1. Introduzione
Vogliamo qui accostarci nella visione dell’Angelico alla problematica tradizionalmente chiamata dell’«individuazione», accontentandoci di non esaminare tutta la questione fin dai suoi fondamenti, per esempio nello sviscerare il difficile concetto di materia prima, ma semplicemente raccogliendo alcuni dei testi più importanti che delucidino il suo pensiero.1 Vedremo che si tratta del problema del rapporto uno-molti nella linea dell’essenza,2 e che l’Aquinate intersecherà strettamente un discorso di consideratio, cioè di osservazioni a livello cognitivo e logico, spesso prevalenti, e un discorso relativo all’esistere concreto.3
Premettiamo che, seguendo un ragionamento rigoroso, sarebbe bene abbandonare la tradizionale denominazione di «problema dell’individuazione», sebbene siano Tommaso stesso e gli altri Autori medievali a esprimersi spesso così, per sostituirla con quella di «ripetizione dell’essenza», più aderente al loro stesso modo di affrontare la questione. Infatti, come fà arguire qualche luogo della Summa theologiae, se un’essenza esistesse separatamente non potrebbe esistere se non una e unica, esaurendo completamente in un sol colpo tutta la perfezione della sua specie; è il tipico caso degli angeli, che, già sappiamo, costituiscono per l’Angelico ciascuno una specie a sé. Se, invece, esistono molti individui all’interno di ogni specie (molti uomini, molti gatti, molte piante, molte cose bianche, ecc.) vuol dire che nella struttura metafisica di quell’essere intrinsecamente si dà qualcosa che permette la ripetibilità di quell’essenza, attuata poi di fatto dalle opportune cause efficienti. La denominazione tradizionale ha l’inconveniente di lasciar quasi pensare che bisogna ricercare una particolare struttura per spiegare che un essere sia quell’individuo che è; mentre, di fatto, sappiamo che anche nella prospettiva filosofica tomista, al seguito di Aristotele, non esistono se non individui determinati, ognuno un hoc aliquid, una sostanza individuale e concreta. Tenendo conto dell’uso tradizionale noi useremo le due denominazioni in modo promiscuo.
2. Le sostanze corporee
Il Commento alle Sentenze
La maggior parte dei testi specifici sul problema, risalenti in gran parte a opere giovanili dell’Aquinate, si trova nel Commento alle Sentenze. In un testo importante anche da un altro punto di vista, quello dell’ilemorfismo universale, sorge anche questa discussione, cioè 1 SN, d. 8, q. 5, a. 2. Ecco la sesta argomentazione a favore della presenza di materia prima nell’anima:
- Nessuna forma semplice ha di per sé di poter essere individuata, dato che ogni forma è di per sé comune. Se dunque l’anima è una forma semplice non avrà in sé di che poter essere individuata, ma sarà individuata solo dal corpo. Ora, rimosso ciò che è causa dell’individuazione, si toglie l’individuazione. Quindi, rimosso il corpo le anime non rimarranno distinte individualmente; e così non rimarrà che una sola anima, che sarà la natura stessa dell’anima.4
L’Aquinate riporta qui un ragionamento dove, secondo la nostra prospettiva, è il corpo in quanto tale, materia già sottomessa a una forma, a fungere da principio di individuazione; ma trattandosi di un argomento altrui non è necessario pensare che egli lo condivida.5
Il corpus articuli, già significativo in prospettiva dell’ilemorfismo universale, ha un passaggio interessante riguardante l’individuazione:
Per questo la materia prima, in quanto è considerata priva di ogni forma, non ha diversità alcuna, né è resa diversa da qualche accidente prima dell’avvento della forma sostanziale, dato che l’essere accidentale non precede il sostanziale. Ora, a un unico perfettibile è dovuta un’unica perfezione. Quindi è necessario che la prima forma sostanziale perfezioni tutta la materia. Ma la prima forma che è ricevuta nella materia è la corporeità, della quale [la materia prima] non è mai privata, come dice Averroè [Physica, I, lect. 63]. Quindi la forma della corporeità è in tutta la materia, e quindi la materia non sarà se non nei corpi. Se infatti tu dicessi che la quiddità della sostanza è la prima forma ricevuta nella materia, si ritornerebbe allo stesso punto: poiché la materia non ha la divisione dalla quiddità della sostanza, ma dalla corporeità, alla quale fanno seguito le dimensioni della quantità in atto; e poi mediante la divisione della materia, secondo che è collocata in diverse posizioni, vengono acquisite in essa le diverse forme.6
Questo testo sottolinea con forza che la materia prima qua tale non ha in sé nessuna diversità;7 per mostrarne qualcuna deve estendersi spazialmente, il che richiede la quantità, la quale, accompagnata dai suoi accidenti, prima fra tutti appunto l’estensione, suo effetto proprio, permetterà di avere un ruolo individuante. Nemmeno potrebbe essere concepita come individuante se non sotto dimensioni quantitative, dato che in se stessa è potenza pura nell’ordine sostanziale. Ovviamente, ciò non toglie che gli accidenti non hanno una priorità quanto all’esse sulla forma sostanziale, ma la seguano, poiché la priorità ontologica rimane sempre della sostanza.8 Di fatto non si dà mai una materia prima esistente da sola, essa non sarebbe mai attualizzata, ma sempre in unione a una qualche forma sostanziale, quindi materia seconda, accompagnata da accidenti. La prima forma identificata dall’Aquinate è la forma corporeitatis,9 la corporeità,10 la quale è comune a tutti corpi, dà loro il modo di essere corporeo, anzi lo dà esclusivamente a loro, sicchè non è la chiave della molteplicità numerica intraspecifica, bensì della specificazione. Solo quando, per l’unione con la materia, riceve l’estensione e le proprietà connesse, come l’occupazione tridimensionale dello spazio, può avvenire che la forma si realizzi moltiplicata in molti individui, i quali hanno ciascuno la propria natura fisica,11 che incarna in una porzione quantitativamente dimensionata di materia quelle proprietà tipiche di quella specie di esseri. Così la materia, in senso remoto, e le sue dimensioni quantitative in senso prossimo possono essere entrambe dette principi individuanti.12
Una precisazione interessante è apportata nel corso di un lungo testo che specifica i significati di substantia, subsistentia, essentia e persona per chiarire se, detti di Dio, siano puri sinonimi o meno:
Ma questa natura così considerata, sebbene dica ciò che è composto di materia e forma, non dice tuttavia [ciò che è composto] di questa materia segnata sottostante a determinati accidenti, nella quale viene individuata la forma: poiché questo composto lo dice il nome «Socrate». Ora, questa materia segnata è come il ricevente di quella natura comune.13
