L’idealismo trascendentale di Husserl: la voce del maestro e degli allievi

1. Introduzione: le Ideen e la questione dell’“Idealismo trascendentale” di Husserl

Edmund Husserl visse costantemente proteso nella riflessione sui fondamenti, riflessione alla quale dedicò ogni sforzo, ancora fino alla morte. La filosofia come archeologia, come scienza dei veri cominciamenti, delle origini, scienza universale e rigorosa nel senso più radicale. Scienza che, per essere veramente tale, deve potersi muovere sul terreno sicuro dell’evidenza e dell’apoditticità e che perciò necessita di un metodo e di una riflessione critica.

Una tale esigenza di autenticità e di chiarezza, che tormentò Husserl tutta la vita, si traduce per lui in un nuovo modo del soggetto di rapportarsi al mondo, mediante lo strumento metodologico della riduzione, fenomenologica prima, trascendentale poi. Come si vedrà poi più in dettaglio, grazie alla prima, si segna il confine fra atteggiamento naturale — che dà per scontata e ovvia l’esistenza di tutto ciò che è — e l’atteggiamento fenomenologico, grazie al quale si può tornare al mondo — alle cose stesse, come disse Husserl con un’espressione che diventò un motto e un incitamento per tutti i suoi allievi e allieve — mediante la messa tra parentesi del mondo stesso: «Noi mettiamo fuori gioco la tesi generale inerente all’essenza dell’atteggiamento naturale, mettiamo tra parentesi quanto essa abbraccia sotto l’aspetto ontico: dunque l’intero mondo naturale, che è costantemente “qui per noi”, “alla mano”, e che continuerà a permanere come “realtà” per la coscienza, anche se noi decidiamo di metterlo tra parentesi. Facendo questo, come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo “mondo”, quasi fossi un sofista, non metto in dubbio la sua esistenza, quasi fossi uno scettico; ma esercito l’epoché “fenomenologica” [che mi vieta assolutamente ogni giudizio sull’esistenza spazio-temporale]».1

Mediante la riduzione trascendentale, poi, si guadagna la pura trascendentalità dell’io, fonte di evidenza apodittica: «In termini kantiani: “l’? io penso’ deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni”. Se dunque, dopo aver messo fuori circuito il mondo e la soggettività empirica che appartiene al mondo stesso, ci rimane come residuo un io puro (e per principio uno diverso per ciascuna corrente di vissuti), con lui ci si presenta una specie singolarissima di trascendenza — non costituita -, una trascendenza nell’immanenza».2 Come ben sintetizza Costa, «Il senso della riduzione fenomenologica e della riduzione eidetica è, dunque, quello di ricondurre lo sguardo dagli oggetti alla soggettività a cui essi si manifestano, in modo da poter analizzare descrittivamente la correlazione tra ciò che appare (l’oggetto) e il suo apparire, la correlazione, per esempio, tra percepito e percepire. Questo riferimento reciproco del lato oggettuale e di quello soggettivo Husserl lo chiama “correlazione intenzionale”, la quale è appunto un altro modo di dire che ogni essere e ogni realtà è qualcosa per noi in quanto ha un riferimento soggettivo e che la coscienza non è una scatola, un interno contrapposto all’esterno, bensì un’apertura sul mondo, coscienza di qualcosa. Se volessimo utilizzare la nozione di monade, come del resto Husserl farà a partire dagli anni venti, dovremmo dire che la monade non ha finestre, perché è un grande occhio sul mondo, una prospettiva sulle cose».3 Nel § 41 delle Cartesianische Meditationen, pubblicate in edizione francese nel 1931, Husserl definisce per la prima volta la sua fenomenologia eo ipso un «idealismo trascendentale, seppur in un senso essenzialmente nuovo. […] . La fenomenologia è idealismo solo nel senso di un’autoesplicazione del mio ego come soggetto di ogni possibile conoscere, condotta nella forma di una scienza egologica sistematica, avendo cioè di mira ogni senso dell’oggetto esistente che deve appunto potere aver senso per me come ego. Questo idealismo non è formato da un gioco di argomentazioni che debba vincerla nella lotta dialettica contro i realismi. Esso è […] rivelazione sistematica dell’intenzionalità costitutiva stessa».4 Sebbene in seguito il fenomenologo non abbia trascurato occasione per ribadire che esiste una continuità tra le Logische Untersuchungen e le opere successive e per sottolineare come il proprio pensiero sia stato frainteso da coloro che lo avevano abbandonato con l’accusa di avere “tradito” la posizione realistica degli inizi per un ritorno all’idealismo, è indubbio che il modo in cui Husserl espone la propria riflessione sul cogito e sul mondo, specie nel § 49 delle Ideen, ha destato in molti dei suoi allievi e allieve meraviglia e sgomento per l’esito — da loro non previsto e a loro dire rimasto ingiustificato — delle ricerche del maestro. In effetti, le osservazioni da questi condotte in merito alla dipendenza dell’essere del mondo dalla coscienza — più o meno correttamente intese, anche a causa di una certa reticenza, più o meno volontaria, e di una non piena esplicitazione della questione da parte dello stesso Husserl — suscitarono un notevole e ampio confronto nell’ambito della discussione filosofica del primo Novecento, a cui parteciparono molte voci e personalità del tempo. Naturalmente non è possibile prendere qui in esame le singole e diverse prospettive maturate nell’ambito della riflessione sul presunto idealismo husserliano; tenteremo invece, dopo aver enunciato brevemente il problema, di considerare quali reazioni la cosiddetta svolta idealistico-trascendentale suscitò in alcuni dei maggiori discepoli e discepole di Husserl — Roman Ingarden, Hedwig Conrad-Martius e, più in particolare, Edith Stein5 — e sui sentimenti che tali reazioni provocarono nel maestro, incapace di tradurre in termini univoci la questione e — a suo dire — frainteso e abbandonato proprio sul terreno che egli considerava più sicuro.

2. Riduzione eidetica e riduzione fenomenologico-trascendentale in Husserl

Tra il il 27 aprile ed il 5 maggio 1907, Husserl tenne a Gottinga cinque lezioni introduttive su Die Idee der Phänomenologie, pubblicate solo nel 1950 separatamente dal resto del corso, dedicato al problema della cosa e dello spazio (Hauptstücke aus der Phänomenologie und der Kritik der Vernunft), edito invece soltanto nel 1973.

In queste lezioni Husserl parla per la prima volta in modo sistematico dell’epoché, che, escludendo metodicamente ogni posizione trascendente di realtà, sembra consistere in una sorta di ritiro all’interno dell’immanenza, per il quale risulterebbero dissolti i problemi relativi alla “realtà trascendente”: grazie a questa operazione, infatti, tutto il trascendente «va provvisto di un indice di nullità, cioè la sua esistenza, la sua validità, non va posta come tale, ma al più come fenomeno di validità».6 In questa riduzione della trascendenza al piano del puro fenomeno, che consente di liberarsi dall’atteggiamento naturale e di guadagnare uno sguardo immanente, viene già riproposta l’antica questione della realtà del mondo esterno, di cui è messa in discussione l’ovvietà: «in ogni ricerca gnoseologica, sia essa su questo o su quel tipo di conoscenza, bisogna compiere la riduzione gnoseologica, cioè munire ogni trascendenza ivi in giuoco dell’indice di neutralizzazione, ovvero dell’indice di indifferenza, di nullità gnoseologica, di un indice che in una parola dice: l’esistenza di tutte queste trascendenze, che io vi creda o no, qui non mi importa affatto, qui non è il luogo per giudicare di questo, questo rimane interamente fuori gioco».7 È il piano dell’essenza — della determinazione e della distinzione di senso — che deve essere indagato, quello dei fenomeni puri, delle datità assolute dirette: dopo aver messo tra parentesi l’atteggiamento naturale, e con esso ogni dato di fatto, il fenomenologo guarda come le cose si formano per lui, come si danno nella loro datità immanente: gli oggetti si costituiscono, cioè si offrono e sono conoscibili, solo negli atti della correlazione intenzionale. Il senso è dunque già nelle cose stesse, ma diviene conoscibile solo nel momento in cui tali cose mi appaiono, divengono “per me” negli atti che mi donano il senso e che insieme, temporalmente organizzati, costituiscono — sulla base di successive stratificazioni — una trama di senso oggettivo.

Il problema diventa più spinoso con l’introduzione della seconda riduzione, quella fenomenologico-trascendentale, con la quale otteniamo una soggettività sotto forma di “vissuti”, nei quali sembra risolversi tutto il nostro mondo. Il tema compare nel primo volume delle Ideen, pubblicate nel 1913: la coscienza in se stessa risulta qui avere «un suo essere proprio che non viene toccato nella sua propria assoluta essenza dalla fenomenologica messa fuori circuito»; essa rimane — dopo l’operazione che ci consente di raggiungerla, l’epoché trascendentale — «come una regione dell’essere per principio peculiare, che può di fatto diventare il campo di una nuova scienza — della fenomenologia».8 Siamo di fronte al paradosso per cui da una parte, essendo l’io immerso nel mondo, dovrebbe essere con esso messo tra parentesi, dall’altra però, al tempo stesso, esso è colui che compie l’operazione di epochizzare: ciò che viene messo tra parentesi è dunque l’uomo reale con le sue connotazioni psicologiche, ciò che rimane è il puro io con i suoi puri vissuti, la soggettività con le sue strutture. La coscienza appare quindi come quel residuo fenomenologico che rimane «sebbene abbiamo “messo fuori circuito” il mondo intero con tutte le cose, gli esseri viventi e gli uomini, compresi noi stessi. Propriamente non abbiamo perduto nulla, anzi abbiamo guadagnato la totalità dell’essere assoluto che, rettamente inteso, racchiude in sé tutte le trascendenze mondane e le “costituisce” in sé».9 Con questa coscienza ridotta è dato in unità immediata l’io puro, che rappresenta «una specie singolarissima di trascendenza — non costituita — una trascendenza nell’immanenza»10 e il cui correlato oggetto intenzionale è il mondo, sia pure ridotto a puro cogitatum.

Proprio in riferimento al rapporto tra cogito e cogitatum, e in particolare tra io e mondo, uno dei punti particolarmente critici si trova nel § 49, dedicato alla coscienza assoluta come residuo dell’annientamento del mondo. In quelle pagine Husserl dichiara la convinzione che nessun essere reale — tale cioè che si presenti e si esibisca coscienzialmente mediante manifestazioni — sia necessario all’essere della coscienza stessa e che quest’ultimo sia dunque indipendente in senso assoluto. Certo, questo essere verrebbe modificato da un annientamento del mondo delle cose, dal momento che, dal punto di vista correlativo della coscienza, verrebbero escluse certe ordinate correnti di esperienza da ogni corrente di vissuti; tuttavia, non sarebbe toccato da questo fatto nella sua propria esistenza, né si può dire che questa esclusione implicherebbe anche quella di altri vissuti e di altre connessioni di vissuti. In questo senso, allora, la coscienza nella sua purezza può essere ritenuta un “assoluto”, «deve essere considerata una connessione d’essere chiusa in se stessa, una connessione di assoluto essere, in cui niente può penetrare e da cui niente può sfuggire; e che non ha alcun fuori spazio-temporale né può essere all’interno di alcuna connessione spazio-temporale, come non può esercitare o subire alcuna azione causale in relazione a nessuna cosa».11 Quel mondo, la cui tesi di esistenza continuava a permanere in sé nonostante la riduzione eidetica, «come ciò che è stato messo tra parentesi sussiste ancora dentro le parentesi, o come ciò che è stato messo fuori circuito sussiste ancora fuori del circuito»,12 diviene ora, dopo il guadagno della coscienza trascendentale, un mondo “per me”, un essere meramente intenzionale, «quindi tale da avere il senso, meramente secondario e relativo, di un essere per una coscienza. [È un essere che la coscienza pone nelle sue esperienze], che può per principio essere intuito e determinato soltanto come ciò che permane identico nella molteplicità delle manifestazioni motivate, ma che, all’infuori di questa identità, è un nulla».13

