Genere e soggettività: per un senso libero della differenza

1. Come entra la categoria di genere nel modo di soggettivazione, cioè nel processo di individuazione o divenire sé di un essere umano? La domanda è una di quelle che impegnano l’intera esistenza di una persona, in una varietà e peculiarità di modi difficilmente traducibili in contenuti teorici che la esauriscano. Questo contributo si limiterà, pertanto, ad accostare la complessità della questione dispiegando alcuni tratti della densa concettualità con cui, nell’odierno dibattito femminista, si leggono e articolano i temi del corpo e del linguaggio, la riflessione sul potere e la ricerca del senso di sé.

2. Per impostare la questione, occorre preliminarmente introdurre il concetto di genere, il quale, com’è noto, è oggetto di dibattiti teorici e politici fortemente polarizzati. Il genere – o più propriamente gender, in quanto prodotto della cultura statunitense non completamente traducibile nelle lingue romanze – è, infatti, uno strumento euristico che ha assunto il ruolo di significante principale nelle questioni inerenti al sesso e al potere, in quanto catalizzatore di speranze o di paure, strumento di resistenza e utopia o oggetto di profonda avversione.

3. Non potendo, nei limiti qui assegnati, procedere a una ricostruzione storico-concettuale della categoria di genere e dei suoi legami con quella di sesso,1 mi limito a introdurre le definizioni diventate canoniche. La categoria di sesso non suscita particolari difficoltà: essa designa la determinazione biologica di un corpo, anche se, di fatto, risulta più sfumata di quel che sembra; lo sviluppo anatomo-fisiologico del sesso esprime, infatti, l’interazione fra vari livelli di sessuazione: cromosomico, gonadico, ormonale, genitale.

È la categoria di genere a impegnare più profondamente i dibattiti, nella misura in cui la sua polisemia ed equivocità (in senso formale) rendono complicata e provvisoria ogni sua delimitazione. Genere, infatti, è un costrutto multidimensionale che coinvolge l’identità (l’autopercezione o il senso di sé in quanto donna, uomo o genere non binario) e il ruolo, ovvero la manifestazione di sé in uno spazio pubblico, in quanto appartenente a un genere.2 In alcuni documenti internazionali, il termine è sinonimo di donne e uomini;3 più radicalmente, il femminismo statunitense lo intende come dispositivo discorsivo di produzione e attribuzione di ruoli, comportamenti, aspettative a un dato genere in un determinato contesto sociale, alla base dei processi di soggettivazione e rappresentazione di sé.4 Genere vale, infine, come una categoria critica inclusiva che contesta ogni forma di discriminazione e violenza – relativa a sesso, genere, sessualità o disabilità –, in direzione di un nuovo umanesimo che si prende cura della vulnerabilità degli esseri umani in quanto suscettibili di essere feriti.5

4. La tesi che qui vorrei sostenere è, al contempo, largamente diffusa e problematica, o perché resta sul piano della semplice enunciazione o perché si sviluppa in prospettive aporetiche. La esprimo così: in un essere umano, sesso e genere – nella complessità del loro significare – sono annodati in modo inscindibile. Detto diversamente, non si può pensarli come antagonisti (su cui costruire un ennesimo dualismo, sulla scia di corpo-mente, natura-cultura, ecc.) né ridurre l’uno all’altro: il sesso come prodotto del genere o il genere come immediatamente deducibile dal sesso.

5. Il terreno su cui sesso e genere si annodano è il processo di sessuazione, proprio di ogni essere umano che viene al mondo; tale processo mostra che la naturalità dell’essere sessuati, per un essere umano, non si può sciogliere dalla sua significazione, interpretazione e attribuzione di senso. L’essere umano, infatti, è insieme un essere sessuato e un essere parlante; è cioè un essere dotato di logos: tanto che – opportunamente poste le differenze – si intenda con quest’espressione l’essere un’apertura intenzionalmente interale6 o l’essere dotato di linguaggio come insieme di significanti che avvolgono la vita umana e rete di produzione di effetti di senso.7

6. In ragione di questa tessitura corpo-parola – che va ora indagata più da vicino – l’essere umano è interrogato e ha da rispondere al suo essere sessuato. Ciò accade perché, come anticipato, «il corpo non è una forma puramente naturale»8 o un dato immediato; al contrario, a questo dato materiale e ai suoi eventi biologici l’essere umano ha accesso solo attraverso il logos/parola. Tale nesso può essere inteso in almeno due sensi non necessariamente conflittuali.

Il primo è esplicitato dall’antropologia metafisica, secondo la quale corpo e logos non sono due sostanze (al modo di due addendi di una somma), bensì due principi o due dimensioni coestensive.9 Segue che tutto in un essere umano passa per il corpo, ma tutto in quel corpo è già informato dal logos, cioè aperto all’orizzonte dell’essere10 e intessuto di significati culturali, simbolici e spirituali. La razionalità, infatti, si esercita in condizioni legate alla fisiologia, ma la fisiologia partecipa dell’apertura all’orizzonte. Si pensi, per esempio, al cibo: esso non è mai solo la risposta al bisogno primario di nutrirsi, ma si eleva ad arte, tradizione culturale, valore estetico, simbolo di cura, piacere della condivisione, persino nutrimento spirituale, come nell’Eucarestia; può, tuttavia e in virtù della stessa apertura interale dell’essere umano, diventare anche la meta di pulsioni distruttive, come nei disturbi alimentari.

