Sacrificarsi per l’Essere. Opfer e Seinsfrage a partire dai Quaderni Neri di Martin Heidegger

La questione del sacrificio [Opfer] rappresenta una venatura importante dell’intero impianto filosofico allestito da Heidegger nei Quaderni neri.1 Sebbene tale problematica non venga mai tematizzata in maniera ampia e diffusa, è possibile trovare in questi testi numerosi cenni – anche molto distanti tra loro, tanto da un punto di vista cronologico quanto da una prospettiva concettuale – all’idea di “sacrificio” e di “sacrificarsi”. Invero, come avremo modo di mostrare in questa breve ricognizione del problema, tale tematica era già presente in testi coevi o successivi alla stesura dei Quaderni neri finora pubblicati, come ad esempio nei Contributi alla filosofia (1936-38) e nel proscritto a “Che cos’è metafisica?” (1943), testo in cui, probabilmente, è possibile trovare la ricerca più “organica” su tale argomento.2

Prima di analizzare in ‘positivo’ la questione è tuttavia necessario, a mio avviso, delimitare il campo d’indagine e individuare l’orizzonte teorico di tale problematica nel pensiero di Heidegger, pur consapevoli che, non essendoci una chiara ed esplicita tematizzazione dell’idea di sacrificio, l’analisi qui presentata avrà inevitabilmente un carattere provvisorio – carattere che dovrebbe appartenere altresì a ogni riflessione che avanza la pretesa di essere filosofica – aporetico e non privo di asprezze concettuali.

Com’è noto, la formazione giovanile di Heidegger fu influenzata in maniera decisiva dall’ambiente cattolico, tipico del sud della Germania, in cui fu educato dalla famiglia – il padre, mastro bottaio di professione, era anche il sagrestano della chiesa Sankt Martin di Meßkirch, ubicata proprio di fronte alla casa natale di Heidegger. Anche i primi passi del giovane filosofo si mossero in tale direzione: terminati gli anni del Liceo presso un collegio di Costanza, Heidegger si iscrisse alla facoltà di teologia di Friburgo, dove seguì, tra le altre cose, i corsi di dogmatica di Carl Braig. Tuttavia, vedendo nel rigido dogmatismo teologico di stampo cattolico una sorta di freno alle proprie aspirazioni di ricerca, dopo appena un semestre abbandonò la facoltà di teologia, per iscriversi ai corsi di scienze naturali, matematica e soprattutto filosofia. Già a partire dai primi testi, inoltre, pur non prendendo mai espressamente congedo dalla fede cristiana, egli rivendicò per il proprio pensiero una sorta di “ateismo di principio”, un ateismo metodologico che gli consentisse di intraprendere un percorso filosofico non condizionato da fattori esterni di carattere teologico.3

Un concetto come quello di sacrificio, che attraversa in maniera trasversale e sotterranea l’intera opera di Heidegger, potrebbe, di primo acchito, far pensare a un détour concettuale del suo pensiero, un ritorno, più o meno consapevole, alle radici cristiane che ne caratterizzarono la formazione. D’altra parte il momento fondante del cristianesimo, nonché uno dei punti di rottura con l’ebraismo, è rappresentato proprio dal ‘sacrificio’ del figlio di Dio per la salvezza dell’umanità.

Sebbene personalmente creda che il pensiero di Heidegger non sia completamente scevro da influenze religiose, e che il suo tentativo di proporre una risemantizzazione di ogni termine4 a partire da una concezione laica – in quanto ontologicamente qualificata – del reale sia determinato più dalla volontà di fornire una legittimazione filosofica alla propria riflessione che da una netta ed univoca differenza tra le due posizioni,5 è egli stesso, nei Quaderni neri, a sottolineare come il sacrificio vada pensato innanzitutto al di là della caratterizzazione cristiana del termine: «”Sacrificio” certamente risuona come vanaglorioso e cristiano. Come qualcosa d’altro è (qui) pensato».6

La prima acquisizione da raggiungere, secondo Heidegger, per una tematizzazione filosofica dell’idea di sacrificio è, dunque, che esso debba essere pensato in maniera differente rispetto al carattere “sacrificale” a cui rimanda intimamente il cristianesimo e la sua storia.

