Recensione a Pierfrancesco Stagi, Storia della filosofia della religione contemporanea, Mimesis, Milano 2019, pp. 144.
Il libro di Pierfrancesco Stagi, pur proponendosi come itinerario storico di alcune delle più influenti riflessioni sulla religione nell’ultimo secolo, può essere considerato come l’elaborazione variegata di un unico grande stimolo di fondo: è ormai insostenibile la teoria per cui le religioni sarebbero lasciti di un passato pre-moderno, destinate a scomparire progressivamente sotto i colpi della scienza e del laicismo. Non solo infatti i nuovi movimenti religiosi, ma anche le grandi religioni tradizionali sono state parte attiva nel revival di credenze spirituali ed impegno attivo su base religiosa nella sfera pubblica. Chi voleva relegare la sfera religiosa al passato o al privato dovrà quindi scontrarsi con questa rinnovata consapevolezza della permanenza del sacro, che sembra compenetrare le riflessioni di tutti gli autori magistralmente introdotti e compendiati da Stagi.
L’autore si propone di dedicare piccoli ma incisivi capitoli ad ognuno dei protagonisti della riflessione novecentesca sul sacro ed il religioso, riportandone però le suggestioni con un occhio sempre rivolto al presente ed alle sue sfide. Infatti, il libro è solo in parte una “storia della filosofia”: l’approccio storico-cronologico viene anzi spesso sacrificato rispetto alle esigenze tematiche, al fine di dare continuità alle riflessioni. Non è difficile ritrovare tale continuità, tanto che, le varie riflessioni (pur nella loro specificità), sembrano riprendere l’una gli elementi dell’altra in un affresco policromo ma coeso di prospettive ed idee. Proprio per tale motivo, la presente recensione altererà parzialmente l’impianto bibliografico dell’Autore, cercando di seguire un approccio più tematico che storico. Si spera così di evitare un pedante riassunto, che non renderebbe giustizia all’opera, ed al contempo di mostrare le potenzialità di alcuni filoni di riflessione condivisi.
Il primo filone di pensiero che emerge con forza è quello della deprivatizzazione della religione: ovvero dell’uscita della religione dall’angusta sfera in cui il liberalismo laicista la aveva relegata. Autori diversi come Heidegger, Geertz e Durkheim, ampiamente trattati nella prima parte del libro, testimoniano l’impatto trasformativo del sacro sulla vita umana. Esso in Heidegger si snoda intorno a due poli fondamentali: l’azione intima sull’animo umano e la sensazione di realtà che dal sacro prorompe, trasfigurando il reale. Per il credente, il sacro non è solo in interiore foro hominis ma risiede soprattutto nel mondo e da lì sembra comunicarsi all’uomo: arginare una pretesa trasformativa così forte etichettandola come preferenza personale senza pretesa veritativa vuol dire non aver compreso la natura profonda della religione. Come Heidegger ma su posizioni più orientate allo studio delle religiosità collettive abbiamo Durkheim, che considera la religione come frutto di una esperienza del mondo che trasforma l’animo degli uomini e che solo in seguito assume forma dottrinale. Testimonianza a sostegno di tale visione è la società - ovvero l’incarnazione stessa del sacro - intesa soprattutto come insieme di norme, vincoli e valori condivisi, ciclicamente ribaditi tramite il rituale. Fino a quando la religione potrà mantenere la sua forza, ci sarà coesione sociale, ma qualsiasi mutamento in questa condizione di fondo comporterà il bisogno di cambiamenti sociali, conseguenti alla variazione di quello strato fondamentale che garantisce la convivenza sociale. In tempi più recenti è invece l’antropologo culturale americano Clifford Geertz a interpretare la religiosità come un bisogno di significazione, di donazione di significato al mondo. Le religioni sono sistemi culturali di segni interpretativi, volti a rendere sensata la nostra esistenza nel mondo. Ma come per Heidegger e Durkheim, anche per Geertz la religione non crea sé stessa dal nulla ma ha bisogno di esperienze trasformative profonde nell’animo umano, motivate dal suo stesso cercare senso nel mondo.
