1. Introduzione
Uno dei temi che più ha affascinato ed impegnato le riflessioni degli intellettuali moderni è quello legato al ruolo della religione nel mutato contesto sociale della modernità. Il progresso delle dottrine politico-morali laiche infatti lasciava sperare che esse avrebbero preso il posto delle vecchie credenze religiose nel dirigere le azioni degli uomini, mentre il ruolo morale e sociale delle religioni veniva indebolito dalla crescente secolarizzazione. Il contesto inerentemente pluralista della modernità sembrava rappresentare un pericolo mortale per le pretese assolutistiche delle religioni tradizionali, che si misero spesso in aperta contrapposizione e lotta con il mondo moderno. La religione sembrava venire addirittura negata alla radice dalla scienza moderna: se la religione si fonda su una dicotomia sacro/profano mentre la scienza considera ogni cosa come manipolabile ed oggetto di indagine, come si sarebbero conciliate queste visioni del mondo? La questione si presenta allora come oggi dirimente nel determinare la natura del processo di modernizzazione. In questo articolo si intende però evitare di seguire la strada, già decisamente battuta, della ricostruzione storica del dibattito sulla religione nell’età moderna o di vagliare criticamente le teorie dell’epoca. Si vuole qui invece proporre innanzitutto una schematica panoramica di alcuni macro-orientamenti idealtipici delle posizioni che alcuni influenti teorici assunsero all’epoca in relazione al tema. Queste schematizzazioni non saranno fini a sé stesse ma avranno il ruolo di delineare alcune posizioni trasversali alle diverse teorie. Da questa premessa prenderà le mosse la trattazione principale, ovvero la proposta di un approccio diverso ed eccentrico rispetto alle proposte presentate e distinto da esse per alcuni punti fondamentali. Tale proposta scaturirà in particolare da un confronto tra il pensiero dello psicologo e filosofo americano William James e quello del sociologo e filosofo tedesco Georg Simmel. Le riflessioni di questi due autori, pur molto diverse, hanno alcune significative intuizioni in comune. In particolare, essi condividono tre assunti condivisi:
- La religione non è uno stadio prescientifico di conoscenza ma rappresenta una forma culturale completamente diversa rispetto alla ricerca scientifica.
- La religione si poggia su bisogni psicologici e vitali anziché sull’edificazione di sistemi teologici e dogmatici.
- La religione nell’età moderna è diventata inerentemente aperta all’individualismo e al pluralismo religioso.
Nel corso della trattazione si evidenzieranno sia le differenze importanti tra le loro teorie sia il nucleo concettuale comune ad esse. Nell’ultima parte dell’articolo applicheremo le riflessioni degli autori ad alcuni esempi di trasformazione religiosa, per cogliere la rilevanza della loro proposta teorica nel panorama attuale degli studi sulla religione. In conclusione, saranno analizzati anche alcuni limiti di tali teorie. Il confronto qui presentato non aspira ad essere storicamente esaustivo: esso non prende le mosse dalla ricostruzione del contesto e dall’opera complessiva degli autori, quanto piuttosto dai punti salienti ai fini della tematica trattata che si possono rinvenire in alcune loro opere. Ciò nella convinzione che tali testi possano essere letti soprattutto come riflessioni più o meno consapevoli sullo spirito del tempo,1 e quindi come documenti storici utili all’analisi dei cambiamenti profondi impressi dalla modernità alla religiosità. Per questo i riferimenti al pensiero di James e Simmel sono innanzitutto funzionali all’analisi del fenomeno religioso moderno, e non hanno pretesa di riassumere in toto la riflessione complessa degli autori.
2. Alcune prospettive sul fenomeno religioso: tra secolarizzazione e permanenza
Come detto in apertura dell’articolo, la riflessione sul fenomeno religioso impegna molti studiosi attivi nel periodo che intercorre tra il tardo XIX secolo e la Grande Guerra. I motivi di questo interesse sono molteplici: la nascita delle scienze sociali permette infatti di unire i metodi delle scienze empiriche ad uno sguardo distaccato ed imparziale sul fenomeno religioso, mentre gli studi etnografici sulle religioni mostrano sempre più l’universalità di alcune pratiche religiose. Già a partire dalle Lettere persiane di Montesquieu buona parte degli intellettuali occidentali è abituata all’idea che le religioni maggioritarie nei Paesi europei non differiscano per natura, funzione e forme da quelle dei popoli cosiddetti “primitivi”. Inoltre, il paradigma evoluzionista in antropologia culturale2 permette allo studioso di legittimare la premessa per cui studiando i popoli primitivi si possano comprendere le radici dei fenomeni culturali europei, in quanto il nostro passato sarebbe affine alle attuali condizioni di vita dei “selvaggi” africani, sudamericani od oceanici. A dare ulteriore supporto a tali teorie interviene la filosofia positivista,3 che con il suo intento dichiarato antimetafisico ed antireligioso vuole superare i vecchi sistemi di credenze in nome di una maggiore “scientificità” della vita.
Proprio intorno a questi due fenomeni culturali, ovvero la nascita delle scienze sociali e l’ascesa del positivismo, si articolano le posizioni di molti studiosi dell’epoca. Alcuni autori si dimostrarono infatti propensi a ritenere che la religione si sarebbe a breve estinta nella sua funzione tradizionale, mentre altri la annoveravano tra i bisogni umani fondamentali, eterni ed inemendabili, e ritenevano che essa si sarebbe confermata parte essenziale della vita umana. Tra i primi possiamo senz’altro annoverare i teorici della secolarizzazione, ovvero quegli studiosi, come Max Weber ed altri, che hanno pensato che la religione sarebbe diventata un puro fatto individuale, ritirandosi nella sfera privata come convinzione personale ed evitando di accampare pretese conoscitive su un mondo sempre più “disincantato”. La teoria della secolarizzazione non gode oggi di pieno favore,4 ma essa cattura senz’altro bene l’atteggiamento intellettuale di alcuni filosofi e scienziati dell’epoca. Vicino al primo atteggiamento sono anche le varie teorie antropologiche degli stadi evolutivi, assai comuni nella prima ricerca antropologica europea ed americana. Un rappresentante tipico di questa tradizione è James Frazer, storico delle religioni ed antropologo scozzese, noto per i suoi studi comparativi sulle religioni globali. L’autore scozzese si distacca parzialmente dal rigido schematismo degli altri autori, distinguendo utilmente tra magia e religione: la prima, mirante a controllare i fenomeni naturali tramite credenze rituali non razionali, era in competizione con la scienza, che ambiva a fare lo stesso tramite metodi razionali. La religione invece, in quanto ricerca di senso e di una visione del mondo comprensiva, apparteneva ad uno stadio di sviluppo successivo del pensiero. Se a lungo andare la scienza avrebbe mostrato infondate anche le credenze religiose, in ogni caso rimaneva innegabile per Frazer la natura non strumentale di tali credenze, più “avanzate” rispetto allo stadio magico.
Non mancano però anche all’epoca tentativi di analizzare la religione senza sminuirne l’importanza: Wilhelm Dilthey (studioso pur nient’affatto credente o favorevole alla religione) ad esempio la considerava una visione del mondo (Weltaungschauung) irriducibile e diversa dalla filosofia ma di uguale legittimità e rilevanza storica.5 Così facendo il pensatore tedesco doveva però comunque rilegare la religione all’ambito della relazione con l’invisibile, ovvero del pensiero prerazionale e resistente alla sistematizzazione concettuale, ma poteva permetterne lo studio in quanto espressione dello spirito umano. Altre prospettive non del tutto ostili alla religione sono sviluppate all’interno della sociologia di Emile Durkheim, che vede nella religione una forza coesiva sociale di primaria importanza.6 Riteniamo però che entrambi questi approcci considerino la religione in una prospettiva “statica”, poco aperta al cambiamento e incentrata su una definizione di “religione” legata all’immaginario tradizionale e comunitario. Tale religiosità tradizionale, di cui il rito collettivo o il sistema di credenze sono i tratti fondamentali, è senz’altro in declino con l’avanzare della modernità, ma non è affatto detto che essa sia l’unica modalità di espressione della religiosità umana.
