L’argomento ontologico di Anselmo secondo Alvin Plantinga

1. Premessa

Alvin Plantinga è professor of philosophy presso la University of Notre Dame ed è uno dei più importanti esponenti di quella corrente filosofica, tutta anglosassone, denominata “filosofia analitica della religione”.1 La sua opera più interessante è Nature of Necessity (1974), dove raccoglie le conclusioni di anni di riflessioni pubblicate in vari articoli nei quali strutturò una versione modale della prova ontologica di Anselmo d’Aosta, tentativo che gli valse l’appellativo di “analytic theist”.

Una delle idee più importanti sui cui Plantinga fonda la sua versione dell’argomento ontologico di Anselmo è la seguente: la possibilità di comparare esseri esistenti con esseri non-esistenti. Plantinga pensa che i membri di un dominio D non necessariamente debbano essere esistenti (per es. possiamo considerare un dominio che abbia sia membri esistenti che membri mitologici). È possibile che un membro del dominio abbia un esemplare esistente, ma l’esistenza di un esemplare è contingente.

L’esistenza è infatti contingente. Dunque anche l’applicazione di un concetto ad un esemplare lo è: un concetto esemplificato è esistenzialmente equivalente2 all’oggetto in modo contingente.

È contingente che il concetto “cavallo” abbia un esemplare, così come è contingente che il concetto “unicorno” non lo abbia. La differenza tra un concetto esemplificato ed uno che non lo è, è che il primo è applicato ad un esistente, il secondo no.

L’inesistenza di un essere, cioè il fatto che un essere non esista nel mondo attuale (per cui d’ora in poi sarà denominato con “essere inattuale”), e l’esistenza di un altro, cioè di un essere che esiste nel mondo attuale (quindi “essere attuale”), non preclude la possibilità della loro comparazione. Se l’esistenza è contingente, allora l’esistenza contenuta da un concetto non implica un cambiamento delle qualità essenziali dello stesso concetto. Se l’esistenza è contingente, allora la non-esistenza contenuta da un concetto non implica un cambiamento delle qualità essenziali dello stesso concetto. Es.: nel mondo attuale Superman non esiste (è personaggio di un fumetto) ma è più forte di ogni uomo attuale. In un mondo possibile Superman può esistere (probabilmente non sarebbe un personaggio di un fumetto) ma continuerebbe ad essere più forte di ogni uomo attuale.

In questo senso l’obiezione di Kant3 all’argomento ontologico di Anselmo, e cioè che “l’esistenza non è un predicato”, non è più stringente se ammettiamo che ci sono oggetti inattuali.4 L’esistenza non aggiunge proprio nulla al concetto per questo motivo possiamo comparare un concetto consistente di un esistente con un concetto consistente di un inesistente. D’altra parte questo non esclude che vi possa essere un essere inattuale necessario.5

Perché questa importanza per la possibilità di comparare esseri inattuali ed esseri attuali? Se accettiamo questo presupposto l’argomento ontologico di Anselmo può essere compreso meglio. Per Plantinga infatti tale argomento prende le mosse dalla comparazione tra “differenti esseri”.

2. L’argomento di Anselmo secondo Plantinga

L’argomento ontologico di Anselmo si svolge nei cap. II-IV del Proslogion. Nel cap. II, Dio esiste veramente, Anselmo scrive:

E davvero noi crediamo che tu sia qualcosa di cui non si possa pensare il più grande (aliquid quo nihil maius cogitari possit). O forse non vi è una tale natura, perché “disse l’insipiente in cuor suo: Dio non esiste”? Ma certamente quel medesimo insipiente, quando ascolta ciò che dico, cioè “qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande”, comprende ciò che ode, e ciò che comprende è nel suo intelletto (in eius intellectu est), anche se egli non intende che quella cosa esista. […]. Ma, certamente, ciò di cui non si può pensare qualcosa di più grande non può essere nel solo intelletto (non potest esse in solo intellectu). Se infatti è almeno nel solo intelletto, si può pensare che esista anche nella realtà (esse in re), il che è maggiore (quod maius est). Se dunque ciò di cui non si possa pensare il maggiore è nel solo intelletto, quello stesso di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Ma evidentemente questo non può essere. Dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste, senza dubbio, sia nell’intelletto sia nella realtà.6

Le versioni dell’argomento di Anselmo proposte da Plantinga sono distinguibili almeno in quattro parti, la cui complessità aumenta gradualmente con lo svolgersi della dimostrazione. Occorre dire che quella di Plantinga è un’unica grande dimostrazione che si perfeziona e complica in modo proporzionale alle obiezioni che incontra.