Di conseguenza, la questione della differenza sessuale – del suo processo di significazione e delle sue implicazioni relazionali – risulta ineliminabile dalla vita umana. Il fatto che, in epoche passate, tale questione implicasse, almeno nel mondo occidentale, risposte e contenuti pressoché univoci, automatici e apparentemente a-problematici non escludeva che, per ogni essere umano, il processo di sessuazione fosse personale, costitutivo e pervasivo; mostrava piuttosto come fosse, per lo più, catturato da un simbolico dominante forgiato sull’ordinamento patriarcale.11

7. In un secondo senso, la co-implicazione di corpo e linguaggio è ben presente nelle scienze sociali. Come affermano le sociologhe Rossella Ghigi e Roberta Sassatelli, accediamo alla fatticità naturale del corpo «attraverso il nostro essere sociali».12 Perciò, il comprendere e il sentire il corpo risultano già da sempre mediati dal linguaggio e dalle interazioni sociali in cui l’esperienza corporea prende forma, vale a dire dall’insieme di rappresentazioni culturali, pratiche intersoggettive e rapporti istituzionali che intervengono nella nostra percezione del corpo. Segue «l’incorporamento come processo sociale»,13 dove le norme di genere svolgono un ruolo centrale, nella misura in cui non si riesce a pensare un corpo senza attribuirgli un genere, che vale, perciò, come principio di differenziazione dei corpi e costruzione di gerarchie di potere fra i corpi.14

8. Se il genere è «il frutto inevitabile di un processo di sessuazione del corpo»15 e, al tempo stesso, ne è una causa efficiente, nel senso che rappresenta l’orizzonte dei significati sedimentati che modellano i vissuti corporei, occorre allora andare a vedere come avviene tale processo. Ed è precisamente nello spazio fra il dato sessuato e il modo di dargli significato (personale e sociale), che si annidano tutte le questioni. In che modo mi confronto col corpo che sono? con quali difficoltà, proiezioni, ansie, condizionamenti, miti e modelli collettivi? qual è il peso delle pressioni sociali? quanto ci si può allontanare dalle cornici condivise? Da qui la domanda: come il corpo sessuato e le mediazioni simboliche per significarlo (ovvero le prime relazioni con i caregivers, le risorse simboliche a disposizione, l’ethos del tempo, ecc.) sono poste dinnanzi alla libertà di ciascuno e ciascuna? e in che senso i dibattiti polarizzati rischiano di offuscare il libero senso di sé, sotto il peso di condizionamenti supposti naturali o culturali?

9. A un estremo, ci si imbatte nella posizione definita essenzialistico-identitaria, anche se forse sarebbe più corretto parlare di riduzionismo naturalistico: si vorrebbero dedurre dal sesso-materia una serie di attributi, proprietà, orientamenti, fino a ipostatizzare un Maschile e Femminile stereotipato e predittivo dei comportamenti del singolo, come se bastasse possedere un corpo femminile per diventare – poniamo – degli agenti di cura o maschile per godere della capacità di penetrazione speculativa del mondo: è questo il campo dei noti – e oramai sfibrati – stereotipi di genere. Ma se così fosse, il corpo sessuato sarebbe un corpo animale, pre-formato e privo del soffio della libertà.

Questa posizione si rivela del resto insostenibile, se non altro perché, in un mondo caratterizzato da complessità, differenziazione e detradizionalizzazione, attributi e qualità maschili e femminili non appaiono più delle evidenze, al punto che, in un rovesciamento anche radicale di prospettiva, ci si chiede: cos’è maschile o femminile? ha ancora un senso parlare di proprietà ascrivibili all’uno o all’altro? hanno un contenuto queste categorie? e come trovarlo? statisticamente? ma quanto possiamo affidarci al dato statistico per definire il simbolico maschile e femminile? e che ne è di chi fuoriesce dalla media statistica? Un’altra strada potrebbe essere la decifrazione simbolica del corpo; ma, in questo caso, come tener conto dei suoi inciampi e imbrogli,16 delle sue zone oscure, delle ferite e dei traumi? dell’interazione sistemica del livello biologico, culturale, storico, linguistico, ecc.? delle relazioni all’interno delle quali il mio corpo è stato toccato, accudito, curato o respinto? della profondità dell’inconscio (tanto che lo si intenda come luogo di contenuti repressi, di archetipi collettivi, rete di significanti o sorgente creativa per l’individuazione)? Si tratta di una via percorribile procedendo con grande cautela.17

10. All’altro estremo, troviamo la proposta – vincente sul piano del consenso accademico – degli studi di genere, fortemente diversificati al proprio interno. Mi limiterò ad accennare a Judith Butler, secondo la quale corpo, sesso, genere e sessualità sono effetti delle strutture di potere che passano «per i canali sottilissimi […] e pervasivi delle prassi quotidiane»,18 gettando la loro ombra sulla coscienza e sull’inconscio collettivo. Il corpo è precisamente «il punto di applicazione di una rete di poteri, di obblighi, di costrizioni e divieti»,19 secondo precisi rapporti di forza veicolati dalle norme di genere. Tali norme – secondo Butler – si condensano principalmente in due imperativi, storici e sepolti nelle viscere della storia, in una parvenza di a-temporalità: la bipartizione gerarchica dei generi (cioè il binarismo dei sessi, opposti e simmetrici) e la loro complementarità sessuale (l’eteronormatività).20

Questo quadro d’intelligibilità governa, secondo la filosofa di Berkley, la nostra conoscenza, percezione ed esperienza del corpo sessuato, attraverso un processo di materializzazione che lo stabilizza nel tempo, assegnandogli la fissità di un confine riconoscibile, con sanzione di chi non vi si riconosce.21 In tal senso, l’idea di espressività – cioè di un qualche sapere del corpo vivente –cede il passo alla performatività, in base alla quale un essere umano fa il suo corpo per incorporamento di gesti, posture, parole, desideri stilizzati e reiterati fino a convincersi che si è quell’uomo o quella donna. Il dato corporeo diventa, allora, in se stesso ininfluente: non è qualcosa che uno ha o è, ma qualcosa che si fa e si disfa – meglio, viene fatto e disfatto – stando dentro «l’ordinarietà normativa»22 o collocandosi ai suoi margini. Tale «ordinarietà» è riletta, poi, come una forma di violenza, nel doppio senso per cui si fanno passare per naturali le norme sociali (binarismo ed eteronormatività) e si rende invivibile la vita di chi non vi si conforma.