Se, come abbiamo appena visto, nonostante le indicazioni esplicite, è complicato distinguere nettamente la declinazione filosofica dell’idea di sacrificio da quella più squisitamente religiosa, ancor più difficile risulta il compito di pensare tale concetto al di là delle sfumature politiche a cui esso implicitamente rimanda e che, in una certa misura, sono presenti anche nel pensiero di Heidegger. Ciò è determinato, probabilmente, dal carattere plurivoco, dunque equivoco, a cui rimandano le differenti determinazioni heideggeriane della questione e che, in qualche modo, ricalcano l’evoluzione del suo pensiero in relazione agli eventi storici che incrociarono, talvolta in maniera tragica, la sua esistenza.

In un appunto del 1933, scritto nel concitato periodo del Rettorato (Aus der Zeit des Rektorats è intitolata questa sezione dei Quaderni neri), si legge: «La nuova università giunge solo se noi ci sacrifichiamo per essa».7 Il sacrificio per l’università rimanda esplicitamente a un compito politico, dunque storico, a cui è chiamato il popolo tedesco (il noi della citazione è limitato ai Deutschen),8 in quanto diretto discendente del popolo greco e quindi unico possibile custode del sapere originario. In quest’affermazione d’altra parte non è difficile percepire l’eco delle parole pronunciate da Heidegger nel famigerato discorso del Rettorato: «L’autoaffermazione dell’università tedesca è l’originaria, solidale volontà della sua essenza. L’università tedesca è per noi l’istituzione che sulle fondamenta della scienza e mediante la scienza educa e forma nella disciplina i capi e custodi del destino del popolo tedesco».9

Sacrificarsi per l’università, nell’ottica heideggeriana dei primi anni Trenta, significa dunque sacrificarsi per la scienza e per un sapere, attraverso il quale formare i nuovi custodi e le nuove guide del popolo tedesco; popolo a cui è assegnato, secondo Heidegger, il compito destinale di condurre l’Occidente al di là dell’orizzonte metafisico (nichilistico) che ne ha caratterizzato la bimillenaria storia. È questa l’idea “assurda”, e al contempo l’“ingenuità”10 clamorosa, dello Heidegger che assume l’incarico di Rettore dell’Università di Friburgo: proporsi, in quanto interprete privilegiato del rinnovamento del sapere tedesco, come Führer des Führers; una sorta di guida spirituale del popolo tedesco che ne avrebbe tracciato il percorso secondo presupposti filosofici originari.11

All’epoca del Rettorato l’idea di sacrificio che emerge da alcune riflessioni di Heidegger può, dunque, essere associata a una prassi politica accostabile per molteplici aspetti al Nazionalsocialismo, di cui ne ripropone la vuota retorica trionfalistica e destinale. Nel corso degli anni e in parallelo alla fine dell’esperienza politica di Heidegger e il suo conseguente allontanamento, tanto personale quanto filosofico,12 dal movimento di Hitler, questa caratterizzazione lentamente scompare lasciando spazio a una declinazione del sacrificio che, come vedremo, assumerà una connotazione per molti versi contrapposta.13

Fatti questi chiarimenti preliminari in relazione alle varie sfumature concettuali che l’idea di sacrificio può assumere nella riflessione di Heidegger, è necessario, per procedere nella ricognizione della questione, chiedersi come possa essere declinato in ‘positivo’, nel suo nucleo più ‘originario’, questo concetto. Una citazione tratta da un testo del 1943, il proscritto a ’Che cos’è metafisica?’, potrà fornirci una prima idea generale sulla questione:

Il sacrificio è il prodigarsi dell’umanità nella salvaguardia della verità dell’essere per l’ente, prodigarsi che è sottratto a ogni costrizione, perché sorge nell’abisso della libertà. Nel sacrificio avviene quella segreta gratitudine che, unica, consente di apprezzare la gratuità con cui l’essere, nel pensiero, si è trasmesso (übereignet) all’essenza dell’uomo, affinché questi, nel riferimento all’essere, assuma la guardia dell’essere.14