La questione posta è legata al tema della costituzione, che ritornerà anche nelle Cartesianische Meditationen: si tratta di verificare se, nel momento in cui il mondo si rivela come un correlato intenzionale il cui senso è costituito dalla coscienza, esso può mantenere ancora uno statuto ontologico proprio. Scriverà Husserl in proposito: «Attraverso questo nuovo atteggiamento [quello derivato dal compiersi della riduzione trascendentale, scil.] io vedo che il mondo nel suo tutto, e così tutto ciò che è in modo naturale, è per me, solo in quanto vale per me con il suo senso determinato, come cogitatum delle mie cogitationes mutevoli e connesse l’una all’altra in questo mutamento; solo come tale io mantengo in valore il mondo».14

La portata del problema è ben chiarita da Ferretti, nel suo commento a queste pagine husserliane: «Il senso delle “cose”, che è intenzionato dalla coscienza, è come tale “riconosciuto” dalla coscienza, ad essa “dato”, oppure è in qualche modo “prodotto” dalla coscienza, riportabile al convergere attivo delle sue attività intenzionali? In sintesi: è essenzialmente “per me” o “da me”?».15 Una risposta a questo interrogativo, che si poteva legittimamente porre già dopo l’uscita del primo volume delle Ideen, sembra almeno in parte trovarsi nella Postilla, scritta da Husserl in occasione della traduzione inglese dell’opera nel 1931 e poi riproposta al pubblico tedesco, nella quale egli dichiara di volersi pronunciare sui malintesi di ordine generale che hanno finito per oscurare il vero senso della sua fenomenologia trascendentale.16 Tra questi, non può naturalmente mancare quello relativo all’idealismo e al presunto solipsismo presenti nell’opera, che, secondo Husserl, avrebbero suscitato una reazione così scandalizzata da rendere molto difficile la stessa ricezione del suo libro, il cui significato essenziale sarebbe stato ridotto unicamente a questa caratteristica filosofica. Husserl precisa qui che in realtà il proprio idealismo trascendentale — che egli non intende in nessun modo ritrattare — non è da considerare alla stessa stregua di quell’idealismo a cui si contrappone il realismo: «l’idealismo fenomenologico non nega affatto l’esistenza reale del mondo (e innanzitutto della natura) quasi pensando trattarsi di una mera parvenza a cui, anche se inavvertitamente, il pensiero naturale e scientifico positivo soggiaccia. Il suo unico compito e la sua unica funzione consistono nel chiarire il senso di questo mondo, precisamente quel senso secondo cui vale per chiunque, conformemente a una reale legittimità, come realmente esistente. Che il mondo esista, che si dia come un universo esistente all’interno dell’esperienza che di continuo converge verso la concordanza, è perfettamente indubbio. Una cosa completamente diversa è cercare di capire questa indubitabilità, che sostiene la vita e le scienze positive, e di chiarirne il fondamento di legittimità».17 Poco più avanti, Husserl riassume il risultato della chiarificazione fenomenologica del senso dell’essere del mondo e di quello della coscienza, ribadendo che «soltanto la soggettività trascendentale ha il senso d’essere di un essere assoluto, soltanto essa è “irrelativa” (cioè relativa soltanto a se stessa), mentre il mondo reale esiste, sì, ma è essenzialmente relativo alla soggettività trascendentale, perché può avere il senso di un mondo esistente soltanto in quanto formazione intenzionale di senso della soggettività trascendentale».18 Come Husserl scrisse all’abate Baudin, egli dava alla fenomenologia trascendentale nel suo pieno sviluppo il significato di una consolatio philosophica e non esitava a dire di essere stato più realista e concreto di qualsiasi realista abituale, proprio lui che era considerato un “idealista”, in quanto il metodo e la riduzione fenomenologica presupponevano l’esistenza del mondo e, riflettendo in questo metodo, si aveva il possesso del tutto concreto del mondo.19

3. La reazione all’idealismo trascendentale e la solitudine di Husserl

3.1. Una svolta imprevista

Come detto poco sopra, lo stesso Husserl parla di una “reazione scandalizzata” nei confronti del proprio idealismo trascendentale. La moglie Malvine ricorda in proposito che la pubblicazione delle Ideen costituì una grande sorpresa per gli allievi più vicini: «Quanto pochi furono coloro che oltrepassarono questo inatteso fiume di nuovi pensieri e raggiunsero l’altra riva!».20 Il motivo per cui tale reazione sia stata suscitata, è spiegato ad esempio da Roman Ingarden, che, ricordando il contenuto delle lezioni tenute da Husserl nel semestre estivo del 1913 e dedicate a Natur und Geist, sottolinea come queste trattassero gli stessi problemi presenti in Ideen II, sebbene in uno spirito, che, detto in breve, — come risultò anche dalla successiva redazione di Edith Stein — aveva un aspetto fortemente realistico: questo dato di fatto chiarisce — a suo dire — come mai alcune riflessioni contenute nel primo volume delle Ideen, pubblicato nel 1913, destarono nei discepoli di Husserl una certa sorpresa.21 Nel corso delle discussioni avute durante il seminario del 1913/14, poi, le differenze tra il punto di vista di Husserl e quello dei suoi allievi di Gottinga iniziarono a delinearsi in modo sempre più forte.22 Il tema dell’idealismo era stato in seguito più volte oggetto di riflessione durante il periodo di Friburgo, nelle discussioni tra Edith Stein e Roman Ingarden, il quale, col passare del tempo, vedeva crescere le questioni dubbie.23 Secondo il filosofo polacco, che aveva studiato con Husserl dal 1912 al 1918, le affermazioni di Husserl «decretano in effetti una differenza esistenziale tra il mondo reale e la coscienza pura e ciò a profitto della coscienza pura»24 e «I modi d’essere di queste due sfere della realtà devono distinguersi l’uno dall’altro, secondo Husserl, appunto per il fatto che la coscienza pura deve esistere in modo assoluto, mentre il mondo reale in modo relativo».25 A detta di Ingarden, il maestro era stato originariamente realista, ma nel corso degli anni era lentamente diventato idealista in senso trascendentale, anche a causa dei tragici avvenimenti a cui aveva dovuto assistere e che aveva dovuto sopportare, primo fra tutti la morte del figlio più giovane durante la prima guerra mondiale e la prolungata permanenza al fronte del più vecchio: la consapevolezza della malvagità e dell’imperfezione del mondo reale e dell’essere umano, oltre che i risultati dell’analisi della coscienza costituente, spinsero Husserl sempre più a sposare quella tesi idealistica, che lo portò a far diventare il mondo reale un mero correlato intenzionale della coscienza pura.26

Secondo la testimonianza di Hedwig Conrad-Martius, questo esito della fenomenologia trascendentale, che nella Postilla viene definita da Husserl la “terra promessa” della filosofia, apparve ai discepoli di Gottinga l’esatto contrario di quanto fino ad allora avevano sentito insegnare dal maestro. Quel “ritorno alle cose stesse”, che aveva rappresentato un atteggiamento fondamentale filosofico del tutto nuovo e definitivo e la liberazione da tutti i pregiudizi, diveniva ora per Husserl il “ritorno” nell’assoluta soggettività costituente, nel quale egli vedeva il centro di una philosophia prima capace di fondare e di chiarire ogni cosa.27 La fenomenologia trascendentale apparve a Conrad-Martius come una speculazione che aveva perduto proprio ciò che a lei e ai vecchi fenomenologi era filosoficamente più caro: la radicale oggettività, in qualunque ambito si muovesse la ricerca, il cominciare sempre di nuovo riguardo a una qualsiasi problematica affrontata. Non a caso, perciò, negli anni friburghesi di Husserl, ella volse la propria ricerca alla questione d’essenza relativa all’essere reale in quanto tale, e in particolare alla natura; certo, il maestro, pur avendo messo tra parentesi la realtà mediante l’epoché, non aveva mai dubitato della realtà del mondo, della natura e della sovra-natura [Übernatur], ma se il mondo noematico correlato della coscienza intenzionale fosse anche realmente reale [wirklich wirklich], era una questione rimasta completamente in sospeso.28 In altri termini, secondo Conrad-Martius, nel momento in cui Husserl aveva introdotto la riduzione trascendentale, aveva messo da parte il problema gnoseologico se all’essere noematico corrispondesse un essere fattuale: se infatti nel caso dell’epoché il mondo rimaneva esattamente lo stesso di prima anche all’interno dei suoi modi di datità universali, con la riduzione fenomenologica esso diveniva un fenomeno-mondo a prescindere completamente dal fatto se ad esso corrispondesse o meno un mondo fattualmente reale.29

4. La solitudine di Husserl, maestro senza discepoli

Occorre ricordare che la distanza con i discepoli crebbe ulteriormente dopo la chiamata di Husserl a Friburgo: le circostanze storiche da una parte e le vicende personali — di vita o di studio — dall’altra impedirono, infatti, che si mantenesse o si ricreasse la situazione di un vero e proprio circolo fenomenologico, quale era stato quello di Gottinga. Nell’autunno del 1916 Edith Stein, che sarà per poco più di un anno assistente privata di Husserl dedicandosi alla organizzazione e alla revisione dei numerosissimi manoscritti del maestro, Roman Ingarden, che stava scrivendo la sua dissertazione dottorale, e lo stesso Husserl formarono a Friburgo “una piccola colonia di Gottinga”; come ricorda il filosofo polacco, specialmente Edith Stein viveva ancora nell’atmosfera di Gottinga, poiché era in stretto contatto epistolare con i vecchi amici di là, primo fra tutti con Reinach. Tuttavia, già all’inizio di gennaio del 1917, Ingarden dovette partire per Cracovia, dove rimase fino all’autunno dello stesso anno. Una volta ritornato a Friburgo, ripresero gli incontri con Husserl, anche se non più così frequenti come prima, dal momento che lo studioso polacco era impegnato a preparare il proprio esame.30 Dal settembre del 1918, poi, lo stesso Ingarden si trasferì a Lublino per ricoprire l’incarico di insegnante in un liceo. Degli altri allievi di Gottinga, dopo la guerra, solo alcuni — come Hans Lipps e Fritz Kaufmann — si erano trasferiti a Friburgo; Adolf Reinach, il più stretto collaboratore di Husserl e altri discepoli, come ad esempio Rudolf Clemens, erano caduti al fronte; diversi altri amici come Alexander Koyré, Jean Hering, Winthrop Belle erano rimasti all’estero; Hedwig Martius e il marito Theodor Conrad si erano ritirati a Bergzabern, di modo che di fatto il circolo fenomenologico di Gottinga inteso come una “totalità culturale” [kulturelle Ganzheit] aveva cessato di esistere e lo stesso Husserl — ricorda ancora Ingarden — solo di tanto in tanto parlava dei suoi “vecchi allievi” di Gottinga, che erano spariti dal suo orizzonte.31

Rimasto così solo — nel novembre del 1918, anche Stein lascia Friburgo per trasferirsi a Breslavia e rimanere più vicina all’anziana madre —, il maestro si trova a dover ricominciare da capo un lavoro di edificazione [Aufbauarbeit], per il quale però egli sente quanto gli manchino gli impulsi nati dallo scambio con i suoi vecchi allievi.32

Soltanto pochi anni più tardi, però, sembra cominciare una nuova epoca per la fenomenologia: nel marzo del 1920 Husserl si dice infatti convinto che la società fenomenologica sia in buona salute e che i voluminosi e buoni lavori che sarebbero apparsi sul volume dello Jahrbuch di prossima uscita avrebbero mostrato che la fenomenologia era viva;33 nel luglio dello stesso anno, ribadisce entusiasta a Ingarden che a Friburgo è in buona salute un circolo fenomenologico che si lascia alle spalle i migliori tempi di Gottinga.34 Circa un anno dopo, però, il circolo si è rimpicciolito, anche se «ist recht gut».35 Alla fine del 1921, Husserl afferma di concordare con i giudizi espressi da Ingarden su Stein e sul nuovo scritto di Conrad-Martius,36 che tuttavia non riconosce come propria allieva, dal momento che ella ha consapevolmente rifiutato l’ideale di una filosofia come scienza rigorosa; nello stesso scritto, il maestro constata inoltre come anche la fenomenologia di Pfänder sia qualcosa di diverso dalla propria e come pure Geiger possa essere considerato fenomenologo solo per un quarto: ora tutte le speranze sembrano essere riposte in Heidegger, che «ha continuato a sviluppare il suo particolare, vigoroso carattere e sembra forte. Non si sa cosa diventerà, ma sarà di certo uno di grande valore».37 A Friburgo — scrive Edith Stein nel settembre del 1922 — sono tutti «“fenomenologi trascendentali” ortodossi; chi non si pone sul terreno dell’idealismo viene bollato come “fenomenologo seguace di Reinach” (allievi di Reinach secondo la storia di Friburgo sono anche Pfänder, Daubert etc.) e non viene più ammesso. Il maestro va dicendo che prima di Friburgo non ha mai avuto allievi autentici».38