La preoccupazione centrale di Butler è l’incessante dialettica fra il soggetto e il potere della norma, in quanto principio organizzatore dell’ordine sociale e dispositivo regolatore che precede il soggetto agente e lo espropria. Detto in altro modo, il soggetto è da sempre immerso nel quadro normativo che, per un verso, rappresenta la condizione di possibilità dell’agency (nessuno può esistere, parlare e neppure contestare l’ordine dominante se non a partire dalle mediazioni condivise), ma, per altro verso, non può che esporlo all’assoggettamento, con la conseguenza che «noi affermiamo un principio di non-libertà al cuore delle nostre relazioni».23

Ora, se accettiamo quest’impostazione, segue che, non solo il corpo non ha in sé nessun vissuto da significare (essendo il luogo di iscrizione dei rapporti di potere), ma la stessa agency risulta fortemente compromessa «da un’oscura serie di regole anonime».24 Non a caso, Butler scorge l’umano comune nella condizione di vulnerabilità, esposizione, dipendenza, soggezione, ferita che ogni essere umano patisce venendo al mondo. La critica – ampiamente condivisibile – al soggetto uno, universale, razionale, autonomo della modernità pare spingersi fino a eclissare il fondo intoccabile e la fonte sorgiva di creatività permanente che, in un essere umano, resta – in certa misura e anche nelle condizioni estreme – impermeabile alle regole, alle autorità esterne, ai regimi di verità.25

Se, quindi, il corpo non è mai mio e il fondo dell’esperienza è avvolto in un’opacità che non finisce di segnarmi, allora come è possibile rivestirlo di parole che traducano il sentire, che ne sondino dall’interno i moti più impalpabili, che esplorino il senso del vissuto propriocettivo e la profondità del contatto con altri corpi senzienti? L’atteggiamento performativo si rivela solo parzialmente riflessivo, mentre ribadisce la «forza costrittiva dell’ordine di genere»,26 forza pratico-mimetica per cui, come detto, il soggetto prende corpo secondo codici sociali di senso, incisi – in modo tanto prepotente quanto inconsapevole – negli schemi cognitivi, nei vissuti affettivi, nelle forme di vita.

11. L’impostazione di Butler ha il merito di smascherare l’accettazione irriflessa di schemi e abitudini consolidate, la presenza di condizionamenti storici di cui non ci rendiamo conto e nei quali rischiamo di smarrirci; di mettere al centro del dibattito filosofico e politico il tema della sessuazione e delle maschere nelle quali è catturata, con l’effetto liberante di togliere lo stigma sociale da identità e sessualità non conformi.

Quanto alla pars construens della sua teoria, c’è un punto che vorrei interrogare. Nonostante l’ineludibile dispositivo di potere che precede, eccede, accerchia ed espropria il soggetto,27 l’azione politica di Butler si volge verso una realtà sociale più inclusiva e meno violenta, dove ogni genere possa trovare lo spazio per respirare e condurre un’esistenza vivibile. E tuttavia, come si costruisce un tale ordine?

Come si è visto, il soggetto è convocato davanti alla norma, che pare erigersi a suo fondamento, costretto com’è fra la ripetizione di codici di genere (nell’allineamento di sesso, genere e sessualità) e la loro sovversione performativa. Ciò significa che l’azione politica prende la forma dei «disordini di genere» (gender troubles) che sorgono negli interstizi di un dimorfismo naturalizzato, dove si recita altrimenti la parte di genere che ci è stata assegnata. E poiché la riproduzione delle norme di genere avviene attraverso un’«attuazione corporea», segue che, «quando questo campo di norme viene infranto», si affacciano «conseguenze impreviste»:

«È così che assistiamo all’emersione […] di modalità iperboliche o dissidenti di mascolinità e di femminilità, e di modi di vivere il genere che si oppongono a ogni distinzione categoriale».28

La sfida all’ordine dominante avviene per il tramite del corpo, ma il processo di sessuazione appare catturato in un gioco di forza e potere, senza tregua e senza rimedio, tanto per chi diviene complice quanto per chi sfida il dispositivo normativo. Lo spazio di soggettivazione, infatti, è rappresentato dal processo di destrutturazione dell’ordine discorsivo-regolativo (binario ed eteronormativo), così che ogni costruzione della soggettività appare in certo modo parassitaria di quest’ordine (perché lo riproduce o perché lo destabilizza). Né potrebbe andare altrimenti, se il soggetto vi è assoggettato. Segue che il sogno eutopico di un mondo più ampio e meno violento potrà realizzarsi solo se si impara «a vivere e ad accogliere la distruzione e la riarticolazione dell’umano […] senza conoscere in anticipo quale forma precisa assume, e assumerà, la nostra umanità».29 È probabile che sia solo questione di intendersi, quanto al senso di questa formulazione dell’umano a venire e che esso sia pensato come giusto, umile e generoso,30 ma non si può non notare che né il pragmatismo costruttivista del performativo né il decostruzionismo poststrutturalista sembrano offrire un percorso di individuazione come tessitura di libertà e limite, trascendenza e legame sociale.

