Recensione a Giovanni Cucci, Benedetto Croce e il problema del male

Giovanni Cucci, Benedetto Croce e il problema del male, Jaca Book, Milano 2012, pp. 156.

L’ultimo libro di Giovanni Cucci, docente di filosofia e psicologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, tratta un tema che, come viene detto in introduzione, non è stato molto studiato in rapporto all’immensa bibliografia dedicata al filosofo abruzzese: il male. È questo un primo merito di fondo del libro, al quale però deve aggiungersi quello di presentare il pensiero del filosofo di Pescasseroli con una rara ed encomiabile chiarezza. La tesi centrale del saggio, infatti, è che il problema del male rappresenti il punto critico, e finanche di rottura, dell’idealismo di Croce, sebbene, in verità, l’intero volume sia costellato da annotazioni critiche che riguardano vari ambiti del sistema crociano. La suddetta ambizione programmatica, ad ogni modo, è esplicitamente riportata in introduzione: «Scopo del presente lavoro è appunto mostrare che la presenza del male, in tutte le sue forme, mette radicalmente in discussione l’immanenza, la concezione della piena e totale positività dell’essere del mondo dell’esperienza» (p. 17).

La struttura del saggio, da questo punto di vista, mostra un’essenziale ed organica sistematicità volta ad affrontare la questione del male. Tale scelta redazionale, aiuta non poco il lettore ad orientarsi negli articolati meandri della riflessione crociana suddivisa in proposizioni estetiche, logiche e storiche. Dopo l’introduzione, che in un certo senso contestualizza il problema del male in Croce, i primi tre capitoli sono appunto rispettivamente dedicati all’Estetica, alla Logica e alla Storia. Sono dopo l’esposizione di queste tre forme dello Spirito l’autore passa ad affrontare in modo diretto la questione del male, da lui analizzato nella duplice dimensione speculativa e pratica. La conclusione, che significativamente ha per titolo «conclusioni», riassume, anche con delle concrete e significative annotazioni biografiche, perché e in quali ambiti la tematica del male in Croce, malgrado l’esattezza alla quale ambisce ogni idealismo, sia sostanzialmente aperta, ambigua e contraddittoria.

Cucci, in generale, dimostra che il problema del male, apparentemente marginale nell’ampia bibliografia del filosofo, che prima dell’avvento del fascismo fu anche senatore, è in verità una presenza sottesa e centrale. L’intera esistenza del pensatore abruzzese, infatti, è stata segnata dal terremoto di Casamicciola, nell’Isola di Ischia, dove giovinetto si trovava a villeggiare e dove trovarono la morte i suoi parenti. La successiva declinazione verso l’idealismo, al di là del fatto che suo tutore divenne lo zio, che era fratello di Bertrando Spaventa, viene appunto spiegata con la forza consolatoria della filosofia idealistica che, con la sua razionalità, compensava quel dolore angustiante mai sopito, e, probabilmente, anche l’assenza di una fede religiosa, da lui considerata forma imperfetta di sapere.

Il male, quindi, preliminarmente escluso da ogni identificazione tra reale e razionale, viene presentato da Cucci come l’anello debole del sistema filosofico costruito da Croce. Prima di difendere ed argomentare tale tesi, però, il docente dell’Università Gregoriana, nonché responsabile della rivista «Civiltà Cattolica», prepara le sue conclusioni con un’analisi critica delle tre espressioni dello Spirito crociano, in quanto, come vedremo meglio, le incongruenze inerenti la sua concezione del male nascono direttamente nella Logica, nella Storia, e, almeno in parte, anche nell’Estetica.

Per quanto riguarda quest’ultima, per esempio, che nel pensatore abruzzese contraddistingue la conoscenza intuitiva e coinvolge, ovviamente, il mondo dell’arte, ciò che particolarmente viene messo in evidenza è «l’aporia di Croce riguardo al rapporto forma-materia, o in altri termini, di Spirito e realtà» (p. 25). Il problema richiamato in tale osservazione, del resto, è nientedimeno che quello dell’esistenza o non esistenza di una realtà esterna, ovverosia di una metafisica, verso la quale, come precisa Cucci, Croce si è sempre disinteressato, sia sotto l’aspetto teologico che ontologico. Ciò nondimeno, l’analisi del docente mette in risalto una potenziale incoerenza dell’estetica crociana, in quanto l’intuizione sembra avere sotto di sé qualcosa di inesprimibile e tuttavia presente, in quanto, senza di essa, non sarebbe possibile alcuna conoscenza ed attività umana. La domanda, quindi, nella quale lo studioso vuole coinvolgere il lettore è la seguente: «Ma questa materia, pura passività, da dove deriva? Dal di fuori? Dall’esterno? E come sarebbe possibile, dal momento che lo Spirito è tutta la realtà, come afferma esplicitamente nella Filosofia della pratica, applicando quanto affermato nell’Estetica? » (p. 26). È evidente, che non è un rilievo da poco quello scoperto dalla rilettura interpretativa di Cucci, proprio perché darebbe adito a quella metafisica tanto deprezzata da Croce. Prescindendo da altre perplessità suscitate nell’autore dall’estetica crociana, risulta però opportuno soffermarsi maggiormente sulla seconda parte del libro, dedicata specificatamente alla logica, in quanto, come si diceva, l’analisi critica della tematica del male, almeno nella sua dimensione speculativa, origina proprio da essa.