Nel 1923 Husserl comincia a parlare di un progetto di principio [prinzipieller Entwurf] per un sistema della filosofia nel senso della fenomenologia e nella forma delle meditationes de prima philosophia che, come un inizio, dovrebbero inaugurare (in modo essenziale) [wesensmäßig] la vera filosofia.39 È il primo germe delle Cartesianische Meditationen, che per il filosofo rappresenteranno l’opera grazie alla quale sarà possibile far conoscere il proprio metodo e il proprio sistema fenomenologici: essa «sarà l’opera principale della mia vita, un compendio della per me accresciuta filosofia, un’opera fondamentale del metodo e della problematica filosofica. Almeno per me termine e ultima chiarezza della quale possa difendere la causa e con la quale possa morire in pace».40

Quest’opera — che tuttavia Husserl non riuscirà a realizzare in vita — sarà inoltre ritenuta una sorta di risposta allo Heidegger di Sein und Zeit,41 nei confronti del quale egli comincia a manifestare qualche perplessità già nel novembre del 1927: pur collocandosi fra gli ammiratori di Heidegger, egli deve infatti spiacersi di rilevare che la sua opera, oltre che le sue lezioni, appaiono come qualcosa di essenzialmente e oggettivamente diverso dai propri lavori e dalle proprie lezioni, probabilmente a causa del fatto che Heidegger ha letto gli scritti di Husserl senza però avere studiato con lui. Il giovane filosofo è comunque riconosciuto come una potenza, ritenuto assolutamente sincero e non ambizioso, la unilateralità [Einseitigkeit] del quale, propria dei veri filosofi, porterà qualcosa di nuovo.42 Solo a dicembre dello stesso anno, però, Husserl è giunto alla conclusione di non poter classificare lo studio di Heidegger nell’ambito della propria fenomenologia e di doverlo anzi rifiutare sia dal punto di vista del metodo che da quello del contenuto.43 In una lettera a Pfänder del 1931, Husserl scrive che l’accecamento che l’aveva portato a vedere in Heidegger l’unico reale allievo e l’erede della fenomenologia, così come lui l’aveva concepita, era da attribuire al fatto che «mi sentivo del tutto isolato, maestro senza seguito o meglio: senza collaboratori che continuassero la ricerca nello spirito radicalmente nuovo della fenomenologia trascendentale».44 In altre lettere a Ingarden, questa novità viene indicata da Husserl come una «una vera svolta dell’intera filosofia finora elaborata» e una «vera rivoluzione copernicana (non quella kantiana)»,45 «una svolta dell’intera filosofia del millennio, che trasforma totalmente il senso e il metodo di tutti i problemi e di tutte le possibili teorie. Le Cartesianische Meditationen Le offrono una pre-riflessione sistematica che dà uno sguardo preliminare, una prima idea della novità, della totale rivoluzione che è diventata necessaria».46 Egli sottolinea che, purtroppo, questa svolta non è stata compresa, così come la questione ad essa connessa dell’idealismo, anche se per Husserl non c’è alcun tipo di evidenza (nemmeno quella matematica) che possa uguagliare l’evidenza della filosofia fenomenologica «(quella costitutiva, che non è stata compresa da nessuno dei miei vecchi allievi). Mi sono dovuto separare da tutti gli amati allievi e amici filosofi».47

Questo stato di abbandono in cui egli sentiva ingiustamente di trovarsi, pesava molto sull’animo di Husserl: negli ultimi due decenni della sua vita — scrive Conrad-Martius — egli visse infatti sempre più in solitudine, fatta eccezione per alcuni rappresentanti e discepoli della fenomenologia, come Eugen Fink e Ludwig Landgrebe, che considerò vicini poiché avevano seguito l’indirizzo trascendentale della sua filosofia.48 La riduzione trascendentale e il proprio “idealismo” rappresentavano, per l’ormai anziano filosofo, l’unico terreno dell’autentico filosofare ed esso soltanto rendeva possibili un vero radicalismo e una vera libertà;49 eppure quella «totale svolta della filosofia» che è all’opera, quella «inevitabile necessità» presupponevano che non si lasciassero minimamente agire le convinzioni filosofiche da sé acquisite e richiedevano un così profondo studio e una tale preparazione che — scrive Husserl a Ingarden — non si era trovato veramente nessuno disponibile a ciò: «Neanche i miei più cari amici e colleghi! Neanche lei, caro amico; […] . Io mi sono trasformato in un eremita filosofico, svincolato da ogni “scuola” eppure grato a Dio ogni giorno per avermi dato, almeno per me, [la possibilità] di delineare il sistema della filosofia fenomenologica (come metodica e problematica e come sistema iniziale nella prima elaborazione del terreno trascendentale). Le generazioni future finalmente mi scopriranno. Ma questo è mio dovere e da ciò il lavoro pieno di preoccupazioni; un lascito utilizzabile e magari un’opera fondamentale generale».50

Ancora convinto di questo, in una lettera a Löwith del 1937, Husserl scrive di sperare che il collega possa capire i motivi che l’hanno indotto a «riconoscere il metodo della riduzione fenomenologica come il solo metodo filosofico, l’unico in grado di raggiungere la conoscenza universale dell’essere, ossia l’autoriflessione universale in concrezione reale», mentre ribadisce che «Scheler, Heidegger, tutti i primi “scolari” non hanno compreso né il senso autentico e profondo della fenomenologia, né quanto dipende da questo senso. Il quale è certo difficilmente accessibile, ma, io credo, vale gli sforzi che gli si dedicano».51

Anche l’idealismo, connesso alla svolta trascendentale, non può essere compreso se lo si intende nel suo senso storico; prima di ogni personale presa di posizione — afferma Husserl —, occorre vedere che non si tratta né del trascendentalismo della scuola di Marburgo, né della monadologia in senso leibniziano, bensì di una svolta nell’intero senso della filosofia: ogni ingerenza di convincimenti personali e ogni critica durante le prime letture indirizzate al senso di questa filosofia rendono impossibile la comprensione del senso stesso.52 Nonostante queste precisazioni — nota Ingarden ricordando la visita che egli fece al maestro nell’autunno del 1927 —, non si riusciva però a far dire a Husserl in che senso il suo idealismo trascendentale si distinguesse dagli altri idealismi: «Io — e allo stesso modo diversi miei colleghi di Gottinga — sapevamo naturalmente che l’intera via per la quale Husserl era arrivato alla sua decisione si differenziava in modo essenziale da quella degli altri idealisti. Ma si trattava del senso preciso del modo di essere della realtà del mondo e della connessione d’essere tra la coscienza pura, ovvero l’Io puro e il mondo reale, per così dire della posizione ontica della coscienza nei confronti del mondo. E, in connessione con ciò, si trattava per me parimenti dell’esatto, univoco senso del concetto di “costituzione”, la cui corretta interpretazione gioca un ruolo decisivo in tutto il problema del nesso, specialmente se si è sentita l’affermazione, allora più volte ripetuta sia da Husserl che dai suoi collaboratori, come il dott. Landgrebe, che “tutto viene costituito”».53 Ormai nulla sembrava smuovere Husserl dalle proprie convinzioni e, rispetto al 1917-18, ora il maestro appariva a Ingarden del tutto deciso circa l’idealismo: non era possibile convincerlo che fosse ancora possibile essere in dubbio circa questa posizione.54

5. La testimonianza di Edith Stein

Nel settembre del 1935, secondo quanto ricorda Adelgundis Jaegerschmid che frequentò assiduamente il maestro dal 1931 alla di lui morte, Husserl lamentava il fatto che a settantasei anni non avesse alcun circolo di allievi intorno a sé né la possibilità di insegnare e che gli mancasse una scuola che volesse continuare e pubblicare le sue riflessioni. Egli riteneva di essere stato largamente frainteso, al punto che — diceva — si continuava a parlare sempre e soltanto dello Husserl delle Logische Untersuchungen, che però avevano rappresentato e rappresentavano per lui solo un piccolo lavoro iniziale: dopo molti anni dalla loro uscita, egli non aveva ancora chiaro dove quelle riflessioni l’avrebbero portato, ma sfortuna aveva voluto che tutti fossero rimasti ancorati a quel libro, che pure era solo una via necessaria. Anche Edith Stein — notava con un velo di amarezza il filosofo — l’aveva seguito solo fino al 1917.55

Se sia stato effettivamente così, ovvero se anche la sua assistente abbia preso una strada completamente diversa da quella del maestro, è questione che non è possibile affrontare in questa sede.56 Ci limiteremo qui ad ascoltare anche dalla voce di Edith Stein commenti e posizioni assunti in merito al presunto idealismo di Husserl, una questione che interessò la filosofa tedesca fin dall’uscita del primo volume delle Ideen. Così ella racconta nell’autobiografia scritta nel 1933: «Poco prima dell’inizio del semestre [1913, scil.] era stata pubblicata la nuova grande opera di Husserl: Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. L’opera doveva essere discussa al seminario. Oltre a ciò, Husserl ci annunciò che intendeva restare in casa regolarmente una volta alla settimana nel pomeriggio in modo che potessimo andare da lui e presentargli le nostre domande e riflessioni. Naturalmente comprai subito il libro (cioè il primo volume dell’Annuario di filosofia e ricerca fenomenologica — che lo conteneva; questo annuario doveva pubblicare da allora in poi l’insieme dei lavori dei fenomenologi). Il primo “pomeriggio pubblico” arrivai per prima in casa di Husserl e gli riferii le mie riflessioni. Presto arrivarono anche gli altri. Tutti avevano in cuore come un peso la stessa domanda [Alle hatten dieselbe Frage auf dem Herzen] . Le Ricerche logiche avevano suscitato scalpore soprattutto perché apparivano come un distacco radicale dall’idealismo critico di impronta kantiana e neo-kantiana. Vi si riconobbe una “nuova Scolastica”, poiché lo sguardo si distoglieva dal soggetto per rivolgersi alle cose: la conoscenza apparve di nuovo un accogliere che riceve la sua legge dalle cose stesse, non — come nel Criticismo — un determinare che impone alle cose la sua legge. Tutti i giovani fenomenologi erano realisti convinti. Ma le Idee contenevano alcuni cambiamenti [Wendungen] che facevano veramente pensare che il loro maestro volesse tornare all’idealismo. La spiegazione che ci diede a voce non riuscì a placare i dubbi. Era l’inizio di quella evoluzione che condusse sempre più Husserl a vedere in ciò che egli stesso chiamava “idealismo trascendentale” (che non corrisponde all’idealismo trascendentale delle scuole kantiane), l’autentico nocciolo della sua filosofia, e ad impiegare tutte le sue energie per la sua fondazione: una strada, questa, su cui i suoi vecchi allievi di Gottinga, con loro e con suo rincrescimento, non poterono seguirlo».57

