1. Feuerbach
Nella discussione sul rapporto Feuerbach-Marx non si può prescindere da una trattazione del pensiero di Feuerbach, e, in particolare, della sua evoluzione. Solitamente sono due le chiavi di accesso alla filosofia di Feuerbach: la critica antireligiosa e il materialismo. Non disconoscendo il rapporto intimo che lega i due versanti, tuttavia io mi soffermerò particolarmente sul secondo. Il pensiero per Feuerbach è essenzialmente intuitivo. Nell’interpretazione di Claudio Cesa^[1] l’atto con il quale il pensatore giunge a cogliere il vero è un reale trascendimento della propria personalità. Esso è dunque immediato e non discorsivo, perché in una mera successione
andrebbe perduta la prima condizione di ogni pensare, l’identità con sé e la congiunzione del diverso e del molteplice in una sola coscienza. Il pensare è semplicemente identità atemporale, l’abbracciare simultaneamente i gradini della mediazione: esso è sempre un atto che anticipa tutto quello che seguirà, un atto che afferma la sua supremazia sul discorsivo, un atto di intuizione.1
Dalla intuizione si distingue poi l’esposizione, questa si necessariamente discorsiva. Su queste basi Feuerbach non sembra nemmeno lontano da Kant. Tuttavia, a ben guardare, la differenza fondamentale che aveva creato un vero abisso tra Kant ed Hegel è che Kant rimane su un terreno gnoseologico, o quantomeno di una distinzione di campo tra gnoseologia e fede, Hegel invece prende le mosse dall’unità ontologica di pensiero ed essere. Feuerbach, fino al 1836 rimane fedele a Hegel: intuizione-spirito-infinito, non potendo essere in alcun modo condizionati dal finito, questo è già contenuto necessariamente nell’infinito; siamo cioè all’unità tra intuizione ed esposizione. Kant è ora decisamente lontano non solo perché questi negava l’identità di cui sopra, ma perché non intende un movimento dall’idea alla cosa, ma viceversa. Successivamente Feuerbach riconosce la confusione hegeliana tra soggettivo e oggettivo («si prese l’esposizione dell’idea per l’idea stessa»,[^3] ma non sembra respingere il movimento discendente dall’idea all’oggetto). Feuerbach criticava Hegel per l’identità di logica (soggettiva) e metafisica (oggettiva), in quanto l’oggettività è per lui adesso qualcosa che ha a che fare esclusivamente con l’uomo, ha cioè un contenuto propriamente umano:
non è soltanto per l’intelletto o la ragione, la coscienza in senso rigoroso, ma anche per una peculiare struttura della sensibilità più universale, ma essenzialmente altra che l’uomo si differenzia dagli animali. […] Non più a Dio l’uomo deve adeguarsi, ma al «genere».[^4]
«Soltanto un ente che ha per oggetto il proprio genere, la propria essenzialità, potrà darsi come oggetto altre cose o altri enti veduti nella loro natura essenziale»[^5] Sarebbero diverse le considerazioni da fare su questi termini; io mi limiterò a sottolineare il significato di quel darsi come oggetto altre cose. Feuerbach non ci darà mai una visione chiara dell’oggettività del mondo sensibile; esso non solo non potrà mai intendersi come qualcosa fuori dalla coscienza, ma sarà posto dalla coscienza come «un oggetto sensibile resistente alle intenzioni come ai raziocini umani, che costringe il soggetto a prendere atto della propria finitezza, a rendersi cioè conto di non essere identico con il “genere”.»2
Siamo ancora alla concezione del reale «come risultato del pensiero automoventesi» per esprimerci in termini marxiani, o alla «tendenza della ragione a ritrovarsi, a riconoscersi come se stessa in ogni cosa», per dirla con Hegel; tuttavia è chiara la conseguenza di questo discorso sul terreno della critica alla religione: «non più Dio comprende, nel suo essere, il mondo come suo esistere, come sua manifestazione, ma la ragione, l’intelletto, in quanto essenza dell’uomo, comprendono in sé (il che significa che fanno nascere da sé) la nozione stessa di Dio». Ciò che comunque mi interessa più da vicino è la sua teoria della conoscenza. Dati i presupposti di cui sopra, è chiaro come possano convivere in Feuerbach due istanze che non riescono ancora a conciliarsi; quella idealistica che iscrive la conoscenza nell’atto geniale di cui è capace il soggetto, e quella materialistica che però si specifica in senso empirista.