La prima indicazione è chiara ed esplicita: nello Heidegger degli anni Quaranta il sacrificio ha a che fare con l’Essere e la sua verità. Esso non ha più una caratterizzazione pragmatica, non è un modo di agire politico e fattuale, un modo di porsi dell’uomo nei confronti dell’ente, bensì nomina una disposizione emotiva, una Stimmung, che intona (stimmt) la relazione im-possibile dell’umanità con lo spazio estatico dell’Essere e della sua verità. Detto con termini heideggeriani: il sacrificio non ha alcuna connotazione ontica, bensì esclusivamente ontologica; esso, in maniera paradossale, non ha nulla di “sacrificale” perché sorge nel libero15 gioco di corrispondenza tra l’Essere e il Dasein, in quanto luogo storico del dispiegamento dell’Essere stesso. Scrive Heidegger:

il sacrificio può certamente essere preparato e aiutato attraverso il lavorare e l’operare nell’ente, ma non può mai essere compiuto per mezzo loro. La sua attuazione scaturisce dall’insistenza in base alla quale ogni uomo storico, agendo – e anche il pensare essenziale è un agire –, conserva l’esserci acquisito per la salvaguardia della dignità dell’essere.16

Domandare sull’essenza del sacrificio significa, allora, interrogarsi ‘insistentemente’ [inständig]17 sull’essere e il nesso ontologico che lo appropria al Dasein nella sua storicità. Proprio attraverso questa insistenza del pensiero, che aristotelicamente viene caratterizzato da Heidegger come “supremo agire”, il sacrificio dell’uomo storico, il Dasein, trova lo spazio del proprio attuarsi più autentico.

In secondo luogo, nei due brani appena riportati, Heidegger pone l’accento sul carattere di ‘segreta gratitudine’ che nomina la relazione tra l’Essere, che in maniera gratuita si dona al pensiero, e l’uomo che in paziente e sacrificale ascolto ne assume la guardia e la custodia.18 Il sacrificio è il modo di esplicazione attraverso cui avviene il rapporto [Bezug] tra l’Essere e l’uomo, in quanto “attendente dell’Essere”.

Il discorso di Heidegger, dunque, rompe gli indugi con qualsiasi carattere economico del sacrificio; qui non c’è nessun aspettativa, nessuna pretesa di scambio, nessuna “falsa moneta”, ma l’apertura originaria del Dasein all’Evento spaesante e fallimentare, in quanto estraneo ad ogni (s)oggettivazione e a ogni forma di dominio proprio della metafisica, dell’Essere.19 Una segreta, in quanto senza oggetto, gratitudine dell’impossibile: il sacrificio è tale perché, essenzialmente, è senza alcun ritorno.20 L’Ereignis si dona, infatti, sempre al contempo in quanto Enteignis, espropriazione originaria che caratterizza in maniera altrettanto radicale la relazione tra l’uomo e lo spazio estatico dell’Essere e avviene, dunque, come un’impossibile redenzione (Er-lösung, termine anch’esso desunto dalla tradizione teologica), come un dono senza firma e senza nome, che nell’atto di aprirsi si è già ritratto; detto in una battuta: sacrificarsi per l’essere significa, allora, sacrificarsi per il nulla.21

Rivelatasi fallimentare la via politica, Heidegger, di “ritorno da Siracusa”,22 si chiede quale umanità sarà capace di corrispondere al compito tanto abissale, in quanto sommamente im-possibile e al contempo necessario [notwendig], di sacrificarsi per l’Essere e per la sua verità, ovvero di essere pronta per il balenare istantaneo dell’Evento dell’Essere [Ereignis des Seyns].

In un passo decisivo dei Contributi alla filosofia, contenuto nella VI sezione dedicata a I venturi, Heidegger accosta due termini – sacrificio e resistenza – che in una sorta di double bind formano la trama concettuale dell’idea che è al fondo di questo contributo.

I venturi: i fondatori di questa essenza della verità, lenti e a lungo in ascolto. Coloro che resistono [wiederstehen] all’urto dell’essere. I venturi sono quei venienti ai quali, mentre attendono sulla via del ritorno, nel ritegno disposto al sacrificio, giunge il cenno e il capitare dell’allontanarsi e dell’avvicinarsi dell’ultimo Dio.23

Al di là della rumorosa chiacchiera della metafisica, che tutto vuole conoscere e sapere al fine di possederlo e dominarlo, la Stimmung che intona il modo di essere dei venturi, degli ad-venienti è il ritegno [Verhaltenheit]:24 un silenzioso e sacrificale attendere e preparare, nell’ascolto,25 il passaggio e il cenno [Wink] dell’ultimo Dio,26 resistendo così all’urto dell’Essere, che nel suo dinamico balenare e-viene sempre nella duplice e spaesante forma di Ereignis/Enteignis.