Come si è già visto, la questione suscitò immediatamente un dibattito serio e significativo, di cui E. Stein stessa — a sua volta impegnata in tal senso ad elaborare una posizione personale — dà conto nel carteggio con Roman Ingarden. Il primo riferimento al tema in oggetto si trova in una lettera del 3. 2. 1917, dove Stein, dopo aver raccontato di una passeggiata filosofica fatta con Husserl verso Haslach, che le aveva dato nuova fiducia (poiché probabilmente il maestro si era reso disponibile a seguirla più da vicino nel suo lavoro di trascrizione dei manoscritti), confida a Ingarden di avere avuto in modo del tutto improvviso una folgorazione, «in base alla quale presumo di sapere più o meno che cosa sia la costituzione — ma in rottura [unter Bruch] con l’idealismo! Una natura fisica assolutamente esistente da una parte e una soggettività dalla struttura determinata dall’altra mi sembrano presupposte affinché si possa costituire una natura evidente. Non sono ancora arrivata a confessare questa eresia al maestro».58 Molto interessante risulta qui il riferimento al tema della costituzione, individuato come quello decisivo per affrontare il problema dell’idealismo, e la proposta di soluzione che viene indicata e che — mi pare — verrà sviluppata nel testo Einführung in die Philosophie, scritto presumibilmente tra il 1918 e il 1921, nel quale vengono affrontate proprio le questioni della natura e della soggettività e viene dedicato ampio spazio al problema della possibilità dell’esistenza di una natura indipendente dalla coscienza.59

Il 9 aprile del 1917 Stein comunica a Ingarden l’intenzione di «appuntare con precisione le mie considerazioni su alcuni punti delle Idee — come lavoro preparatorio per una discussione in comune. Oggi ho iniziato con l’idealismo. Tra l’altro la signorina Goethe mi ha mostrato degli appunti della signora Martius sulla questione dell’idealismo. Tuttavia non si tratta di una confutazione di Husserl, perché mi sembra che l’argomentazione principale si basi su una errata interpretazione dei suoi [di Husserl, scil.] ragionamenti».60 Nell’agosto dello stesso anno scrive che accanto alla revisione degli appunti di Husserl sulla costituzione dello spazio, sta lavorando un po’ per conto suo e informa l’amico che sta scrivendo qualcosa che integra quanto ha pensato in parte in connessione con le Ideen. Dato l’argomento, potrebbe trattarsi di uno dei nuclei tematici poi confluiti nell’Einführung in die Philosophie.

La lettera del 24. VI. 1918 sembrerebbe segnare una svolta nella posizione di Edith Stein, visto che in essa si parla di una “conversione all’Idealismo” [N. b.: ich selbst habe mich zum Idealismus bekehrt]: «[…] adesso stare qui a Friburgo è molto eccitante. L’idealismo è di nuovo all’ordine del giorno. Ultimamente Husserl ha ripreso l’articolo dell’anno scorso su fenomenologia e teoria della conoscenza e in un luogo vi ha trovato un mio appunto: doveva continuare a riflettere sulle sue argomentazioni e lì, in puncto, mettere in gioco apertamente la carta dell’idealismo. Adesso desidera farlo con piacere. Sta raccogliendo, cercando qua e là, tutto quello che ha su tale questione e negli ultimi giorni ne ha parlato con me. Ho rimandato ogni altro lavoro, sto leggendo le Idee e mi faccio carico [kreide mir an] di quanto mi sembra ambiguo. N. B. io stessa mi sono convertita all’idealismo e credo lo si possa comprendere in modo tale da essere soddisfacente anche sotto il profilo metafisico. Però, mi sembra che molto di ciò che si trova nelle Idee, debba essere concepito in modo diverso e precisamente nel significato di Husserl, se egli soltanto considera insieme tutto ciò che ha e nel momento decisivo non trascura ciò che appartiene in modo necessario alla cosa (Sache). (Ad esempio, penso all’indeterminatezza del concetto di coscienza — auspicato anche da Lei — che emerge nella considerazione della coscienza costituente). Purtroppo il maestro è stanco e questo rende indicibilmente difficile intendersi con lui. Per lui parlo e penso sempre troppo velocemente. E quando raccolgo tutta la pazienza e cerco di rendergli comprensibile passo dopo passo ciò che per me è importante, allora egli ad ogni frase collega una discussione senza fine — naturalmente molto interessante e valida in sé — e così non giunge ad una sintesi. Adesso sto cercando di farlo per iscritto. […] Forse proprio ora Lei si sta occupando delle stesse questioni. Inoltre idealismo, costituzione, idee e essenza mi sembrano problemi inseparabilmente connessi».61

È interessante sottolineare, anche per dare conto della complessità del problema e del dibattito che ne scaturì, che, a seguito di questa lettera di Stein, alla fine di luglio 1918 Ingarden scrisse a Husserl quella che è divenuta nota come la lettera sulla Sesta Ricerca e sull’idealismo, in cui il filosofo enuncia i punti critici di un problema che lo tormentava già da alcuni anni.62 Probabilmente Ingarden aveva discusso con Edith Stein il contenuto di questa lettera, dal momento che il 10. VII. 1918 ella gli scrive: «Mi rallegro molto delle Sue osservazioni sull’idealismo. Con Husserl ho potuto parlare di nuovo di tale problema solo brevemente, dal momento che adesso non è disposto a lavorarvi seriamente».63

In un articolo pubblicato nel 1924, dal titolo Was ist Phänomenologie? , Stein ritorna sulla questione dell’idealismo, inteso come “dipendenza del mondo da una coscienza conoscente”. Anche se già «nelle Idee si trova una frase sospetta: se cancelliamo la coscienza, cancelliamo il mondo» e «negli ultimi anni questa convinzione fondamentale idealistica ha avuto un ruolo sempre più importante per Husserl», trovando i primi oppositori tra gli allievi di Gottinga, in Scheler e fra gli studiosi di Monaco, tuttavia Stein sottolinea come Husserl stesso in precedenza abbia sempre ribadito che «la fenomenologia non è e non sfocia nell’idealismo».64 Certo, la filosofa dichiara di non sapere se il maestro sia ancora di questa opinione, dal momento che da alcuni anni non parla più con lui, tuttavia ritiene di poter affermare: «Riguardo agli scritti di Husserl si deve sottolineare che quella convinzione metafisica emerge solo in pochi capitoli e non concerne il nucleo essenziale della sua opera. E quest’opera possiede ancora oggi un valore inestimabile».65 Il giudizio nei confronti del maestro rimane immutato: «Penetrare nel suo spirito richiede uno studio di anni. Ma chi studia a fondo con un autentico atteggiamento filosofico anche una sola delle Ricerche logiche o un capitolo delle Idee non potrà sottrarsi all’impressione di avere tra le mani uno di quei capolavori classici con i quali inizia una nuova epoca nella storia della filosofia».66 L’idealismo — è la conclusione di Stein — è una convinzione fondamentale personale e metafisica, non il risultato di ricerche fenomenologiche inconfutabili, prova ne sono le diverse opere, che ella cita nell’articolo, degli allievi più significativi di Husserl, che con i mezzi del metodo fenomenologico e con tendenze fortemente realistiche hanno presentato una filosofia caratterizzata dalla più rigorosa oggettività.67

In uno scritto che risale probabilmente al 1932, ma rimasto inedito, dal titolo Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, Stein ribadisce il fatto che il maestro ha avuto il grande merito, ancora oggi troppo poco apprezzato, di avere scoperto la sfera della coscienza e la problematica della costituzione e di analizzare «la sfera della coscienza pura, che nessuno prima di lui aveva individuato e tanto meno ricavato, come un campo di ricerche infinito, attraverso un lavoro di ricerca rigorosamente metodico e fecondo»;68 ma le conclusioni a cui è giunto sono apparse come «un ritorno al kantismo, una rinuncia a quel rivolgersi verso ciò che è oggettivo [Wende zum Objekt], considerato il maggior risultato [Verdienst] di Husserl, ed una rinuncia a quella ontologia, cioè la ricerca della struttura essenziale del mondo oggettivo, nella quale Scheler e gli allievi di Husserl di Gottinga vicini al maestro avevano individuato il loro compito e avevano già svolto un lavoro molto fecondo. Perciò si sono allontanati da lui su questo punto, benché egli apprezzi il loro genere di ricerche e sappia inquadrarle dal suo punto di vista».69 L’essere oggettivo risulta infatti, dalle analisi di Husserl, un essere relativo alle monadi; è questa conclusione, derivata dal fatto della costituzione — che Stein giudica però non necessaria -, che provocò la reazione e l’allontanamento degli amici e degli allievi di Husserl: «se risulta necessariamente che da flussi di coscienza precisamente regolati, venga a datità al soggetto un mondo oggettivo, allora ciò significa che l’essere oggettivo, per esempio l’esistenza del mondo esterno percepibile sensibilmente, non è niente altro che un essere dato per una siffatta coscienza, e più precisamente per una pluralità di soggetti che stanno in reciproca relazione e in reciproco scambio di esperienza. (Il significato della comprensione intersoggettiva per la costituzione del mondo dell’esperienza è stato esposto in maniera dettagliata nella sua ultima opera)».70

Ancora, durante la giornata di studio della Società tomista di Juvisy tenutasi il 12 settembre 1932 e dedicata a un confronto tra la fenomenologia e il tomismo, dopo la prima relazione di Feuling su Il movimento fenomenologico: posizione storica, idee direttrici, tipologie principali, Stein — considerata un’esperta della fenomenologia husserliana — così si esprime: «È nelle Idee che cominciò a farsi sentire, in alcuni punti, la tendenza idealista. Ciò costituì una grande sorpresa per i discepoli di Husserl, e presto l’oggetto d’una controversia che dura ancora. Forse proprio la resistenza proveniente dalla sua cerchia di discepoli ha portato Husserl a concentrare sempre più tutti i suoi sforzi su di una fondazione plausibile dell’idealismo e a fare d’allora in poi di quella questione il centro della sua filosofia, il che non era affatto l’intenzione iniziale. A ciò per altro ha potuto contribuire il generale incremento degli interessi metafisici nel corso di questi ultimi anni».71 Sebbene dunque l’idealismo sia sopravvenuto solo in un secondo momento nella riflessione filosofica husserliana, Stein sottolinea tuttavia come, a suo parere, «non ci sia alcuna rottura tra le Ricerche Logiche e le Idee» poiché «Le Ricerche logiche, segnatamente la quinta e la sesta, contengono dei temi che già avviano la questione della costituzione trascendentale. A mio avviso, Husserl poteva arrivarvi egualmente senza passare attraverso il dubbio cartesiano».72

Un ultimo importante riferimento alla questione — di cui si tratta ancora dopo quasi trent’anni dalla pubblicazione delle Ideen — si trova in una lettera del 21. V. 1941, indirizzata a Henri Boelaars, uno studioso che aveva contattato Edith Stein per sottoporre il proprio lavoro sulla dottrina dell’intenzionalità della conoscenza di Husserl a «una persona che conosce a fondo le opinioni di Husserl».73 In quella lettera Stein riferisce che il maestro, a prescindere dagli ultimissimi tempi, non le aveva mai voluto confessare le conseguenze del suo — secondo l’originaria intenzione — idealismo solo metodico. Non contava nulla che già nella prima impostazione fosse nascosta una presa di posizione metafisica. Per quanto riguardava gli ultimi tempi, in colloqui comuni con lui e con il dottor Fink, Stein aveva avuto l’impressione che egli si fosse lasciato trascinare dal suo giovane assistente: «Husserl aveva — certamente a ragione — una stima insolitamente grande del dott. Fink, del suo talento e della serietà con cui si era impratichito della fenomenologia. Il dott. Fink aveva la forza fresca e il radicalismo di un giovane pensatore e si era gettato con tutte le forze proprio nella questione dell’idealismo, nella quale i vecchi allievi di Gottinga non avevano voluto seguirlo. Husserl vide nel dott. Fink l’erede dell’opera di tutta la propria vita. Perciò non gli andò che io a Juvisy avessi evidenziato una differenza tra le loro concezioni. Suppongo che la sua premessa al saggio di Fink del 1933 [Die phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwärtigen Kritik] (del quale del resto ho avuto notizia solo attraverso il Suo libro) sia stata motivata da questo».74 Nel testo citato da Stein, Husserl distingue due tipi di critiche alla propria fenomenologia: quelle troppo spesso superficiali, per lo più provenienti da principianti in filosofia, alle quali manca la maturità di un lavoro critico da prendere sul serio, e quelle, aggiuntesi gradualmente, approfondite e consapevoli della propria responsabilità, mosse da parte di diverse scuole filosofiche, un confronto con le quali sarebbe assolutamente necessario, tanto più che le innegabili imperfezioni delle proprie teorie — imperfezioni del resto poco evitabili, quando si propone per la prima volta un nuovo tipo di pensiero — hanno prestato il fianco a fraintendimenti dai quali i critici, consapevolmente o meno, si sono lasciati guidare. Per desiderio del maestro, Finke — che all’epoca era da cinque anni assistente di Husserl e al quale perciò erano divenuti perfettamente familiari le sue intenzioni filosofiche e il principale contenuto delle sue ricerche inedite — aveva abbozzato la necessaria discussione per chiarire i principali equivoci. Proprio per questi motivi, dopo un minuzioso esame del saggio, Husserl si rallegrava di poter dire che nel lavoro di Finke non c’era alcuna frase che egli non potesse perfettamente far propria, che non potesse espressamente riconoscere come propria convinzione.75 Che poi lo stesso Finke stesse prendendo strade diverse, anche sotto l’influenza di Heidegger, i cui corsi seguì dal 1928 al 1932, è cosa che ancora una volta Husserl non fu in grado di cogliere, preoccupato com’era di trovare qualcuno a cui affidare l’eredità del proprio pensiero.76