L’Angelico ha in precedenza notato che un dato essere non prende nome dalla sola forma, benchè la forma sia mediatrice dell’esse, ma dall’intero composto. Qui, usando l’espressione materia demonstrata, presa dal lessico averroista, nel senso di ciò che si può indicare col dito, ciò che sottostà a determinati accidenti, spiega che la natura comune, quella di cui è portatrice la forma, è ricevuta entro una determinata porzione di materia. Con ciò egli vuol contrapporsi alla visione avicenniana, piuttosto platonizzante, di una natura già bell’è pronta in sé e solo in attesa di trovare un «recipiente» e indica questa sua difficoltà con l’avverbio sicut. In tal modo quest’espressione risulterà agevolmente compatibile con altri modi coi quali egli indicherà l’individuazione.14 Ancor più chiara sul ruolo della materia non in quanto tale, ma in quanto sottoposta agli accidenti quantitativi è la replica al primo argomento:
- Il particolare significa il composto di materia e forma segnata, ma anche l’universale nelle sostanze composte significa il composto di materia e forma, non però dimostrata [sic!], come l’uomo di carne e ossa, non però di questa carne e di queste ossa. Per cui non è necessario che «usìa» significhi una sostanza particolare, ma può valere per entrambi i casi. Quindi tutto ciò che è nel genere della sostanza può essere detto «usìa», sia che sia una sostanza universale, sia che sia particolare.15
Tommaso nota che l’uso di usìa vale sia per l’universale che per il particolare, quando sia ha a che fare con sostanze composte di materia e forma, quali l’uomo, ma non indica «questa anima, questa carne, queste ossa», quelle che sono rese individuali dall’incarnazione individuale in una certa materia, quella che indica con demonstrata, quindi sottomessa ad accidenti quantitativi.16
All’inizio del secondo libro del Commento la terminologia viene progressivamente ancor più precisata e raffinata. Riprendiamo ancora un breve passo, già citato con tutto il suo contesto nell’esame dell’ilemorfismo universale:
In secondo luogo l’incorporeità ripugna alla materia: poiché infatti a un unico perfettibile è dovuta un’unica perfezione, e nella materia prima non c’è alcuna diversità, bisogna che ogni forma, prima che si possa trovare o possa essere intesa in essa una qualche diversità, la ricopra tutta. Ora, prima della corporeità non può intendersi alcuna diversità, in quanto la diversità presuppone le parti, le quali non possono esserci, a meno che non si precomprenda la divisibilità, conseguenza della quantità, che non è senza corporeità. Quindi è necessario che l’intera materia sia rivestita della forma della corporeità, sicchè, se qualcosa è incorporeo, occorre che sia immateriale.17
Dal punto di vista dell’individuazione a Tommaso sta a cuore insistere sull’indifferenza ontologica, l’assenza di diversità in senso assoluto nella materia prima, antecedentemente all’intervento di una qualsiasi forma che rechi le opportune differenze. Si può stabilire questa sequenza: 1) in sé la materia non è divisa, non presenta diversità di nessun genere; 2) la diversità nella materia presuppone le parti; 3) le parti nella materia suppongono la divisibilità; 4) la divisibilità presuppone la quantità; 5) la quantità suppone la corporeità, cioè la forma sostanziale che conferisca la dimensionalità spaziale e temporale. Tutto ciò è necessario perché si possa avere l’individuazione di una forma, la sua ripetibilità concreta in diversi individui. Per questo motivo è inconcepibile la materia in un essere incorporeo come l’angelo: l’incorporeo è semplicemente immateriale.18
Stabilita questa necessità di una forma corporeitatis e della correlativa materia coi suoi accidenti, entra in scena un altro aggettivo relativo alle dimensioni, interminatae:
Ora, è impossibile intendere nella materia la presenza di diverse parti se previamente non si concepisce nella suddetta materia una quantità dimensionante, almeno indeterminata, che la suddivida [come dice il Commentatore nel libro De substantia orbis, c. 1 e nel I libro del commento alla Fisica]. Infatti, separata la quantità dal soggetto che le è sottoposto, quest’ultimo rimane indivisibile, come afferma Aristotele [Phys., I, 3, 185 b 16].19
Il contesto dell’articolo è quello della distinzione degli angeli tra loro, se si tratti di una differenza specifica o no. Qui Tommaso non dà nessuna motivazione particolare per l’introduzione di questa terminologia; essa, comunque, non contraddice quella precedente, si tratta solo di salvaguardare l’idea dell’individuazione tramite la materia in qualunque situazione di accrescimento e cambiamento delle dimensioni di un soggetto. Naturalmente in qualunque istante determinato ogni soggetto materiale sarà sottoposto a dimensioni ben precise, ma considerate in astratto, come proprietà della materia, esse posono essere indefinite, non ancora determinate.20
Più avanti, nel libro quarto, l’Aquinate accosta la terminologia relativa alla materia e quella che si riferisce alle dimensioni, coordinandole tra loro:
Alla nozione di individuo appartengono due cose, cioè che sia un ente in atto o in sé o in altro, e che sia diviso dalle altre cose che sono o possono essere nella medesima specie, essendo indiviso in se stesso; e così il primo principio dell’individuazione è la materia, mediante la quale si acquista l’essere in atto per qualsiasi forma di questo tipo, sia sostanziale che accidentale; e il principio secondario dell’individuazione è la dimensione, poiché grazie ad essa la materia può essere divisa […].21
La dottrina aristotelica di fondo, secondo la quale gli esseri all’interno della medesima specie si differenziano grazie alla materia, viene precisata grazie al ruolo coordinato, ma indipendente, delle dimensioni quantitative nell’individuazione, ruolo che può venir giocato ancor prima che queste siano definite e precisate.22
Poche pagine dopo, il rapporto materia-dimensioni è paragonato a quello sostanza-materia, ossia come il genere rispetto alla differenza specifica23 e poi, un contesto escatologico che parla del corpo dei risorti, verso la fine del Commento, si chiarisce che la determinazione delle dimensioni, prima interminatae, avviene con la ricezione della forma sostanziale:
- Al terzo argomento bisogna rispondere che le dimensioni indeterminate nella materia dei corpi generabili e corruttibili devono essere comprese prima della recezione della forma sostanziale: e perciò la divisione che è secondo queste dimensioni propriamente appartiene alla materia; ma la quantità completa e determinata sopravviene alla materia dopo la forma sostanziale; quindi la divisione che avviene secondo le dimensioni determinate riguarda la specie.24
Torna a presentarsi la dottrina già vista dei due generi di dimensioni: quelle interminatae vanno concepite, si badi bene, solo concepite poiché sono solo potenziali, non esistono di fatto, nella materia prima che essa sia attuata dalla forma sostanziale, mentre le dimensioni terminatae,25 cioè determinate e completamente attuate, dipendono, come ogni altro accidente, dall’esse della sostanza completa.26
Il De ente et essentia, il commento al De Trinitate di Boezio e altre opere
Nell’opuscolo giovanile De ente et essentia,27 vero mirabile breviario metafisico del suo pensiero, Tommaso introduce una nuova terminologia: chiama il principio di ripetibilità dell’essenza, ovvero di individuazione, materia signata:
Si deve però sapere che non la materia comunque intesa è il principio di individuazione, ma soltanto la materia segnata. E chiamo materia segnata quella che viene considerata sotto determinate dimensioni […]. Così anche l’essenza del genere e l’essenza della specie differiscono come segnato e non segnato, sebbene un diverso modo di designazione vi sia nell’una e nell’altra: poiché la designazione dell’individuo rispetto alla specie si ha mediante la materia determinata dalle dimensioni, invece la designazione della specie rispetto al genere si ha mediante la differenza costitutiva, che si ricava dalla forma della cosa.28
Il chiarimento fornito dall’Aquinate stesso ci mette sulla strada della migliore comprensione: le perfezioni generiche e specifiche come l’individualità sono dette «designazioni» o «determinazioni», quindi le dimensioni «segnate» sono quelle che riguardano in modo generico un qualsiasi gruppo di grandezze e forme definite, oppure, in modo specifico, una grandezza e una forma definita. Esemplifichiamo: l’individuo Socrate realizza in sé l’essenza di uomo con la differenza che, mentre, considerata in astratto, essa non ha forma e dimensioni se non indeterminate, quest’essenza si trova in lui concretizzata in una determinata struttura corporea con le sue dimensioni quantitative ben definite e precisate; analogamente l’essenza specifica di uomo differisce da quella generica di animale perché la incarna in una struttura fisica dotata delle opportune dimensioni. Così l’individuo Socrate è uomo e l’uomo è animale. Quindi, sebbene il De ente non s’interessi al confronto, non si tratta di una dottrina diversa da quella del Commento alle Sentenze: sia le dimensiones interminatae che quelle terminatae o la materia signata ricadono tutte tra le determinationes, e Tommaso si sente libero di usarle in modo vario a seconda del contesto.29
Importanti precisazioni vengono apportate dal Super Boetium De Trinitate, opera anch’essa approssimativamente coeva alle Sentenze e al De ente. Nella quarta questione Tommaso così chiarisce il suo pensiero:
Infatti la forma non è individuata perché ricevuta nella materia, se non in quanto è ricevuta in questa materia distinta e determinata nello spazio e nel tempo […] e quindi la materia è resa questa materia segnata in quanto è soggetta alle dimensioni
Tali dimensioni possono essere considerate sotto due aspetti. In primo luogo secondo il loro termine (intendo che esse hanno un termine in ragione di una determinata misura e figura; ed è in tal modo che — quali enti compiuti — risultano collocate nel genere della quantità). Secondo questo aspetto le dimensioni non possono essere principio di individuazione. Infatti, se così fosse, poiché un certo termine di dimensioni varia frequentemente nell’individuo, occorrerebbe concludere che l’individuo non rimane sempre lo stesso di numero. Ma le dimensioni possono essere considerate anche sotto un altro aspetto, ossia senza tale determinazione — unicamente nella natura della dimensione — (sebbene non possano mai essere senza una qualche determinazione, nello stesso modo in cui la natura del colore non può essere secondo la determinazione del bianco e del nero). Sotto questo aspetto esse risultano collocate nel genere della quantità come realtà incompiuta; da tali dimensioni indeterminate, la materia è resa questa materia segnata e, come tale, essa individua la forma. La diversità secondo il numero nella stessa specie, quindi, è causata dalla materia nel modo suddetto.30
Notiamo subito che questo è uno di quei testi dove molto chiaramente si affianca la terminologia dell’individuazione alla logica della ripetibilità intraspecifica dell’essenza; inoltre, sebbene in una formula stereotipata, l’Aquinate accenna non solo alla dimensionalità spaziale, ma anche a quella temporale. In questo passo Tommaso sembra contraddire se stesso quando, nel Commento alle Sentenze, aveva affermato che principio di individuazione era la materia almeno in qualche modo determinata dalle dimensioni.31 In realtà si tratta di ricordare che nell’ordine dell’essere le dimensioni richiedono sempre una completezza e una determinazione precisa, un hic et nunc concreto, mentre dal punto di vista logico della considerazione astratta esse vengono dapprima concepite come indeterminate, ossia virtualmente contenenti qualsiasi misura determinata, e solo successivamente divengono «queste».32 Qui la preoccupazione dell’Angelico è quella di garantire l’identità numerica di un individuo nel corso del suo sviluppo, allorchè le sue dimensioni determinate variano: quindi, se esse fossero tout court responsabili dell’individuazione, paradossalmente, un essere non sarebbe mai numericamente uguale a se stesso; considerandole in modo imperfetto nel genere quantitativo, ovvero determinate solo «in qualche modo», un modo che non si realizza mai, perché le dimensioni non si danno effettivamente se non determinate, queste possono adempiere il compito di individuare la forma.
Una dottrina che ricalca quella del De ente, a sua volta in accordo, malgrado la terminologia, con il Commento alle Sentenze, si trova in un passo del De Veritate, nella questione seconda sulla scienza divina, dedicato alla conoscenza intellettiva umana del singolare. Lì si parla, genericamente, di materia e condizioni materiali nel loro insieme come principi di individuazione e subito dopo, in una replica agli argomenti iniziali, Tommaso precisa di usare signata come attributo di una materia considerata sotto queste o quelle dimensioni determinate, non signata quando queste dimensioni non sono ancora specificate: nel primo senso la materia signata è principio di individuazione in quanto da essa prescinde ogni intelletto, in quanto astrae dall’hic et nunc, mentre l’intelletto umano nella sua condizione naturale non astrae dalla materia sensibile non signata.33
Un rapido accenno, sempre nel medesimo senso già noto, si ha pure nelle Quaestiones Quodlibetales, laddove, discutendo del problema della grazia soprannaturale e della sua crescita senza cambiamenti essenziali, si fa il paragone con la quantità corporea: nell’aumento corporeo l’essenza della quantità non viene mai tolta del tutto, poiché rimane sempre la dimensio interminata, mentre, secondo le differenti terminationes, il corpo può mutare da grande a piccolo; analogamente la carità non si modifica essenzialmente, ma può variare la sua terminatio.34 Naturalmente si potrebbero esaminare ancora diversi testi in merito, ma non cambierebbero di molto la situazione.35
Possiamo riassumere la posizione di Tommaso sul principio di ripetibilità intraspecifica dell’essenza delle sostanze corporee, ovvero principio di individuazione, dicendo che si tratta della materia relazionata alla quantità, signata quantitate, e al suo effetto primario che è l’estensione sotto dimensioni determinate o ancora da determinare, a seconda della diversa considerazione.