Cucci, nel darne una presentazione d’insieme, precisa che la riflessione crociana è specificatamente tesa alla confutazione dell’Estetismo, del Misticismo e dell’Empirismo, espressioni filosofiche che, contraddicendosi, vorrebbero andare all’assalto del concetto armate di concetto, il quale, invece, non si può né negare né abolire. L’autore, muovendo quindi verso un’esposizione sistematica della logica crociana, la suddivide attraverso quattro consequenziali precisazioni. Nella prima approfondisce le caratteristiche generali del concetto. Nella seconda analizza la sua unità-distinzione. Nella terza illustra l’eliminazione della distinzione tra concetto e giudizio, e nella quarta spiega l’identità di concetto e giudizio individuale e la sintesi a priori logica. Sono questi, in effetti, i momenti essenziali della Logica di Croce, presentando i quali l’autore mette in evidenza tutta la sua chiarezza espressiva. Di essi cercheremo appunto di fare un riassunto, benché un’ulteriore sintesi vada certamente a discapito della comprensibilità della logica crociana che di per sé ha dei passaggi complessi. Cucci, a prescindere dalla suddetta difficoltà, presenta in prima istanza la distinzione tra concetto e intuizione, sottolineando che il primo, a differenza del secondo, non ha alcuna rappresentazione specifica, dal momento che si riferisce a tutte e a ciascuna insieme. Del concetto viene poi illustrata la concretezza, in quanto si riferisce a tutto quello che esiste, e, soprattutto, la sua immanenza, in quanto non può essere staccato dalla realtà. È questa una prospettiva in linea con il principio essenziale dell’idealismo. Croce, infatti, ha cura di sottolineare che il limite della trascendenza è proprio quello di svalutare il mondo, in quanto, contrapponendo quest’ultima ad una realtà altra e più vera, finisce, a suo dire, in un dualismo simile a quello kantiano. Dopo aver presentato poi l’universalità del concetto, viene spiegata la definizione crociana di «pseudo-concetto», ovverosia concetti che non rispondono a nulla di veramente universale e reale. Come nota Cucci, la speculazione del pensatore abruzzese sembra mirata alla dimostrazione della superiorità della filosofia sulle altre scienze conoscitive. Al riguardo, infatti, dopo aver fatto un breve elenco delle critiche crociane alle scienze «empiriche» e a quelle «esatte», l’autore palesa le proprie obiezioni nei riguardi del discredito del filosofo idealista verso tali scienze, annotando che «si può solamente osservare come l’esclusione delle scienze dal campo conoscitivo, così come la connotazione stessa della parola «pseudoconcetto», susciti diverse perplessità» (p. 49). Il professore della Gregoriana, infatti, dopo aver polemizzato con il suddetto neologismo crociano dispregiativo della scienza, ribadisce che «Relegare il sapere scientifico a non conoscenza non solo crea una profonda frattura con il sapere umanistico, ma viene anche ad incrinare profondamente il legame tra speculativo e pratico [. .] Se la pratica, la vita, sfuggono alla comprensione razionale, alla precisione del concetto, si finisce per legittimare pericolose derive irrazionalistiche» (p. 50). Un’ulteriore nota problematica sottolineata, riguarda, invece, la mancanza di una precisa diversificazione tra la singolarità dell’intuizione (questo lago) e l’universalità del concetto (il lago) (p. 50). Conseguenza finale di tale indistinzione, per esempio, è, secondo Cucci, che diventa difficile comprendere l’effettiva differenza tra le modalità conoscitive dell’estetica e della logica (p. 51).