6. Conclusione

Come si è cercato di evidenziare, la pubblicazione delle Ideen da parte di Husserl, anche al di là delle intenzioni dell’autore, segnò profondamente lo scenario filosofico tedesco del primo Novecento, oltre che le vicende personali dello stesso Husserl. Stabilire se vi sia continuità o rottura nel pensiero del fenomenologo appare impresa piuttosto ardua, non ancora compiuta e forse destinata per se stessa a non vedere una conclusione definitiva. Come in parte si è potuto leggere, un’interessante possibilità di uscita dalla querelle viene offerta a nostro avviso da Edith Stein, la quale nella sua riflessione avanza l’ipotesi che l’esito derivante dalla costituzione, così come l’ha proposta lo Husserl delle Ideen, non sia necessario, dal momento che si fa uso di una tesi di esistenza — quella che pone l’essere assoluto della coscienza — che la riduzione fenomenologica avrebbe dovuto invece mettere tra parentesi.77 Già in una lettera a Ingarden del 2. X. 1927, Stein — che, come si è visto, aveva tentato in più di un’occasione di argomentare il problema discutendolo con Husserl — aveva scritto che la scelta tra idealismo e realismo è frutto più di una decisione personale che di credenze teoriche: «Non credo che i problemi riguardanti la costituzione (che certamente non sottovaluto) debbano o possano condurre all’idealismo. Non mi sembra che tale questione si possa decidere una volta intrapresa una direzione filosofica, ma è già stabilita quando si inizia a filosofare. E poiché in ultima analisi vi partecipa un’attitudine [Einstellung] personale, è comprensibile anche in Husserl che questo punto sia per lui indiscutibile».78 Al già citato Convegno di Juvisy su fenomenologia e tomismo, nel dibattito che seguì la seconda relazione, tenuta da Kramer su Glosse tomiste alla fenomenologia, Stein prese la parola per ribadire che l’idealismo trascendentale non era una conseguenza necessaria della fenomenologia e che essa poteva contribuire a fondare anche una filosofia realistica, una testimonianza della quale era rappresentata dall’opera di Hedwig Conrad-Martius. Ancora una volta la filosofa esprimeva un giudizio positivo sulla riduzione trascendentale, che le sembrava metodologicamente giustificata dal fatto che essa rende visibile la sfera degli atti costitutivi; tuttavia, ella si chiedeva «se proprio il fenomeno della realtà permetta la messa fra parentesi dell’esistenza e non imponga, al contrario, l’abbandono della riduzione». Stein si riferiva a questo punto alle analisi, già condotte da Husserl, sul contrasto tra attività e passività nella vita della coscienza, specialmente nella percezione delle cose esteriori, sottolineando come proprio la valutazione del materiale iletico su cui si appuntano le intenzioni orientate verso le cose fosse, a suo avviso, di “un’importanza capitale per la questione dell’idealismo”. Riprendendo le considerazioni già espresse nell’Einführung, Stein affermava che l’idealismo trascendentale di Husserl «è senza risposta di fronte alla questione dell’origine del materiale a me relativo [ichzugehörigen] e pertanto a me estraneo. Esso conserva un resto irrazionale. Si dovrà infine ammettere ch’esso non rende conto dei fenomeni: la pienezza d’essenza e d’esistenza che, in ogni esperienza autentica, riempie il soggetto dell’esperienza, e che eccede tutte le possibilità di controllo commisurate alla coscienza, contraddice la riduzione ad una semplice donazione di senso del soggetto. Così, mi sembra che proprio l’analisi fedele della datità della realtà conduca ad un abbandono della riduzione trascendentale e ad un ritorno all’atteggiamento d’accettazione credente [glaubig] del mondo».79

In un bel testo su Husserl, di ormai diversi anni fa, Baccarini avanzava una interpretazione dell’idealismo husserliano che ci pare particolarmente interessante, perché non si preoccupa tanto di stabile se l’essere della coscienza sia o non sia assoluto, quanto di vedere nell’autoriflessione dell’ego un tentativo di porsi come “specchio” che, in quanto tale, non ha in sé il proprio telos: «Così l’ego non è il punto culminante, ma piuttosto la conquista di una posizione-osservatorio da cui si possa osservare l’infinità degli orizzonti».80 Da questo punto di vista, si può dire che i discepoli e le discepole di Husserl — anche quando in contrasto con le sue idee — sembrano aver compiuto il programma del maestro, che nella sua originalità pare prevedere quasi intrinsecamente la possibilità di vie altre rispetto a quelle battute dal padre della fenomenologia: questa — ebbe a scrivere lo stesso Husserl sullo Jahrbuch — «non è un sistema di scuola che vincola gli editori e che deve essere presupposto da tutti i futuri collaboratori; ciò che essa riunisce è piuttosto la convinzione comune che solo attraverso il ritorno alle sorgenti originarie dell’intuizione e alle visioni d’essenza che attingono da essa, sono da valorizzare le grandi tradizioni della filosofia secondo concetti e problemi, che solo per questa via possono essere chiariti intuitivamente i concetti, e posti di nuovo su un fondamento intuitivo i problemi e quindi anche risolti per principio».81 Nella sua essenza — così la definisce Baccarini — «la fenomenologia è una filosofia della prospettiva (e come tale de-assolutizzante) più che una prospettiva filosofica, che insegna come guardare la realtà, nella fede assoluta che l’eidos è lo stesso visto da angolature diverse».82 In questo senso possono forse trovare spazio tutte le diverse posizioni espresse all’interno della fenomenologia, una feconda corrente di pensiero dalla quale — con esiti del tutto imprevisti da quelli profilati dal suo stesso fondatore — sono scaturite molteplici direzioni di ricerca, dagli studi sulla percezione e sulla corporeità a quelli del fenomeno religioso, fino ai percorsi dell’analitica esistenziale di Heidegger e a quelli dell’ermeneutica di Gadamer, per citarne solo alcune fra le più famose.


  1. Husserl Edmund, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, Husserliana III/1, Karl Schumann (Hrsg.), Martinus Nijhoff, Den Haag 1976, p. 56; tr. it. di Costa Vincenzo, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Volume I, Libro I: Introduzione generale alla fenomenologia pura, Einaudi, Torino 2002, p. 71. ↩︎

  2. Husserl Edmund, Ideen, pp. 109-110; tr. it. pp. 143-144. ↩︎

  3. Costa Vincenzo, Husserl, Carocci Editore, Roma 2009, p. 33. ↩︎

  4. Husserl Edmund, Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge, Husserliana I, Strasser Stephan (Hrsg), Martinus Nijoff, Den Haag 1973, pp. 118-119; tr. it. di Costa Filippo, Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei Discorsi parigini, Bompiani, Milano 19973, p. 109. ↩︎

  5. Da ricordare che la filosofa poteva godere di un punto di osservazione privilegiato, dal momento che tra il 1917 e il 1918 ricopriva il ruolo di assistente privata di Husserl e aveva quindi la possibilità di frequentare quasi quotidianamente il maestro, oltre che di consultarne gli scritti che doveva predisporre per la pubblicazione. ↩︎

  6. Husserl Edmund, Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Husserliana II, Biemel Walter (Hrsg.), Martinus Nijhoff, Den Haag 1950, p. 6; tr. it. a cura di Franzini Elio, L’idea della fenomenologia. Cinque lezioni, Bruno Mondadori, Milano 1995, p. 42. ↩︎

  7. Husserl Edmund, Die Idee der Phänomenologie, p. 39; tr. it. pp. 87-88. Nota Vincenzo Costa: «La riduzione fenomenologica si distingue […] da una riduzione scettica perché non dissolve la realtà nell’apparenza ma, a partire dal fenomeno, vuole dare ragione della costituzione della realtà. […] Husserl, del resto, ancora negli anni trenta, parlerà della sua fenomenologia come dell’unico vero realismo, come di un realismo che accetta la provocazione scettica, cioè il fatto che noi abbiamo sempre a che fare con fenomeni, e che a partire da qui vuole riproporre la consistenza della realtà, la possibilità di distinguere tra il reale e l’immaginario, tra il vero e il falso, giustificando la credenza nella realtà non in base a una propensione naturale ed istintiva, ma in base a motivi profondi: attenendosi a ciò che si manifesta, al fenomeno, deve essere ricostituita la realtà, deve essere legittimato il realismo» (Costa Vincenzo, L’estetica trascendentale fenomenologica. Sensibilità e razionalità nella filosofia di Husserl, Vita e Pensiero, Milano 1999, p. 305). ↩︎

  8. Husserl Edmund, Ideen, p. 68; tr. it. p. 77. ↩︎

  9. Husserl Edmund, Ideen, p. 107; tr. it. p. 124. ↩︎

  10. Husserl Edmund, Ideen, p. 124; tr. it. p. 144. ↩︎

  11. Husserl Edmund, Ideen, p. 105; tr. it. p. 122. ↩︎

  12. Husserl Edmund, Ideen, p. 63; tr. it. p. 69. ↩︎

  13. Husserl Edmund, Ideen, p. 106; tr. it. pp. 122-123. ↩︎

  14. Husserl Edmund, Cartesianische Meditationen, p. 75; tr. it. p. 67. ↩︎

  15. Ferretti Giovanni, Soggettività e intersoggettività. Le Meditazioni cartesiane di Husserl, Rosenberg & Sellier, Torino 1997, p. 49. ↩︎

  16. Cfr. Husserl Edmund, Nachwort, in Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie, Drittes Buch: Die Phänomenologie und die Fundamente der Wissenschatften, Husserliana V, Biemel Marly (Hrsg.), Martinus Nijhoff, Den Haag 1971, pp. 138-162, alla p. 138; tr. it. Postilla alle Idee, in Idee per una fenomenologia pura, vol. I, pp. 418-434, alla p. 419. ↩︎

  17. Husserl Edmund, Nachwort, pp. 152-153; tr. it. Postilla, pp. 428-429. ↩︎

  18. Husserl Edmund, Nachwort, p. 153; tr. it. Postilla, p. 428. ↩︎

  19. Cfr. Husserl Edmund, lettera del 26.V./8.VI.1934 a Émile Baudin, in Briefwechsel, Bd. VII: Wissenschaftlerkorrespondenz, Husserliana III, Kluwer Academic Publischers, Dordrecht 1994, pp. 13-17, alla p. 16. ↩︎

  20. Husserl Malvine, Skizze eines Lebensbildes von E. Husserl, «Husserl Studies», 5 (1988), pp. 110-125, alla p. 116. ↩︎

  21. Ingarden Roman, Erinnerungen an Edmund Husserl, in Gesammelte Werke, Band V: Schriften zur Phänomenologie Edmund Husserls, hrsg. Wlodzimierz Galewicz, Max Niemeyer Verlag Gmbh & Co. KG, Tübingen 1998, pp. 400-430, alla p. 403. La stessa notazione viene ripresa alla p. 407, sia nel testo che nella nota 13. ↩︎