3. Le persone umane
Un altro problema tradizionalmente dibattuto nell’ambito della Scolastica e della tradizione manualistica è stato quello del cosiddetto «costitutivo formale della persona». Anzi, per includere in questa tematica anche le sostanze naturali non personali, si è parlato spesso di «supposito». Naturalmente noi non vogliamo qui ripercorrere né tutta la storia del problema, né le relative posizioni;36 ci interessa piuttosto metterlo in relazione, cosa forse non sempre notata, con la più generale tematica dell’individuazione già esaminata per le sostanze corporee. Sembra che le due soluzioni più tradizionalmente accettate, da un lato la materia signata quantitate e dall’altro l’esse come tale proporzionato alla persona, siano molto distanti tra loro e comunque non congruenti.37
Prima di esaminare alcuni tra i più significativi testi tomisti sulla persona ci pare conveniente indicare una prospettiva nella quale le due soluzioni non sembrano più così distanti. Si tratta della via discendente che Tommaso spesso adotta anche in altri contesti, specie quello conoscitivo per paragonare tra loro le intelligenze divina, angelica e umana. Infatti, abbiamo attentamente specificato che la materia signata quantitate è principio di ripetibilità essenziale intraspecifica, ovvero di individuazione, solo per gli esseri corporei, e non certo per tutti. Dio è pienamente individuato dal suo stesso esse, identico con la sua essenza, mentre le sostanze separate come gli angeli sono individuate dalla loro stessa essenza, che in loro coincide con la forma individuale. Negli esseri corporei, invece, a partire dall’uomo, la sola forma non è più adatta a questo compito e ha bisogno di essere ripetuta nei singoli grazie alla materia e alle proprietà che l’accompagnano; come sappiamo, la materia fà parte del regno dell’esse pur essendone la regione più debole. Nondimeno, nella persona, il più nobile tra tutti gli esseri corporei, l’esse ha una sua identità specifica, si trova proporzionato a essa e può svolgere in pieno il suo ruolo di atto che rende attuali tutte le perfezioni di un essere determinato. In questa gradualità discendente dell’esse, dalle sue forme più perfette a quelle più fragili, ci pare ci rintracciare il motivo metafisico della individuazione in tutta la grande catena degli esseri. Torniamo peraltro a ribadire che si tratta, nel caso della persona, più di un problema dei tomisti che di Tommaso stesso, reso forse più complesso del dovuto dai discepoli, che non dall’Aquinate stesso, il quale non si preoccupa tanto di un principio di individuazione personale, ma piuttosto di caratterizzare in modo appropriato la persona.
Lo sfondo sul quale Tommaso si muove è quello di due definizioni classiche di persona: rationalis naturae individua substantia risalente a Boezio, ma anche una più recente, dovuta a Riccardo da S. Vittore: incommunicabilis existentia, attribuita per sé alle persone divine;38 ce n’è anche una terza, quella attribuita ai Maestri che ne fa un’ipostasi distinta da una proprietà riguardante la nobiltà.39 Da tali definizioni si evince che la persona condivide con tutti gli altri suppositi due caratteristiche di fondo: non ha bisogno di un fondamento estrinseco che la supporti (che non toglie che sarà causata), si sostiene ed esiste in se stessa, cioè sussiste; e può far da sostegno metafisico agli accidenti come operazioni, quantità e qualità, altre proprietà, quindi è una natura individuata nel genere della sostanza.40 Insomma, ogni supposito, e tanto più la persona, è un sussistente in sé distinto da ogni altro che include nella sua realtà tutto ciò che si trova in esso, mentre natura include soltanto i principi essenziali di quell’essere: poiché la natura41 comune a tutti gli individui di una specie non include in sé tutto ciò che si può dire di quegli individui essa non può fungere da predicato, non sussiste in sé, bensì è il composto, il singolo individuo a sussistere: si deve dire che «Socrate è un uomo», mentre non si può dire che «Socrate è l’umanità».42 Ovviamente ogni persona «ha» l’umanità, realizza al suo modo individuale la natura comune a tutta la specie. Aristotelicamente parlando ogni supposito è sostanza prima, mentre gli universali sono sostanze seconde. Il testo più maturo e raffinatamente dettagliato su questa distinzione tra individuo sussistente ed essenza individuale è un passo del secondo Quodlibet:
Resta dunque da considerare, essendo il supposito o individuo naturale composto di materia e forma, se sia identico all’essenza o natura. E proprio questa questione avanza il Filosofo nel VII libro della Metafisica [Metaphys., VII, 6, 1031 a 15-1031 b 28], quando ricerca se siano identici il soggetto individuale e la sua essenza. E spiega che nelle cose che si dicono per se la cosa e la sua essenza sono la stessa realtà, mentre non lo sono nelle cose che si dicono per accidens: infatti un uomo non è nient’altro che l’essenza di uomo, nient’altro, infatti, significa «uomo» se non «animale bipede in grado di camminare»; ma una cosa bianca non è assolutamente identica all’essenza del bianco, cioè a ciò che significa il nome «bianco»: infatti «bianco» non significa altro se non una qualità, […] mentre una cosa bianca è una sostanza che ha una qualità.43
Si badi bene: come evidenzia tutto il contesto, nel quale si tratta dell’essenza delle sostanze separate e della loro coincidenza col soggetto individuale, qui l’essenza dell’uomo è intesa in tutta la sua complessità, come una struttura ilemorfica alla quale, per giunta, possono accadere determinati accidenti. Perciò l’uomo, una persona, quindi un sussistente ben individuato, è identico alla sua essenza, ossia, come già detto la realizza in sé, a differenza di una semplice proprietà che ha bisogno di un soggetto nel quale sussistere.44
Peraltro l’Aquinate favorisce la definizione boeziana per la sua chiarezza nel mettere in evidenza la differenza specifica riguardante la persona, ossia la sua razionalità (intellettualità nel caso delle Persone divine); citiamo in proposito tre testi illuminanti dalla questione 29 della Pars Prima della Summa theologiae.45 Il primo si riferisce direttamente alla definizione della persona mutuata da Boezio:
Rispondo. Sebbene l’universale e il particolare si trovino in tutti i generi [o predicamenti], tuttavia l’individuo si ha specialmente nel predicamento di sostanza. Infatti la sostanza si individua di per se stessa, mentre l’accidente è individuato dal suo soggetto che è la sostanza: la bianchezza infatti è questa qui [e non altra], perché è in questo soggetto. Quindi gli individui sostanziali, a preferenza degli altri, hanno un nome proprio, e si dicono ipostasi o sostanze prime.
L’individuo particolare poi si trova in un modo ancor più perfetto nelle sostanze ragionevoli che hanno il dominio dei propri atti, che si muovono da se stesse e non già spinte dall’esterno come gli altri esseri: e le azioni si verificano proprio nella realtà particolare. Perciò, tra tutte le altre sostanze, gli individui di natura ragionevole hanno un nome speciale. E questo nome è persona. Nella suddetta definizione dunque ci si mette sostanza individua, per significare il singolare nel genere di sostanza: e vi si aggiunge di natura razionale, per indicare il singolare di sostanza ragionevole.46
Si tratta di una vera e propria rivendicazione della correttezza della formula boeziana, anzi, di qualificarla come adeguata, completa e precisa più delle altre proposte contemporanee.