Si parte dalla prima che muove dalla classica reductio ad absurdum (1-8). L’obiezione che è mossa principalmente è la seguente: cosa s’intende con l’asserzione che “ciò che è reale è maggiore di ciò che è solo nel pensiero” e se è possibile comparare un essere inattuale (cioè che viene assunto per premessa solo esistente in intellectu) e un essere attuale (in re).

Si giunge così alla seconda (9-19) che invece viene esplicata attraverso la logica modale dei mondi possibili — prendendo le mosse da un presupposto fondamentale: è possibile comparare gli essere inattuali con quelli attuali. In questo caso, dice Plantinga, raggiungiamo la conclusione che vi è un mondo possibile W in cui Dio raggiunge il massimo grado di perfezione. Ma questo ovviamente non ci fa andare avanti nella discussione né è giustificata l’asserzione che afferma che questo mondo W sia quello attuale.

La terza (20-31) parte proprio dal presupposto che c’è un essere la cui grandezza è insuperabile almeno in un mondo possibile. Anche in questo caso però incontriamo uno scoglio molto serio: dimostrato che vi è un oggetto x che possiede la proprietà P (cioè, quella proprietà dell’“essere insuperabile” e che, essendo universale, non ammette un complementare ¬P) in un mondo W, non è ancora detto che questo mondo possibile W sia il mondo attuale. Bisogna cioè dimostrare che Px sia in ogni mondo possibile compreso quello attuale.

Infine la quarta versione (32-41) è sicuramente quella decisiva. Ricordando Malcom, Plantinga sostiene che un essere, la cui esistenza è necessaria, non può che esistere in ogni mondo possibile: essendo Dio insuperabile (“ciò di cui non si può pensare il maggiore”), allora è necessario. L’esistenza necessaria è poi una perfezione poiché tale proprietà non dipende dalle proprietà inscritte all’oggetto x in W, ma è presente in tutti i mondi possibili (proprietà universale). Resta però la questione nella quale risiede tutto il senso dell’argomento di Anselmo: il mondo possibile in cui Dio è insuperabile è il mondo attuale? Plantinga cerca di rispondere a questo quesito asserendo che se Dio è adeguato alla condizione di perfezione (necessità) allora deve implicare un’essenza E che contiene la perfezione morale, l’onniscienza e l’onnipotenza, detta “eccellenza massima” (maximal excellence). Se P implica E ed E è esemplificata nel mondo attuale, allora E è esemplificata in ogni mondo possibile poiché implicata in P. Se P è in ogni mondo possibile, allora anche E lo è, ma E è esemplificata nel mondo attuale: dunque Dio è esemplificato in ogni mondo possibile.

3. Prima e seconda versione dell’argomento

Plantinga ha più volte sostenuto che il miglior modo per comprendere l’argomento è concentrarsi sulla reductio ad absurdum.7 Quindi supponiamo che “Dio” sia “ciò di cui nulla si può pensare il maggiore” (definizione di “Dio”):

  1. Dio esiste nel pensiero ma non nella realtà;
  2. l’esistenza nella realtà è più grande della sola esistenza nel pensiero;
  3. l’esistenza di Dio nella realtà è pensabile.
    1. È possibile che Dio esista nella realtà;
  4. se Dio esiste nella realtà, allora sarebbe più grande di ciò che è (Cfr. 1-2);
  5. È pensabile che ci sia un essere più grande di Dio (Cfr. 3-4);
  6. È pensabile che ci sia un essere più grande dell’essere di cui non si può pensare il maggiore [5-definizione di “Dio”].

Dunque:

  1. È falso che sia pensabile un essere più grande di ciò di cui non si può pensare il maggiore.
    1. È falso che è possibile che c’è un essere più grande dell’essere di cui non si può pensare il maggiore;
  2. È falso che Dio esiste nel pensiero ma non nella realtà.