Il carattere ontologico dell’idea di sacrificio, che è qui in esame, rimanda proprio alla relazione che si instaura tra l’uomo nella sua storicità – il Dasein – e il dispiegamento dell’Essere [Wesung].

Nella curvatura interpretativa data in queste pagine, Opfer è il nome utilizzato da Heidegger per indicare il frammezzo, la fenditura in cui si apre lo spazio di attesa [Warten], che non è mai una pretenziosa aspettativa [Er-wartung], per l’Evento dell’Essere; Evento che, in quanto tale, è sempre il nome messianico di un impossibile. In altri termini, nel sacrificio si tratta, utilizzando il lessico dello Heidegger di Tempo ed essere, di un “accordare spazio allo spazio” [Raum einräumen], ovvero creare, al di là di ogni rappresentazione e sovranità metafisica, spazi di accoglienza e duttile attraversamento dell’Evento.27


  1. Schwarze Hefte [quaderni neri] è il nome con cui Heidegger stesso indica l’insieme di 34 quaderni (aventi la copertina nera) in cui sono raccolte le sue riflessioni di oltre 40 anni, dai primi anni Trenta fino agli anni Settanta del Novecento; essi occupano gli ultimi volumi (94-102) della Gesamtausgabe e rappresentano in qualche modo il contraltare “privato” degli interventi pubblici (volumi, lezioni, conferenze) tenuti dal pensatore negli stessi anni. Lo stile di questi testi è informale e diretto, in quanto rappresentano “lo zibaldone” degli interventi che Heidegger renderà pubblici in parallelo; se a livello contenutistico non prospettano una grande novità rispetto agli sviluppi già conosciuti del pensiero di Heidegger, essi sono tuttavia utili a comprendere la genesi e l’evoluzione della riflessione heideggeriana, illuminando così, in maniera diretta, la strada percorsa da Heidegger nel prospettare tematiche decisive per il suo pensiero e per la storia della filosofia in generale (questione dell’essere, Machenschaft, altro inizio del pensiero, tecnica, nichilismo, etc.). Cfr. Heidegger, Martin: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-38) (= GA 94), hrsg. von P. Trawny. Frankfurt a. M: Klostermann 2014; Id., Überlegungen VII-XI (Schwarze Hefte 1938-39) (= GA 95), hrsg. von P. Trawny. Frankfurt a. M: Klostermann 2014; Id., Überlegungen XII-XV (Schwarze Hefte 1939-41) (= GA 96), hrsg. von P. Trawny. Frankfurt a. M: Klostermann; Id., Anmerkungen I-V (Schwarze Hefte 1942-1948) (= GA 97), hrsg. von P. Trawny. Frankfurt a. M: Klostermann 2015. Un discorso a parte merita la questione dell’antisemitismo che emerge chiaramente da alcuni passi di questi scritti di Heidegger e su cui negli ultimi mesi tutta la critica (ma anche la stampa) ha concentrato la propria attenzione – talvolta in maniera quasi morbosa. Sebbene la tematica non riguardi in maniera precipua il nostro discorso, è bene sottolineare che l’indagine sul tema del ‘sacrificio’ che qui stiamo proponendo si inserisce all’interno del ripensamento heideggeriano del nesso teologico-politico-filosofico del pensiero occidentale; tentativo che in maniera più o meno esplicita contribuisce a tessere la trama dei Quaderni neri e prospetta, tra le altre cose, un’interrogazione filosofica sull’ebraismo e la sua storia. Su tali tematiche centrali si rivelano i seguenti studi: Di Cesare, Donatella: Heidegger e gli ebrei. Torino: Bollati Boringhieri 2014; Id., Heidegger&Sons. Eredità e futuro di un filosofo. Torino: Bollati Boringhieri 2015; Trawny, Peter: Heidegger e il mito della cospirazione ebraica. Milano: Bompiani 2015; Fabris, Adriano (a cura di), Metafisica e antisemitismo. I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica. Pisa: ETS 2014; Brencio, Francesca (a cura di): La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni neri. Passignano: Aguaplano 2015; Alfieri, Francesco/von Herrmman, Friedrich Wihlelm: Martin Heidegger. La verità sui Quaderni Neri. Brescia: Morcelliana 2016. ↩︎