12. Una seconda difficoltà nel rapporto fra genere e soggettività – cui semplicemente accenno – emerge dai queer studies. In essi, l’aspirazione a un io vasto, molteplice, indeterminato e mutevole disperde l’unità del soggetto nella molteplicità anarchica e caotica dei posizionamenti e assemblaggi identitari.31 «La diaspora del genere»32 si incarica di sciogliere il binarismo sessuale nello spazio fluido dell’intermedio e dell’oltre, facendo del transgender il simbolo della resistenza ed emancipazione. Infatti, solo collocandosi al di là delle norme di genere – come espresso dal prefisso trans –, se ne rende evidente l’illusione e il fallimento. Ciò si ottiene attraverso le pratiche di smaterializzazione digitale del corpo (come nel cyberfemminismo33) oppure mediante la manipolazione dei segni corporei e il rivestimento con protesi iperboliche della maschilità e femminilità (come nel genderfuck e negli spettacoli drag). L’operazione di smantellamento del binarismo è, però, destinata a rimanere incompiuta, nella misura in cui opporre il cis- al trans- o i generi non-binari a quelli binari non consente di uscire dal sistema binario; ne riproduce piuttosto un’ultima versione: l’alternativa fra binario e non binario è essa stessa un binarismo. Né «l’aggiunta di un terzo o di un quarto termine […] annulla il binarismo fondamentale, ma lo sposta semplicemente in ciascuna relazione tra gli elementi della serie che consideriamo: LGBTQ+».34 Di qui la moltiplicazione delle denominazioni: queer, post-queer, quantoqueer35 o il glitch come errore di sistema.36

Nel gioco del perpetuo dislocamento, il queer viene assorbito dalla pulsione di morte,37 quale «tendenza del soggetto a distruggere il Significante, a svelare le illusioni dell’identità, della socialità, della linearità del tempo».38 Un’altra forma – digitale e materialista – di decostruzione del genere è teorizzata da Rosi Braidotti che, facendo leva su «una corporalità completamente attraversata dal fattore tecnologico», «un corpo completamente immerso nell’industria psicofarmaceutica, nella bioscienza e i nuovi media», finisce per affermare che «la differenza sessuale non fa più parte dell’essenza dei nostri esseri molteplici tecnologici e complessi».39

13. Rispetto alle opposte aporie del riduzionismo naturalista e di quello costruttivista-decostuzionista (dei gender and queer studies), una lettura più persuasiva e promettente, quanto al rapporto sesso-genere, mi pare giungere dalle teoriche italiane della differenza sessuale.40 Nonostante la convergenza sulla «critica ai luoghi comuni binari del maschile e femminile normativi»,41 il femminismo italiano si differenzia da quello statunitense per un certo numero di tratti: «l’indicibile fortuna di nascere donna»42 (di contro al dominio del neutro, sia nella forma tradizionale dell’Uomo, ritagliato sul maschile, sia in quella postmoderna della diaspora dei generi), il riconoscimento della differenza sessuale come questione inaggirabile,43 la valorizzazione della propria differenza come costante lavoro su di sé, sul proprio significarsi e agire (cioè sul processo di soggettivazione).

14. Nel lavoro delle teoriche italiane, la differenza sessuale è la differenza antropologica originaria: più radicale, per esempio, rispetto a quella d’età, all’appartenenza di classe o di etnia;44 sta nelle zone profonde della propria fatticità45 e media in modo decisivo il nostro essere al mondo. È una differenza relazionale, nel senso che esprime il diverso modo di entrare in contatto con il corpo-parola dell’altro: ciò accade nella relazione sessuale come spinta unitiva verso l’alterità;46 accade nella relazione genitoriale, perché è la differenza sessuale che fa genitori e fa genitori differentemente.47 Anche l’essere figli o figlie è all’origine di differenti dinamiche relazionali, per via dell’identificazione/differenziazione col corpo-parola di colei che ci ha messo al mondo.48 Allo stesso modo, il percorso di transizione sessuale, nella sua fatica e travaglio, rivela l’inoltrepassabilità della differenza sessuale: riassegnare il sesso non è come invecchiare o cambiare occupazione e paese, perché interroga il corpo vivente e vissuto in modo costitutivo e totalizzante. Persino i generi che si riconoscono non binari, per quanto ascrivano il binarismo a un imperativo sociale, non possono non interrogarsi sul rapporto «fra il sesso come organo e come identità, come immagine e come realtà». Al punto che «il fenomeno trans risuscita», a suo modo, «lo spettro del "vero sesso", lo spettro della disputa fra sesso e verità».49

15. Occorre ora chiederci che cosa si intenda per differenza sessuale. Già nel manifesto di Diotima, redatto nel 1987, essa appare come significante, ovvero orizzonte di significazione e condizione di continua individuazione: una tensione vivente per dire sé.50 Più volte Luisa Muraro ha sostenuto che la differenza sessuale non è lo spazio fra un uomo e una donna, ma è in me, dentro ognuno e ognuna come modo di diventare sé:

«si tratta del nostro essere corpo e parola insieme, in un rapporto di insormontabile eterogeneità, e qualsiasi cosa si dica, c’è sempre altro che domanda la parola e c’è sempre qualcosa dentro che è di troppo».51

Questo spazio di interrogazione rende la differenza sessuale «un tema inesauribile», «una questione persistente e aperta», «una ricerca soggettiva di sé», nella consapevolezza che nessuna teoria riesce a «stabilire confini certi tra il "biologico" e lo "psichico", il "discorsivo" e il "sociale"».52

Chiara Zamboni è tornata di recente sulla questione ribadendo, come già notato sopra, che la differenza sessuale non è un contenuto o una serie di predicati attribuibili a un essere sessuato, ma è la forma dell’interrogare che riveste di parola la carne dell’esperienza.53 Cosa vuol dire, allora, per ognuno/a di noi, oggi, essere donna o uomo o uno degli infiniti generi che la singolarità del corpo-parola vive e racconta? la mia differenza è di ostacolo al trovare il mio posto nel mondo? è ferita? è libera o irriflessa? è creativa o inerziale?