Ora, ciò che rende problematica tutta la prova è l’asserzione che l’esistenza nella realtà è più grande della sola esistenza nel pensiero. Se supponiamo che ciò che non esiste è minore di ciò che esiste, e che ciò che esiste è maggiore a ciò che non esiste — e questo è possibile solo se ammettiamo la possibilità della comparazione tra due essere differenti8 — possiamo rendere l’argomento ontologico in questo modo: supponiamo che

  1. Dio non esiste nel mondo attuale;
    1. Non c’è un essere massimamente grande;
  2. per ogni mondo W e W’ e oggetto x, se x esiste in W e x non esiste in W’, allora la grandezza di x in W supera la grandezza di x in W’;
    1. per ogni mondo W e oggetto x, se x non esiste in W, allora c’è un mondo W’ tale che la grandezza di x in W’ supera la grandezza di x in W;
  3. è possibile che Dio esista;
    1. c’è un mondo in cui esiste un essere massimamente grande;
  4. allora c’è un mondo possibile W tale che Dio esiste in W (Cfr. 11);
    1. c’è un mondo possibile W tale che l’essere la cui grande è insuperabile, esiste in W;
  5. Dio esiste in W e Dio non esiste nel mondo attuale (Cfr. 9 e 12);
  6. se Dio esiste in W e Dio non esiste nel mondo attuale, allora la grandezza di Dio in W supera la grandezza di Dio nel mondo attuale (Cfr. 10);
  7. quindi la grandezza di Dio in W supera la grandezza di Dio nel mondo attuale (Cfr. 13-14);
  8. quindi c’è un essere possibile x e un mondo W tali che la grandezza di x in W supera la grandezza di Dio nell’attualità (Cfr. 15);
  9. quindi è possibile che ci sia un essere che è più grande di Dio (Cfr. 16);
  10. allora è possibile che ci sia un essere più grande di quel essere di cui nulla si può pensare il più grande (Cfr. 17 e definizione di “Dio”);
    1. c’è un mondo possibile W e un essere possibile x tale che la grandezza di x in W supera la grandezza di Dio nel mondo attuale;
  11. è possibile che ci sia un essere più grande di quel essere di cui nulla si può pensare il più grande.
    1. Non c’è nessun mondo possibile W’ e un essere x tali che la grandezza di x in W’ supera la grandezza di Dio in W.
    2. Non c’è un mondo possibile W e un essere x tali che la grandezza di W supera la grandezza di Dio nel mondo attuale (?).

Prima di continuare occorre fare alcune osservazioni. La (10’) asserisce solo che in due mondi W e W’ tali che x esiste in W e x non esiste in W’, x in W è maggiore di x in W’. Essa dice ovviamente che un essere una cosa non raggiunge la sua più grande grandezza in un mondo in cui non esiste. Ma noi stiamo parlando di un essere che possiede il massimo grado di grandezza e che è quindi insuperabile da ogni essere in ogni mondo.

In quale mondo questo essere possiede il grado di grandezza in questione? Per ora ci limitiamo a dire che vi è un qualche mondo (some world or other) nel quale questo essere ha tale grandezza. In questo senso è giustificata la (12’). La (18’) asserisce che c’è un mondo W in cui Dio raggiunge il massimo grado di grandezza, ma questo porta alla contraddizione (19). Per questo aggiungiamo la (19’) la quale non è incompatibile con la (18’) che dice che la grandezza del Dio del mondo attuale è superata in un mondo W nel quale la grandezza di Dio è insuperabile. Difatti non abbiamo motivi per dire che W sia il mondo attuale: la verità di (19’) non contribuisce ad avanzare nell’argomento. La (19’’) servirebbe a stabilire che il mondo attuale è quel mondo in cui la grandezza di x non è superabile dalla grandezza di x in W; ciò tuttavia contraddirebbe la (18’) ed inoltre non abbiamo motivo di assumerla come vera.

4. Terza e quarta versione dell’argomento

Essendo ogni mondo possibilmente attuale è possibile che W sia il mondo attuale e ovviamente sono quei mondi in cui Dio raggiunge la sua grandezza massima. Si può quindi usare questa considerazione per rivedere l’argomento. Supponiamo che con la parola “Dio” abbreviamo la frase “l’essere la cui grandezza è insuperabile in qualche mondo”:

  1. c’è un solo possibile essere la cui grandezza in qualche mondo W non è superabile dalla grandezza di ogni essere in ogni mondo;
  2. se un essere x possibile non esiste in un mondo W, allora c’è un essere y possibile e un mondo W’ tale che la grandezza di y in W’ supera la grandezza di x in W;
  3. si dà W (che assumiamo come il mondo che contiene il massimo grado di grandezza Dio);
  4. W è il mondo attuale.