Nel respondeo dell’articolo seguente Tommaso differenzia la nozione di persona rispetto a quelle di hypostasis, subsistentia ed essentia:
Rispondo. Secondo il Filosofo [Metaphys., V, 8, 1017 b 10-25], il termine sostanza si può prendere in due sensi. Primo, si dice sostanza la quiddità di una cosa espressa dalla definizione, difatti diciamo che la definzione esprime la sostanza delle cose: e questa sostanza, che i Greci dicono usía, noi possiamo chiamarla essenza. — Secondo, si dice sostanza il soggetto o supposito che sussiste nel genere [o predicamento] di sostanza. E prendendola in generale si può indicare con un nome che ne esprime la funzione logica e allora si chiama soggetto o supposito. Si designa anche con tre nomi che esprimono la realtà [concreta], e cioè res naturae, sussistenza e ipostasi, secondo tre diversi aspetti della sostanza presa in quest’ultimo senso. Cioè, in quanto esiste in se stessa e non in un altro [soggetto] si dice sussistenza: infatti diciamo sussistenti quelle cose che sussistono in sé e non in altri. In quanto fa da supposito ad una natura presa nella sua universalità si chiama res naturae; in tal senso quest’uomo è res naturae della natura umana. In quanto fa da supposito agli accidenti, si dice ipostasi o sostanza. Quello poi che questi tre nomi significano universalmente per tutti i generi di sostanze, il termine persona lo significa nel genere delle sostanze ragionevoli.47
Sono evidenziati i due significati principali di sostanza: quello tipicamente logico, corrispondente alla quiddità o essenza delle cose, espressa poi verbalmente in una definizione, per quanto essa si possa formulare; e quello per così dire naturale, fisico, l’individuo che esiste autonomamente nel primo predicamento. In questo secondo senso, però, si può avere una considerazione logica, in quanto funge da soggetto, e una più fisica (o metafisica), secondo la quale può venir anche detto sussistenza, per via della sua autonomia nell’esse, res naturae in quanto singolo che incarna una natura considerata astrattamente in comune, ipostasi (o anche sostanza) in quanto supporto per gli accidenti. Rispetto a tutti questi significati la persona si differenzia in quanto individuo nel genere non di qualunque sostanza, ma delle sostanze ragionevoli. In tal modo Tommaso tiene aperta la porta all’utilizzazione teologica del concetto di persona, proprio quello che gli è necessario nel contesto imemdiato.
Il terzo corpus articuli che citiamo, infatti, risponde esattamente al quesito se si possa utilizzare il nome persona nel linguaggio teologico:
Rispondo. La persona significa quanto di più nobile c’è in tutto l’universo, cioè il sussistente di natura razionale. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che importa perfezione, perché nella sua essenza contiene tutte le perfezioni, è conveniente che gli si attribuisca anche il nome di persona. Tuttavia non nel modo che si attribuisce alle creature, ma in maniera più eccellente, come si fa con gli altri nomi da noi imposti alle creature ed applicati a Dio; come si è dimostrato sopra [q. 13, a. 3] parlando dei nomi di Dio.48
È splendida e giustamente celebre questa caratterizzazione della persona come vertice universale di perfezione, congruente con l’uso teologico che di quel concetto si propone. Peraltro, a illustrare una così elevata realtà basta l’uso, leggermente modificato, della definizione boeziana, dove i due elementi cardine, cioè l’autonoma sussistenza nell’esse e l’apertura relazionale implicita nella razionalità, sono ben presenti ed equilibrati.
Comunque, coinvolgendo tutto ciò che è necessario per l’esistenza di un singolo sussistente distinto in una natura razionale, la persona presuppone di essere individuata come essere naturale grazie alla materia e alle sue proprietà: queste ossa e questa carne, queste qualità materiali e queste dimensioni che la distinguono da ogni altro essere naturale. Naturalmente l’unione come principio ilemorfico con l’anima, fa sì che queste proprietà corporee non siano senza rapporto con quell’esse che l’anima esercita a titolo proprio e comunica alla persona in quanto tale.
4. Conclusione
Riassumiamo la dottrina qui emersa dagli scritti dell’Angelico. In continuità con i suoi primi testi sulla struttura metafisica della creatura in quanto tale è apparso chiaro che Tommaso ha come criterio discriminante tra Dio e le creature non la concezione ilemorfica universalmente estesa, come il Serafico, ma l’universale composizione essentia-esse, rapportati tra loro, rispettivamente, come potenza e atto e in quanto tali realmente distinti e reciprocamente implicati. A questa posizione resterà fedele coerentemente, quasi tenacemente, lungo tutto il corso della sua carriera accademica e delle sue opere. È dunque la sua concezione dell’esse come actus essendi a fornire la chiave della sua reinterpretazione di Aristotele, accettato e valutato più positivamente49 che in Bonaventura, usando anche concetti importantissimi di origine platonica come quello di partecipazione. Questa sua lettura gli ha consentito di vedere una gradualità globale negli esseri: dall’Ipsum Esse subsistens divino, dove essenza ed esse coincidono, alle forme separate angeliche, dove l’essenza in sé semplice forma, senza materia, si distingue dal suo esse, all’uomo, la cui forma naturale, l’anima intellettiva è sì de iure sussistente, ma non semplice e separata, nativamente ordinata a informare il corpo umano, sicchè l’essenza umana e di tutte le altre creature materiali risulta composta ilemorficamente, oltre che distinta dal proprio esse, fino a tutti gli altri esseri naturali, nei quali la forma naturale è non sussistente, ma corruttibile col corrompersi del composto, quindi un’essenza composta si compone a sua volta con l’actus essendi. Ciò gli ha consentito anche di adeguare il principio di individuazione ai diversi esseri a seconda, per così dire, del loro spessore ontologico. In questo egli si differenzia decisamente anche dal Serafico, portatore di una concezione ancora essenzialista riguardo all’esse. Va riconosciuto a Tommaso il merito e diremmo senz’altro il titolo storico di filosofo dell’esse, dell’essere in quanto atto.
