radicalmente originario.64 Infatti l’Io non può venire dedotto da nulla, meno che mai dal pensiero (come si pretende invece che avvenga nel «cogito-sum» cartesiano). Pertanto esso non è affatto sostanza, e come tale non implica in principio alcuna fondamentale affermazione filosofica. È insomma una realtà del tutto antecedente perfino all’indagine filosofico-metafisica. In questo senso l’Io è un assoluto incondizionato ed incondizionabile esattamente per il fatto che è l’esistente per eccellenza; e come tale non è in alcun modo obiettivabile. Da questo scaturisce poi la stessa realtà della persona in quanto Io, dato che quest’ultimo è esso stesso unico per il fatto di non assomigliare ad alcun altro Io.65

Quelli finora menzionati sono gli aspetti ontici della persona. Ma ci sono poi i suoi aspetti relazionali, ed essi sono i seguenti. La persona è infatti anche il Tu a me esterno che io lascio esistere nel trascendere me stesso in quanto Io.66 Specularmente la persona insorge sempre solo con la solitudine che è propria dell’Io in quanto originario ed incondizionabile; e proprio questo caratterizza la sua differenziazione dalla collettività a causa del suo essere assolutamente speciale.67 Proprio per questo la dimensione del personale è elemento cruciale del superamento della solitudine entro la conoscenza che avviene nel contesto della comunità, ossia nella relazione con il Tu.68 Quindi anche nel contesto della conoscenza vi è sempre una dimensione personalistico-relazionale.69 Il personalismo è infatti proprio perfino della stessa conoscenza nel suo aspetto più basico e cioè in quanto relazione tra soggetto ed oggetto. Tuttavia Berdjajew precisa che l’uscita dalla solitudine non avviene per davvero se non si perviene ad un’unione tra soggetto e oggetto. Cosa possibile solo se essi costituiscono un Io ed un Tu. Il che avviene pienamente solo in quella relazione tra uomo e Dio, che quindi configura un teoandrismo della conoscenza.

Infine Berdjajew pensa che la dimensione della persona sia di importanza fondamentale nella trattazione del problema del tempo.70 Infatti la persona (in quanto identità immutabile) è di per sé indipendente dal tempo, nel mentre però intanto esiste nel tempo. Tuttavia la sua connaturata trascendenza fa sì che essa esista nel tempo solo sconfinando nell’eternità. Per tale motivo è «persona» proprio ciò che è insieme identità e mutamento.71 Ecco che entro la dimensione del mutamento si delinea comunque un aspetto estremamente fondamentale della persona che poi ci riconduce al tema dell’individualità.72 Infatti Berdjajew dice che l’individualità appartiene già naturalmente all’uomo, mentre invece la personalità no. Essa quindi deve venire raggiunta con sforzo, il che avviene proprio entro la dimensione del mutamento. Intanto però ciò avviene non senza la trascendenza. Perché, a causa della sua non naturalità ed eccezionalità ontologica (non sostanza), la persona è in verità un puro prodotto sovrapersonale e quindi è di origine divina. Ecco che allora il suo sviluppo entro il divenire finisce sempre per sfociare nel divino. È esattamente in questo senso, allora, che la dimensione ontologica della persona coincide con la dimensione spirituale (spiritualismo) ed inoltre con quella divina (umano-divinità) e con quella del senso.73 Risulta quindi chiaro che il personalismo di Berdjajew ha una valenza decisamente spiritualista così come anche ovviamente esistenzialista. Il che collima poi con una presa di posizione anche decisamente azionista e vitalista.

A questo punto vale la pena di esaminare brevemente le parentele filosofiche che questa complessiva visione lascia emergere. Berdjajew stesso annovera al personalismo in maniera esplicita pensatori come Agostino, Kierkegaard, Maine de Biran, Ravaisson, Nikolai Hartmann, Maritain, William Stern, Le Senne, Martin Buber. Kierkegaard viene intanto considerato da lui il paradigma stesso della filosofia dell’esistenza. È intanto evidente che sia Agostino che Stern (professore di Psicologia a Breslavia) lasciano approssimare questo universo alla Stein anche molto da vicino. Oltre a ciò il così deciso accento posto sul tu ci rinvia molto direttamente al personalismo di Romano Guardini.74 Quindi in tal modo il pensiero di Berdjajew appare essere prossimo all’intero universo dei pensatori da tutti riconosciuti come personalisti.