Ulteriore apporto a tale fecondo filone di studi proviene dagli studi sociologici, che da Weber a Casanova, che testimoniano come la religione sia un fatto eminentemente sociale. Se in Weber è centrale l’etica protestante del Beruf come vocazione a portare la religione nella sfera sociale e sacralizzare il proprio lavoro anziché disprezzare il mondo secolare e ritirarsi nella vita contemplativa, Josè Casanova è invece attento alle trasformazioni originate dalla coesistenza di culture, credi e religioni diverse a seguito dell’immigrazione verso l’Occidente che ha reso la ricomparsa della religione nella sfera pubblica un fatto rilevante a livello sociale e non un mero fenomeno secondario. Per tutti questi autori dunque la religione non è solo un fatto individuale (di sicuro non lo è in Durkheim), ma è naturalmente portata ad avanzare pretese sul mondo in generale e a cercare di persuadere altri della verità del proprio credo. La religione aspira a parlare del mondo come è veramente e non come un soggetto individuale vorrebbe che fosse: da qui tutti gli effetti, anche negativi, della religiosità nella sfera pubblica contemporanea.
Il secondo filone tematico riguarda proprio quest’ultimo aspetto della questione, ovvero il trattamento da riservare alla religione nella sfera politica e sociale. Autori di rilievo sono qui Taylor, Habermas e Böckenförde, che sono a vario titolo impegnati nella ridefinizione del ruolo della religione nello stato liberale contemporaneo. Se fino ad adesso ha voluto mantenere una posizione neutrale rispetto alle diverse confessioni religiose, spiega Böckenförde, esso non ha potuto farlo in accordo con i suoi principi. Infatti, se limita attivamente l’azione delle diverse religioni nella sfera pubblica, riservandole al privato (laicismo negativo, su modello francese), impone comunque attivamente una visione del mondo (quella laicista) sulle altre. Ma anche se, come negli USA, esso adotta una religione civile, la sua azione non è più neutrale, ma orientata alla proposta di un credo minimo comune volto a favorire la collaborazione ed i valori civili.
Per tradurre dal lessico di Böckenförde a quello di Charles Taylor, possiamo identificare il modello francese con la secolarizzazione1 di Taylor - ovvero la prima delle tre accezioni moderne del termine - e quello statunitense come la secolarizzazione2. Ma il filosofo canadese ad esse preferisce una società non secolarizzata bensì secolare, da secolarizzazione3, ovvero una società in cui l’adesione ad una fede religiosa non è data per scontata ma è frutto di ricerca e di argomentazione, sia tra amici e conoscenti sia nel dibattito pubblico. La società secolare è una società in cui la religione è oggetto di discussione e confronto, non di imposizione dogmatica o condanna ferma. Proprio questo “buon esempio” di convivenza e di mutua regolazione tra fede e ragione sarebbe incarnato dall’Europa secondo Habermas e Ratzinger, che vedono nel Vecchio Continente un modello possibile di integrazione tra razionalità discorsiva pubblica e ruolo positivo, propositivo e trasformativo della fede nella discussione comune. Di fronte all’immigrazione e alle nuove culture religiose appena arrivate, l’Europa deve far tesoro dell’unicità positiva delle sue vicissitudini storiche e diventare esempio vero di convivenza oltre la tolleranza negativa.
L’ultimo filone in realtà è più interstiziale, raccogliendo gli autori che in questa analisi non potevano essere inseriti agevolmente nelle altre sezioni. Va ricordato che tali categorizzazioni non sono opera dell’autore e hanno finalità meramente pratico-comunicative. Sarebbe infatti complicato ridurre alle dimensioni citate in precedenza le analisi di Lévy-Bruhl sulla religiosità primitiva o la teoria della distinzione mosaica di Jan Assman. Lévy-Bruhl, nonostante i sottotoni coloniali che risultano un po' troppo marcati per la sensibilità contemporanea, ben evidenzia la paradossale miscela di immanentismo empirista e sacralità nel mondo pre-secolarizzato, in cui il sacro è immanente al quotidiano e ad esso frammisto. Assman invece riflette sulle deleterie trasformazioni che il passaggio dal politeismo al monoteismo ha comportato. Se in un contesto politeistico era possibile tradurre le proprie divinità nei termini simili di quelle altrui (il nostro dio del sole è come il vostro dio del sole), il monoteismo genera violenza poiché divide il mondo in chi è nel vero e chi è nel peccato. Alla teologia della traduzione si oppone dunque la distinzione mosaica, frutto di una teologia della differenza che dall’Egitto di Akhenathon si propagherebbe nel giudaismo e da lì ad ogni monoteismo.