  22. Ivi, pp. 407-408. ↩︎

  23. Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Ingarden. Mit Erläuterungen und Erinnerungen an Husserl, hrsg. von Ingarden Roman, Martinus Nijoff, Den Haag 1968, nota alla lettera del 16.XI.1918, pp. 140-142, alla p. 141. Secondo De Palma, Ingarden avrebbe dedicato alla controversia idealismo/realismo tutta la propria opera e lo sviluppo del proprio pensiero sarebbe, dall’inizio alla fine, parallelo al confronto con l’idealismo husserliano: cfr. De Palma Vittorio, Idealismo fenomenologico o realismo ontologico? Roman Ingarden interprete e critico della filosofia di Husserl, in Besoli Stefano e Guidetti Luca (a cura di), Il realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei Circoli di Monaco e di Gottinga, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 743-786, particolarmente alle pp. 745-754. ↩︎

  24. Ingarden Roman, Über den transzendentalen Idealismus bei E. Husserl, in Husserl et la Pensée Moderne, Actes du deuxiéme Colloque International de Phénoménologie Krefeld 1-3 novembre 1956, Nijhoff , Den Haag 1959, pp. 190-204, alla p. 190. ↩︎

  25. Ivi, p. 191. ↩︎

  26. Ingarden Roman, Edmund Husserl: Zum 100. Geburtstag, in Gesammelte Werke, Band V, pp. 268-273, alla p. 272. Si tratta di un discorso tenuto il 9 aprile 1959 in occasione di una serata dedicata a Husserl dalla radio tedesca di Amburgo e pubblicato per la prima volta sulla rivista «Zeitschrift für philosophische Forschung», XIII, 3 (1958-59), pp. 459-463. ↩︎

  27. Cfr. Conrad-Martius Hedwig, Die transzendentale und die ontologische Phänomenologie, in Edmund Husserl 1859-1959. Recueil commémoratif publié à l’occasion de la naissance du philosophe, Martinus Nijhof, La Haye 1959, pp. 175-184, alla p. 177. ↩︎

  28. Cfr. ivi, p. 178. ↩︎

  29. Cfr. ivi, p. 180. ↩︎

  30. Cfr. Ingarden Roman, Erinnerungen an Edmund Husserl, pp. 415 e 427. ↩︎

  31. Cfr. ivi, p. 414. ↩︎

  32. Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 16.XI.1918, pp. 11-12, alla p. 12. ↩︎

  33. Cfr. ivi, lettera del 12.III.1920, p. 13. ↩︎

  34. Cfr. ivi, lettera del 18.VI.1920, p. 14. ↩︎

  35. Cfr. ivi, lettera del 6.VIII.1921, pp. 20-21, alla p. 21. ↩︎

  36. Non siamo in grado di conoscere i giudizi di Ingarden su Stein e su Conrad-Martius, anche se possiamo avanzare qualche ipotesi basandoci su riferimenti indiretti: per quanto riguarda Stein, potrebbe trattarsi della sorpresa suscitata dalla sua intenzione di entrare nella Chiesa cattolica, annunciata a Ingarden in una lettera del 15.X.1921 (cfr. Edith Stein Gesamtausgabe — d’ora in poi ESGA — 4: Selbstbildnis in Briefe III. Briefe an Roman Ingarden, Herder, Freiburg i. Br. 20052, pp. 143-144, alla p. 143; tr. it. di Costantini Elio e Costantini-Schulze Erika, Lettere a Roman Ingarden 1917-1938, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001, pp. 188-189, alla p. 188) e da questi riferita a Husserl, come si evince dalla lettera del 25.XI.1921, in cui il maestro si dice rattristato dalla notizia e legge il grande movimento di conversioni del tempo come un segno della povertà interiore delle anime, constatando amaramente che un vero filosofo può essere soltanto libero e che l’essenza della filosofia è la più radicale autonomia (Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 25.XII.1921, pp. 20-21, alla p. 21). Ciò non toglie che Husserl abbia mantenuto nel tempo rapporti di cordialità con la sua antica allieva, come si evince, tra le altre, dalla cartolina del marzo 1934 con la quale egli si congratula per l’imminente vestizione da carmelitana scalza di Stein, al rito della quale lui e la moglie avrebbero interiormente partecipato da lontano (cfr. ESGA 3: Selbstbildnis in Briefe II (1933-1942), Herder, Freiburg i. Br. 20062, lettera di Edmund Husserl a Edith Stein del 26.III.1934, pp. 25-26). Anche Edith Stein ricorda con affetto il vecchio maestro fino alla di lui morte, deplorando i posteri — ritenuti ingrati nei confronti di Husserl — ai quali dovrebbero essere indirizzate le energiche parole di Goethe rivolte agli ignoranti di Hans-Sachs (che però non cita direttamente): «In Froschpfuhl sei das Volk verbannt, das seinen Meister je verkannt!» (cfr. ESGA 3, lettera a Emil Vierneisel del 6.V.1938, pp. 288-289, alla p. 289; «Sia esiliato nell’acquitrino delle rane il popolo che ignora il suo maestro!»). Per quanto riguarda il parere su Conrad-Martius, si dovrebbe trattare di un giudizio non proprio positivo espresso da Ingarden sullo scritto Metaphysische Gespräche: da una lettera di Stein all’amico polacco, sappiamo infatti che egli manifestò una violenta reazione di fronte alla pubblicazione di quell’opera, da lui ritenuta non fenomenologica (cfr. ESGA 4, lettera del 13.XII.1921, 145-147; tr. it. pp. 192-194). ↩︎

  37. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 24.XII.1921, pp. 23-24. ↩︎

  38. ESGA 4, lettera del 30.IX.1922, pp. 150-151; tr. it. pp. 201-202, alla p. 202 (modificata). Per quanto riguarda lo stato della fenomenologia a Friburgo, mi pare interessante quanto Edith Stein aveva scritto a Ingarden nell’ottobre del 1921: «Lei ha compreso in modo errato quanto ho scritto su Friburgo. Non era rivolto contro Husserl. Lei sa bene che, nonostante tutto, nutro nei suoi confronti una venerazione e una riconoscenza sconfinata; non ho bisogno di spiegarlo ulteriormente. Mi riferisco a rapporti poco piacevoli che si sono creati intorno a lui. Conosco le cose solo per sentito dire, ma mi sono giunte da più parti e sono concordanti. Heidegger gode della fiducia assoluta di Husserl e la sfrutta per portare gli studenti, sui quali ha un’influenza maggiore di Husserl stesso, in una direzione molto lontana da Husserl. Tutti lo sanno al di fuori del buon maestro. Abbiamo già discusso molto su che cosa si potrebbe fare contro ciò. Koyré (che è anche stato di recente a Friburgo) ha proposto a noi “veterani”, per quanto possibile, di andare lì tutti insieme per un paio di settimane durante il semestre per provocare una discussione con il “nuovo orientamento”. Ai Conrad farebbe molto piacere, ma non possono allontanarsi dal frutteto ed un soggiorno più prolungato a Friburgo sarebbe molto difficile da realizzare anche finanziariamente» (ESGA 4, lettera del 15.X.1921, pp. 143-144; tr. it. pp. 188-189, modificata). Nel 1926 ribadiva: «Quando [Husserl, scil.] diventerà professore emerito, allora probabilmente proporrà lo stesso Heidegger come successore e quello segue la propria strada. Kaufmann e Becker, che ora lo affiancano in qualità di docenti, sembra che siano più vicini a Heidegger, in ogni caso prendono le distanze da Husserl anche sulle questioni decisive. Egli lo avverte evidentemente, senza che lo si voglia ben ammettere» (ESGA 4, lettera del 9.X.1926, pp. 171-172, alla p. 172; tr. it. pp. 233-234, alla p. 233, modificata e integrata). Anche la prolusione tenuta nel 1929 a Friburgo manifesta una certa distanza di Heidegger da Husserl; così Edith Stein ricorda nell’autobiografia: «Tenne la sua prolusione quando Husserl si trovava già a Friburgo. Essa conteneva evidenti frecciate rivolte alla fenomenologia». La filosofa aggiunge che «La sua futura moglie [di Heidegger, scil.], per il momento ancora signorina Petri, frequentava il seminario di Husserl e si opponeva vivacemente. Un giorno lui mi disse di lei: “Quando una donna si mostra tanto ribelle, dietro di lei c’è un uomo”» (ESGA 1: Aus dem Leben einer jüdischen Familie und weitere autobiographische Beiträge, Herder, Freiburg i. Br. 2002, p. 2-343, alla p. 339; tr. it. a cura di Ales Bello Angela e Paolinelli Marco, Dalla vita di una famiglia ebrea e altri scritti autobiografici, Città Nuova Editrice — Edizioni OCD, Roma 2007, pp. 21-482, alla p. 477). ↩︎

  39. Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 31.VIII.1923, pp. 25-27, alla p. 25. ↩︎

  40. Cfr. ivi, lettera del 19.III.1930, pp. 58-60, alla p. 59. ↩︎

  41. Cfr. ivi, lettera del 2.XII.1929, pp. 55-56, alla p. 56. ↩︎

  42. Cfr. ivi, lettera del 19.XI.1927, pp. 40-41. ↩︎

  43. Cfr. ivi, lettera del 2.XII.1929, pp. 55-56, alla p. 56. Già nel 1926 Edith Stein aveva scritto a Ingarden: «Husserl valuta molto positivamente tutta la persona [di Heidegger, scil.] e questo lavoro [Sein und Zeit, scil.], anche se proprio in questo momento dalle bozze, sono emerse molto chiaramente le differenze tra loro due. Per quanto ho potuto apprendere dalle dichiarazioni degli studenti ed in modo particolare da Kaufmann, si tratta essenzialmente della trattazione filosofica della realtà e della vita concreta, cioè tutto ciò che Husserl mette tra parentesi. Ed invece mi sembra il punto su cui negli ultimi anni l’intero movimento filosofico si intende in modo concentrico: Scheler, la signora Conrad, i lavori maturi di Natorp, Nicolai Hartmann etc.» (ESGA 4, lettera del 24.X.1926, pp. 173-175, alla p. 174; tr. it. pp. 235-237, alle pp. 236-237, modificata). Interessante anche il giudizio, riportato dal gesuita Jan Nota, che Edith Stein gli aveva espresso su Heidegger in un incontro personale avvenuto nel 1942: a parere della filosofa, egli non era un uomo cattivo, ma non aveva una personalità forte, poiché aveva subito molto l’influsso delle idee della moglie, così che, per esempio, nell’ambito del matrimonio misto, il figlio più vecchio era stato battezzato, il più giovane no. Stein, poi, lo rimproverava non tanto di avere sviluppato una propria filosofia rispetto a Husserl (cosa che era un suo diritto e del tutto normale), quanto di aver mutato i suoi rapporti con il padre della fenomenologia dopo aver ricevuto la nomina come suo successore nel 1928 e di averlo in qualche modo tradito, specie dopo l’assunzione del rettorato a Friburgo, quando al maestro fu impedito l’accesso alla facoltà di Filosofia (Cfr. Nota Jan H., Edith Stein — Max Scheler — Martin Heidegger, in Elders Leo SVD (Hrsg.), Edith Stein. Leben — Philosophie — Vollendung, Abhandlungen des internationalen Edith-Stein-Symposiums Rolduc 2.-4- November 1990, Naumann, Würzburg 1991, pp. 227-237, p. 232). ↩︎

  44. Husserl Edmund, Briefwechsel, Bd. II: Die Münchener Phänomenologen, Husserliana III, Schuhmann Karl (Hrsg.), Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1994, lettera ad Alexander Pfänder del 6.I.1931, pp. 180-184, alle pp. 182-183; tr. it. di Cristin Renato, Lettera a Pfänder [1931], «Aut Aut» 213, maggio-giugno 1986, pp. 3-6, alla p. 5 (in una lettera del 2.I.1931 Pfänder aveva apertamente parlato a Husserl, da uomo a uomo, chiedendogli come mai, nonostante per circa dieci anni l’avesse indicato come suo successore, gli avesse alla fine preferito Heidegger: v. Briefwechsel II, pp. 178-179). Già nel 1928 Edith Stein, parlando dell’accoglienza riservata dal maestro a Koyré che era stato a Friburgo, rileva che «Husserl adesso è consapevole di quanto sia isolato ed è particolarmente contento della visita degli antichi discepoli» (ESGA 4 lettera dell’1. XI. 1928, pp. 197-199, alla p. 198; tr. it. pp. 271-272, alla p. 271). ↩︎