16. Rispondere a queste domande significa certamente confrontarsi coi rapporti di potere e, in particolare, con l’asimmetria di potere fra i sessi che ha caratterizzato il patriarcato, quale risposta maschile dominante alla questione della differenza sessuale.54 Ma dire che la differenza è significante equivale anche a fare i conti con quanta intelligenza e quanto sapere ci siano nei vissuti corporei,55 la cui decifrazione è un esercizio che aiuta a rispondere alla fatticità dell’esperienza come modo di soggettivazione e incontro col mondo. Non si parla qui «di corpo oggettivo, ma […] di corpo vivente inscritto di parole, aperto a un movimento trasformativo, in cui la sessualità è coinvolta, e che è via per scoperte soggettive in uno scambio con altre e altri».56

Per illustrare una tale significazione, si può ricorrere, per esempio, al corpo materno, su cui molte teoriche hanno condotto preziose analisi. Secondo Françoise Dolto, la gestazione è la tessitura di tre corpi-desideri: è nel corpo della donna che la parola d’amore della coppia umana si fa carne, mediante un’intensa tessitura di biologia, vissuti corporei, mente, mondo emotivo, immaginazione, ma anche paura, angoscia, pesantezza, impazienza o disperazione.57 In Julia Kristeva, la maternità è creazione di legami carnali e psichici e contemporaneamente luogo dell’espulsione dell’altro/dell’altra, cioè passaggio dal continuum all’individuazione.58 Secondo Muraro, madre è il nome della risposta di una donna all’appello della creatura piccola. Ciò non implica semplicemente una trasformazione biologica del corpo, ma si traduce in un lavoro simbolico «grazie al fatto che rispondiamo alla richiesta, aspettativa, attesa della creatura piccola, che captiamo quel messaggio profondo della creatura piccola che si aspetta il meglio da noi».59 Il lavoro relazionale del corpo materno, pertanto,

«dà una misura di come noi siamo, di come in noi tutto quello che è simbolico si converte in biologico e tutto il biologico diventa simbolico e non si può mai dire, fin qui arriva la biologia e poi qui inizia il simbolico. Mi piace dire che in noi la biologia è una semiologia, cioè il funzionamento dei segni e il funzionamento del corpo vivente si compenetrano l’uno nell’altro, per cui quello che capita con la madre biologica capita a tutti i livelli».60

17. In sintesi, nella tessitura corpo-parola, il dato corporeo non è mai interamente a disposizione, neanche nel caso della più completa manipolazione del corpo, che prevede comunque dei protocolli di riassegnazione. Ma il dato non segna neppure automaticamente un destino cui conformarsi, perché rimanda a una libera donazione di senso. Segue che ogni singolarità, lungi dallo sciogliere la differenza sessuale in un gioco performativo o, per contro, dal fissarla in una lista di predicati, è chiamata ad affrontare la sfida dell’interpretazione esistenziale della propria differenza. Lo può fare rifiutando «la fissazione ad una determinata idea», «la subordinazione a un modo di pensare», «l’idealizzazione di una risposta, per quanto buona».61

«In positivo si tratta di lottare perché ogni singola, dal concreto della sua esistenza, trovi le forze materiali e simboliche per significare quello che lei è, e comunicare quello che le capita di vivere o di desiderare, con parole che sente fedeli. […] Dando così un senso nuovo e libero alla differenza di essere donna».62

18. La differenza sessuale, come processo di individuazione e ricerca di mediazioni sociali e politiche, resta oggi un lavoro urgente e necessario. Ci troviamo, infatti, in una configurazione culturale in cui, per un verso, «l’ordinamento sessuale, legato per millenni al patriarcato […] ha perso la sua normatività»,63 liberando le persone da un destino di genere; ma, per altro verso, si è aperto il campo di un’incertezza identitaria che rende insicuro e fonte di ansia il processo di soggettivazione. Ci troviamo così fra un ordine patriarcale che non tiene più e un disordine di genere come nuovo imperativo culturale, del quale – non di rado – si nutre il mercato che trae profitto dall’evento della libertà femminile per agganciare il desiderio all’ordine dei consumi. Già Baudrillard, negli anni ’70 del Novecento, segnalava il passaggio dal controllo-repressione al controllo-stimolo, per cui il corpo diventa «il più bell’oggetto di consumo».64 La liberazione dal regime di genere patriarcale, di cui non si sente certo la mancanza, non ci ha, quindi, condotto nel regno della libertà; per converso, la liquefazione dei generi rischia d’essere asservita al neutro della prestazione e alla «convenienza dell’investimento che deve incrementare il suo valore, non importa se impersonato da uomini, donne o altri generi».65

Così, le donne non hanno fatto in tempo a uscire dalle angustie del patriarcato che sono state arruolate dal mondo della produzione e del consumo, dagli imperativi dell’accelerazione, dal mito della crescita che finisce per domandare loro di rinunciare a se stesse o di trasformare il senso e la possibilità dei legami, a partire da quello materno. La difficoltà del doppio sì – alla professione e alla maternità – è il prodotto di un’organizzazione del lavoro plasmata sugli uomini, la quale «suppone una centralità nella giornata e nella vita» realizzabile solo delegando ad altri lo spazio della cura di sé e degli altri.66 Una tale organizzazione affligge anche gli uomini chiudendoli in una solitudine amara dietro a paraventi di efficienza e prestazione.