Già a cominciare dal libro su Leibniz (1837) Feuerbach aveva introdotto la passività come la strada per arrivare al riconoscimento della materia, ma non ne aveva tratto tutte le conseguenze. Ora può dire:
tu senti la qualità prima di pensarla. Il patire precede il pensare.3 […] L’essere come oggetto dell’essere è l’essere del senso, dell’intuizione, della sensazione, dell’amore. […] Solo nella sensazione, solo nell’amore, il «questo» — questa persona, questa cosa — il particolare assume un valore assoluto e il finito diventa infinito.4
Fin qui niente di strano. Si tratta, a parte l’ibrido persona-cosa, di una ritrattazione del problema soggetto-oggetto. Su questo piano, credo senza scandalo, anche Marx potrebbe convenire, sennonché Feuerbach aveva precisato che l’autentico sapere deve seguire le cose, deve esserne la «copia»;5 laddove le cose, gli oggetti sono proprio l’aria, la luce, il sostrato materiale. Dalla antropologia siamo ricaduti nella fisiologia e nella fisica. Certo, qualcuno, nella tradizione marxista, ha fatto proprio questo Feuerbach; Engels dirà, ad esempio:
per Hegel la dialettica è l’autoelevazione del concetto […] Era questa l’inversione ideologica che si doveva evitare. Noi concepiamo di nuovo i concetti del nostro cervello come riflessi delle cose reali, invece di concepire le cose reali come riflessi di questo o di quel grado di concetto assoluto.6
Ma queste cose Engels le scriveva quando Marx era già morto e, come si sa e come cercherò di dimostrare, Engels non è Marx. Il terreno della oggettività non sarà mai ben saldo nella filosofia di Feuerbach. Egli, ad esempio, pur non rifiutando il contributo delle scienze, non condivide le tesi del materialismo atomico o chimico;il mondo non è una mera accozzaglia di elementi:
ciò che rende mondo il mondo, sensibile il sensibile e materia la materia è qualche cosa che non può essere dedotto e mediato in termini teologici o filosofici; è qualcosa di indeducibile, del quale si può dire soltanto che è, che si può cogliere solo in grazia di lui, che si comprende muovendo da lui.7
Tutto ciò che però Feuerbach sa offrire in più rispetto alle metodologie scientifiche del suo tempo è una «insondabile vitalità manifestatasi attraverso il cosmico concatenamento di esistenze individuali sia insensibili, sia sensibili».8
Posta allora la incommensurabilità del reale e l’equiparazione di «esistenze individuali» sia insensibili che sensibili, si intende meglio il materialismo feuerbachiano. Da una natura repellente alla sua piatta e acritica accettazione, il passo è breve. Trasferiamo il discorso sul piano dell’analisi sociale e antropologica e il risultato sarà la filosofia hegeliana quale si evidenzia negli ultimi capitoli dello Spirito oggettivo di Hegel. Per concludere dunque il pensiero di Feuerbach oscilla sempre, nonostante la maturazione, tra un essenzialismo filosofico sul piano antropologico in cui l’uomo patisce e agisce solo perché capace di amare (il che è veramente poco, permettetemi, per Marx) e un materialismo acritico sul piano gnoseologico (anch’esso e più volte oggetto di una argomentata critica da parte di Marx). La distanza di Marx dall’essenzialismo feurbachiano si precisa almeno a partire da tre momenti:
- Il capitolo contro il «comunismo rozzo» contenuto nei Manoscritti;
- Il concetto dello scontro tra «forze produttive e rapporti di produzione»;
- Le tesi su Feuerbach, in particolare la tesi nº 6.
2. I manoscritti
La definizione di Feuerbach dell’uomo come «ente generico» è assolutamente astratta. Su questo concetto, sia Marx che S. Agostino potrebbero convenire. In effetti Marx va decisamente oltre. Egli avverte l’insufficienza della formulazione feuerbachiana, la possibile inflessione empiristica, oserei dire, che il termine potrebbe assumere; e anche quando farà suo il termine nei Manoscritti del ’44, parlerà di «consapevole ente generico».