Il presente articolo vuole osservare come la riflessione di autori come William James e Georg Simmel vada nella direzione di una riconsiderazione della religione nell’ottica di un cambiamento nella forma espressiva e nella natura di quest’ultima anziché di una sua scomparsa. Si vuole qui sostenere che tali autori, essendo entrambi osservatori acuti dell’avanzante pluralismo della modernità, hanno saputo per questo declinare la riflessione sulla religione in una nuova prospettiva, individuando alcuni caratteri fondamentali della religiosità moderna. La religione origina da bisogni individuali e soggettivi, non da una presa di coscienza del divino fuori da sé e come tale non è riducibile a una proposta unitaria e generale, essendo vari e diversi i bisogni di ciascuno. La religione non è inoltre in conflitto con la scienza e non è un fenomeno passeggero e legato a mentalità arcaiche, ma un fenomeno umano pervasivo e vario al suo interno. Questi tre punti sono comuni sia a James che a Simmel, così da rendere possibile un confronto tra i loro pensieri. Ma a fianco di importanti somiglianze troviamo anche una notevole differenza: se Simmel è infatti esplicito nell’attribuire al pluralismo moderno la radice del mutamento della religiosità, James è decisamente meno esplicito nel riconoscere che la sua descrizione è figlia di un contesto storico radicalmente mutato rispetto al passato. Lo psicologo e filosofo statunitense sembra infatti estendere ad ogni esperienza religiosa una spiegazione soggettivista, che forse non rende conto di molte esperienze religiose premoderne. Allo stesso tempo però l’analisi di James risulta molto preziosa se la si utilizza come chiave interpretativa della modernità: se infatti Simmel osserva il fenomeno dall’esterno, ovvero ponendo l’accento sulle forme culturali, la riflessione jamesiana ha il vantaggio di guardare al vissuto soggettivo del credente, mostrandone la fenomenologia psicologica.
Come la loro riflessione si riveli un utile strumento di analisi per comprendere fenomeni apparentemente molto diversi tra loro, lo si vedrà nell’ultima parte di questa trattazione. Si esporranno ora separatamente, nei primi paragrafi, le riflessioni di James e Simmel. In quelli successivi, la trattazione verterà invece sul confronto dei due pensieri, articolato come detto lungo i tre assi delineati nell’introduzione. Emergeranno qui sia i punti di contatto che le divergenze primarie, sperando di chiarire come le analisi dei due pensatori non siano affatto conflittuali ma complementari. Nella parte conclusiva dell’articolo, come detto, saranno osservate alcune trasformazioni del fenomeno religioso che possono essere ricondotte a quanto elaborato dagli autori esaminati. Si procederà ora quindi ad osservare in che modo questi elementi vengano sviluppati in alcune riflessioni degli autori, in particolare Il conflitto della cultura moderna di Simmel e le conclusioni de La varietà dell’esperienza religiosa di James.
3. Religione e pluralismo nella scienza delle religioni di William James
The Variety of Religious Experience è il nome dato da William James all’opera che raccoglie numerosi interventi che l’autore inizialmente scrisse come contribuiti alle celebri Gifford Lectures di teologia naturale.7 Già noto come conferenziere affermato, lo psicologo americano aveva da tempo manifestato il suo interesse per le questioni religiose, mostrandosi simpatetico ad esse pur mantenendosi decisamente indifferente ad ogni affiliazione religiosa personale. Il termine «varietà» contenuto nel titolo è fondamentale per capire lo scopo dell’autore: se da un lato egli vuole rendere appieno la multiforme apparenza del fenomeno religioso, l’occhio dello psicologo è rivolto soprattutto a ricercare in essa il comune denominatore che qualifica un’esperienza come religiosa. Trattando in ognuno dei diversi capitoli di un diverso aspetto della religiosità umana, l’autore conclude l’opera con alcune sintesi di quanto detto precedentemente (Conferenza XX).
Sarà soprattutto questa sezione dell’opera ad interessarci. L’autore inizia la sua trattazione conclusiva riepilogando alcune categorie fondamentali che rendono una esperienza definibile come religiosa. Tali criteri potrebbero essere divisi in due tipologie, una relativa alle credenze ed un’altra relativa agli effetti psicologici nel soggetto. Le credenze-base della religione sono per James tre:8 l’esistenza di realtà sovra-sensibili di cui il mondo sensibile «è parte e da cui trae il proprio significato», la possibilità di accedere a tali realtà e di stabilire un’unione con esse, la credenza nella reale efficacia delle pratiche con cui ci si unisce (come meditazione o preghiera). Da queste derivano due conseguenze psicologiche, ovvero la trasformazione emotiva del vissuto del credente (che acquista nuovo «sapore») e un sentimento di fiducia e di pace duratura («garanzia di salvezza»9). Al di là della singola occorrenza individuale è possibile tracciare una descrizione formale di questa dinamica: l’uomo religioso avverte la propria esistenza come incompleta, il suo io manchevole e il mondo imperfetto, e da ciò, egli conclude che ci sia un più da qualche parte oltre il mondo visibile e che sarà possibile superare la propria limitatezza percepita tramite il contatto con questo più. Ma la natura di questo più è sempre legata a fattori soggettivi, così come le modalità di accesso ad esso: l’autore si premura subito perciò di rimarcare che, al di fuori di questi caratteri formali e generali, la religiosità assume sempre forme diverse a seconda dell’individuo.
Essa è infatti da James concepita come risposta a bisogni umani, bisogni che però non si ripresentano uguali in ogni individuo. La miscela idiosincratica di temperamento, vicende biografiche, contesto di vita e di altri fattori rende ogni persona dotata di specifiche necessità, così che una religione unica non potrebbe dunque fornire una soluzione valida per tutti. Una religione “completa” dovrebbe integrare ogni bisogno dell’umanità, nella forma di ogni singolo uomo, e come tale darebbe adito ad esiti contraddittori: meglio quindi un pluralismo religioso incentrato sul soggetto e sui suoi bisogni, anziché la pretesa sistematica di alcune religioni di imporre la propria concezione del divino a tutti. L’autore si immagina anche che qualcuno possa avere la tentazione di sostituire la scienza alle credenze religiose. Ad esempio, una scienza delle religioni potrebbe trattenere il positivo apporto psicologico della religione spogliandola del sostrato non fattuale. Tale scienza avrebbe il vantaggio di rimanere nell’alveo della ragione e di poter cogliere il nucleo originario di ogni religione singola, per darne una sintesi universale e razionale, e si presterebbe quindi ad essere più affidabile delle tradizioni spirituali precedenti.
Ma James ben sa quanto l’elemento psicologico del trasporto emotivo sia eccedente la conoscenza razionale, tanto da rendere qualsiasi dottrina “filtrata” dalla ragione povera di contenuti emotivi. L’affermazione di James è decisamente forte: per il credente, estasiato nel suo stato di fede, l’esistenza di Dio o dell’oggetto di fede è irrilevante. Non si crede ad esso perché lo si ritiene vero, bensì perché lo si ritiene utile, perché è punto fondamentale nella propria esistenza, senza riguardo alla verità fattuale di ciò che si crede. Inoltre, la questione della verità delle credenze religiose non può essere trattata dalla scienza, sia perché essa è ancora incompleta, sia perché la prospettiva scientifica sul mondo lo rende incompatibile con alcuni aneliti profondi dell’animo umano, a cui risponde invece la religione. In un mondo materialista e “disincantato” come quello delineato dalla scienza moderna non hanno posto le proiezioni umane sul cosmo, così come anche un Dio concepito come nient’altro che un ordinatore di leggi universali sarebbe di fatto cieco all’esigenza del singolo. Proprio, l’esigenza del singolo è però la principale ragione del sentire religioso: la religione non è quindi un lascito del passato prescientifico (per quanto James ammetta che tali concezioni effettivamente avevano attrattiva cosmologica per gli uomini del passato), bensì un bisogno eterno dell’uomo in quanto individuo umano. La credenza religiosa non è antitetica alla scienza, ma è piuttosto di genere diverso, tale che il progresso di una mai potrà annientare l’altra.