  45. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 21.XII.1930, pp. 61-64, alla p. 63. ↩︎

  46. Ivi, lettera del 13.XI.1931, pp. 72-74, alla p. 73. L’esigenza in Husserl di un’opera che riassumesse i risultati delle proprie indagini nel senso della fenomenologia trascendentale viene rilevata anche da Edith Stein, che nei primi mesi del 1932 aveva visitato il maestro a Friburgo: «Desidera adesso dare una struttura sistematica all’intera filosofia trascendentale collocandovi anche tutte le sue antiche indagini (progetto utopico!) — non c’è nient’altro al di fuori di questo» (ESGA 4, lettera del 9.III.1932, pp. 226-228, alla p. 227; tr. it. pp. 321-323, alla p. 321). ↩︎

  47. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 13.XI.1931, pp. 72-74, alla p. 74. ↩︎

  48. Cfr. Conrad-Martius Hedwig, Die transzendentale und die ontologische Phänomenologie, p. 176. ↩︎

  49. Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 19.VIII.1932, pp. 80-81, alla p. 80. ↩︎

  50. Ivi, lettera del 2.VI.1932, pp. 77-80, alle pp. 78-80 . ↩︎

  51. Husserl Edmund, Briefwechsel, Bd. IV: Die Freiburger Schüler, Husserliana III, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1994, pp. 397-398, alla p. 397, tr. it. di Cristin Renato, Lettera a Löwith [22 febbraio 1937], «Aut Aut», novembre-dicembre 1987, pp. 106-107, alla p. 106. ↩︎

  52. Cfr. Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, lettera del 16.X.1932, pp. 81-82, alla p. 82. ↩︎

  53. Ingarden Roman, Erläuterungen zu den Briefen Husserls, in Husserl Edmund, Briefe an Roman Ingarden, pp. 136-184, alle pp. 156-157. ↩︎

  54. Interessanti le considerazioni di Ingarden a proposito di una frase che Husserl avrebbe pronunciato davanti agli amici convenuti per i festeggiamenti del suo settantesimo compleanno, secondo la quale egli indicava nella filosofia la missione della propria vita e il filosofare una necessità, «sonst konnte ich in dieser Welt nicht leben»: certo Husserl aveva sempre considerato la filosofia come una vocazione, ma ora stava forse pensando ad essa come a una possibilità di salvezza del mondo? Doveva forse l’idealismo trascendentale rappresentare una salvezza per questo mondo? Non era la ricerca di qualcosa che stava oltre questo mondo, non era la ricerca di Dio? Non stavano queste parole in relazione con quello che una volta Husserl aveva detto allo stesso Ingarden, e cioè che ogni filosofo deve essere centrato dal punto di vista religioso? Soltanto in questa occasione il maestro si era pronunciato chiaramente, e in modo del tutto non intenzionale, su questa questione, a cui Ingarden dice di avere più tardi pensato molto, senza osare però giungere ad una conclusione (Cfr. Ingarden Roman, Erläuterungen zu den Briefen Husserls, pp. 161-162). ↩︎

  55. Cfr. Jaegerschmid Adelgundis OSB, Gespräche mit Edmund Husserl 1931-1936, «Stimmen der Zeit», CLXXXXIX, 1 (1981), pp. 48-58, alle pp. 54-55. ↩︎

  56. Abbiamo trattato ampiamente il tema nel nostro Per visibilia ad invisibilia. Percorsi di ontologia in Edith Stein, Edizioni OCD, Roma 2012, pp. 68-117, al quale ci permettiamo di rimandare. ↩︎

  57. ESGA 1, pp. 200-201; tr. it. pp. 291-292. ↩︎

  58. ESGA 4, lettera del 3.II.1917, pp. 39-42, alla p. 40; tr. it. pp. 33-36, alla p. 34 (modificata). ↩︎

  59. Il testo Einführung in die Philosophie non è stato pubblicato da Edith Stein, che ne ha però conservato gelosamente i manoscritti, tanto da portarli con sé a Echt nel 1938. La stesura del testo, uscito per la prima volta nel 1991 come volume XIII degli Edith Steins Werke, fu allora datato dalla curatrice Lucy Gelber fra il 1917 e il 1932; la stessa suppose che si potesse trattare di materiali predisposti per lezioni tenute a Breslavia nel 1931. Recentemente però, da una più puntuale analisi dei manoscritti che compongono il lavoro, è possibile affermare con sicurezza che questo sia stato completato al più tardi nel 1921 e che sia stato poi ripreso e rimaneggiato da Stein in alcune parti nell’ambito della sua attività di docenza privata a Breslavia. Si deve quindi supporre che esso sia stato terminato dopo i saggi pubblicati sullo Jahrbuch e prima della conversione religiosa (come testimonierebbero anche le poche e generali allusioni alla religione presenti nel testo); il disinteresse per il lavoro scientifico seguito alla decisione di entrare nella Chiesa cattolica potrebbe avere impedito la pubblicazione dell’opera. Sul tema cfr. Wulf Claudia Mariéle, Rekonstruktion und Neudatierung einiger früher Werke Edith Steins, in Beckmann Beate-Gerl-Falkowitz Hanna-Barbara (Hrsg.), Edith Stein. Themen, Bezüge, Dokumente, Königshausen & Neumann, Würzburg 2003, pp. 249-267 e id., Hinführung: Bedeutung und Werkgestalt von Edith Steins “Einführung in die Philosophie”, in ESGA 8: Einführung in die Philosophie, Herder, Freiburg i. Br. 2004, pp. IX-XXXIV. Müller sostiene che un primo punto di partenza per la “soluzione” del problema della costituzione citato nella lettera a Ingarden del 3.II.1917 si trovi nel quinto paragrafo della terza parte della Dissertazione dottorale di Stein dedicata all’empatia, dove si dice che, grazie proprio all’Einfühlung, è dimostrata la possibilità dell’esistenza del mondo indipendente dalla coscienza (cfr. Müller Andreas Uwe, Grundzüge der Religionsphilosophie Edith Steins, K. A. Verlag, Freiburg/München 1993, p. 96). Il passo a cui ci si riferisce è il seguente: «Imprigionato nei limiti della mia individualità, non potrei arrivare al di là “del mondo come mi appare”, e in ogni caso si potrebbe pensare che la possibilità della sua esistenza indipendente, che potrebbe essere ancora data come possibilità, resti però sempre indimostrabile. Ma appena supero questi limiti con l’aiuto dell’empatia e ottengo una seconda o una terza apparizione, indipendente dalla mia percezione, del medesimo mondo, questa possibilità è dimostrata» (ESGA 5: Zum Problem der Einfühlung, Herder, Freiburg i. Br. 2008, p. 82; tr. it. a cura di Nicoletti Michele, L’empatia, Franco Angeli, Milano 1986, p. 134). ↩︎

  60. ESGA 4, lettera del 9.IV.1917, pp. 52-54, alla p. 53; tr. it. pp. 51-54, alla p. 52 (modificata). ↩︎

  61. ESGA 4, lettera del 24.VI.1918, pp. 86-88, alle pp. 86-87; tr. it. pp. 102-104, alle pp. 102-103 (modificata). Se si legge con attenzione questa lunga citazione, si noterà come da una parte si parli sì di una conversione all’Idealismo, ma come, dall’altra, si continui a cercare un dialogo con il maestro a proposito delle questioni in campo nel dibattito filosofico sull’argomento: la “conversione”, letta anche alla luce dell’Einführung, è quindi da interpretare, a mio avviso, non tanto come un’adesione esplicita e ferma alla fenomenologia trascendentale di Husserl, bensì come l’ammissione della legittimità di un punto di vista che fino a quel momento era sembrato non plausibile e che ora invece si ritiene necessario discutere. In quel testo, Stein tenta di chiarire il punto di vista idealistico sulla base dell’analisi di esperienza. Nell’ambito della ricerca sull’apprensione, in cui una forma viene imposta al materiale sensibile, ella fa riferimento a degli schemi che appaiono come «strutture fondamentali dell’oggettività e nello stesso tempo come le leggi che dominano la costituzione degli oggetti» (ESGA 8, p. 71; tr. it. p. 109); in essi «abbiamo dinanzi a noi un essere assoluto, essi non vanno mai intesi come un essere dipendente dalla soggettività. Si potrebbe dire che essi trovano applicazione solo laddove si presenta una coscienza vivente — ma il loro essere non dipende da quest’ultima» (ESGA 8, p. 71; tr. it. p. 109). Tuttavia — e questa è una notazione importante — non essendo lo schema una cosa reale, bensì ciò che rende cosa qualsiasi cosa reale, non si è detto ancora nulla circa l’autonomia dell’essere di ciò che viene chiamato mondo reale esterno. In altri termini, non si può concludere che da uno schema cosale si possa inferire l’esistenza di una cosa reale indipendente dalla coscienza, né che l’esistenza reale dipenda dai processi regolati da schemi della coscienza. Anzi, se qualcosa si deve dire, è che sia possibile una coscienza senza un mondo oggettivo che le corrisponda: se infatti si prescinde da alcuni dati costituenti la natura, come ad esempio la causalità, ciò comporterà sì una modificazione della struttura della coscienza, ma non il suo annientamento; lo stesso, nel caso in cui essa riceva dati sensibili, ma sia incapace di attività comprensiva, oppure qualora sia capace della costituzione di un oggetto, ma le manchi il materiale necessario dei dati sensibili. L’essere della coscienza, in questo senso, è dunque assoluto. In questo Edith Stein sembra seguire lo Husserl del § 49 delle Ideen, il quale, ripensando alla possibilità del non essere inclusa nella trascendenza di ogni cosa, conclude che «diviene evidente che l’essere della coscienza, di ogni corrente di vissuti in generale, verrebbe sì necessariamente modificato da un annientamento del mondo delle cose, ma non ne sarebbe toccato nella sua propria esistenza. Sarebbe senza dubbio modificato. Infatti, dal punto di vista correlativo, della coscienza, l’annientamento del mondo non significa altro che da ogni corrente di vissuti (dalla corrente complessiva dei vissuti di un io, presa nella sua totalità, cioè bilateralmente infinita) verrebbero escluse certe ordinate connessioni d’esperienza e corrispondentemente le connessioni istituite dalla ragione teoretizzante orientata conformemente a queste concatenazioni di esperienza. Invece, questa esclusione non implicherebbe quella di altri vissuti e altre connessioni di vissuti. Dunque nessun essere reale, tale cioè che si presenti e si esibisca coscienzialmente mediante manifestazioni, è necessario all’essere della coscienza stessa (nel senso amplissimo di correnti di vissuti). L’essere immanente è dunque indubitabilmente un essere assoluto nel senso che per principio nulla “re” indiget ad existendum» (cfr. Husserl Edmund, Ideen, p. 104; tr. it. pp. 120-121). Per chiarire poi se sia possibile una natura a cui non corrisponda alcuna coscienza, Stein parte dall’argomentazione proposta da Husserl nelle Ideen, per cui la differenza tra il mondo reale e un mondo possibile sta nel fatto che il primo è esperito attualmente: se «quindi la realtà è assegnata ad una coscienza che esperisce attualmente, allora cancellando la coscienza, cancelliamo il mondo» (ESGA 8, p. 75; tr. it. p. 114). Tale ragionamento, tuttavia, non sembra a Stein decisivo, in quanto se è vero che il carattere di esperienza caratterizza quanto è reale, distinguendolo da ciò che è possibile o simulato, ciò però non significa altro che «la realtà non può legittimarsi se non attraverso l’esperienza» e che «ogni affermazione in merito alla realtà può attingere il suo fondamento di diritto soltanto dall’esperienza» (ESGA 8, p. 76; tr. it. p. 114), e non comporta affatto l’equivalenza fra l’essere reale e l’essere esperito. L’analisi dei dati della sensazione, infine, offre un ulteriore contributo alla ricerca: a seconda di come si considerano i dati sensibili, infatti — se cioè come provenienti dal di fuori o come appartenenti al soggetto -, ci si deciderà per il punto di vista realistico o idealistico. Il problema viene però qui lasciato irrisolto, pur con la precisazione che nell’un caso si tratterebbe di un realismo non ingenuo, tale che consideri cioè il mondo come condeterminato dalle strutture della soggettività e l’esistenza reale come diversa rispetto all’essere dato nei flussi di coscienza, e nell’altro caso di un idealismo non soggettivo, che non ponga nella coscienza l’unico essere assoluto ma che riconosca «almeno una oggettività fondata sulle stesse categorie indipendenti dalla coscienza» (ESGA 8, p. 97; tr. it. p. 139) e renda la realtà dipendente anche dalla coscienza, sebbene non soltanto da essa. Lo stesso argomento verrà ripreso diversi anni più tardi, in Akt und Potenz, e precisamente nell’excursus dedicato all’idealismo trascendentale, dove l’Autrice dirà che sebbene studiando in riduzione fenomenologica le forme e le operazioni della sintesi trascendentale si inclinerà costantemente per l’interpretazione idealistica, tuttavia non ci si potrà decidere completamente per essa dal momento che «questo stesso idealismo trascendentale ritiene il materiale sensibile che è presupposto per ogni costituzione ed il dato di fatto della operazione costitutiva come residuo irrisolto ed irrisolvibile, come residuo completamente irrazionale» (ESGA 10: Potenz und Akt. Studien zu einer Philosophie des Seins, Herder, Freiburg i. Br. 2005, p. 236; tr. it. di Caputo Anselmo, Potenza e atto. Studi per una filosofia dell’essere, Città Nuova Editrice, Roma 2003, p. 345). Ora, formando il materiale pre-dato, l’io trascende se stesso in un “fuori” che è il mondo cosale, dove incontra altri soggetti-monadi, che riconosce tali in virtù dell’analogia con se stesso, e cose materiali. Mentre l’altro soggetto, se è, non ha bisogno di alcun altro soggetto per dimostrare la propria esistenza, ne ha bisogno invece la cosa materiale, in quanto non dotata di vita spirituale. Tuttavia — si chiederà Stein — l’impossibilità di dimostrare la propria esistenza equivale eo ipso ad una impossibilità di esistere? Assumendo una posizione non completamente idealistica nel senso husserliano, Stein affermerà che «è certo giusto dire che il mondo come ci appare per identificarsi in tali decorsi di apparizione, è relativo a soggetti del nostro tipo», come sostenuto dall’idealismo trascendentale, ma «non è assurdo dire che il suo essere non sarebbe equivalente a una siffatta apparenza e che sarebbe pensabile un altro modo per conoscerlo, nonché un’esistenza del mondo materiale al cospetto di Dio, prima che vi fossero creature viventi sotto i cui sensi tale mondo potesse cadere» (ESGA 10, p. 246; tr. it. p. 357). Rispetto a quanto scritto nell’Einführung, dunque, Stein qui sottolineerà la possibilità di una conciliazione tra i risultati delle analisi delle operazioni della vita intenzionale e il racconto biblico della creazione, nel senso che, sebbene quelle analisi dimostrino come «molto di ciò che l’ingenua credenza dell’esperienza pone come assolute siano relative ad una determinata struttura spirituale-sensibile degli individui esperienti» (ESGA 10, p. 246; tr. it. p. 357), ciò non spinge all’abbandono di quella concezione dell’essere della cosa, come indipendente dalle strutture di atti costitutivi, quale si trova anche descritta nelle Sacre Scritture. ↩︎