Se l’analisi di Assman è di grande rilevanza nel riportare l’attenzione sulla violenza insita nelle religioni monoteiste, la sua proposta di una ripresa moderna della duplex religio illuminista non convince molto chi ben conosce le aporie di certi facili irenismi. Secondo tale prospettiva, dietro alle religioni accettate dal popolo ci sarebbe una unica religione universale, nota però solo a pochi iniziati. Come detto, tale soluzione si scontra sia con la constatazione che le affermazioni delle religioni sono metafisicamente, antropologicamente e moralmente incompatibili, sia con il fatto che tale posizione sia di nuovo soggetta al dilemma di Böckenförde, ovvero all’impossibilità di essere neutrali ed al contempo avere il potere legittimo di assicurare la neutralità. Nonostante queste criticità, la posizione di Assman ha il pregio di mettere di nuovo al centro della discussione il nesso violenza-monoteismo, già ricordato da Hume. Pur se in linea con altre riflessioni degli autori precedenti, possiamo considerare l’introduzione di Assman come il contraltare critico alle pur legittime rivalutazioni contemporanee del ruolo della religione.
In conclusione, il volume di Pierfrancesco Stagi ha il grande pregio di ripercorrere con chiarezza espositiva e sintetica le principali riflessioni che dal primo Novecento agli anni 2000 hanno ridato vigore al campo della filosofia della religione. Un tempo lungo, in cui si è passati dal tramonto della religione come forza pubblica nella modernità avanzata alle sfide del terrorismo globale e del multiculturalismo. Apprezzabile è l’intento dichiarato dell’autore, intento che permette, come detto, di andare oltre a toni meramente enciclopedici e riassuntivi: fin dall’inizio del libro, Stagi vuole mostrare al lettore l’imprescindibile ruolo pubblico della religione nella contemporaneità, andando criticamente oltre alle più semplicistiche teorie della scomparsa del sacro o della necessaria secolarizzazione continua, progressiva ed incessante. Ciò implica quindi trattare la religione come un fatto rilevante e pubblico: rilevante perché non si può negare il suo potere trasformativo emotivante nella vita delle persone, pubblico perché non si può negare che tale potere si espanda a rivendicazioni politiche forti. La religione non è quindi né un fenomeno poco sentito o intimistico, né una sterile serie di credenze da tempo superate.
Vertendo, l’analisi più fenomenologica della religione compiuta dai primi autori trattati, sul mostrare la natura extra-individuale e pervasiva della credenza religiosa nell’esistenza del credente, ampio spazio è stato dedicato alla filosofia politica della religione e ai dibattiti contemporanei sul ruolo delle confessioni religiose nell’arena politica. Ovviamente, proprio questo criterio di rilevanza argomentativa ha selezionato gli autori più adatti per affrontare tali questioni, unitamente alla ristretta porzione di storia considerata. Ciò ha permesso di dare unitarietà ad un opera che facilmente sarebbe potuta risultare caotica, troppo diversificata al suo interno ed inadatta a dare un quadro chiaro della riflessione contemporanea. Anche gli autori meno legati alle tematiche portanti del libro sono in ogni caso funzionali a questa duplice missione comunicativa, sottolineando ulteriormente la pervasività della mentalità religiosa ed il suo impatto pubblico. La lettura del libro, opera inerentemente multidisciplinare, è quindi assai proficua per filosofi della religione, filosofi politici, filosofi morali, studiosi di teoria politico-sociale, sociologi, antropologi e per chiunque voglia realmente calare la religione in un contesto pubblico, concreto e attuale come quello in cui viviamo oggi.