La teoria della sopravvivenza, come la chiama James, con probabile riferimento alle concezioni positiviste diffuse all’epoca, non convince dunque il filosofo americano. Una descrizione del mondo scientifica, ovvero sorda all’individualità, sarebbe forse più oggettiva, ma non per questo più vera o utile alla vita umana: James la paragona ad una lista di vivande, oggettivamente esaustiva ma incapace di saziare l’individuo.10 La vera religiosità è prevalentemente incentrata sul benessere del soggetto credente, sul suo destino individuale, sul suo bisogno al quale la religione dà risposte. Così, in quest’ottica, la teologia naturale appare come una razionalizzazione a posteriori del vero sentimento religioso, aperta all’universale ma cieca verso il singolo, offrendo quindi un «Dio all’ingrosso» anziché un «Dio al dettaglio».11
Riassumiamo i punti principali trattati fin qui: la religione è sostenuta da bisogni tipicamente umani di natura diversa da quelli della scienza, e diversamente da questa postula un mondo sovrasensibile con cui l’uomo può entrare in contatto. Tuttavia, nessuno di questi elementi spiega ciò che della religione è più importante, ovvero l’apporto psicologico che essa dà al soggetto. Poiché i soggetti sono diversi tra loro, ne consegue che anche i bisogni sono tra loro diversi e così saranno diverse le religioni abbracciate. Si osserva qui come tale prospettiva comporti un rovesciamento dei termini normalmente usati in teologia, in quanto la condotta dell’uomo determina qui la veracità della dottrina e come tale ne giudica della bontà, anziché il contrario: scopo della credenza religiosa è quello di dare forza e sostegno alla vita umana, permettendo all’uomo di ricavarne la pace desiderata. Tale posizione, peraltro espressa più volte dall’autore, va spiegata più nel dettaglio. Lungi dal ritenere che la volontà ed il capriccio dell’individuo rendano più o meno vere le credenze, James mira qui a spiegare in termini psicologici la permanenza di credenze non fattuali e metafisicamente equivalenti. Già altrove12 James dirà che la scelta tra materialismo e teismo non è data dalla forza argomentativa dell’una o dell’altra posizione, ma dall’effetto che essa porta sulla vita di chi la accetta come visione del mondo. La religione come la metafisica, è quasi indifferente alla fattualità, perché il suo obiettivo non è descrivere il mondo. Emergono qui alcuni dei temi da noi elencati prima: la religione non è un fatto tipico del “passato”, bensì una forza attiva e fondamentale nella vita umana. La religione è inoltre dipendente dalle peculiarità del soggetto, e come tale viene vissuta. I temi pluralisti, più tardi sviluppati nel dettaglio,13 sono già qui presenti in relazione alla religione. Vedremo come proprio questo elemento risulterà il più critico nella trattazione operata da James. Ma per fare ciò occorre prima analizzare anche l’altro autore da noi preso in considerazione, al fine di mostrare per confronto la diversità di atteggiamento.
4. Georg Simmel e la frammentazione delle forme religiose
Nel 1918, mentre il primo conflitto mondiale insanguinava il continente europeo, moriva a Strasburgo il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel. Reduce da una carriera decisamente poco convenzionale, in cui l’ostracismo a sfondo razziale delle principali università tedesche ebbe un ruolo fondante nel negare allo studioso alcuna posizione accademica,14 Simmel ebbe tuttavia notorietà e fama presso molti circoli intellettuali dell’epoca, divenendo ben presto punto di riferimento dell’intellettualità berlinese. Riconosciuto a volte come sociologo, specie in America, altre come filosofo,15 l’itinerario intellettuale simmeliano è in realtà rivolto ai più diversi campi di indagine culturale: la moda, il denaro, l’amore, l’arte e l’organizzazione sociale sono solo alcuni dei suoi più noti oggetti di studio. Tuttavia, la riflessione del pensatore tedesco in materia di religione è meno nota di molte altre. Rimanendo spesso sul piano descrittivo, sociologico, anziché su quello di un’articolata filosofia normativa della religione, il pensiero di Simmel scandaglia soprattutto la trasformazione della pratica religiosa sotto l’impulso della modernità. In particolare, vogliamo qui trattare di un’opera composta proprio nel 1918, anno di morte del filosofo.
Originariamente composto come conferenza e poi trasformato in un breve saggio, Il conflitto della cultura moderna16 offre infatti notevoli spunti di riflessione per indagare il rapporto stretto che intercorre tra religione e mutamento culturale. A partire dalle osservazioni simmeliane, si intende poi delineare una proposta interpretativa volta a ripercorrere la fortuna di alcune forme di religiosità alla luce di quanto teorizzato dallo studioso berlinese. Per affrontare la riflessione di Simmel sulla religione ne Il conflitto della civiltà moderna è necessario però introdurre non solo le argomentazioni principali dell’opera intera, ma anche alcuni aspetti fondamentali del pensiero simmeliano.
Centrale nell’opera è la distinzione tra vita e forme, dove la prima è intesa come vissuto spontaneo, pulsionale e multiforme dell’umanità, comprendente tutte le necessità dell’esistenza umana, dalle più materiali a quelle più spirituali, mentre le seconde sono le astrazioni culturali, normate e costruite, i prodotti dunque dello spirito.17 La vita biologica umana produce quindi inerentemente qualcosa che non può ad essa essere ridotto: la sessualità genera istituzioni familiari e sentimenti romantici, il bisogno di unirsi in gruppi per cacciare genera la socievolezza fine a sé stessa e così via. Anche le arti e le scienze non nascono come fini a sé stesse ma lo diventano quando eccedono il loro scopo pratico. La forma pretende di essere risolutiva, onnicomprensiva, totale: ma la storia vede invece tragicamente susseguirsi i tentativi di stabilizzare il mondo in un sistema chiuso, sia esso politico, artistico, religioso o filosofico. Ogni forma è sempre tentativo parziale, mutevole e provvisorio, pur essendo pensato per avere validità totale ed astorica. Partendo da questo assunto, ecco che la modernità per Simmel emerge come epoca della rivincita della vita sul sistema e sulla forma, come presa di coscienza della frammentazione e della pluralità delle concezioni del mondo.
L’autore ne ritrova gli effetti nei campi più disparati della cultura, dall’arte alla filosofia. I canoni estetici della classicità vengono erosi dal bisogno espressivo dell’artista moderno, che rifiuta di sottomettere ad un canone di bellezza preimpostato la sua spinta creatrice.18 La sessualità è sempre più svincolata dall’opprimente dicotomia legittimo-illegittimo che si esplica nelle forme del matrimonio e della prostituzione, l’una troppo riduttiva e l’altra troppo svilente della necessità di appagare un bisogno di affettività vitale e prorompente.19 Il pragmatismo sarebbe in quest’ottica, per Simmel, la filosofia della modernità pluralista: la centralità dell’esperienza/vita rispetto al sistema/forma è punto preminente di distacco dall’idea fissa ed immutabile di verità che si esplicava nella ricerca dell’organicità e dell’onnicomprensività del sistema filosofico classico.20 L’evoluzione naturale nell’uomo prosegue quindi con mezzi culturali, la mutevolezza ed il cambiamento non sono eccezioni, ma costituiscono la regola dell’adattamento dei nostri concetti al mondo ed alla vita.