  62. Cfr. Ingarden Roman, Der Brief an Husserl über die VI. Logische Untersuchung und den Idealismus, in Gesammelte Werke, Band V: Schriften zur Phänomenologie Edmund Husserls, pp. 1-20; il testo era apparso per la prima volta in «Analecta husserliana», 2 (1972), pp. 357-374 e poi in Husserl Edmund, Briefwechsel, Bd. III: Die Göttinger Schule, Husserliana III, in Verbindung mit E. Schuhmann, Hrsg. von K. Schuhmann, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1994, pp. 183-200. Traduzione italiana di De Palma Vittorio, La lettera a Husserl sulla Sesta ricerca e l’idealismo (fine luglio 1918), in Besoli Stefano e Guidetti Luca (a cura di), Il realismo fenomenologico, pp. 137-152. Ingarden spiega l’origine di questa lettera in Erläuterungen zu den Biefen Husserls, pp. 140-142. ↩︎

  63. ESGA 4, lettera del 10.VII.1918, p. 91; tr. it. p. 108. ↩︎

  64. Stein Edith, Was ist Phänomenologie?, «Wissenschaft/Volksbildung» — supplemento scientifico alla «Neuen Pfzälzischen Landes Zeitung» — n. 5, 15 maggio 1924, ristampato in «Theologie und Philosophie», LXVI, 4 (1991), pp. 570-573, alla p. 573; tr. it. Che cos’è la fenomenologia, in Stein Edith, La ricerca della verità. Dalla fenomenologia alla filosofia cristiana, a cura di Ales Bello Angela, Città Nuova Editrice, Roma 1999, pp. 55-60, alla p. 60. Il manoscritto autografo è andato perduto. ↩︎

  65. Stein Edith, Was ist Phänomenologie?, p. 573; tr. it. p. 60. ↩︎

  66. Ibid↩︎

  67. Cfr. ibid. Dal punto di vista della filosofa tedesca, che dal 1922 è divenuta cattolica, l’idealismo husserliano — per il suo insistere sulla centralità del soggetto — si allontana decisamente dalla filosofia medievale, la quale è certa dell’autonomia dell’essere del mondo e si caratterizza per un orientamento teocentrico (cfr. Stein Edith, Husserls Phänomenologie und die Philosophie des heiligen Thomas von Aquino. Versuch einer Gegenüberstellung, in Festschrift Edmund Husserl zum 70. Geburstag gewidmet. Ergänzungsband zum Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, Max Niemeyer Verlag, Halle 1929, pp. 314-338, alle pp. 326-327; tr. it. La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Tentativo di un confronto, in Stein Edith, La ricerca della verità, pp. 61-90, alle pp. 75-76. ↩︎

  68. Stein Edith, Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, in Edith Steins Werke VI: Welt und Person. Beitrag zum christlichen Wahrheitsstreben, Nauwelaerts, Louvain — Herder, Freiburg 1962, pp. 1-17, alle pp. 14-15; tr. it. di Pezzella Anna Maria, Significato della fenomenologia come visione del mondo, in Stein Edith, La ricerca della verità, pp. 91-107, alla p. 105. ↩︎

  69. Ivi, p. 11; tr. it. p. 101. ↩︎

  70. Ivi, pp. 10-11; tr. it. p. 101. ↩︎

  71. Intervention de Mlle Stein, in La Phénoménologie, Journée d’études de la Société Thomiste, Juvisy, 12 sept. 1932, Éditions du Cerf, Paris 1932, pp. 101-105, alla p. 102; tr. it. in Stein Edith, La ricerca della verità, pp. 108-114, alla p. 110. ↩︎

  72. Intervention de Mlle Stein, p. 103; tr. it. p. 111. ↩︎

  73. ESGA 3, lettera di Henri Boelaars a Edith Stein del 17.V.1941, pp. 475-476, alla p. 475. ↩︎

  74. ESGA 3, lettera a Henri Boelaars del 21.V.1941, pp. 476-479, alla p. 478. H. L. van Breda ritiene che Eugen Fink dal 1933 alla morte di Husserl nel 1938 sia stato pressoché il suo unico ascoltatore tedesco (cfr. Van Breda Leo Herman, Laudatio für Ludwig Landgrebe und Eugen Fink, Phänomenologie heute, «Phänomenologica», 51 (1972), pp. 1-13, alla p. 3). Lo stesso Husserl, in più occasioni riconosce Fink come il prosecutore ideale della propria opera; ad esempio, in una lettera a Feuling del 1933 scrive: «Egli [Finke, scil.] ha ora con me un contatto quasi quotidiano, e questo già da cinque anni; tutti i miei concetti (vecchi e nuovi) e orizzonti li ho discussi con lui, e noi pensiamo insieme: noi siamo, se posso esprimermi in questo modo, dei vasi comunicanti. […] Ciò che dice il Dr. Fink, e lui solo, è assolutamente autentico, e quando egli parla […] delle fasi di sviluppo della fenomenologia, ai suoi commentari spetta senza riserva la preminenza su tutto ciò che possono dire i miei vecchi allievi — anche se essi sono degli eccellenti pensatori che seguono la propria strada, e dei critici schietti (come vecchi e cari amici)» (Husserl Edmund, lettera a Daniel Feuling del 30 marzo 1933, in Briefwechsel, Band VII, p. 89). ↩︎

  75. Cfr. Fink Eugen, Die phänomenologische Philosophie Edmund Husserls in der gegenwärtigen Kritik, «Kant-Studien», 38 (1933) pp. 319-383, alle pp. 319-320. ↩︎

  76. La posizione di Fink nei confronti della fenomenologia husserliana è espressa in diverse occasioni negli appunti privati; ad esempio, in una nota del 1930 si legge: «La “fenomenologia” non è una “tendenza”, ma una forma obiettiva della stessa filosofia. Essa non è però una semplice scienza della coscienza, vale a dire una ricerca eidetica delle forme di coscienza costituenti; essa è, secondo la sua più intrinseca inclinazione, una nuova trasformazione del concetto di filosofia, nella misura in cui questa è determinata come ontologia, come la domanda sull’essere. E questa trasformazione è: che la filosofia è la de-nientificazione dell’assoluto [Entnichtung des Absoluten], la sua libera produzione, la vera teogonia. Certo in Husserl la fenomenologia non è speculativa. In essa si costituisce cioè anzitutto la serietà per l’ultima battaglia, la più difficile da iniziare. Husserl ha dato alla fenomenologia la dignità e il rango della “fatica del concetto”, Heidegger lo slancio critico-speculativo. In Heidegger la fenomenologia giunge alla sua verità prima» (Fink Eugen, Die Bernauer Zeitmanuskripte, Cartesianische Meditationen und System der phänomenologischen Philosophie, Bruzina Ronald (Hrsg.), in Gesamtausgabe, Abt. 1, Bd. 3, Teilbd. 2, Alber, Freiburg i. Br.- München 2008, XIV/4a, p. 23). ↩︎

  77. Cfr. Stein Edith, Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, pp. 10-11; tr. it. Significato della fenomenologia come visione del mondo, in Stein Edith, La ricerca della verità, p. 101. ↩︎

  78. ESGA 4, lettera del 2.X.1927, pp. 185-186, alla p. 185; tr. it., pp. 252-253, alla p. 253. Di nuovo in una lettera del 20.XI.1927, nella quale attua un parallelismo tra la credenza in Dio e quella nel mondo esterno, ribadisce: «In qualità di filosofo Lei potrebbe dire che Le mancano motivi stringenti per decidere tra idealismo e realismo. Ma nella vita pratica Lei non si atterrà a questa decisione, piuttosto — come fanno tutti gli idealisti, se utilizzano bene i loro cinque sensi — tratterrà con il mondo come con una realtà. Chi agirà diversamente, Lei lo chiamerà pazzo» (ESGA 4, lettera del 20.XI.1927, pp. 190-191, alla p. 191; tr. it. pp. 261-262, alla p. 261). ↩︎

  79. Intervention de Mlle Stein, pp. 110-111; tr. it. p. 114. ↩︎

  80. Baccarini Emilio, La fenomenologia. Filosofia come vocazione, Edizioni Studium, Roma 1981, p. 19. ↩︎

  81. Husserl Edmund, Vorwort, «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», 1 (1913), pp. V-VI . ↩︎

  82. Baccarini Emilio, La fenomenologia, p. 90. ↩︎