  2. Heidegger, Martin: Contributi alla filosofia. Dall’Evento (= GA 65), tr. it. di A. Iadicicco. Milano: Adelphi 2007; Id.: Proscritto a “Che cos’è metafisica?” in: Segnavia (= GA 9), tr. it. di F. Volpi. Milano: Adelphi 1997. Una ricognizione generale della questione, anche in relazione al pensiero di Heidegger, è possibile trovarla in: Keenan, Dennis King: The question of sacrifice. University Press: Indiana 2005. ↩︎

  3. In un testo del 1935, riferendosi all’ipotesi di una ‘filosofia cristiana’, Heidegger parla di un “ferro ligneo”, un “malinteso”: cfr. Heidegger, Martin: Introduzione alla metafisica (= GA 40), tr. it. di G. Masi. Milano: Mursia 1986, 19. ↩︎

  4. Oltre al concetto di sacrificio, in questo contesto mi riferisco, ad esempio, all’idea di Evento, di a-venire [Zu-kunft], di ultimo Dio. ↩︎

  5. Un interessante studio su queste tematiche, soprattutto in relazione al pensiero del secondo Heidegger, è: Caputo, John: The mistical element in Heidegger’s thought. University Press: Fordham 1986. Più di quanto Heidegger stesso sarebbe disposto ad ammettere, ritengo che, sebbene fortemente avverso all’ebraismo mondiale [Weltjudentum], in quanto espressione storico-destinale del nichilismo tecnico moderno, il pensiero di Heidegger, e soprattutto dello Heidegger post-svolta, sia intriso dello spirito messianico che caratterizza l’ebraismo in quanto tale; senza questi presupposti ermeneutici risulta pressoché insufficiente qualsiasi interpretazione della nozione di Evento, che rappresenta il nome proprio del pensiero del secondo Heidegger. Su questi temi, e più in generale sul rapporto Heidegger/tradizione ebraica, confronta: Zarader, Marlène: Il debito impensato. Heidegger e la tradizione ebraica, tr. it. di Massimo Marassi. Milano: Vita e Pensiero 1995. ↩︎

  6. Heidegger: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-38) (= GA 94), 373. ↩︎

  7. Heidegger: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-38) (= GA 94), 111. ↩︎

  8. Rispetto a Essere e tempo in cui il Dasein è pensato sempre in maniera singolare e in relazione alle proprie determinazioni esistenziali, a partire dagli anni ’30, in concomitanza con l’impegno politico a fianco del regime Nazionalsocialista, e delle coeve riflessioni circa il destino del popolo tedesco, il Dasein viene spesso declinato al plurale come un noi; in numerosi passi dei Quaderni Neri, ma anche dei Contributi alla filosofia, è possibile trovare espressioni come “il Dasein del popolo tedesco” e “il nostro Esserci”. ↩︎

  9. Heidegger, Martin: L’autoaffermazione dell’università tedesca. Il rettorato 1933/34, a cura di A. Angelino. Genova: il melangolo 2001, 36. Nelle pagine di questo periodo dei Quaderni neri numerosi sono gli appunti in cui compare uno stretto legame tra il rinnovamento dell’università, pensata come il luogo per eccellenza di fondazione della scienza, e la preminenza del popolo tedesco come guida di questo processo; cfr., ad esempio, Heidegger: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-38) (= GA 94), 123-125. ↩︎

  10. Utilizzando l’espressione ‘ingenuità’ non voglio in alcun modo giustificare, o in qualche modo sminuire, la responsabilità di Heidegger in relazione alla sua adesione al Nazionalsocialismo. Per chi, come me, trova nelle pagine di Arendt (La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, tr. it. di P. Bernardini. Milano: Feltrinelli 2013) la lente ermeneutica ineludibile per interpretare il fenomeno dei totalitarismi novecenteschi, l’aggettivo ingenuo, così come il termine banale, pur nella differenza che li contraddistingue, è il nome di una denuncia radicale – che rivela la delusione di un tradimento – nei confronti di quello che fu probabilmente il più grande filosofo del Novecento. ↩︎

  11. Fin dalla sua origine nella Repubblica di Platone, la filosofia presenta come suo tratto peculiare una sorta di vocazione basileica, una volontà di elaborare, dall’interno, un discorso sul potere. ↩︎