Per quanto riguarda il secondo punto, l’unità e distinzione del concetto, l’autore si richiama alla nota convinzione crociana che la dialettica non deve coincidere, com’è invece in Hegel, con la semplice «sintesi degli opposti», ma anche con il «nesso di distinti». Questo paragrafo, in altri termini, permette a Cucci di affrontare l’universale concreto, cioè l’unità nella distinzione e nell’opposizione, e soprattutto la natura non lineare ma circolare della logica. Viene poi sottolineata dall’autore, il carattere di fondamentale immediatezza — non senza conseguenze — , della logica crociana: «infatti, se tutto è già visto qui ed ora, per il necessario collegamento dei concetti e delle forme dello Spirito, ogni discorso mediato ed inferenziale diventa superfluo e viene così a cadere» (p. 55). Nel terzo e quarto punto, Cucci passa poi ad illustrare l’identità tra concetto e giudizio definitorio e l’identità tra concetto e giudizio individuale. Identificazione che sarebbe lungo riassumere e spiegare adeguatamente, ma che, sostanzialmente, è alla base del conferimento crociano di piena positività ai fatti storici. Tale indistinzione è apppunto contesta da Cucci, il quale annota che «L’identificazione di giudizio definitorio e giudizio individuale e la stessa nozione di giudizio individuale (o storico) risultano tuttavia problematiche e difficilmente sostenibili» (p. 59). Secondo l’autore, infatti, «la concezione crociana del giudizio individuale cerca di unire due elementi tra loro incompatibili» (p. 60).

Passando poi all’esposizione della Storia, l’autore su quanto aveva già aveva anticipato nell’introduzione, Già nelle prime pagine, infatti, aveva sottolineato che per Benedetto Croce «la filosofia non è pura contemplazione, ma coincide con la storia e non ha consistenza al di fuori di essa» (p. 15). Il capitolo ad essa dedicato, quindi, prende criticamente in esame soprattutto la coincidenza tra logica ed ontologia, tra filosofia e storia. Chiarendo appunto uno dei termini fondanti del lessico crociano, Cucci spiega che «Tale legame strettissimo di filosofia e storia, di universale e particolare viene indicato dal Croce con il termine di «storicismo assoluto». La filosofia non è oziosa esercitazione accademica, ma questione di vita e di morte e riguarda tutti gli uomini nella loro situazione concreta: tutti sono infatti filosofi» (p. 69). Il docente della Gregoriana precisa ulteriormente, a questo riguardo, che storicismo va inteso come «piena fiducia nella ragione e nella intelligibilità della storia» (p. 70).

Per spiegare l’importanza di quest’ultima, e la sua facoltà di inquadrare i fatti, la sintesi di Cucci ritorna sull’identificazione tra i due giudizi, sottolineando che «l’identificazione crociana tra giudizio individuale e giudizio definitorio mira proprio a sottolineare la necessità dell’elemento teoretico della storia» (p. 68). Tale identificazione, infatti, significa «che il fatto storico è intellegibile solo se collegato alla totalità dello Spirito» (p. 68).

L’autore passa poi ad evidenziare vari altri aspetti della riflessione storica crociana, quali, ad esempio, la contemporaneità della storia. Concezione, questa, che tende appunto ad escludere dalla nozione di storia qualsivoglia accademismo. La storia, in questa angolatura prospettica, diventa autobiografia, proprio perché «nella vicenda di un uomo si possono ritrovare le vicende di tutti gli uomini» (p. 72). Viene quindi commentata la concezione crociana di storia come autobiografia, ovverosia la convinzione del filosofo abruzzese che «nella vicenda di un uomo si possono ritrovare le vicende di tutti gli uomini» (p. 72); ma anche la coincidenza tra soggettività ed oggettività, che autorizza a dedurre che «La storia è dunque legame inscindibile di pensiero e azione, di conoscenza e praxis» (p. 78). Soprattutto, però, anticipando il contenuto dei capitoli successivi, Cucci commenta la fede crociana nella positività e nel progresso della storia. Persuasione che aveva portato l’idealista italiano ad affermare che «il valore dell’atto risiede nell’atto stesso. Tutto ciò che accade è giusto che sia accaduto così, perché è la puntuale concretizzazione dello Spirito (p. 83). L’autore chiude infine la sua disamina intorno alla riflessone sulla Storia sviluppata dal pensatore abruzzese, con una frase che ben ne riassume il significato e le implicanze ultime: «Il circolo della filosofia crociana viene così a chiudersi: tutto è razionale, poiché tutto è opera del concreto svolgimento dello Spirito, razionalità piena e assoluta. Per questo la trascendenza è sinonimo di mitologismo, di fuga dalla realtà storica, sfiducia nell’operata dell’uomo» (p. 84).