Si può ora proseguire nella trattazione affrontando il tema che ci interessa maggiormente, osservando cioè quanto dice Simmel a riguardo della religione. Essa è un bisogno vitale umano, al pari di molti altri, e come tale ha bisogno di forme che ne incanalino la pulsionalità. La spinta religiosa umana deve infatti trovare sistemi che la informino e che la regolino, dando a tale bisogno umano una risposta valida. Le grandi religioni monoteiste erano in passato sistemi di grande successo, ma ora non reggono alla spinta della modernità, dirompente nel suo pluralismo. L’uomo moderno non può accontentarsi di una risposta unica e totalizzante perché è costantemente spinto da una pluralità di bisogni diversi: se un tempo le deviazioni dalla norma erano stigmatizzate o rigettate in nome dell’unica vera fede, ora la modernità ha mostrato come anche i sistemi religiosi siano parziali. Così, l’uomo moderno considera le religioni come proposte, sistemi parziali da trattare con elasticità, rivedendoli e sincretizzandoli a sua volontà. Il risultato è un misticismo informe, personalizzato e individualizzato a seconda delle proprie necessità individuali. Esso è l’esatto opposto della religione come forma, dogmatica ed immutabile, perché si presenta come indefinitamente aperto e mutevole, adatto a venire incontro ai bisogni religiosi dell’individuo. Tuttavia, probabilmente anche esso potrà in futuro divenire una forma, oggettivandosi e perdendo il suo legame con la sfera della vita. A quel punto, nuove proposte sorgeranno a mostrare la parzialità del nuovo sistema, stemperandone la pretesa unicità. Tale processo è per Simmel tragico, destinato a creare eternamente nuove forme e poi a dissolverle.21 Per il pensatore tedesco, la modernità è l’epoca in cui l’uomo prende coscienza di questo fenomeno e impara a viverne appieno il conflitto. La rinuncia ad ogni pretesa di eterna validità e universalità è tipica di ogni istituzione moderna, religione compresa. Mostrate infondate le soluzioni che ambivano a normare l’esistente, il credente ora non può far altro che riconoscere la mutevolezza dei suoi bisogni spirituali e modificare la religione di conseguenza. Essa assumerà quindi la forma del misticismo, che Simmel considera l’apoteosi dell’idiosincrasia e dell’indefinitezza, essendo esso aperto a mutamenti, individualizzato e disponibile a sincretismi ed evoluzioni.
5. La modernità pluralista di James e la modernità tragica di Simmel
Alla luce di quanto detto sopra, emerge chiaramente una prospettiva diversa da quella che, usando il termine di James, potrebbe essere chiamata teoria della sopravvivenza. La religione non è un lascito ancestrale di un passato prescientifico, né un sistema esplicativo rozzo e fallimentare. La religione come “spiegazione di fenomeni” è senz’altro destinata a scomparire, accusando i pesanti colpi della critica positivista. Ma tale critica sarebbe parziale e poco utile un’analisi della religione che si fermasse lì. Il merito teorico della speculazione di Simmel e di James sta proprio nel vedere oltre questo aspetto superficiale della religione. Essa infatti è preoccupazione per il proprio destino individuale (James) e anche esigenza vitale (Simmel). In entrambi i casi, gli autori evidenziano i tratti soggettivi, autointeressati, non-universalistici della credenza religiosa. Per entrambi, essa si radica nel bisogno dell’uomo di sentirsi a casa nel mondo, di renderlo un posto familiare ed ospitale, di conferirvi senso.22
Ciò detto sussistono, come evidenziato prima, differenze importanti tra queste due analisi del fenomeno religioso. La prima, macroscopica differenza la si evince osservando il ruolo della storicità nelle due teorie, quella di James e quella di Simmel. Per Simmel, la trasformazione in senso soggettivista del religioso è inerentemente collegata alla modernità, che è per il filosofo tedesco l’età della dissoluzione delle forme. La religione contemporanea a Simmel sarebbe diversa da quella del secolo precedente perché avrebbe preso coscienza del proprio carattere soggettivo e si sarebbe quindi disfatta della sua impostazione dogmatica ed universalistica. Il conflitto tra forma e vita si conclude dunque con la vittoria della pulsione vitale e la sconfitta della forma fissa del sistema religioso. Non che, beninteso, Simmel ritenesse che in età premoderna la religione fosse diversa nella sua genesi ultima: essa è sempre stata la rappresentazione parziale di visioni del mondo soggettive,23 ma solo con il passaggio alla modernità ne ha avuto piena consapevolezza.
In William James invece, ogni analisi teorica si svolge su un orizzonte astorico. James non ha interesse per la religione moderna come fenomeno distinto da quella precedente. Da psicologo, egli ricerca la genesi intima del sentimento religioso nei bisogni della persona, e da essi parte per spiegare il significato e le forme dell’esperienza religiosa. Se ci sia un cambiamento radicale nella modernità avanzata non è rilevante per il fine teorico di James. Tuttavia, così facendo egli si mostra interessato soltanto a quegli aspetti della religione che sono analizzabili in termini di esperienza emotiva, soggettività e sentimenti individuali. Le forme sociali, pubbliche, della vita religiosa sembrano minoritarie nella teoria jamesiana: esse sono meno interessanti di quelle mistiche, intimistiche, soggettive. Questo potrebbe essere legato ad una scelta teorica dello studioso, oppure essere l’ennesimo risultato della nota tendenza di James a esasperare gli aspetti individuali e soggettivi dei fenomeni.24
In ogni caso, tale impostazione rivela un difetto della teoria jamesiana, impedendone la piena applicazione in quei contesti (non occidentali, ad esempio) in cui l’idea di individualità in senso occidentale non si applica. Inoltre, anche usata in chiave diacronica essa risente di questa impostazione soggettivista: l’Europa medievale, con la sua religione unificante ogni attività umana,25 non era affatto propensa a considerare le sue proposizioni dogmatiche come proposte o come esperienze tra tante altre. Rendendo la religione un fatto intrapsichico, soggettivo, emotivo ed esistenziale, James ci regala brillanti analisi degli aspetti individuali della religione, ma a scapito degli ugualmente importanti fattori sociali, storici e pubblici. A tal riguardo, si può dire che James si sia ispirato (inconsapevolmente?) alla tradizione protestante diffusa negli Stati Uniti, che per l’appunto grande attenzione rivolge all’idea di incontro individuale con Dio. Quanto questo presupposto culturale pesi sulla sua analisi non è qui la sede per discuterlo, ma tale strada, se percorsa, può portare a soddisfacenti risposte in merito alle questioni sopra trattate.
Veniamo ora alla seconda differenza. Mentre James si mostra interessato al ruolo della religione nella vita psichica del soggetto, Simmel è più interessato alla religione come oggetto culturale. Il mutamento di pratiche, credenze e forme dell’esperienza religiosa Simmel lo teorizza grazie alle sue penetranti analisi delle forme oggettive che esse assumono. Ma una volta fatto ciò, esse rimangono per così dire “sganciate” dal vissuto soggettivo. La prospettiva di Simmel è qui più rivolta ad osservare il valore di verità di tali sistemi religiosi anziché la loro genesi. Simmel osserva la progressiva “relativizzazione” dei sistemi religiosi, la loro perdita di autorità nel proclamarsi unica guida delle azioni umane ed unica visione del mondo valida. La prospettiva di James, partendo invece dall’esperienza (soggettiva) del credente, non si pone troppo (anche se non è assente del tutto) il problema della verità, che risulta quasi escluso per definizione dalla teoria jamesiana del sentimento religioso.26
Sia James che Simmel concordano sul fatto che la religione moderna sia inerentemente incapace di affermare un singolo corpus di dottrine come unica e universalmente valida religione. Ma per Simmel tale risultato è frutto di un processo rivoluzionario legato alla modernità, il cui effetto dirompente lo si avvertirà nel declino dei dogmi tradizionali (metafisici e religiosi), mentre per James essa è semplicemente un dato di fatto conseguente da una diversa teoria della verità.27 Da questa seconda differenza ne scaturisce una terza: per Simmel, la modernità è tragica per la cultura, teatro di una sequenza infinita di ascese e declino di teorie e sistemi condannati a priori a non poter mai esaurire la complessità di ciò che vorrebbero sistematizzare. La tragedia della cultura di Simmel è per l’appunto, tragica, perturbante: essa ha tutto il sapore di una perdita di punti di riferimento. Per James invece la “relatività” delle dottrine ha tutto il sapore della libertà. Essa non è una perdita, una privazione, ma la sostituzione di un modo di ragionare vecchio, metafisico e monista ad una ragione in grado di adattarsi all’esperienza, alla vita e alla soggettività.28 Quella che per Simmel ha tutta l’aria di un indebolimento della pretesa della cultura di informare la vita è per James la nascita di un nuovo modello di ragione, aperta alla soggettività.