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Come bibliografia ci riferiamo in proposito soprattutto alle monografie di I. Klinger, Das Prinzip der Individuation bei Thomas von Aquin (=Münsterschwarzacher Studien II), Vier-Turme Verlag, Münsterschwarzach 1964 e U. Degl’Innocenti, Il principio d’individuazione nella scuola tomistica, Libreria Ed. PUL, Roma 1971 e agli studi di J. Bobik, «La doctrine de saint Thomas sur l’individuation des substances corporelles», in Revue Philosophique de Louvain, 51 (1953), 5-41; J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», in Medieval Studies, 50 (1988), 279-310; M. Brown, «St. Thomas Aquinas and the Individuation of Persons», in American Catholic Philosophical Quarterly, 65 (1991), 29-44; P. Caspar, «Thomas d’Aquin a-t-il tenté d’exprimer le principe d’individuation à l’intèrieur des propriétés transcendentales de l’être?», in Aquinas, 34 (1991), 41-50; G.J. Coulter, «St. Thomas Aquinas on Explaining Individuality», in American Catholic Philosophical Quarterly, 65 (1991), Ann. Suppl., 169-78; K. White, «Individuation in Aquinas’s Super Boetium De Trinitate Q. 4», in American Catholic Philosophical Quarterly, 69 (1995), 543-56; C.T. Hughes, «Matter and Individuation in Aquinas», in History of Philosophy Quarterly, 13 (1996), 1-13; nonchè a J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 327-75. Quest’ultimo e Owens sono i più completi nell’esaminare tutti i luoghi tomistici pertinenti. ↩︎
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Cfr. J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 351. L’A. ha strutturato buona parte della sua opera sulla dialettica uno-molti. ↩︎
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Cfr. K. White, «Individuation in Aquinas’s Super Boetium De Trinitate Q. 4», op. cit., 544. L’A. nota fin da subito la difficoltà nel leggere in modo ordinato i numerosi testi dell’Aquinate. ↩︎
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1 SN, d. 8, q. 5, a. 2, arg. 6 (Pandolfi-Coggi, I, 528s.): «6. Praeterea, nulla forma simplex habet in se unde individuetur, cum omnis forma sit de se communis. Si igitur anima est forma simplex, non habebit in se unde individuetur; sed tantum individuabitur per corpus. Remoto autem eo quod est causa individuationis, tollitur individuatio. Ergo remoto corpore, non remanebunt animae diversae secundum individua; et ita non remanebit nisi una anima quae erit ipsa natura animae». L’edizione del Commento citata è: S. Tommaso d’Aquino, Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, (edd. Pandolfi C. — Coggi R.), voll. 10, ESD, Bologna 2001s. ↩︎
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Cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 283. ↩︎
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1 SN, d. 8, q. 5, a. 2, resp. (Pandolfi-Coggi, I, 528-31): «[…] Et propterea materia prima, prout consideratur nuda ab omni forma, non habet aliquam diversitatem, nec efficitur diversa per aliqua accidentia ante adventum formae substantialis, cum esse accidentale non praecedat substantiale. Uni autem perfectibili debetur una perfectio. Ergo oportet quod prima forma substantialis perficiat totam materiam. Sed prima forma quae recipitur in materia, est corporeitas, a qua numquam denudatur, ut dicit Comment. (Phys. 1, text. 63). Ergo forma corporeitatis est in tota materia, et ita materia non erit nisi in corporibus. Si enim diceres, quod quidditas substantiae esset prima forma recepta in materia, adhuc redibit in idem; quia ex quidditate substantiae materia non habet divisionem, sed ex corporeitate, quam consequuntur dimensiones quantitatis in actu; et postea per divisionem materiae, secundum quod disponitur diversis sitibus, acquiruntur in ipsa diversae formae […]». Segnaliamo, con J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 347 nota 196 una questione di critica testuale: dopo «diversitatem» seguito da virgola, alla seconda riga abbiamo scritto nec, con la vecchia edizione ottocentesca di Parma e quella curata da Busa nell’Opera omnia appendice all’Index thomisticus (I, 26, colonna b), anziché sed, lezione riportata da Mandonnet nella sua edizione dello Scriptum e seguita da J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 283 nota 11. Ma né Owens, né Pandolfi-Coggi, che pure scrivono «nec» nell’edizione italiana del Commento alle Sentenze, fanno cenno al problema. ↩︎
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Lo aveva affermato già Aristotele in Phys., I, 2, 185 b 5; Metaphys., VII, 3, 1029 a 24. Torna a rimarcarlo J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 351s., sottolineando la difficoltà che un principio puramente potenziale possa svolgere il ruolo principe nell’individuazione. ↩︎
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Anche questo punto è saldamente ancorato nel pensiero di Aristotele: cfr. Metaphys., IV, 2, 1003 a 33-b 17; VII, 1, 1028 a 10-b 4. ↩︎
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Proprio a questa nozione presente nel testo preso in esame si appella R. Zavalloni, Richard de Mediavilla et la controverse sur la pluralité des formes. Textes inédits et étude critique (=Philosophes médiévaux 2), Editions de l’Institut Supérieure de Philosophie, Louvain 1951, 263s. per sostenere che Tommaso non è stato fin dall’inizio fautore della tesi dell’unicità della forma sostanziale. Una simile lettura è possibile, ma notiamo, con I. Klinger, Das Prinzip der Individuation bei Thomas von Aquin, op. cit., 39ss. e J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 347-51, che non è la migliore: l’evoluzione della terminologia non nasconde un vero cambiamento di dottrina e in questo e in altri passi simili Tommaso si sta riferendo solo all’effetto primario dell’unica forma negli esseri corporei, non a una forma in più che si aggiunge. ↩︎
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Per una visione complessiva su questa tematica nell’Aquinate cfr. B.C. Bazan, «La corporalité selon saint Thomas», in Revue Philosophique de Louvain, 81 (1983), 369-409. ↩︎
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Giustamente J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 284 nota 14, osserva che l’Aquinate non ama, linguisticamente, parlare di naturae al plurale e usa più frequentemente il singolare. Sarebbe interessante una ricerca di questo genere, a noi ora impossibile, tramite l’Index thomisticus. ↩︎
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Cfr. 1 SN, d. 8, q. 5, a. 2, ad 4 dove si parla della natura dell’individuo che viene individuata grazie alla materia. Per il commento appena svolto sul respondeo di quest’articolo cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 284-86; J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 352s. ↩︎
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1 SN, d. 23, q. 1, a. 1, resp. (Pandolfi-Coggi, II, 60s.): «Sed ista natura sic considerata, quamvis dicat compositum ex materia et forma, non tamen ex hac materia demonstrata determinatibus accidentibus substante, in qua individuatur forma; quia huiusmodi compositum dicit hoc nomen «Socrates». Haec autem materia demonstrata, est sicut recipiens illam naturam communem». ↩︎
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Cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 287; J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 353s. ↩︎
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1 SN, d. 23, q. 1, a. 1, ad 1 (Pandolfi-Coggi, II, 64s.): «1. Ad primum igitur dicendum, quia particulare significat compositum ex materia et forma demonstrata, sed universale in substantiis compositis significat etiam compositum ex materia et forma, sed non demonstrata, sicut homo ex anima et carne et osse, non tamen ex his carnibus et ex his ossibus. Unde non oportet quod «usìa» significet idem quod particularis substantia, immo se habet ad utrumque. Et ideo omne quod est in genere substantiae potest dici «usìa», sive sit universalis substantia, sive particularis». Abbiamo espresso lo stupore di vedere lo stesso aggettivo demonstrata tradotto in due modi diversi a distanza di una sola riga nel medesimo contesto; inoltre, si sono perse le tracce dell’anima presente nel testo latino prima di «carne e ossa». ↩︎