Con il quarto capitolo, dopo l’analisi dell’estetica, della logica e della storia, Cucci inizia ad analizzare direttamente la questione del male. Come si accennava, l’autore lo studia nelle sue due dimensioni basilari: quella speculativa e quella pratica. Per quanto riguarda la prima, quindi, si richiama alla logica e, per quanto riguarda seconda, invece, si risofferma sulla storia. Da questo punto di vista, diviene facile comprendere quanto importante sia stato la precedente rassegna sulle tre dimensioni dello Spirito, prescindendo dalla quale sarebbe risultato assai difficile tematizzare la suddetta questione.

Nell’indagine critico-speculativo sul male, Cucci prende prima in esame la «dialettica degli opposti» e poi «l’errore». L’autore, cioè, ritorna, sulla logica ed in particolare sulla differenza tra «opposti» e «distinti» trascurata da Hegel e sull’uni-distinzione del concetto. In sintesi, viene da lui sottolineato che la simultanea compresenza nel reale di negativo e positivo, l’universale-concreto appunto, fa sì che sia impossibile «parlare del «negativo» come qualcosa esistente in sé e per sé» (p. 87). Questa negazione logica e dialettica del male, però, è esplicitamente contestata da Cucci, in quanto, come scrive, «Inglobando il male nella dialettica, Croce lascia tuttavia in sospeso il problema del suo statuto ontologico» (p. 95).

Viene poi analizzata la negazione crociana dell’errore, per il quale esso ha «una sua autonomia soltanto se considerato astrattamente, al di fuori della sua necessaria relazione con il contrario ad esso speculare» (p. 97). Il filosofo della Gregoriana, al riguardo, riporta appunto varie argomentazioni che smentiscono tale convinzione. Essa, infatti, si basa, a suo avviso, sulla negazione del procedimento inferenziale, che è appunto «alla base della maggior parte degli errori, piccoli o grandi che quotidianamente si commettano» (p. 102).

Per quanto riguarda, invece, la dimensione pratica del male, Cucci ne analizza principalmente due aspetti: la risoluzione dialettica e quella inerente la questione — centrale nell’ultima fase filosofica di Croce — , della vitalità. Per quanto riguarda il primo aspetto, la tesi contestata è appunto la convinzione del filosofico abruzzese che «La coincidenza dell’essere con il dover essere è alla base della «necessità storica», del dinamismo del divenire storico nel suo passaggio dal bene al meglio» (p. 106). Croce, con questo modo di ragionare, come sottolineano le pertinenti annotazioni del docente della Gregoriana, fa coincidere il bene ontologico con il bene morale, ma in questo modo la metafisica diventa una cosa sola con l’etica e viene negata l’essenza di un individuo al di là del suo essere puntuale. Corollario di tale prospettiva, cioè, è la perdita non tanto della differenza ontologica, ma della sussistenza della individualità stessa. L’autore, attento indagatore delle crepe del sistema crociaano, nota però che «questa negazione va incontro a serie difficoltà» (p. 108). Proponendo un’argomentazione dissuasiva, spiega infatti Cucci che «la realizzazione di opere complesse implica di per sé la permanenza dell’individuo nel tempo; inoltre, nel corso della loro realizzazione, è possibile distinguere atti strumentali in ordine allo scopo finale» (p. 108). Dopo aver riportato alcuni passi nei quali il filosofo abruzzese sembra essersi contraddetto, l’autore conclude scrivendo: che «L’individuo dunque non si risolve nelle sue opere; è qualcosa di ulteriore» (p. 109). Oltre a ciò, Cucci contesta anche la concezione crociana del male come passaggio da una forma all’altra di Spirito, sottolineando che «Il male si presenta comunque come una realtà ineliminabile, sia che lo si concepisca come mancanza, stasi, o momento di passaggio; in tutti questi contesti esso si rivela irriducibile alla piena positività» (p. 113). Lo studioso gesuita, chiude quindi il capitolo con quanto già aveva anticipato nelle pagine iniziali: «l’ineludibilità del male e la messa in crisi dello storicismo assoluto, dato che il male non può essere ridotto a semplice astrazione logica» (p. 20). Passando poi a quella che è divenuta il problematica centrale dell’ultimo Croce, Cucci affronta la vitalità, che egli legge anzi come «un ultimo tentativo di elaborare una risposta al male» (p. 115). Quest’ultima, intesa come limitazione intrinseca ad ogni forma dello Spirito, diventa una chiave interpretativa di tutte le tragedie storiche, nella misura in cui, come viene sintetizzato, «la storia è dominata da due forze contrapposte, «l’impero vitale» e «la creatività morale», l’una essenziale all’altra» (p. 118). Il tema della vitalità, in sintesi, caratteristico come si diceva dell’ultimo Croce e coincidente con la vecchiaia e l’approssimarsi della morte, rivelerebbe un doppio volto, finanche contraddittorio, dell’idealista abruzzese, il cui percorso filosofico si sarebbe appunto fatto, negli ultimi anni di vita, oscillante e tormentoso. Come Cucci annota puntualmente: «Il tema della vitalità mostra anche la scissione tra il Croce «idealista» ed il Croce «realista», il primo che riduce i singoli individui a meri simboli, il secondo, storico e letterario, che al contrario considera in primo luogo l’unicità e la peculiarità del singolo» (p. 120). In altre parole il confronto concreto con lo spettro della morte, avrebbe fatto emergere in Croce, in un contesto di esistenzialistica e drammatica sofferenza, il dubbio della non coincidenza, allo stato pratico, tra individuo e Spirito.