  12. In alcuni passi dei Quaderni Neri, Heidegger critica aspramente la Weltanschauung e la filosofia nazionalsocialista; in un appunto dei primi anni Trenta, subito dopo le dimissioni da Rettore, scrive Heidegger: «Der Nationalsozialismus ist ein barbarisches Prinzip» (Heidegger: Überlegungen II-VI (Schwarze Hefte 1931-38) (= GA 94), 194). ↩︎

  13. Emmanuel Faye, probabilmente il più combattivo detrattore di Heidegger, nel suo a dir poco problematico testo Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, associa, in maniera totale e senza alcuna riserva, l’idea di sacrificio presente in Heidegger alla Weltanschauung nazionalsocialista. Se questa posizione può avere una legittimità filosofica nella riflessione dello Heidegger dei primi anni Trenta, essa risulta completamente fuorviante rispetto alle determinazioni che, come mostreremo, questo concetto assume a partire dagli anni successivi all’esperienza fallimentare del Rettorato; cfr. Faye, Emmanuel: Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia. Roma: L’asino d’oro 2012, 49-50. ↩︎

  14. Heidegger: Proscritto a “Che cos’è metafisica?”(= GA 9), 265. ↩︎

  15. Il concetto di libertà assume in Heidegger una caratterizzazione del tutto particolare e per molti versi opposta rispetto alle determinazioni concettuali della modernità, che trova nella libertà uno degli attributi propri della soggettività e rappresenta, invero, l’obiettivo polemico della decostruzione heideggeriana. In Heidegger libertà è il nome dello spazio di corrispondenza [Entsprechung] tra l’uomo e l’Essere. Sull’argomento cfr. Figal, Günter: Martin Heidegger. Phänomenologie der Freiheit. Tübingen: Siebeck 2013. ↩︎

  16. Heidegger: Proscritto a “Che cos’è metafisica?”(= GA 9), 265, corsivo mio. ↩︎

  17. In questo ambito preferisco la traduzione/interpretazione del termine heideggeriano Inständigkeit con “insistenza”, rispetto ad altre traduzioni come “instanzialità” (cfr., ad esempio, Heidegger, Martin: La storia dell’essere (= GA 69), tr. it. di A. Cimino. Milano: Marinotti 2012), che pone l’accento unicamente sul permanere spaziale in un luogo, laddove ‘insistenza’ indica al contempo una modalità di relazione. Nel concetto heideggeriano ‘Inständigkeit’ risuona forte l’eco di tutta la costellazione semantica dello stehen, del permanere [weiter-bestehen], che indica la modalità di relazione del Dasein con l’Essere e la sua storicità. A partire dal secondo dopoguerra, e in maniera più intensa dagli anni Cinquanta in avanti, la semantica dello stehen lascia tuttavia spazio a concetti che si muovono, per alcuni versi, in direzione opposta; mi riferisco, soprattutto, alla nozione heideggeriana di Gelassenheit [abbandono], e al suo corrispettivo verbale sein-lassen [lasciar essere], in cui a prevalere è l’idea di lassen [lasciare]. Sull’argomento cfr., ad esempio, Heidegger, Martin: Colloqui su un sentiero di campagna (1944/45) (= GA77), tr. it. di Adriano Fabris. Genova: il melangolo 2007; Id., In cammino verso il linguaggio, tr. it. di Alberto Caracciolo/ Maria Perotti Caracciolo. Milano: Mursia 2010. ↩︎

  18. Quando Heidegger accosta, a partire dalla loro vicinanza semantica nella lingua tedesca, il pensiero al ringraziamento – Denken ist danken –, nomina proprio la gratuità della relazione, ‘instaurata’ attraverso il pensiero, tra l’uomo e l’Essere. Se pensare, nella sua forma essenziale, significa ‘pensare l’essere’, e se d’altra parte ogni forma di relazione con l’essere è, come abbiamo visto, una forma di inconfessabile gratitudine, allora ogni forma di pensiero che vuole essere autentica non potrà trovare altra modalità d’attuazione che quella del ringraziamento. Sull’argomento cfr. Heidegger: Proscritto a “Che cos’è metafisica?”(= GA 9), 264. ↩︎