In che modo queste differenze influenzeranno le successive riflessioni sulla religione lo vedremo nel prossimo paragrafo. Vorrei solo qui concludere quanto detto sottolineando l’importanza del contesto in cui i due autori si muovevano per comprendere le differenze che intercorrono tra i loro pensieri. Se James scrive in un’America ormai abituata alle teorie pragmatiste, Simmel si trova immerso in una cultura europea ancora riluttante ad abbandonare le proprie velleità metafisiche, idealiste in particolare.29 Ciò spiega anche alcuni esiti della ricezione simmeliana: etichettato spesso come relativista, le teorie del filosofo di Berlino sono state spesso denigrate come impressioniste e relativiste da chi propugnava posizioni sistematiche, mentre sono state sviluppate in chiave antireligiosa, antidogmatica e antimetafisica da alcuni interpreti simmeliani. Si spera di aver qui mostrato come la somiglianza tra James e Simmel autorizzi a pensare che, in un diverso contesto, la scoperta del carattere parziale è provvisorio delle nostre forme culturali possa perdere parte del suo carattere tragico se sostituita non dal relativismo,30 ma da posizioni strumentaliste, fallibiliste e pragmatiste.31 Ciò, in ultima analisi, permetterebbe di far seguire alla pars destruens della teoria simmeliana una pars costruens che, come vedremo ora, è sempre più importante sviluppare per far fronte al conflitto delineato con chiarezza dal filosofo tedesco.
6. Modernità e religione: qualche caso concreto
Come detto in apertura di questo articolo, le teorie di Simmel e James sono a mio avviso importanti perché non solo testimoniano una consapevolezza a livello teorico di alcuni cambiamenti profondi nella relazione con la religione da parte dell’uomo moderno, ma anche perché tali riflessioni possono essere applicate a singoli casi particolari e usate per analizzarne motivazioni specifiche e forma. La religione, o meglio la spiritualità,32 contemporanea è caratterizzata da un allontanamento progressivo dalle religioni monoteiste e dogmatiche (cristianesimo, islam ed ebraismo tra le altre) per approdare ad esiti sincretici, a movimenti religiosi a sfondo mistico e a forme di spiritualità personalizzata. La spiritualità contemporanea è infatti aperta all’intervento del soggetto nella definizione del corpus dottrinale, che può essere modificato, ibridato, adeguato alle sue esigenze personali. Il credente moderno vede la religione non come un prodotto offerto da un gruppo religioso ben definito e che deve accettare o rifiutare in relazione ad altre proposte simili. Adesso egli può adattare gli elementi che più preferisce della religione in un sistema non necessariamente concluso in sé stesso, anzi, sempre passibile di revisioni ed aggiunte. Inoltre, la religione nel mondo contemporaneo è esplicitamente ritenuta una preferenza soggettiva, derivante dalle esigenze del soggetto e non giustificata “esternamente” ad esso dalla natura della dottrina o da prove della veridicità di essa.
Niente rende più evidente tale cambiamento quanto un confronto diretto con una dichiarazione per certi versi emblematica dell’atteggiamento nei confronti della dottrina di una religione, quella cattolica, che incarna pienamente il tipo della religione premoderna. Si guardi ad esempio al pensiero di Tommaso d’Aquino, come pensatore scolastico che indaga il mistero dell’unità inscindibile della fede. Per Tommaso, essa è da accettare in toto, senza smembramenti né revisioni: ad esempio, se un cattolico credesse in tutti i dogmi trinitari della chiesa, ma non nella verginità di Maria, egli non sarebbe veramente cattolico, così come non lo sarebbe se si dicesse credente ma eccepisse alle posizioni ecclesiali in materia sessuale.33 Insomma, la fede, in quanto verità rivelata è unitaria, inscindibile, non affetta dalle mode e dai capricci dei singoli (o dai venti di dottrina paolini).34 Si evince già da ora quanto sia evidente il contrasto con la religione contemporanea, intesa invece come realizzazione del proprio individuale progetto di vita, di cui la spiritualità è una componente (ma anche no, considerata la presenza non risibile di atei).35 In quest’ottica, la religione è funzionale alla vita del singolo e non viceversa. Essa costituisce tuttalpiù una forma di condivisione di una propria identità con altri, ma rimane sempre condizionata al principio da una natura soggettiva e individuale. Non solo chi abbraccia culti sincretici può attingere un po’ dal buddhismo, un po’ dal cattolicesimo e un po’ dall’esoterismo, ma anche chi si dice cattolico può ora selezionare ciò che della fede lo convince oppure no.
Si hanno dunque una religiosità tradizionale rigorista e oggettiva in sistemi ed una religiosità moderna “capricciosa” e volubile? Così parrebbe, se non vi applicassimo quanto detto sopra analizzando i contributi di Simmel e James. Invece, se facciamo tesoro delle loro osservazioni, possiamo affermare che tali differenze sono dovute alla presa di coscienza del carattere parziale e provvisorio di ogni forma culturale e della conseguente soggettivizzazione dell’esperienza religiosa. Il credente moderno è di norma aperto al sincretismo e all’ibridazione, al confronto tra diverse posizioni e alla selezione dei tratti di esse che più lo affascinano. È inerentemente pluralista, da che il mondo può essere unificato solo parzialmente, finché la nostra descrizione non trova elementi ad essa irriducibili, come isolanti in un sistema di conduttori elettrici.36 Essendo ogni visione del mondo parziale,37 è evidente che nessuna di esse potrà avere validità assoluta e che quindi il futuro della religione sia una dissoluzione del sistema di credenze in una fede soggettiva e integrata nel disegno di vita individuale.
Vorremmo ora provare a fare alcuni esempi per esplicitare quanto detto. In questa sede si proporranno solo due brevi esempi, uno intimamente inserito nel contesto della modernità, l’altro rappresentante una svolta moderna in seno ad una religione tradizionale. Come prima cosa, si inizierà qui col trattare il caso del movimento New Age, dopodiché ci si dedicherà al modernismo cattolico. Parlando di New Age, occorre specificare che tale movimento è in realtà del tutto eterogeneo e non è neanche definito religioso da tutti coloro che ne fanno parte e lo studiano. Si preferisce quindi definirlo come una forma di spiritualità alternativa che si allontana dalle forme tradizionali di spiritualità occidentale per operare una sintesi tra misticismo orientale, esoterismo, elementi cristiani, spiritualità indigena e pratiche contro-culturali. La peculiarità di questo movimento è proprio la sua duttilità. Esso non ha forma unitaria perché non si può dotare di alcun corpus dottrinale condiviso. Ciò però non viene mai considerato un problema, come avverrebbe in un contesto tradizionale, ma è ritenuto necessario per tutelare la libertà dell’individuo di perseguire la propria realizzazione scegliendo ciò che è meglio per lui. Nonostante la presenza di elementi comuni e linguaggi condivisi, i vari gruppi che gravitano nella galassia New Age di norma condividono l’assunto per cui l’autodeterminazione individuale diventa valore fondante della ricerca spirituale. In contrapposizione con la pretesa assolutista delle grandi religioni, che possono tollerare ma non accettare la divergenza dalla propria dottrina,38 i culti New Age rinunciano a ogni pretesa di validità universale. In questo modo, il New Age viene ad incarnare la massima espressione della concezione jamesiana e simmeliana della religione.