Bisogna però notare che Mounier non viene mai nominato. Tale appartenenza risulta senz’altro meno diretta riguardo a tre pensatori continuamente citati da Berdjajew, e cioè Husserl, Heidegger e Jaspers. Laddove il primo chiama di nuovo in causa senz’altro anche la Stein. Ebbene, ad Husserl il nostro pensatore attribuisce una sorta di Fenomenologia secondo lui a forte impronta personalista. Ma il perché di questo risulta davvero difficile da capire. Jaspers viene invece chiamato in causa con solide ragioni, in particolare a causa della dimensione del «mio», che è inscindibilmente connessa alla sua dottrina della filosofia come insieme di Weltanschauungen, cioè visioni personali del mondo. Heidegger infine viene da Berdjajew considerato un pensatore personalista solo in maniera molto spuria, dato che la sua visione non è per lui per davvero una filosofia dell’esistenza, ma è al massimo una filosofia del Dasein. E quest’ultimo secondo lui non solo di fatto sbarra la strada ad un vero coglimento dell’essere in quanto esistenza, ma inoltre pone fin troppo l’accento sugli aspetti negativi dell’esistenza per poter essere una via realmente perseguibile nel senso di una filosofia che aiuti l’uomo nel vivere. E la filosofia personalista non è tale se non assolve a questo compito.

Nel complesso, comunque, in base alla disamina appena fatta, sembra evidente che il personalismo di Berdjajew, anche se indubbiamente converge in alcuni punti con quello steiniano, è senz’altro estremamente più ampio, profondo, intenso, esplicito e lucido rispetto a quest’ultimo. E ciò avviene perché non solo esso mette in luce una grande varietà di aspetti ontici e relazionali della persona, e non solo perché perfino corregge alcune prospettive (come nel caso, già discusso, dell’Io in quanto originario). Ciò avviene in definitiva soprattutto perché il suo filosofare è estremamente limpido nel suo procedere, e quindi non costruisce affatto scenari di pensiero di complessità eccessiva o addirittura imperscrutabili. E dato che il personalismo serve soprattutto l’uomo (più che il filosofo) ciò ci sembra un aspetto di estremo valore e di estrema importanza

Conclusioni

Questa indagine ci ha permesso di gettare sul pensiero steiniano uno sguardo estremamente ampio anche se purtroppo non dettagliato, e precisamente nel senso della valutazione critica solo di alcuni suoi aspetti fondamentali. Infatti essa si è soffermata soprattutto sulle caratteristiche che dovrebbe avere una filosofia dell’essere per poter essere davvero piena ed autentica. E senz’altro Berdjajew ci offre la possibilità di comprendere bene questo aspetto per quanto soltanto attraverso il filtro costituito dalla sua convinzione che solo una filosofia dell’esistenza permetta di cogliere pienamente l’essere senza in alcun modo ridurlo ad oggetto e/o a concetto. Questa era del resto stata anche la posizione di Jaspers ed ovviamente di Heidegger, per quanto, a nostro avviso, il primo sia stato in questo molto ben più lucido e molto meno fazioso e ideologico del secondo. Nel corso dell’investigazione abbiamo potuto constatare che il tema della filosofia dell’essere è implicato in tutti gli altri temi che abbiamo trattato – filosofia come teoria della conoscenza, dottrina dell’universale, dottrina dell’individuazione e dell’unicità personale, dottrina della persona. E quindi in questo modo la filosofia dell’essere si è rivelata poter costituire un criterio estremamente generale a partire dal quale fosse possibile valutare criticamente il pensiero steiniano.