Nella generale incertezza identitaria, tuttavia, le donne paiono facilitate sia perché l’identificazione con la maternità continua a esercitare una funzione di stabilizzazione dell’identità femminile, sia perché sono entrate da protagoniste nella riconfigurazione dei ruoli, producendo autorità femminile.67 Gli uomini, da parte loro, favoriti nella contrattazione sociale e nel bilanciamento life-work, appaiono meno esercitati nel lavoro relazionale e, forse, più incerti sul loro ruolo. Per un verso, hanno vissuto dall’esterno – nella posizione di spettatori – l’emancipazione femminile, piovuta loro «dal cielo come una mela matura. La mela tardiva di Eva».68 Per altro verso, sull’immagine della maschilità gravano narrazioni e miti collettivi contraddittori: se, da un lato, gli uomini sono chiamati a deporre le insegne di forza e virilità (pensate in equazione con la potenza predatoria e manipolatoria del padre padrone), dall’altro, sono esposti a imperativi di affermazione, prestazione, agonismo sociale, sfruttamento e auto-sfruttamento.69

19. Come tradurre, dunque, la differenza sessuale in cultura e civiltà, senza pensarla come pre-determinata e senza ridurla a effetto dei rapporti di potere?

Ciò si può fare e si comincia a fare attraverso un triplice esercizio: la formazione della coscienza, il lavoro relazionale e la ricerca di mediazioni politiche. Il lavoro su di sé sollecita la consapevolezza profonda e la trasformazione dei nostri schemi irriflessi e degli automatismi dell’agire, sapendo che in questo processo anche i momenti di incertezza o crisi possono diventare occasione di rinascita e sviluppo. Il lavoro relazionale, orientato al riconoscimento della differenza propria e altrui, si lascia guidare dalla domanda: quanta differenza siamo in grado di tollerare? Tale domanda ci stimola a implementare la soglia di accoglienza della differenza, mediante il sentire il sentire dell’altro, anche quando esso ci spaventa e richiede un nostro sforzo di integrazione. Infine, il lavoro politico comporta la ricerca di mediazioni istituzionali, e più ancora, la promozione di una cultura «per aumentare la consapevolezza e disinnescare progressivamente quei meccanismi di discriminazione che segnano la cultura di cui siamo tutti portatori», «a tutela della dignità e a servizio della libertà di tutti».70

Lavoro su di sé, lavoro relazionale e lavoro politico rappresentano le condizioni affinché ogni essere umano che viene al mondo possa esprimere un agire e un pensare liberi e generativi – questo è, per l’appunto, la soggettività – in direzione di una civiltà più umana.


  1. Mi permetto di rinviare a S. Zanardo, Differenza di genere, differenza sessuale: prospettive femministe su sesso e genere, in «Acta philosophica», 4 (2018), pp. 215-238. Della ricchissima bibliografia sul tema, mi piace ricordare L. Vantini, Genere, Edizioni Messaggero, Padova 2015. ↩︎

  2. Le definizioni sono riprese da J. Money - P. Tucker, Essere uomo, essere donna. Uno studio sull’identità di genere (1978), Feltrinelli, Milano 1980. Cfr. anche R. Stoller, Sex and Gender. On the Development of Masculinity and Femininity, Science House, New York 1968.Le prime teoriche a introdurre i termini nella letteratura femminista sono la sociologa britannica Ann Oakley in Sex, Gender and Society (1972), Gower/Maurice Temple Smith, Hants 1985 e l’antropologa statunitense Gayle Rubin, in uno dei testi fondativi del femminismo di genere: The Traffic in Women: Notes on the “Political Economy” of Sex, in R. Reiter (ed.), Towards an Anthropology of Women, Monthly Review Press, New York 1975, pp. 157-210. ↩︎

  3. In questo senso, lo si ritrova nel quinto dei 17 obiettivi nell’Agenda 2030, che recita: «raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze», o nel Gender Gap Report, elaborato ogni anno dal World Economic Forum, che ritrae le disuguaglianze fra uomini e donne, misurate secondo quattro indicatori: salute e sopravvivenza, istruzione, partecipazione economica e governance politica. ↩︎

  4. Un’utile lettura è quella di R.W. Connell, Questioni di genere (2002), il Mulino, Bologna 2006. ↩︎

  5. Prezioso in questo senso è il lavoro di E. de Clercq, Etica del gender, Morcelliana, Brescia 2018. ↩︎

  6. Mi richiamo qui al magistero di Carmelo Vigna, Etica del desiderio come etica del riconoscimento, 2 voll., Orthotes, Napoli-Salerno 2015; Id., Sostanza e relazione. Indagini sull’umano che è comune, 2 voll., Orthotes, Napoli-Salerno 2016. ↩︎

  7. L’essere umano non può far equivalere essere e corpo, come avviene per gli altri animali, perché egli è, insieme e inscindibilmente, corpo vivo e soggetto dell’inconscio, del quale il linguaggio rappresenta la condizione. Cfr. A. Di Ciaccia - M. Recalcati, Jacques Lacan, Mondadori, Milano 2000, p. 54. Il linguaggio, per Lacan, è il vero luogo della trascendenza, «inteso come ordine del significante» (ibi, p. 57). ↩︎

  8. P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 6. ↩︎

  9. C. Vigna, Il corpo della mente, in «Hermeneutica», 2007, pp. 45-51; Id., Corpo della tecnica, in Sostanza e relazione, cit., t. II, pp. 131-154; P. Pagani, Appunti sulla specificità dell’essere umano, in «Anthropologica», 2009, pp. 147-161. ↩︎