Il secondo esempio, ormai storicizzato, è come detto nato nell’alveo di una religione tradizionale, già ampiamente diffusa e codificata in età premoderna. Tale religione è il cattolicesimo e il movimento interno ad esso è passato alla storia con il nome di modernismo. Tale movimento, eretico per la Chiesa Cattolica (anzi, «somma di tutte le eresie», come ebbe a definirlo Papa Pio X) è anch’esso variegato al suo interno, essendo oltretutto probabilmente molto più chiaramente delineato in quanto movimento nella mente di chi lo criticò che di chi ne fece parte. Lo stesso Pio X, nell’enciclica Pascendi dominici gregis, scritta con l’intento dichiarato di confutarne le teorie e di «ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni», ammette che i modernisti sembrano presentare le loro dottrine «non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra».39 Riassumendo qui la sintesi operata dal pontefice nella sua disamina, possiamo identificare come nucleo concettuale comune delle dottrine moderniste una separazione netta tra ragione e fede: la prima avrebbe la sua piena indipendenza dalla fede in ogni materia intellettuale, negando la possibilità di una razionalità della fede, mentre la seconda si fonderebbe sul sentimento individuale, intimamente percepito dal credente (venendo anzi a volte a coincidere con esso). Sulla base di queste premesse un filosofo cattolico modernista come Edouard LeRoy40 poté affermare che l’esistenza di Dio non è dimostrabile razionalmente in quanto egli è iper-esistente, ovvero è a fondamento di ciò che esiste e non parte del creato.41 L’unica prova della sua reale presenza è il sentimento di trascendenza e moralità che alberga nel fondo dell’animo umano, di ogni uomo, così che per LeRoy «non esistono veri atei».
La somiglianza tra la tesi di LeRoy e quella di James è notevole: anche James ricondusse all’intima consapevolezza del bisogno di un più trascendente nella vita umana la radice della fede. Se per James tuttavia tale bisogno è solo nel soggetto credente, per il modernista francese esso è Dio stesso.42 Tuttavia, i due concordano sul fatto che la presenza di un sentimento religioso nell’animo umano possa assumere forme diverse quando tradotta in religione, ritenendo quindi ogni espressione religiosa ugualmente valida. Per quanto non così estesamente, alcuni modernisti (tra cui lo stesso LeRoy) arrivarono infatti a destituire il primato della Chiesa cattolica in quanto unica via verso Dio e la salvezza. Ciò fu intollerabile per il Magistero, che infatti ne condannò le tesi in vario modo. Ma intanto il modernismo aveva già introdotto nella tradizionalista Chiesa dell’epoca la consapevolezza di un mutato rapporto dell’uomo con il sacro, meno mediato da istituzioni religiose, più intimo e addirittura aperto seriamente al pluralismo religioso, consapevolezza ormai diventata (soprattutto dopo il Concilio Vaticano II) parte stabile dell’identità della maggior parte dei cattolici contemporanei.
7. Religione e modernità: questioni e riflessioni
Possiamo affermare dunque che è ormai un fatto assodato che nessuna religione moderna possa più godere di una legittimità ascritta e universalmente riconosciuta. La consapevolezza di tale cambiamento è ormai così largamente diffusa che è da molti ritenuto evidente che la religione sia una questione puramente soggettiva, tanto evidente che pochi ricordano che in passato tale fatto era tutt’altro che scontato o lecito. La semplice consapevolezza di tale nuovo assetto religioso si mostra però inadeguata a gestire alcune complesse dinamiche del mondo contemporaneo. Prendiamo come esempio le tensioni religiose moderne. Anche dopo il trionfo del pluralismo moderno, non è venuta meno la necessità di aprirsi al dialogo, soprattutto considerato il fatto che non tutti accettano tale pluralismo di buon grado.
Si vuole qui esaminare brevissimamente una diffusa tipologia di posizioni. C’è chi, come Francesco Remotti,43 si richiama all’elogio humeano del politeismo44 per esaltare la tolleranza dei sistemi aperti in confronto al dogmatismo dei grandi monoteismi. Così, la tolleranza del culto altrui andrebbe incentivata tramite una rinuncia a pretese identitarie. Pare che l’uso che Remotti fa di tale tesi lo avvicini purtroppo a quei teorici convinti che l’obiettivo del dialogo sia la sola riduzione dei conflitti. Ma tale quadro teorico non considera il fatto che chi crede ha bisogno di sentire vero e solido ciò che propugna e che quindi non può accettare che la religione sia “solo personale”, nient’altro che credo personale e senza oggettivo valore. Pur nell’epoca del pluralismo, la religione rimane Sinngebung, ricerca di senso, che non può essere ridotta a convinzioni del tutto arbitrarie e soggettive senza snaturare sé stessa. Se così accadesse, bisognerebbe chiedere al credente di riporre la propria fede solo nella sua disposizione soggettiva a credere, senza pretesa di verità.
Se, come abbiamo visto, molti fenomeni religiosi vanno nella direzione della teoria simmeliana-jamesiana, ciò non implica che altri gruppi religiosi, meno aperti al pluralismo, abbiano ancora largo seguito. Accettando che la religione diventi mera preoccupazione per il destino individuale non si accetta per forza che chi abbraccia una religione la ritenga unicamente soggettiva. Tutt’altro. Il pluralismo jamesiano, se è assai utile per cogliere le trasformazioni del vissuto religioso moderno, necessita di perfezionamenti teorici volti a garantire la possibilità di pretese di senso sul mondo né egemoniche né triviali.45 Se, simmelianamente, ogni forma è parziale, ciò non autorizza ad obbligare il credente a rifiutare ogni pretesa di veder soddisfatto il suo desiderio di senso. La fine di un tipo di religiosità tradizionale non significa affatto morte della religione, ma piuttosto, come detto, una sua trasformazione, che deve però essere trasformazione anche nel dialogo. Se così non fosse, gli esiti del processo osservato da Simmel e James non sarebbero pienamente portati a compimento.
Poiché ci si è mostrati ora insoddisfatti di alcune soluzioni al problema del dialogo interculturale,46 vedremo ora altre proposte volte ad affrontare questa questione. Berger e Luckmann,47 che come James e Simmel ritengono irreversibile la svolta pluralista della modernità, propongono di implementare un sistema pluralista ma aperto al dialogo, in cui strutture intermediarie quali comunità religiose locali, circoli politici e associazioni culturali suppliscono alla mancanza di grandi istituzioni universali, ma senza relegare la religione nella sfera privata e soggettiva. Tali strutture intermedie devono però essere aperte al pluralismo ed al dialogo reciproco, così da evitare derive settarie ed esclusive. Tale soluzione, che permette di rispettare l’esigenza di senso individuale e di garantire forme minimali di coesione sociale, si fonda però sull’assunto per cui occorre tenere separate le diverse comunità religiose, salvo per esigenze di dialogo.
Tuttavia, esistono anche forme di spiritualità che pur restando nell’alveo della rivoluzione moderna, si muovono nella direzione di una ricomposizione della diversità delle religioni in una cornice unificante. Ne è un esempio la Perennial Philosophy48 di Aldous Huxley, che immagina una natura unitaria delle diverse tradizioni religiose basata su un sostrato di credenze comuni. Infatti, secondo i perennialists, la religione umana assume forme diverse nel corso della storia e dello spazio geografico, ma in ultima analisi essa ha una natura comune perché si ritrovano in essa elementi ricorrenti. La natura comune di tali credenze religiose genera dunque una forte comunanza tra credenti di diverse religioni, uniti oltre le apparenti differenze da una comune fede. All’apparenza un modo di coniugare il bisogno religioso dell’uomo con le esigenze del dialogo interculturale ed interreligioso, in realtà la filosofia perenne presenta alla base una serie di assunti discutibili e discriminanti a priori..49 Lo scrittore e saggista britannico sviluppò tale approccio alla religione nell’immediato dopoguerra, nel tentativo di mediare tra due istanze conflittuali. Da un lato infatti l’entusiasmo fanatico per le ideologie aveva scosso il mondo per buona parte del secolo, dall’altra si riteneva che privando l’uomo delle riserve di senso offerte dalla religione lo si sarebbe privato di aspetti importanti della vita umana. La soluzione non poteva che essere una religione “aperta” e non settaria, che manteneva intatto il pluralismo senza diluire in esso la carica vivificante della religione. Ricondurre ad una fonte comune le diverse forme di religiosità era quindi una necessità sia religiosa che politica. Lo scopo della perennial philosophy è proprio la sua pretesa di salvaguardare la legittima (per chi accetta quanto detto sopra) libertà di scelta individuale e al contempo di trovare requisiti minimali di validità universale per la scelta individuale. In questo senso, la filosofia perenne huxleyana vuole essere una risposta alla crisi della religione tradizionale, provando a salvaguardare un ideale di tolleranza e di libertà di scelta senza scadere nell’arbitrarietà: essa rappresenta un sintomo dunque di una ormai assimilata consapevolezza del mutamento della spiritualità moderna nella direzione jamesiana e simmeliana, ma anche un tentativo di superarne l’antitesi.