Insomma, in queste conclusioni crediamo di poterci concentrare soprattutto su questo aspetto. Cosa possiamo dire quindi una volta posto questo? Possiamo certamente dire che la Stein ebbe mille ragioni per andare alla scoperta dell’essere abbandonando da quella Fenomenologia husserliana che rendeva oggettivamente impossibile questo atto. E, nonostante le curiose attribuzioni che Berdjajew fa alla visione di Husserl, la sua decisa critica all’idealismo giustifica comunque molto solidamente l’assoluta necessità di tale abbandono. E tuttavia non sembra che la Stein sia riuscita a raggiungere il suo obiettivo proprio perché (come abbiamo visto) finì per approdare al realismo. E così finì per ritrovare l’essere nell’oggettualità e nel cosiddetto «mondo fuori di noi», ossia nell’essere meramente esteriore e mondano. Laddove invece Berdjajew ci mostra con chiarezza che l’essere (in quanto non-oggetto) non solo è qualcosa che si ritrova solo nell’interiore, ma è anche sempre un misterioso oltre, verso il quale possiamo e dobbiamo incessantemente tendere (come accade in quel trascendere al quale la persona umana tende per natura) senza però alcuna illusione circa la possibilità di ottenerlo. Ma intanto si può davvero pensare che una pensatrice profonda, potente e sensibile come la Stein si sia davvero fermata a questo? Non sembra proprio che ciò sia accaduto. E sostanzialmente per tre motivi. Il primo motivo è che lei nell’essere cercava Dio. E sicuramente non lo avrà potuto trovare nell’oggettualità e nel mondo esteriore, ossia nel realismo ingenuo (a prescindere dalle sofisticate riflessioni di Tommaso sull’Atto puro che ella fece senz’altro sue). Il secondo motivo è che ella, dopo aver appena scoperto il realismo (sostanzialmente in Potenza ed atto), sentì poi (in EES) il bisogno di tornare all’idealismo, ma questa volta intensamente metafisico-religioso e platonico-agostiniano. E proprio per questa via ella finì per scoprire che l’essere più pieno possibile risiede al livello più alto della gerarchia degli enti, e cioè a quel livello delle essenzità (Wesenheiten) – corrispondenti all’essere ideale per eccellenza. Esso senz’altro coincide con gli scolastici Universali e Trascendentali, ma in definitiva nella riflessione steiniana corrisponde molto più al Logos cristico.

Ed abbiamo visto che Berdjajew stesso ammette pienamente questo. Il terzo motivo è che ella sentì il bisogno di superare anche questa rinnovata fase idealistica del suo pensiero per darsi totalmente ad una contemplazione dell’Essere divino che sta al di sopra di qualunque categoria, e cioè quello concepito dalla teologia apofatica di tipo platonico (Dionigi l’Areopagita) e dalla più intensa mistica (Teresa d’Avila e Juan de la Cruz). E ciò peraltro trova un suggestivo riflesso proprio in Berdjajew laddove egli giustifica con grande energia l’assoluta necessità di una filosofia che non solo sia esplicitamente religiosa ma anche esplicitamente cristiana; convergendo così fortemente con le stesse aspirazioni steiniane.75 Qui in particolare egli dice che il campo della Rivelazione è e resta solo quello del pensiero divino, mentre invece il campo di pensiero che recepisce pienamente la Rivelazione è e resta solo umano. E quest’ultimo è il campo della mistica. Dunque dove se non qui la Stein avrebbe potuto trovare il compimento della sua intera riflessione sull’essere, che fin dall’inizio fu potentemente sospinta dall’aspirazione indomabile al divino? Ebbene questo significa forse che ella fu molto probabilmente ben cosciente dei limiti della sua filosofia dell’essere, e che quindi proprio in tal ambito abbia cercato il riscatto da essi. Il che ci conferma ancora una volta nella nostra convinzione che, per poter davvero comprendere il pensiero steiniano, bisogna osservarlo dalla sua fine e non dal suo inizio (ossia non a partire da Husserl). Questa quindi potrebbe essere la conclusione – positiva per quanto critica – della nostra disamina del pensiero steiniano alla luce delle riflessioni di Berdjajew. A ciò va aggiunto soltanto ciò che abbiamo cercato di sottolineare anche nel titolo dato a questa investigazione, e cioè il valore che ha avuto nel pensiero steiniano il concetto di Essente (Seiende). Concetto che non a caso trova posto anche in vari luoghi della riflessione di Berdjajew.76 Con esso si tratta infatti proprio dell’esistente che impersona l’essere portandolo così alla luce. Ma ancora più in particolare l’Essente è per Berdjajew tanto l’Io che è perdutamente «mio» quanto anche l’«Io sono» stesso nella sua pienezza; dato che esso rappresenta l’ist nella sua valenza assolutamente non predicativa.

Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto non vi può essere dubbio circa il fatto che anche tale elemento è gravato dalle conseguenze della serie di insufficienze connesse con la filosofia dell’essere steiniana. Tuttavia, sembra però anche che tale concetto abbia recato in sé fin dall’inizio tutte le possibilità per superare tali insufficienze. Esso infatti presenta forti elementi che permettono di assimilarlo all’esistente così come viene concepito da Berdjajew, e cioè in quanto esistente per eccellenza che non solo coincide con l’Io personale colto in tutta la sua unicità ma inoltre ha perfino la capacità di incarnare in sé la pienezza dell’essere. Il che implica poi che il nucleo della coincidenza tra i due personalismi sta proprio nel concetto di Essente. Tutto questo significa allora che, quando si viene colpiti dall’insufficienza della idea steiniana di filosofia dell’essere, bisogna immediatamente anche correre con il pensiero al suo concetto di Essente per vederle forse tendenzialmente risolte in partenza.


  1. Nikolai Berdjajew, Das Ich und die Welt der Objekte, Holle, Darmstadt 1951. ↩︎

  2. Gerl-Falkowitz Hanna-Barbara, Neyer Maria Amata, Sebstbildniss in Briefen. Zweiter Teil 1933-1943, ESGA 3, Herder, Freiburg Basel Wien 2015, 398 pp. 125-127. ↩︎

  3. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 p. 54-59; III, 1 p. 117-122, V, 1 p, 209-220, V, 3 p, 232-249, V, 4 p. 258-260. ↩︎

  4. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 205-210, V, 2 p. 223-224, V, 4 p. 256-257. ↩︎

  5. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 2 p. 223-224. ↩︎

  6. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 75-82, V, 1 p. 205-210. ↩︎

  7. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., IV, 2 p. 184-185. ↩︎

  8. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 205-210. ↩︎

  9. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 p. 61. ↩︎

  10. Edith Stein, “Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas v Aquino. Versuch einer Gegenüberstellung”, in: Husserl zum 70. Geburtstag, N. Niemeyer Verlag, Tübingen 1929, pp. 315-338; Marco Tedeschini, «La controversia Idealismo Realismo (1907-1931). Breve storia concettuale della contesa tra Husserl e gli allievi di Monaco e Göttingen», Internat. J. For the History of Texts and Ideas, 2, 2014, pp. 235-260. ↩︎

  11. Edith Stein, Potenza ed atto, Città Nuova, Roma 2003, VI pp. 344-386. ↩︎

  12. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 pp. 67-68. ↩︎

  13. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 39-43. ↩︎

  14. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, pp. 58-59. ↩︎

  15. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 p. 59-63; II, 2 p. 71. ↩︎

  16. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 pp. 59-63. ↩︎

  17. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 pp. 59-63. ↩︎

  18. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 78. ↩︎

  19. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 p. 43. ↩︎

  20. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 pp. 57-63. ↩︎

  21. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 64-71. ↩︎

  22. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 113-114. ↩︎

  23. Agostino di Ippona, Confessioni, Paoline, Sulmona 1949, X, I-XLII pp. 295- 350, XI-I-XXXI pp. 353-385. ↩︎

  24. Giovanni Catapano, Agostino. La Trinità, Bompiani, Milano 2013, I, i, 1-3, pp. 11-17, II, xii, 23 pp. 147-151, V, ii, 3 p. 333; Meister Eckhart, Commento alla Genesi, in: Marco Vannini, Meister Eckhart. Commenti all’Antico Testamento, Bompiani, Milano 2013, Prol., 14-17 pp. 71-74; Meister Eckhart, Commenti all’Esodo, ibd., III, 8-21 pp. 747-763. ↩︎