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Cfr. J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 354. ↩︎
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2 SN, d. 3, q. 1, a. 1, resp. (Pandolfi-Coggi, III, 162s.): «Secundo incorporeitas repugnat materiae: cum enim uni perfectibili debeatur una perfectio, et in materia prima non sit ulla diversitas, oportet quod omnis forma antequam possit in ea esse ulla diversitas, nec intelligi, investiat eam totam. Sed ante corporeitatem non potest intelligi aliqua diversitas, quia diversitas praesupponit partes, quae non possunt esse nisi praeintelligatur divisibilitas quae consequitur quantitatem, quae sine corporeitate non est. Unde oportet quod tota materia sit vestita forma corporeitatis; et ideo si aliquid est incorporeum, oportet esse immateriale». ↩︎
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Cfr. J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 356. Giustamente l’A. nota che su un corpo possono simultaneamente intervenire diverse linee causali. Qui si sta analizzando solo quella formale-materiale, ma niente impedisce l’attività di una causa efficiente, a sua volta in vista di un fine. ↩︎
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2 SN, d. 3, q. 1, a. 4, resp. (Pandolfi-Coggi, III, 180s.): «Sed impossibile est in materia intelligere diversas partes, nisi praeintelligatur in materia quantitas dimensiva ad minus interminata, per quam dividitur, ut dicit Commentator in libro de substantia Orbis (1, post. princ.), et in 1 Physic., quia separata quantitate a substantia, remanet indivisibilis, ut in 1 Phys. Philosophus dicit». Il riferimento ad Averroè, il Commentatore, inspiegabilmente assente nella traduzione italiana, è una nostra integrazione. ↩︎
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Cfr. 2 SN, d. 30, q. 2, a. 1, resp.; 4 SN, d. 12, q. 1, a. 3, ad 3. ↩︎
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4 SN, d. 12, q. 1, a. 1, ad 3 (Pandolfi-Coggi, VII, 890s.): «[…] de ratione individui duo sunt: scilicet quod sit ens actu vel in se vel in alio; et quod sit divisum ab aliis quae sunt vel possunt esse in eadem specie, in se indivisum existens; et ideo primum individuationis principium est materia, qua acquiritur esse in actu cuilibet tali formae sive substantiali sive accidentali. Et secundarium principium individuationis est dimensio, quia ex ipsa habet materia quod dividatur […]». Si noti che l’articolo citato presenta tre ordini di problemi: questa replica di Tommaso è dopo la soluzione del terzo di questi. ↩︎
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Cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 291. ↩︎
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Cfr. 4 SN, d. 12, q. 1, a. 2, resp. ↩︎
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4 SN, d. 44, q. 1, a. 2, ad 3: «3. Ad tertium dicendum, quod in materia generabilium et corruptibilium dimensiones interminatas oportet intelligere ante receptionem formae substantialis: et ideo divisionem quae est secundum huiusmodi dimensiones proprie pertinet ad materiam; sed quantitas completa et terminata advenit materiae post formam substantialem; unde divisio quae fit secundum dimensiones terminatas, respicit speciem […]». Per questo brano, non avendo a disposizione l’edizione italiana, la traduzione è nostra, il testo originale è quello riportato da J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 292 nota 26 verificato sull’Opera omnia curata da Busa (I, 638, colonna b). Questo articolo presenta ben cinque ordini di problemi; il nostro testo fa parte delle repliche dopo la soluzione del quinto quesito. Owens, forse per un refuso, scrive intellegere anziché intelligere. ↩︎
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Per un’attenta discussione sull’uso degli aggettivi interminatae, terminatae e determinatae riferiti alle dimensiones e la loro difficile resa in lingua moderna cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 295 nota 29 e J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 358. 62. ↩︎
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Cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 293. ↩︎
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Risale agli anni 1256-59, coevo, quindi, alle Sentenze. ↩︎
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De ente, c. 2 (Lorenz, 136s.): «Et ideo sciendum est quod materia non quolibet modo accepta est indiuidationis principium, sed solum materia signata; et dico materiam signatam que sub determinatis dimensionibus consideratur […]. Sic etiam essentia generis et speciei secundum signatum et non signatum differunt, quamuis alius modus degnationis sit utrobique: quia designatio indiuidui respectu speciei est per materiam determinatam dimensionibus, designatio autem speciei respectu generis est per differentiam constitutiuam que ex forma rei sumitur». L’edizione dell’opuscolo qui seguita è: S. Tommaso d’Aquino, I fondamenti dell’ontologia tomista. Il trattato «De ente et essentia» (=Philosophia 10; ed. Lorenz D.), ESD, Bologna 1992. La grafia del latino è quella dell’edizione Leonina, citata in J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 297 note 30ss. e adottata anche dal Lorenz. ↩︎
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Secondo J. Bobik, «La doctrine de saint Thomas sur l’individuation des substances corporelles», 37s., le dimesiones terminatae riguardano la materia esistente, mentre quelle interminatae sono quelle logicamente concepite prima che quella materia esista di fatto. È una proposta interessante. ↩︎
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Super Boetium De Trinitate, q. 4, a. 2, resp. (Pandolfi, 160s.): «Non enim forma individuatur per hoc quod recipitur in materia, nisi quatenus recipitur in hac materia distincta et determinata ad hic et nunc […]. Et ideo materia efficitur haec et signata, secundum quod subest dimensionibus. Dimensiones autem istae possunt dupliciter considerari. Uno modo secundum earum terminationem; et dico eas terminari secundum determinatam mensuram et figuram, et sic ut entia perfecta collocantur in genere quantitatis. Et sic non possunt esse principium individuationis; quia cum talis terminatio dimensionum varietur frequenter circa individuum, sequerentur quod individuum non remaneret semper idem numero. Alio modo possunt considerari sine ista determinatione in natura dimensionis tantum, quamvis numquam sine aliqua determinatione esse possint, sicut nec natura coloris sine determinatione albi et nigri; et sic collocantur in genere quantitatis ut imperfectum. Et ex his dimensionibus interminatis materia efficitur haec materia signata, et sic individuat formam, et sic ex materia causatur diversitas secundum numerum in eadem specie». L’edizione seguita è: S. Tommaso d’Aquino, Commento ai libri di Boezio «De Trinitate» «De Ebdomadibus» (ed. Pandolfi C.), 1997. Si tenga presente che quest’edizione italiana è solo una versione senza testo latino. Quest’ultimo è tratto da J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 301 nota 40 verificato sull’Opera omnia curata da Busa (IV, 530, colonna a). Il corsivo è del traduttore. ↩︎
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Cfr. 3 SN, d. 1, q. 2, a. 5, ad 1. Questa situazione ha causato molta costernazione tra i commentatori, nota K. White, «Individuation in Aquinas’s Super Boetium De Trinitate Q. 4», op. cit., 552. ↩︎
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In tal senso l’Aquinate stesso si esprime nella replica alla terza argomentazione. Cfr. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 301s. ↩︎
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Cfr. QDV, q. 2, a. 6, resp. et ad 1. J. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 299 cita opportunamente questo luogo, ma la spiegazione sarebbe più chiara con una citazione più completa della replica all’obiezione. ↩︎