  19. Nell’analizzare l’espressione heideggeriana ‘Evento dell’Essere’, bisogna prendere in considerazione tanto il genitivo soggettivo quanto quello oggettivo a cui essa rimanda. ↩︎

  20. «Il sacrificio non tollera alcun calcolo in base al quale ogni volta lo si conteggia solo per la sua utilità o inutilità, siano gli scopi elevati o bassi. Un simile conteggio deturpa l’essenza del sacrificio. La brama di scopi turba la chiarezza del timore, pronto all’angoscia, dello spirito di sacrificio che si è creduto capace della vicinanza all’indistruttibile» (Heidegger: Proscritto a “Che cos’è metafisica?”(= GA 9), 265). Sulla questione della gratuità del dono, pensato come un nome dell’impossibile, intense pagine sono state scritte da Derrida, Jacques: Donare il tempo. La moneta falsa, tr. it. di G. Berto. Milano: Cortina 1996. ↩︎

  21. Non è un caso che nel Proscritto, il testo in cui la questione del sacrificio è trattata in maniera più diffusa, così come in Che cos’è metafisica?, a cui esso è direttamente collegato, il tema centrale in questione sia proprio quello del Nulla. ↩︎

  22. L’espressione si riferisce a un aneddoto raccontato da Gadamer: un amico di Heidegger, incontrandolo su tram a Friburgo dopo che egli aveva rassegnato le dimissioni da Rettore, gli domanda ironico ‘Di ritorno da Siracusa?’, alludendo in tal modo all’esperienza politica fallimentare di Platone nella città siciliana. Sull’argomento, cfr. Gadamer, Hans-Georg: La responsabilità del pensare. Saggi ermeneutici, tr. it. di R. Dottori. Milano: Vita e pensiero 2002. ↩︎

  23. Heidegger: Contributi alla filosofia (= GA 65), 387. Sull’argomento cfr. Resta, Caterina: La terra del mattino. Ethos, logos e physis nel pensiero di Martin Heidegger. Milano: Angeli 1998, 79-115. ↩︎

  24. Nei Contributi alla filosofia il ritegno rappresenta, insieme allo sgomento [Erschrecken] e al pudore [Scheu], la Stimmung propria dell’Altro inizio del pensiero. Per un’indagine generale della questione delle Stimmungen nel pensiero di Heidegger si rimanda a Gander, Hans-Helmuth: Grund- und Leitstimmung in Heideggers “Beiträge zur Philosophie”, in: Heidegger Studies 10 (1994) 15-31. ↩︎

  25. Facendo leva sulla vicinanza semantica dei termini hören [ascoltare] e ge-hören [appartenere], Heidegger individua nell’ascolto la forma privilegiata di relazione tra il Dasein e l’Essere. Anche in questo contesto si profila un’inattesa vicinanza del pensiero heideggeriano alla tradizione ebraica: non è la ‘visione’ greca, il theorein, il senso privilegiato nella relazione tra l’uomo e l’Essere; per prima cosa non ne vedo la manifestazione, ma ne ascolto l’appello che giunge attraverso la parola (è questo uno dei significati dell’espressione heideggeriana: “il linguaggio è la casa dell’essere”). Parola che, come è noto, è il mezzo attraverso cui il Dio di Israele si manifestò originariamente al suo popolo. ↩︎

  26. Per un’analisi approfondita della questione dell’ultimo Dio, centrale nei Contributi ma presente anche negli appunti dei Quaderni neri, si rimanda ai seguenti studi: Coriando, Paola-Ludovika: Der Letzte Gott als Anfang. Zu ab-gründigen Zeit-Räumlichkeit des Übergangs ins Heideggers »Beiträgen zur Philosophie«. München: Wihlem Fink 1998; Regina, Umberto: Servire l’essere con Heidegger, Brescia: Morcellina 1995; Gorgone, Sandro: Il cenno dell’ultimo dio nei Beiträge zur Philosophie di M. Heidegger, in: Segni e comprensione 33-34 (1998) 55-73; Courtine, Jean-François: Les traces et le passage du Dieu dans les Beiträge zur Philosophie di Martin Heidegger in: Archivio di filosofia 1-3, (1994), 519-538. ↩︎

  27. Cfr. Heidegger, Martin: Tempo ed Essere (= GA 14), tr. it. di E. Mazzarella. Napoli: Guida 1998, 121. ↩︎