La grandezza di Dio in W è insuperabile, quindi la grandezza di Dio nel mondo attuale è insuperabile. Pertanto: per ogni oggetto x e mondo W, la grandezza di Dio nel mondo attuale sarà uguale o superiore alla grandezza di x in W. Chiamiamo P quella proprietà che un oggetto possibile ha se non c’è nessun mondo in cui la sua grandezza supera quella che Dio possiede nel mondo attuale.

  1. Ogni essere possibile ha P;
  2. è possibile che si dia W;
  3. è possibile che ogni essere possibile abbia P;

Questa proprietà P ha la peculiarità di essere universale, e cioè:

  1. Una proprietà P è una proprietà universale se e solo se è impossibile che ci sia un oggetto che ha P in un mondo e ¬P in un altro;
  2. P è una proprietà universale se e solo se P è instanziata (instantiated) o in ogni mondo o in nessun mondo.

La proprietà di Dio di essere insuperabile nel mondo attuale è una proprietà universale, infatti: se in un dato mondo W, è vero di x che in nessuno mondo la sua grandezza supera quella di Dio nel mondo attuale, allora non ci sarà alcun mondo in cui x ha la proprietà di essere tale che in qualche mondo la sua grandezza supera quella di Dio nel mondo attuale.

  1. P è una proprietà universale;
  2. se c’è almeno un mondo in cui tutto ha P, allora in nessun mondo c’è qualcosa che ha ¬P;
  3. in nessun mondo c’è qualcosa che ha ¬P (dunque, neanche nel mondo attuale);
  4. se Dio non esiste nel mondo attuale, allora c’è un essere possibile x e un mondo W tali che la grandezza di x in W supera la grandezza di Dio nel mondo attuale.

Ma: (29) ci dice che non c’è un tale essere possibile e mondo W. Ne segue che Dio esiste nel mondo attuale. Dunque:

  1. non c’è nulla che superi la grandezza di Dio nel mondo attuale.

E tuttavia il salto da (22) a (23) è ingiustificato: non è detto che il mondo che si ottiene (22) sia il mondo attuale. Così non possiamo inferire (24) poiché non è detto che P sia contenuta anche nel mondo attuale (detto “α”). Tutta la prova dunque verrebbe meno.

Ora possiamo dire che l’esistenza necessaria è un qualità perfetta — come la considera lo stesso Anselmo, ed è pertanto una di quelle proprietà che devono essere considerate se si vuole comparare un paio di esseri rispetto alla grandezza. Possiamo dire che: un essere possibile ha il massimo grado di grandezza in un dato mondo se esiste in quel mondo ed esiste in ogni altro mondo possibile. È un punto cruciale perché: se esiste almeno in un mondo un essere che ha il massimo grado di perfezione allora è necessario, e dunque esiste in ogni mondo possibile.9 Possiamo rendere questa ultima asserzione così:

  1. c’è un mondo W in cui esiste un essere con la grandezza massima;
  2. un essere ha la grandezza massima in un mondo solo se esiste in ogni mondo.

Dunque: c’è un essenza E, esemplificata in W, che implica la proprietà “esiste in ogni mondo”. L’argomento però è ancora traballante perché sostiene questo: se c’è un oggetto x che ha la grandezza massima (cioè è necessario) nel mondo possibile W, allora esiste necessariamente in tutti i mondi possibili. Dovremmo però dimostrare che il mondo possibile in cui esiste l’oggetto x con la grandezza massima (in cui cioè è necessario) sia il mondo attuale? .