8. Conclusioni
Come detto, in questa trattazione non si intendeva trattare in modo esaustivo la tematica del dialogo interculturale. Tale tema è complesso, variegato e assolutamente distante dall’obiettivo fin dall’inizio perseguito. Si intende piuttosto qui operare una distinzione: la trattazione delle ricerche sul tema religioso di James e Simmel era volta a mostrarne il valore teorico a riguardo di quella che ho chiamato svolta soggettiva della religiosità moderna. Tuttavia, non possiamo imputare a questi autori di non aver saputo prevedere la necessità del dialogo interreligioso e l’inadeguatezza del soggettivismo in tale contesto: essi si sono semplicemente resi acuti testimoni del cambiamento in corso nella struttura delle dottrine e nell’atteggiamento dei fedeli e tale questione all’epoca non era affatto impellente quanto ora. Ciononostante, è fondamentale distinguere tra l’utilità del pluralismo jamesiano e della teoria delle forme di Simmel come chiave interpretativa del mutamento religioso dalle loro conseguenze se applicate al dialogo interculturale. Il pluralismo non basta più, né e è possibile relegare nel privato il bisogno religioso. La religione, pur senza più potersi imporre dogmaticamente (anche con la violenza), non è diventata triviale, frivola o “modaiola”, come sostengono alcuni di fronte al fiorire di proposte religiose. Essa ha anzi riacquistato spazio nelle vite delle persone, soprattutto in virtù dell’apporto di senso che offre a chi la abbraccia. Le soluzioni dogmatiche ed il loro opposto, il multiculturalismo liberale, sono come Scilla e Cariddi, ovvero incombono pericolosamente su una questione così sfaccettata e delicata.
Una risposta efficace a questa problematica non può prescindere da due obiettivi: evitare il nascere di forme di religiosità egemonica, fanatica ed oppressiva ed al contempo salvaguardare la possibilità del riconoscimento della propria fede in un’arena discorsiva aperta al dialogo ed al confronto, senza conflitto né irenico indifferentismo. Ma anche le riflessioni degli autori impegnati nel tentativo di dare forma convincente alle strategie di dialogo interculturale non potrebbero essere possibili senza la consapevolezza del radicale mutamento che la religiosità umana ha subito in tempi recenti, mutamento che ha avuto in Georg Simmel e in William James alcuni dei suoi più fini teorici. Per questo si intende concludere affermando che le riflessioni di tali autori, a distanza di più di un secolo, rimangono un punto di partenza interessante e originale per chiunque voglia osservare le forme assunte dal fenomeno religioso nell’età contemporanea ed occuparsi delle questioni attuali ad esso connesse. Pur con i loro limiti, esse potranno essere fonte di riflessione per sviluppare strumenti e modalità di dialogo capaci non solo di comprendere le complessità della religiosità moderna, ma anche di affrontarla.
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Occorre tuttavia qui notare come Simmel sia assai più consapevole della storicità della sua analisi, inserendola nel contesto della modernizzazione a lui contemporanea. ↩︎
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L’evoluzionismo culturale, solo marginalmente ispirato a quello biologico, è un paradigma teorico antropologico che postula l’esistenza di diversi stadi di sviluppo culturale, che portano ogni civiltà da stadi “primitivi” a stadi “civilizzati” nel corso del proprio sviluppo. Lo studio dei popoli “primitivi” in quest’ottica era ritenuto capace di ripercorrere la genesi e lo sviluppo delle culture “superiori”. Acriticamente, lo stadio civilizzato veniva spesso ad essere identificato come la cultura europea in età coloniale. ↩︎
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Associato anzitutto all’opera di Auguste Comte, il positivismo si diffonde soprattutto in Francia e rimane una delle principali influenze culturali fino almeno alla Prima guerra mondiale. Pur non trattata esplicitamente in questa sede, la teoria dei tre stadi comtiana rimane punto di riferimento fondamentale per cogliere atteggiamenti diffusi all’epoca nei confronti della religione. ↩︎
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Numerosi sociologi della religione sostengono oggi la tesi per cui il declino della religione in Occidente sia stato inferiore alle aspettative e che essa sia piuttosto in trasformazione anziché in declino. ↩︎
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Nella teoria delle visioni del mondo (Weltaungschauunglehre), le visioni del mondo sorgono dalla vita umana e dalle domande ad essa connesse. Esse esprimono risposte a tali domande nel rapporto con realtà invisibili (religione), nell’espressione di elementi particolari caricati di significato (arte) o di sistemi universalisti e razionali (filosofia). Tali stadi non si alternano storicamente, ma convivono e a volte si intersecano parzialmente. Cfr. Wilhelm Dilthey, L’essenza della filosofia, e anche Wilhelm Dilthey, La coscienza storica e le visioni del mondo, in Wilhelm Dilthey, Scritti filosofici (1905-1911), UTET, Milano 2004. ↩︎
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La teoria sociologica durkheimiana, e quelle ad essa ispirate, vede nella religione ritualizzata la proiezione della società stessa, per cui parlando di Dio o di un potere trascendente si parla in realtà di sé stessi e si rinforza il senso di comunità che sta a fondamento della società. ↩︎
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Create da Adam Lord Gifford (1820–1887), esse hanno lo scopo di «promuovere e diffondere lo studio della teologia naturale intesa nel più ampio senso possibile, in altri termini, la conoscenza di Dio». Tradotto da https://www.giffordlectures.org/. ↩︎
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Tutte le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana contenuta in AA.VV., Il pragmatismo, UTET, Milano 1970. Per il testo inglese completo cfr. William James, The Project Gutenberg EBook of The Varieties of Religious Experience by William James, 2014, e in particolare per il CapitoloXX, cfr. https://www.gutenberg.org/files/621/621-h/621-h.html\#toc29. ↩︎
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Ivi, pg. 249. ↩︎
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Ivi, pg. 256. ↩︎
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Ivi, pg. 253. ↩︎
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Ad esempio, nel discorso Concetti filosofici e risultati pratici, tenuto da James nel 1898 all’Unione Filosofica dell’Università di California, contenuto ora in Fulvia Vimercati (a cura di), Cos’è il pragmatismo, Jaca Book, Milano 2009. ↩︎
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Il riferimento è agli ultimi scritti jamesiani, come Pragmatismo (1906), Un universo pluralista (1909) e Saggi di empirismo radicale (1912, postumo). ↩︎
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A pesare furono soprattutto la sua origine da famiglia ebraica (peraltro non religiosa) e il suo relativismo religioso. Questo secondo fatto biografico sarà ovviamente importante per la presente trattazione. ↩︎
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Lo stesso Simmel si lamentava del fatto che egli si reputava un filosofo e reputava primariamente filosofici i suoi interessi, ma era spesso etichettato come sociologo anziché come filosofo. Cfr. Marco Vozza, I confini fluidi della reciprocità. Saggio su Simmel, Mimesis, Milano 2002. ↩︎
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Georg Simmel, Il conflitto della cultura moderna: una conferenza, edizione italiana e traduzione a cura di Francesco Ingravalle, Edizioni di Ar, Padova 2001. https://unito-opac.cineca.it/SebinaOpac/Opac?action=search&thNomeDocumento=UTO0039798T)1. ↩︎
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«Abbiamo poi indicato come la vita sia non solo “piú vita” ma “piú che vita”. […] Qualsiasi rappresentazione crea infatti un contenuto che ha un senso proprio, una connessione logica, una validità direttiva indipendente dalla vita che la crea. Questa indipendenza del prodotto non esclude la sua provenienza esclusiva dalla forza creatrice della vita individuale, allo stesso modo che il figlio proviene dal padre». Cfr. Georg Simmel, Intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pgg.18-19. ↩︎
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Ciò soprattutto perché l’artista vuole ritrarre la cosa così come la vede, senza alcuna concessione all’idealizzazione ed al canone. Per spunti simili, cfr. anche Georg Simmel, Stile germanico e stile classico-latino, in Georg Simmel, Forme dell’individualismo, a cura di Ferruccio Andolfi, Armando Editore, Roma 2001. ↩︎