  10. Il logos è «un "orizzonte di senso" che ha una apertura metempirica, cioè intenzionalmente infinita, cioè trascendentale. E informa tutte le "intenzioni" umane». C. Vigna, Corpo della tecnica, cit., p. 137. ↩︎

  11. Ciò significa che non c’è persona o società in cui la questione della differenza sessuale non si sia posta, anche se essa è diventata oggetto teorico e pratica politica solo nel pensiero delle donne. Cfr. L. Irigaray, Etica della differenza sessuale (1985), Feltrinelli, Milano 1985. ↩︎

  12. R. Ghigi, R. Sassatelli, Corpo, genere e società, il Mulino, Bologna 2018, p. 7. ↩︎

  13. Ibi, p. 9. ↩︎

  14. Ibi, p. 16. ↩︎

  15. Ibi, p. 11. ↩︎

  16. Cfr. J.A. Miller (ed.), Gli imbrogli del corpo, Roma 2006; M. Focchi, Le parvenze e il corpo, Antigone, Torino 2016. ↩︎

  17. Le teoriche italiane della differenza sessuale hanno contrastato il riduzionismo e aperto lo spazio della significazione del corpo affermando che «la differenza sessuale non è un contenuto. Il femminismo ha criticato i modelli femminili insiti nel binarismo dei luoghi comuni. Si è detto: donne sì, ma senza coincidere con il femminile stereotipato. Donne, piuttosto, il cui significato è tutto da trovare nel corso di una vita e confrontandosi con altre donne». C. Zamboni, Il nostro è un corpo vestito di parole, 7 dicembre 2021, consultabile alla pagina https://www.libreriadelledonne.it/puntodivista/il-nostro-e-un-corpo-vestito-di-parole/, corsivo mio. ↩︎

  18. R. Ghigi, R. Sassatelli, op.cit., p. 49. ↩︎

  19. Ibi, p. 51. ↩︎

  20. La tesi è presente fin dalla prima opera della filosofa di Berkley. Cfr. J. Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità (1990), Laterza, Roma-Bari 2017. ↩︎

  21. J. Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del "sesso" (1993), Feltrinelli, Milano 1996. ↩︎

  22. L’espressione si trova in L. Russell, Glitch Feminism, Giulio Perrone Editore, Roma 2021, p. 87. ↩︎

  23. J. Butler, Critica alla violenza etica (2005), Feltrinelli, Milano 2006, p. 125. ↩︎

  24. Ibi, p. 50. ↩︎

  25. Come scrive Luisa Muraro: «Questi imperativi hanno un certo potere d’imposizione, che varia da cultura a cultura, unito a un più insidioso potere di mediazione, che è di farci pensare e giudicare così o colà, interpretando anche la nostra personale esperienza. Ma non hanno il potere di arrivare al fondo dell’esperienza, al quale si arriva soltanto con qualcosa di vero». L. Muraro, La differenza sessuale c’è. È dentro di noi, 28 marzo 2015, consultabile alla pagina https://27esimaora.corriere.it/articolo/la-differenza-sessuale-ce-e-dentro-di-noi/↩︎

  26. R. Ghigi, R. Sassatelli, op.cit., p. 140. ↩︎

  27. Questo punto è bene espresso nel già citato J. Butler, Critica della violenza etica, cit. ↩︎

  28. J. Butler, L’alleanza dei corpi. Note per una teoria performativa dell’azione collettiva (2017), Nottetempo, Milano 2017, p. 53. ↩︎

  29. J. Butler, La disfatta del genere (2004), Meltemi, Roma 2006, p. 61. ↩︎

  30. J. Butler, Critica della violenza etica, cit.; si veda, in particolare, il secondo capitolo. ↩︎

  31. F. Valentini, Genealogie queer. Teorie critiche delle identità sessuali e di genere, Ombre Corte, Verona 2018. ↩︎

  32. L. Russel, op. cit., pp. 47 ss. ↩︎

  33. Il termine è stato introdotto nel 1994 dall’esperta di studi culturali Sadie Plant, anche se l’origine del movimento può essere riconosciuta nel Manifesto cyborg di Donna Haraway del 1984 (trad. it. Manifesto cyborg. Donne, tecnologia e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi, prefazione di R. Braidotti, Feltrinelli, Milano 2018). Cfr. L. Russel, op. cit↩︎

  34. M. Bassols, La differenza sessuale non esiste nell’inconscio, consultabile alla pagina https://www.sovrapposizioni.com/blog/la-differenza-sessuale-non-esiste-nellinconscio↩︎

  35. L. Borghi, Assemblaggi affettivi. L’amore al tempo del quantoqueer, in G. Giuliani - M. Galetto - C. Martucci (eds.), L’amore al tempo dello tsunami. Affetti, sessualità, modelli di genere in mutamento, ombre corte, Verona 2014, pp. 207-216. ↩︎

  36. L. Russel, op. cit. ↩︎

  37. L. Edelman, No future. Queer theory and the Death Drive, Duke University Press, Durhan and London 2004. ↩︎

  38. F. Valentini, op. cit., p. 88. ↩︎

  39. R. Braidotti, Materialismo radicale. Itinerari etici per cyborg e cattive ragazze, Meltemi, Milano 2019, le citazioni si trovano rispettivamente alle pp. 45, 48 e 66. ↩︎

  40. Mi riferisco qui alla Libreria delle donne di Milano e alla Comunità filosofica femminile Diotima di Verona, la cui ricchissima produzione copre un lungo arco di tempo (dalla metà degli anni ’80 del Novecento ad oggi). Per un’efficace introduzione al pensiero della differenza sessuale, rinvio a R. Fanciullacci, Il significare della differenza sessuale: per un’introduzione, in R. Fanciullacci - S. Zanardo (eds.), Donne, uomini. Il significare della differenza, Vita e Pensiero, Milano 2010, pp. 3-59. ↩︎