Inoltre: l’esistenza necessaria e l’esistenza non sono per se stesse delle perfezioni, ma condizioni necessarie di perfezione. Quindi: Dio non deve essere solo necessario, ma avere necessariamente le medesime proprietà di perfezione (onniscienza, onnipotenza e perfezione morale = eccellenza massima) in ogni mondo possibile dato che ci potrebbe essere un mondo possibile in cui Dio difetterebbe, per esempio, di potenza o moralità.10 Possiamo dunque asserire che:

  1. la proprietà “ha una grandezza massima” implica che la proprietà “ha una massima eccellenza in ogni mondo possibile”;11
  2. la “massima eccellenza” implica onniscienza, onnipotenza e perfezione morale;
  3. la “massima eccellenza” è esemplificata;
  4. c’è un mondo W e un essere E tali che E è esemplificata in W ed E implica “ha la grandezza massima in W”.

Se W è il mondo attuale ed E è esemplificato da un oggetto che ha la grandezza massima (34) allora ha l’eccellenza massima in ogni mondo possibile.

  1. Per ogni oggetto x, se x esemplifica E, allora x esemplifica la proprietà “ha l’eccellenza massimale in ogni mondo possibile”;
  2. e implica la proprietà “ha l’eccellenza massima in ogni mondo possibile”.

Ma: un oggetto ha una proprietà in un mondo W solo se esiste in quel mondo. E implica la proprietà “esiste in ogni mondo possibile”. E è esemplificato in W; allora se W è il mondo attuale, E esemplifica qualcosa che esiste e che è esemplificato in ogni mondo possibile:

  1. se W è il mondo attuale, è impossibile che E non sia esemplificato;
  2. esiste un essere che ha l’eccellenza massima in tutti i mondi.

Questo significa: esiste attualmente un essere che ha l’eccellenza massima. Questo essere è Dio. Se infatti le proprietà dell’essere insuperabile (proprietà universale P) sono presenti almeno in un mondo, allora lo sono in tutti i mondi possibili (b).

Alla fine di questa argomentazione riformulata cosa ha voluto dimostrare Plantinga? La risposta è nelle sue stesse parole:

Hence our verdict on these reformulated versions of St. Anselm’s argument must be as follows. They cannot, perhaps, be said to prove or establish their conclusion. But since it is rational to accept their central premises, they do show that it is rational to accept that conclusion. And perhaps that is all that can be expected of any such argument.12


  1. Se si desidera approfondire le linee di ricerca della filosofia analitica della religione si veda M. Micheletti, Filosofia analitica della religione. Un’introduzione storica, Morcelliana, Brescia 2002. ↩︎

  2. Esistenzialmente equivalente significa che il concetto intero è esemplificato interamente da un oggetto esistente. ↩︎

  3. I. Kant, Critica della ragion pura, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 1995, p. 623-624: “Essere non è un predicato reale, ossia non è un concetto di un qualcosa che possa aggiungersi al concetto di una cosa. Essere è semplicemente la posizione di una cosa […]. Se io penso dunque una cosa — con qualsiasi predicato, con un qualsiasi numero di predicati e persino nella determinazione completa — in tal caso, quando io aggiunga ancora: questa cosa è, in realtà non aggiungerò proprio nulla alla cosa. Se così non fosse, infatti, non esisterebbe la medesima cosa ce io avevo pensato nel concetto, ma esisterebbe qualcosa di più, e io non potrei dire che esiste proprio l’oggetto del mio concetto”. ↩︎

  4. Cfr. A. Plantinga, Kant’s objection on the ontological argument in “The Journal of Philosophy”, 63 (1966), pp. 537-546. ↩︎

  5. Cfr. A. N. Prior, Is necessary existence possible? in “Philosophy and Phenomenical Research” 15 (1955), pp. 545-547. Prior sostiene che la credenza secondo cui “l’esistenza non è un predicato” non è incompatibile con quella di “esistenza necessaria”. Distingue gli esseri non esistenti contingenti (l’unicorno) da quelli non esistenti necessari (Dio). Sembrerebbe che gli esseri non esistenti necessari abbiano necessità di una esemplificazione, ma questo sarebbe possibile solo se avessero una qualche speciale proprietà che richieda categoricamente l’esemplificazione. Non essendoci prove né pro né contro per tale proprietà allora il concetto di “esistenza necessaria” non è incompatibile con quello che non capisce l’esistenza come predicato. In parole povere: qualcosa esiste necessariamente anche se priva di esemplificazione. ↩︎