  25. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 73. ↩︎

  26. Edith Stein, Endliches und ewiges Sein, ESGA 11/12, Herder, Freiburg Basel Wien 2006. ↩︎

  27. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 p. 39. ↩︎

  28. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 pp. 79-81. ↩︎

  29. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 4 pp. 258-260. ↩︎

  30. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 pp. 75-78. ↩︎

  31. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 64. ↩︎

  32. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 pp. 64-71. ↩︎

  33. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 pp. 75-78. ↩︎

  34. Edith Stein, Martin Heideggers Existenzphilosophie, in Edith Stein, Endliches… cit., pp. 449-457. ↩︎

  35. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 pp. 28-38. ↩︎

  36. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 pp. 64-71. ↩︎

  37. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 74. ↩︎

  38. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., IV, 2, pp. 184-185. ↩︎

  39. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 39-43. ↩︎

  40. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 39-48, II, 2 pp. 64-91; III, 1 pp. 112-135; III, 2-3 pp. 143-152, V, 2 pp. 221-231. ↩︎

  41. LMA Viola, Essere Italiani, Victrix, Forlì 2015, II pp. 35-49. ↩︎

  42. Edith Stein, Endliches…cit., V pp. 239-279; VII, 1-11 pp. 303-394; Sarah Borden Sharkey, Thine own self in Edith Stein’s later writings, The Catholic University of America Press, Washington 2010, Introd. pp. XX-XXVII, 1 pp. 20-25, 2 pp. 26-40, 2 pp. 54-58, 3 pp. 56-64, 4 pp. 115-126. ↩︎

  43. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 209; V, 2 pp. 221-222. ↩︎

  44. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 p. 48. ↩︎

  45. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 2 p. 151. ↩︎

  46. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 74. ↩︎

  47. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 207. ↩︎

  48. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., …. I, 2 pp. 47-48. ↩︎

  49. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 113-117. ↩︎

  50. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 117-122. ↩︎

  51. Edith Stein, Endliches… cit., III, 3 pp. 68-72, III, 7 pp. 83-86, IV, 3, 2-16 pp. 144-181, VI, 4, 3 pp. 293-296. ↩︎

  52. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 pp. 205-210. ↩︎

  53. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 pp. 210-220. ↩︎

  54. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 3 pp. 232-249. ↩︎

  55. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 112-125, II, 2 pp. 139-143. ↩︎

  56. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 4 pp. 252-253. ↩︎

  57. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 39-40. ↩︎

  58. Karl Jaspers, Psychologie der Weltanschauungen, Forgotten Books, London 2018. ↩︎

  59. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 2 p. 73. ↩︎

  60. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 205. ↩︎

  61. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 p. 46; II, 2 p. 66. ↩︎

  62. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 pp. 51-52. ↩︎

  63. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., II, 1 p. 59. ↩︎

  64. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 113-117. ↩︎

  65. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 p. 110. ↩︎

  66. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 pp. 117-122. ↩︎

  67. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 1 p. 118. ↩︎

  68. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 3 p. 150. ↩︎

  69. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., III, 3 p. 152. ↩︎

  70. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., IV, 3 pp. 194-202. ↩︎

  71. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 4 pp. 250-261. ↩︎

  72. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 pp. 205-220. ↩︎

  73. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., V, 1 p. 206. ↩︎

  74. Romano Guardini, Welt und Person. Versuche zur christlichen Lehre vom Menschen, Grünewald & Schöningh, Ostfildern Paderborn 1988. ↩︎

  75. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 1 pp. 28-38. ↩︎

  76. Nikolai Berdjajew, Das Ich… cit., I, 2 pp. 66-68, I, 2 p. 73. ↩︎