Recensione a Secondo Bongiovanni, Il principio compassione. Dio nell’uomo, l’uomo in Dio

Secondo Bongiovanni, Il principio compassione. Dio nell’uomo, l’uomo in Dio, Cleup, Padova 2016.

Il libro di Secondo Bongiovanni si presenta come un discorso in cui la prospettiva filosofica e quella teologica si incontrano e dialogano per lasciare spazio alla prospettiva teologale. Il centro di questo discorso è il «principio Compassione», ma l’analisi è condotta attraverso un approccio che intende essere, al contempo, fenomenologico ed esistenziale. Si tratta, infatti, di descrivere l’esperienza della Compassione nell’esistenza umana. Questa descrizione, pur non assumendo, come sottolinea l’A., il metodo della fenomenologia in senso tecnico, cerca di portare l’attenzione sul vissuto della Compassione nell’esperienza umana e nella rivelazione dell’operare di Dio.

L’obiettivo del libro è preannunciato sin dall’Introduzione: interpretare la Compassione «quale Principio della Creazione di Dio nel suo legame inscindibile con la storia» (p. 13). Questo legame sembra cogliere la via dell’umano nella storia come un punto di partenza e un punto di arrivo. Per questo il primo sguardo è quello filosofico e cerca di indagare il modo in cui la Compassione è stata analizzata e considerata principalmente nel pensiero occidentale, in Schopenhauer, ma anche in altre tradizioni come il buddismo. L’intento è quello di uscire da una considerazione prevalentemente emozionale della Compassione per coglierne le ricadute sotto il profilo sociale e politico, storico ed esistenziale.

La ricostruzione critica positiva parte da Ricœur, ma si sofferma su pensatrici come S. Weil e E. Hillesum e, soprattutto, H. Arendt e M. C. Nussbaum. Nelle prime due pensatrici il discorso della compassione si riflette nella loro vita e nella loro opera, per la Arendt invece la compassione assume un rilievo al di fuori della sfera socio-politica. Come sottolinea l’A., è con la Nussbaum che la filosofia valorizza la Compassione al di là di un ambito privato o emozionale, poiché è auspicato un «governo della Compassione» (cfr. p. 80), che assuma anche un ruolo sociale e politico. Questa prima sezione termina con una domanda che apre ad un approccio teologico e pone così in campo il dato della Rivelazione. Qui la Compassione è considerata oltre che come agire dell’uomo anche come rivelazione di Dio (p. 83). In modo particolare l’A. esamina il significato della misericordia e della compassione nella prospettiva di due teologi contemporanei: J. B. Metz e W. Kasper.

Per Metz, ad esempio, la questione assume una rilevanza centrale a partire dalla memoria della sofferenza e del dolore innocente. Memoria passionis interpella la vita cristiana perché realizzi nell’azione la compassione, facendo memoria della passione di Cristo. In ambito teologico, quindi, la Compassione diventa un aspetto decisivo e il punto da cui reinterpretare la vita cristiana e la visione del mondo, poiché «lo spirito della compassione promuove a una vera e propria mistica politica della compassione» (p. 87). Questa sezione si conclude con una considerazione del significato dei concetti di misericordia e compassione secondo W. Kasper.

L’A. dedica invece la seconda parte del volume al «Vangelo della compassione». Qui ritroviamo un’analisi esegetica del testo di Lc 10, 29-37, la cosiddetta parabola del buon Samaritano. L’analisi è seguita da una interpretazione del brano che congiunge insieme la visione fenomenologica e quella teologale. Si tratta infatti di cogliere il fenomeno dell’esperienza della compassione nella vicenda umana, ma al contempo di analizzare il vissuto esistenziale per riconoscere nella stessa esperienza l’appello di Dio e il «rimando a Lui» (cfr. p. 138). Così la dimensione teologale costituisce quel dato primario che diventa la condizione di possibilità del discorso teologico e religioso. Possiamo cogliere questo dato nell’analisi del significato del testo lucano, dove il Samaritano, come precisa e spiega l’A., è indicato come un Samaritano. L’articolo indeterminativo costituisce, in questo caso, la possibilità di un’apertura oltre ogni possibile restrizione legata a particolari categorie sociali, ma apre anche all’idea che la compassione sia un richiamo e un appello impellente all’umanità (cfr. p. 175). Essa infatti risulta essere ciò che mobilita l’umano e il divino (cfr. p. 164). Questa seconda parte del libro si conclude con lo sviluppo della proposta iniziale, la tesi di fondo per cui «il senso della compassione evangelica è compreso a partire dalla Creazione» (p. 187).

Dopo una disamina dell’agire della compassione in riferimento alla riflessione di H. Arendt, la questione biblica dell’immagine e somiglianza di Dio assume un’importanza centrale in rapporto alla relazione con Dio, presentata come costitutiva dell’esistenza umana. Dalla relazione fondamentale alle relazioni con gli altri, l’uomo può vivere come «riflesso» del Dio di cui diviene somiglianza e che lo ha costituito a Sua immagine. Nella stessa Compassione di Dio verso l’uomo risuona un appello: il Dio che crea, e in questa Creazione chiama all’essere, è anche il Dio che richiama «all’umanizzazione e alla condivisione del dono ricevuto, dando inizio alla storia» (p. 205). L’umanizzazione dell’uomo passa allora attraverso la risposta a un appello. Tale umanizzazione realizza la «corrispondenza» con Dio: l’uomo umanizzato è l’uomo a somiglianza di Dio. L’agire della compassione, osserva l’A., rappresenta un nuovo inizio nella storia, ma questo nuovo inizio costituisce anche, allo stesso tempo, il senso autentico e ultimo dell’esistenza.

Il principio Compassione dunque è il crocevia dell’umano e del divino. Il testo di Bongiovanni riesce a tenere insieme le diverse prospettive su cui si apre, valorizzando un tema che tocca la questione di senso e che rivela, in ultima istanza, l’insopprimibile esigenza di umanità «che vive e sorge in ogni uomo grazie all’altro uomo» (p. 244).