  6. S. Anselmo, Proslogio, a cura di I. Sciuto, Bompiani, 2002, pp. 303-361 ↩︎

  7. A. Plantinga, The nature of necessity, Oxford University Press, Oxford 1974, cap. X, pp. 196-221. ↩︎

  8. A. Plantinga, op. cit., p. 201: “I believed that St. Anselm’s fundamental idea involved a comparison of different beings, one of them existent and the other not”. Un’ampia letteratura ha individuato questa differenza ontologica sia in nella prospettiva ermeneutico-storica che in quella analitico-critica. La differenza potrebbe vertere sull’ontologia di Anselmo che, nella tradizione neoplatonica-agostiniana, vede gli essere inseriti di una scala graduale dal meno perfetto al più perfetto. In questo senso molti critici interpretano il “sic vere est” come “ciò che è veramente”, e nella scala dell’essere neoplatonica qualcosa è “il più vero” di ogni altra cosa quando è incorruttibile, immutabile, eterno: “Porro unum est necessarium” [Pros. XXIII]. Ora essendo innegabile l’esistenza dell’id quo nihil maius cogitari possit, la sua stessa esistenza è assolutamente necessaria, dunque non contingente. Così Anselmo parla di Dio in questi termini: “Ma tutto ciò che in qualche modo è racchiuso nello spazio o nel tempo è minore di ciò che nessuna legge di spazio e di tempo costringe. Poiché dunque nulla è maggiore di te, nessun luogo e nessun tempo ti contengono, ma tu sei ovunque e sempre. E poiché questo si può dire di te solo, tu solo sei illimitato ed eterno” [Pros. XIII]. L’essere più vero è quello più necessario, non potendo essere assolutamente negato, esso non è possibile come gli esistenti finiti. Si tratta pertanto di due concezioni differenti di esistenza. La svista di Kant — che d’altra parte non criticò direttamente l’argomento di Anselmo — è stata pertanto quella di credere che l’esistenza di Dio fosse come quella degli altri esistenti. In tal senso J. N. Findley (Can God’s existence be disproved? in Mind, 57 1948) ha ragione nel sostenere che l’esistenza necessaria è impossibile in quanto l’esistenza è contingente, qualcosa viene all’esistenza perché o accade o è causato: se Dio esistesse sarebbe contingente, ma questo sarebbe contraddittorio visto la premessa (Dio è necessario). Tuttavia Findley non tiene conto della differenza ontologica presente nel testo anselmiano. Differenza che non è sfuggita invece a N. Malcom (Anselm’s Ontological Argument, Philosophical Review, 69 1960), il quale afferma che Dio non può esistere come gli altri esistenti, poiché questo significherebbe l’essere causato da qualcos’altro o l’essere accaduto, contraddicendo così la premessa (“ciò di cui non si può pensare il maggiore”): l’esistenza contingente non è quindi una perfezione, quindi Dio può essere o necessario o impossibile. Ma non è contraddittorio dunque non è impossibile: Dio esiste necessariamente. Per ulteriori informazioni riguardo la versione dell’argomento ontologico di N. Malcom si veda R. Di Letizia, L’argomento ontologico. Una prospettiva analitica, in Giornale di filosofia della religione, [supplementa, 8], http://www.aifr.it/supplementa/contents/supplementa_8.pdf↩︎

  9. Cfr. N. Malcom, op cit. vedi Nota 7. Plantinga si chiede perché l’esistenza necessaria dovrebbe essere assunta come perfezione: “Why, after all, should we think that necessary existence is a perfection or great-making quality? Because the greatness of a being in a world W depends not merely upon the qualities it has in W; what is like in other worlds is also relevant” (ivi, p. 213). ↩︎

  10. Qui Plantinga non fa altro che riprendere la struttura dell’argomento di Anselmo, il quale, una volta aver dimostrato l’esistenza necessaria di Dio e dunque la sua condizione di perfezione, mostra quali sono positivamente le perfezioni che implica tal perfezione, cioè l’essenza implicata nella condizione di perfezione [Pros. V-XII] ↩︎

  11. Infatti: una proprietà P implica una proprietà Q se non c’è un mondo in cui esiste un oggetto x che ha P ma non ha Q. Questo significa che se un oggetto x ha la proprietà P, allora deve avere anche Q↩︎

  12. Plantinga, op cit., p. 221 ↩︎