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L’amore coniugale è riduttivo se rapportato alla passione vitale, ma la prostituzione non fa altro che degradare e mercificare tale slancio, senza soddisfarlo. ↩︎
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Il giudizio di Simmel sul pragmatismo americano è stranamente lapidario e sprezzante. Egli, pur definendolo superficiale, ammette però anche di non aver intenzione di esporre o criticare approfonditamente la dottrina. Per una panoramica sul rapporto tra Simmel e il pragmatismo, cfr. Martin Kusch, «Georg Simmel and Pragmatism», European Journal of Pragmatism and American Philosophy, [XI-1|2019 European Pragmatism], https://journals.openedition.org/ejpap/1459. ↩︎
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Simmel, in conclusione d’opera, si mantiene vago: non nega esplicitamente la possibilità della comparsa di forme definitive in futuro, ma non ritiene tali soluzioni né scontate né inerentemente auspicabili. ↩︎
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Il pensiero tedesco ha coniato un termine pregnante per descrivere questo conferimento di senso, detto Sinngebung, appunto dazione, conferimento di senso. ↩︎
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Nel senso di originatesi da sentimenti individuali, non in quanto scevre da aspetti istituzionali e comunitari. ↩︎
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Tendenza che lo portò più volte, come Simmel, a doversi difendere dall’accusa di relativismo. ↩︎
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Cfr. Thomas Luckmann e Peter Berger, Lo smarrimento dell’uomo moderno, Il Mulino, Bologna 2010. ↩︎
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Per James, come si è visto, è l’apporto etico a rendere adeguate alla vita alcune categorie. ↩︎
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Sul pragmatismo jamesiano basti citare (tra i molti testi) quelli contenuti in Pragmatism e The meaning of Truth. ↩︎
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L’apertura del mondo al cambiamento è fondamentale per la dottrina jamesiana del meliorismo (o migliorismo), posizione etico-metafisica che crede nella possibilità di apportare miglioramenti al mondo in virtù di una sua contingenza e disposizione all’interpretazione pluralista. Cfr. William James, Pragmatism, in particolare VIII Lecture: Pragmatism and Religion, https://www.gutenberg.org/files/5116/5116-h/5116-h.htm. ↩︎
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Ciò tuttavia vale significativamente anche per i pragmatisti europei: le difficoltà incontrate da Schiller in Inghilterra e gli esiti dell’avventura pragmatista in Italia testimoniano la difficile convivenza con le filosofie già affermate. Cfr. Rosa M. Calcaterra, Giovanni Maddalena, Giancarlo Marchetti (a cura di), Il Pragmatismo. Dalle origini agli sviluppi contemporanei, Carocci, Roma 2015. ↩︎
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Posizione che lo stesso Simmel mai avallò, nonostante molti definirono relativista il suo pensiero. Per questo, spesso si ritiene opportuno parlare di relazionismo a riguardo di tale posizione simmeliana ↩︎
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Per amor di brevità, rimando ad una intervista tradotta di Richard Bernstein che ha il pregio ammirevole di definire queste categorie con semplicità e concisione https://www.reset.it/reset-doc/pluralismo-culturale-da-james-a-kallen-le-radici-pragmatiste-di-un-movimento. ↩︎
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Il termine è ormai uso comune per far fronte all’ambiguità del termine religione nel caso di molti movimenti spirituali contemporanei. ↩︎
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Fatto, quest’ultimo ormai sempre più frequente, a testimonianza di una sensibilità religiosa un tempo inconcepibile, capace di svincolare l’azione pratica dalle credenze morali religiose. ↩︎
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«È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore». Cfr. Efesini, 4:14, Sacra Bibbia, Edizione C.E.I. ↩︎
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La questione dell’ateismo e della sua possibile natura “spirituale” non è qui trattata, ma è ovviamente rilevante ↩︎
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Cfr. William James, Pragmatism, Lecture IV: The One and The Many, https://www.gutenberg.org/files/5116/5116-h/5116-h.htm. ↩︎
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La Weltaunschauungslehre di Wilhelm Dilthey rimane eccellente elemento di confronto con le teorie di Simmel e James, autori per molti versi a lui vicini. ↩︎
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Nonostante alcune interpretazioni a mio avviso ingenue proposte da studiosi laici, il dialogo religioso dei grandi monoteismi non è volto a mettere a tacere le controversie religiose, ma a risolverle, pur se con spirito tollerante e fraterno. Esemplare qui il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Il diritto alla libertà religiosa non è né la licenza morale di aderire all’errore, né un implicito diritto all’errore, bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all’immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia religiosa, da parte del potere politico». Dal testo è chiaro che la libertà di religione non è affatto una concessione alla liceità dottrinale di altri culti. La posizione cattolica è sostanzialmente affine a quella di tutti gli altri grandi monoteismi tradizionali, come ebraismo ed Islam. Anche le dottrine tradizionali cristiane (semina verbi, chiesa invisibile agostiniana) e musulmane (i popoli del libro) in realtà predicano la tolleranza ed il rispetto ma non esimono dal dovere della conversione dell’altro, della testimonianza e della difesa della propria dottrina. Soluzioni volte alla neutralizzazione di tali pretese nel nome del dialogo religioso mostrano, a mio avviso, di essere poco convincenti e di non cogliere la natura di tali religioni. ↩︎
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Pio X, Pascendi Dominici gregis. ↩︎
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Edouard LeRoy, matematico, filosofo e teologo francese vicino a Henry Bergson, fu accusato di modernismo per alcune sue posizioni eterodosse a riguardo dei dogmi cattolici. ↩︎
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Cfr. Essai d’une philosophie première: l’exigence idéaliste et l’exigence morale, 2 vol., posthumes (1956-1958), tradotto in italiano in AA.VV., Il pragmatismo, UTET, Milano 1970. ↩︎
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In apparenza un richiamo agostiniano, in realtà il modernismo, a differenza del teologo di Ippona, spesso non solo privilegia la via della coscienza come strada per Dio, ma a volte fa coincidere (come in LeRoy) la coscienza con Dio stesso. ↩︎
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Cfr. Francesco Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 2001. ↩︎
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La tesi di David Hume è che i culti politeisti, in virtù del loro pantheon già ampio, potessero inserirvi gli dèi di altri popoli senza grandi problemi, e quindi essere più tolleranti rispetto ai monoteismi. ↩︎
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In logica, l’aggettivo triviale si applica a sistemi in cui ogni proposizione è vera. Inutile dire che tali sistemi sono assolutamente logicamente impossibili e risultano in ogni caso inutili ad ogni fine argomentativo. ↩︎
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In particolare, si sono rivelati poco adatti sia l’intento ecumenico e missionario del dialogo religioso a fine di conversione sia la soluzione multiculturalista che separa i gruppi frustrandone il desiderio di senso in nome di un liberalismo indifferentista. ↩︎
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Cfr. Thomas Luckmann e Peter Berger, Lo smarrimento dell’uomo moderno, Il Mulino, Bologna 2010. ↩︎
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Il termine philosophia perennis è tratto dalle opere di Agostino Steuco e di Leibniz e riadattato da Huxley nel suo libro omonimo (1954). Essa rassomiglia in più punti la duplex religio settecentesca. ↩︎
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Ad esempio, quanto detto dal filosofo Jules Evans in un articolo sul tema, https://aeon.co/essays/what-can-we-learn-from-the-perennial-philosophy-of-aldous-huxley. ↩︎