  41. C. Zamboni, op. cit. ↩︎

  42. Cfr. L. Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma 2011. ↩︎

  43. R. Fanciullacci, op. cit. ↩︎

  44. L. Muraro, Oltre l’uguaglianza, in Diotima, Oltre l’uguaglianza. Le radici dell’autorità femminile, Liguori Editore, Napoli 1995, pp. 105-132. ↩︎

  45. R. Fanciullacci, op. cit., p. 27. ↩︎

  46. Va specificato che anche il desiderio omoerotico interroga la differenza sessuale. La stessa Butler si chiede: sono una donna che ama una donna? sono gay? sono lesbica? c’è un modo per dirlo? La filosofa afferma di aver provato paura, nel tempo dell’adolescenza, nell’attribuire a sé la parola lesbica e di aver speso il resto della sua ricerca per rispondere a tali domande. Cfr. il documentario di ARTE France dal titolo Judith Butler. Philosophe en tout genre, visibile alla pagina https://www.youtube.com/watch?v=aRquR7ybT5w↩︎

  47. A.M. Piussi, La differenza di essere padri, in A. Buttarelli - L. Muraro - L. Rampello (eds.), Duemilaeuna. Donne che cambiano l’Italia, Nuova Pratiche Editrice, Milano 2000, pp. 97-102, citato in R. Fanciullacci, op. cit., p. 40. ↩︎

  48. Su questo punto la bibliografia è immensa: mi limito a ricordare N. Chodorow, La funzione materna. Psicanalisi e sociologia del ruolo materno (1978), La Tartaruga, Milano 1991; J. Benjamin, Legami d’amore. I rapporti di potere nelle relazioni amorose (1988), Raffaello Cortina, Milano 2015; L. Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti, Roma 1991. ↩︎

  49. É. Marty, Le sexe des Modernes. Pensée du Neutre et théorie du genre, Seuil, Paris 2021, p. 17. ↩︎

  50. Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987. ↩︎

  51. L. Muraro, La differenza sessuale c’è, cit. ↩︎

  52. Ibidem↩︎

  53. C. Zamboni, op. cit. ↩︎

  54. Basta pensare a Freud, il quale, ascoltando la parole delle donne, decifra la crisi della moralità patriarcale; tuttavia, le sue teorie sull’invidia del pene o sulla madre fallica, scoperta poi castrata, restano ancora sul terreno della sessualità maschile, senza riuscire, in particolare, a pensare il legame col corpo materno, il quale – secondo le teoriche della differenza sessuale – è il vero luogo oscuro della cultura patriarcale. Cfr. Diotima, L’ombra della madre, Liguori Editore, Napoli 2007. ↩︎

  55. M. Forcina, Differenza sessuale, in Fondazione Centro Studi di Gallarate, Enciclopedia Filosofica, Bompiani, Milano 2006, pp. 2853-2861. ↩︎

  56. C. Zamboni, op. cit. ↩︎

  57. F. Dolto, La fede alla luce della psicoanalisi, La vita del desiderio (1996), et.al. edizioni, Milano 2013. ↩︎

  58. J. Kristeva, La reliance, ou de l’érotisme maternel, Congrès des psychanalystes de langue française, 5 juin 2011, consultabile alla pagina http://www.kristeva.fr/reliance.htm↩︎

  59. L. Muraro, Il lavoro della creatura piccola. Continuare l’opera della madre, Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 33. ↩︎

  60. Ibi, p. 34, corsivo mio. ↩︎

  61. L. Muraro, Le donne pensano, in «Via Dogana», 61 (2002), p. 11. ↩︎

  62. Ibidem↩︎

  63. R. Madera, Amori liberi, illusi e confusi, raramente felici, in G. Cappelletty- R. Madera, Il caos del mondo e il caos degli affetti, Claudiana, Torino 2020, p. 193. ↩︎

  64. J. Baudrillard, La società dei consumi (1974), il Mulino, Bologna 2010, pp. 149 ss. ↩︎

  65. R. Madera, op. cit., p. 194. Scrive Chiara Zamboni: «L’ideologia liberale ha bisogno di identità facilmente interscambiabili, senza radici. Tanto più le identità sono sminuzzate, slegate dai legami materiali, storici, tanto più sono "libere" di essere adoperate nelle nuove forme di organizzazione economica. Qual è la libertà del neoliberismo? Che il singolo possa offrire la propria forza lavoro senza la zavorra di radici, storia, differenza sessuale». C. Zamboni, Un movimento che si scrive passo passo, in Diotima, Femminismo fuori sesto. Un movimento che non può fermarsi, Liguori Editore, Napoli 2017, p. 19. ↩︎

  66. Libreria delle donne di Milano, Immagina che il lavoro, in «Sottosopra», ottobre 2009, p. 4. ↩︎

  67. Della ricca bibliografia sul tema, mi limito a citare L. Muraro, Autorità, Rosenberg & Sellier, Torino 2012 e A. Buttarelli, Sovrane. L’autorità femminile al governo, il Saggiatore, Milano 2013. ↩︎

  68. U. Beck - E. Beck-Gernsheim, Il normale caos dell’amore (1990), Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 197. ↩︎

  69. Ho trattato più diffusamente di questi temi in S. Zanardo, Antropologia delle relazioni familiari nella tarda modernità, in A. Neri, I. Llorens (eds.), I fondamenti relazionali del diritto di famiglia. Un approccio interdisciplinare, Edizioni Santa Croce, Roma 2021, pp. 23-39. ↩︎

  70. G. Costa, Ddl Zan: prima le persone, in «Aggiornamenti sociali», giugno-luglio 2021, p. 368. ↩︎