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Cfr. QDL, n. 9, q. 6, a. 1, resp. Cfr. Owens, «Thomas Aquinas: Dimensive Quantity as Individuating Principle», op. cit., 300. ↩︎
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Uno per tutti si legga ST, p. III, q. 77, a. 2, resp. Di proposito abbiamo escluso dal nostro esame testi di dubbia autenticità come gli opuscoli De principio individuationis e De natura materiae. ↩︎
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Insieme alla monografia già citata di Klinger sull’individuazione si potrà utilmente consultare per questa tematica all’interno della Scolastica U. Degl’Innocenti, Il problema della persona nel pensiero di S. Tommaso, Libreria Ed. PUL, Roma 1967. ↩︎
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Richiama giustamente l’attenzione su quest’apparente incongruenza M. Brown, «St. Thomas Aquinas and the Individuation of Persons», in American Catholic Philosophical Quarterly, 65 (1991), 29-44, il quale si sforza di precisare, adducendo vari testi dell’Angelico, che nell’uomo il corpo non è causa dell’individuazione dell’anima, ma che le anime si moltiplicano secondo la molteplicità dei corpi: cfr. ibidem, 34. Forse anche l’A. poteva mettere di più in luce il ruolo dell’esse non solo in quanto presente nell’anima umana, ma nella completezza della via discendente da Dio alle creature corporee. ↩︎
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Questo non risulterà sorprendente se si pensi all’origine storica della nozione di persona legata alla dispute trinitarie e cristologiche. Qui ci occupiamo, senza ripetere sempre l’aggettivo, della persona umana. ↩︎
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Cfr. 1 SN, d. 25, q. 1, a. 1, ad 8. ↩︎
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Cfr. Quaestiones disputatae de Potentia Dei, q. 9, a. 1, resp. ↩︎
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Forse il testo che più da vicino insinua, pur senza esprimerla a chiare lettere, la posizione che poi diverrà più tradizionale nella Scolastica, da Capreolo in poi, dell’esse che unendosi alla natura umana dà luogo alla persona è ST, p. III, q. 2, a. 2, resp., dove nettamente natura e persona sono distinte e Tommaso lascia capire che la differenza è proprio in quella sussistenza che la persona ha e la natura umana no. Il contesto è quello cristologico dell’incarnazione. ↩︎
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Cfr. 3 SN, d. 5, q. 1, a. 3, resp.; Summa contra Gentiles, l. IV, c. 55; ↩︎
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QDL, n. 2, q. 2, a. 2, resp.: «Restat ergo considerandum, cum suppositum vel individuum naturale sit compositum ex materia et forma, utrum sit idem essentiae vel naturae. Et hanc quaestionem movet Philosophus in libro VII Metaphysicae, ubi inquirit utrum sit idem unumquodque, et quod quid est eius. Et determinat quod in his quae dicuntur per se, idem est res et quod quid est rei, in his autem quae dicuntur per accidens, non est idem: homo enim nihil est aliud quam quid est hominis, nihil enim aliud significat «homo» quam animal gressibile bipes; sed res alba non est idem omnino ei quod quid est album, quod scilicet significatur nomine albi: nam album nihil significat nisi qualitatem, […] res autem alba est substantia habens qualitatem». Questo scritto è del Natale 1269. La traduzione è nostra. Nota giustamente J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 244 nota 20 che qui Tommaso rende con quod quid est, da noi tradotto con «essenza» la formula aristotelica enigmatica to ti en einai, che altre volte, letteralmente, rende con quod quid erat esse. ↩︎
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Per una discussione completa di questo testo ricco di dottrina, ma anche di problemi discussi tra gli interpreti, cfr. U. Degl’Innocenti, Il problema della persona nel pensiero di S. Tommaso, op. cit., 10-18 e J.F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas, op. cit., 243-49. ↩︎
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Senza dimenticare che il titolo di tutta la quaestio è De personis divinis. ↩︎
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ST, p. I, q. 29, a. 1, resp.: «Respondeo dicendum quod, licet universale et particulare inveniantur in omnibus generibus, tamen speciali quodam modo individuum invenitur in genere substantiae. Substantia enim individuatur per seipsam, sed accidentia individuantur per subiectum, quod est substantia: dicitur enim haec albedo, inquantum est in hoc subiecto. Unde etiam convenienter individua substantiae habent aliquod speciale nomen prae aliis: dicuntur enim hypostases, vel primae substantiae. Sed adhuc quodam specialiori et perfectiori modo invenitur particulare et individuum in substantiis rationalibus, quae habent dominium sui actus, et non solum aguntur, sicut alia, sed per se agunt: actiones autem in singularibus sunt. Et ideo etiam inter ceteras substantias quoddam speciale nomen habent singularia rationalis naturae. Et hoc nomen est persona. Et ideo in praedicta definitione personae ponitur substantia individua, inquantum significat singulare in genere substantiae: additur autem rationalis naturae, inquantum significat singulare in rationalibus substantiis». I corsivi nel testo latino e le parentesi quadre in quello italiano sono dell’edizione della Summa da noi usata. Ci piace sottolineare l’efficace uso del passivo del verbo ago, praticamente intraducibile in italiano: la persona non «è agita», ma agisce autonomamente. ↩︎
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ST, p. I, q. 29, a. 2, resp.: «Respondeo dicendum quod, secundum Philosophum in 5 Metaphys. [c. 8, lect. 10], substantia dicitur dupliciter. Uno modo dicitur substantia quidditas rei, quam significat definitio, secundum quod dicimus quod definitio significat substantiam rei: quam quidem substantiam Graeci usiam vocant, quod nos essentiam dicere possumus. — Alio modo dicitur substantia subiectum vel suppositum quod subsistit in genere substantiae. Et hoc quidem, communiter accipiendo, nominari potest et nomine significante intentionem: et sic dicitur suppositum. Nominatur etiam tribus nominibus significantibus rem, quae quidem sunt res naturae, subsistentia et hypostasis, secundum triplicem considerationem substantiae sic dictae. Secundum enim quod per se existit et non in alio vocatur subsistentia: illa enim subsistere dicimus, quae non in alio, sed in se existunt. Secundum vero quod supponitur alicui naturae communi, sic dicitur res naturae; sicut hic homo est res naturae humanae. Secundum vero quod supponitur accidentibus, dicitur hypostasis vel substantia. — Quod autem haec tria nomina significant communiter in toto genere substantiarum, hoc nomen persona significat in genere rationalium substantiarum». Anche stavolta i corsivi nei testi italiano e latino, l’originale greco e le parentesi quadre in quello italiano sono dell’edizione della Summa da noi usata. ↩︎
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ST, p. I, q. 29, a. 3, resp.: «Respondeo dicendum quod persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura. Unde, cum omne illud quod est perfectionis, Deo sit attribuendum, eo quod eius essentia continet in se omnem perfectionem; conveniens est ut hoc nomen persona de Deo dicatur. Non tamen eodem modo quo dicitur de creaturis, sed excellentiori modo; sicut et alia nomina quae, creaturis a nobis imposita, Deo attribuuntur; sicut supra ostensum est, cum de divinis nominibus ageretur». Stavolta, oltre a mantenere i corsivi, abbiamo anche trasportato dal latino all’italiano la citazione del luogo della Summa in cui Tommaso ha già largamente trattato dei nomi divini. ↩︎
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Infatti, prevalentemente, Tommaso attribuisce le deviazioni dottrinali dell’aristotelismo eterodosso a lui contemporanee non al Filosofo, ma a suoi inadeguati interpreti. Emblematico è il caso di Averroè, indicato come Commentator nei primi scritti, accusato come depravator negli ultimi. ↩︎