È questo, appunto, uno dei temi delle conclusioni di Cucci, all’interno delle quali ritorna anche sulle aporie strutturali dello storicismo assoluto, inteso come pieno governo della razionalità della storia, e sulla questione della libertà. Quest’ultima, infatti, «rimette in discussione anche la concezione crociana della libertà» (p. 138). Essa, allo stesso senatore abruzzese, sarebbe parsa una ineliminabilità: «Croce stesso riconosce che l’uomo deve agire in un modo, ma può anche prendere altre strade. La moralità non può dunque risolversi nell’accadimento, rimane un dislivello che richiama nuovamente la necessità di distinguere bene ontologico da bene morale, perché il dover essere non può identificarsi semplicemente con l’essere» (p. 139). Il saggio passa infine ad illustrare il male come contraddizione e, in ultimo, come cifra della differenza ontologica. Per Croce, infatti, «il male è da considerarsi come un opposto, sempre superato sul piano dialettico. Nella sua concezione gli opposti risultano essere di fatto dei contrari: il contraddittorio come tale non trova cittadinanza nel discorso crociano. Non considerando il caso della contraddittorietà, Croce viene così a negare la realtà propria del male, perché esso, se riconosciuto, smentirebbe gli assunti fondamentali del suo sistema» (p. 143). Per quanto concerne, invece, la heideggeriana differenza ontologica, l’autore nota che «L’esperienza del male come frattura nell’essere, una esperienza che non può essere negata neppure da Croce, porta ad affermare che tra Spirito e individuo (o, in altri termini, tra Essere ed ente) non solo non può darsi una relazione di piena identità, ma neppure di totale trasparenza; si deve piuttosto riconoscere il salto, proprio della trascendenza, dell’Essere, rispetto all’ente» (p. 144).

Il libro di Cucci, in definitiva, ha il doppio merito, come si diceva, di presentare in modo chiaro e sintetico il pensiero di Croce, e di analizzare la poco esplorata questione del male. Lo studioso gesuita mette appunto in evidenza i punti deboli dell’estetica, della logica e della storia crociana, ma, soprattutto, le aporie del suo storicismo assoluto, che vorrebbe negare ad un tempo la realtà del male, quella della libertà, della differenza ontologica e della trascendenza, senza, in sostanza, riuscirci.

Sono soprattutto le pagine della conclusione, dunque, quelle che mettono in evidenza il fallimento e le crepe del sistema crociano, di cui il suo ideatore stesso, nell’ultima parte della vita, almeno in parte, sembra essere stato cosciente. Queste pagine finali, sono sicuramente quelle più stimolanti del saggio, in quanto l’esposizione, una volta alleggerita dalla fatica di rappresentare in modo esplicativo i tortuosismi dell’architettura idealistica ed una volta arricchita da pregnanti e indicative annotazioni biografiche, si fa viepiù intensa ed esistenzialmente meditabonda. Non soltanto, cioè, lo scrivere si fa narrativo e Cucci si rivela una penna di fine eleganza stilistica, ma il messaggio filosofico del saggio si carica di una decisa valenza spirituale ed esistenziale. La ricostruzione narrativa dell’animo tormentato ed inquieto dell’ultimi anni crociani, racconta, in fondo, il fallimento di un filosofare senza fede. Paradosso di un pensiero che doveva essere tutt’uno con un reale di cui invece la realtà stessa, con la sua inesorabilità, svela e manifesta i limiti pregiudiziali. Le incongruenze individuate o riportate da Cucci, infatti — di cui quella sul male è appunto la più significativa — stanno ad indicare che neanche l’apparentemente più esatto e perfetto dei sistemi filosofici può in verità eludere quel mistero e quella tragedia dell’essere a cui solo gli argomenti della fede possono dare una risposta. In fondo, la crisi esistenziale, ancor prima che filosofica, dell’ultimo Croce dà attestazione esattamente di questo.