Anche l’animale produce — dice Marx — esso si costruisce un nido, delle abitazioni come le api, i castori, le formiche ecc.; ma esso produce soltanto ciò di cui abbisogna immediatamente, per sé e per i suoi nati; produce parzialmente, mentre l’uomo produce universalmente; produce solo sotto il dominio del bisogno fisico immediato, mentre l’uomo produce anche libero dal bisogno fisico e produce veramente soltanto nella libertà del medesimo. L’animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene, […] l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza.9
Nel trasformare il mondo oggettivo, dunque, l’uomo si realizza come «ente generico», sennonché nella società capitalistica «il lavoro alienato sottrae all’uomo l’oggetto della produzione» e, ugualmente, quando la soglia di spontaneità nel lavoro si abbassa la vita generica dell’uomo ne viene insidiata. Ma se il lavoro non appartiene all’uomo a chi appartiene, si chiede Marx? Certamente nei tempi antichi, con la costruzione dei Templi, il prodotto del lavoro era esclusivo degli dei. Tuttavia «gli dei non furono mai i soli padroni del lavoro. Tanto meno la natura. […] Il rapporto dell’uomo a se stesso è oggettivo e reale soltanto per il rapporto degli uomini agli altri uomini».10 Il «realismo» marxiano si precisa ulteriormente rispetto al materialismo di Feuerbach nel capitolo su Proprietà privata e comunismo. Comunismo è, nella sua prima fase, la «generalizzazione e la perfezione» della proprietà privata.11 In questa fase anche la comunione delle donne potrebbe avere luogo in quanto ancora «il possesso fisico immediato vale come unico scopo della vita e dell’esistenza».12 Ma questo comunismo «rozzo», «in quanto nega la personalità (sic!) dell’uomo ovunque è soltanto l’espressione conseguente della proprietà privata che è tale negazione».13 In linea con questa affermazione, secondo Marx «Il rapporto naturale, necessario dell’uomo all’’uomo è il rapporto alla donna. […] Dal carattere di questo rapporto consegue quanto l’uomo è divenuto uomo e si è colto come ente generico, come uomo».14 L’accento qui, come si può notare, non è tanto posto sulla comunione, quanto sulla qualità del rapporto. Il vero comunismo è:
in quanto compiuto naturalismo, umanesimo, e, in quanto compiuto umanismo, naturalismo. Esso è la verace soluzione del contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo; la verace soluzione del conflitto fra esistenza ed essenza, fra oggettivazione e affermazione soggettiva, fra libertà e necessità, fra individuo e genere.15
Si può ancora sostenere che Marx è un sognatore o un utopista, ma certo non lo si può tacciare di bieco sensismo o di essere un piatto e acritico materialista. Certo, questa è la fase in cui Marx è maggiormente influenzato dall’essenzialismo antropologico di Feuerbach: si susseguono spesso, nella sua trattazione, espressioni del tipo «specifica essenza dell’uomo», «appropriazione dell’umana essenza», a parte i meriti che egli riconoscerà più avanti esplicitamente a Feuerbach.16 Il tutto però non si esaurisce mai nel filantropismo feuerbachiano:
l’umanità della natura c’è soltanto per l’uomo sociale: giacché solo qui la natura esiste per l’uomo come legame con l’uomo, come esserci dell’uomo per l’altro e dell’altro per lui; e solo in quanto elemento vitale della realtà umana essa è a fondamento della umana esistenza.17
L’ente generico non è più l’individuo che ha trasferito sulla religione qualità, valori ed essenze che sono, invece, propriamente umani e di cui si deve riappropriare, ma ente sociale e
l’attività sociale e lo spirito sociale non esistono affatto soltanto nella forma di una diretta attività comune e di un diretto spirito comune. […] La mia coscienza generale è soltanto l’aspetto teoretico di ciò cui la reale comunità, l’essere sociale, è la vivente forma.18
Tutte le comunità esistite sino adesso — prosegue Marx — non sono che surrogati in cui l’uomo partecipa non come persona ma come membro di una classe, mentre, perdonatemi ancora una citazione, «il comunismo si distingue da tutti i movimenti finora esistiti in quanto rovescia la base di tutti i rapporti […] e, per la prima volta, tratta coscientemente tutti i presupposti naturali come creazioni degli uomini».19 Dalla qualità del rapporto che l’uomo istituisce poi con le cose sensibili, con gli oggetti, dipende la qualità del rapporto tra sé, individualità consapevole, e gli altri uomini. Perciò gli oggetti indipendenti non possono esistere solo come oggetti del suo bisogno, essenziali, indispensabili ad attuare e confermare le sue forze essenziali, il che corrisponde al punto di vista della proprietà privata:
è essa che ci ha fatti talmente ottusi e unilaterali che un oggetto è nostro solo quando lo abbiamo, quando dunque esiste per noi come capitale, o è immediatamente posseduto, mangiato, bevuto, portato sul nostro corpo, abitato ecc., in breve utilizzato. Sebbene la proprietà comprenda tutte queste immediate realizzazioni del possesso soltanto come mezzi di vita, la vita cui servono come mezzi, è la vita della proprietà privata: lavoro e capitalizzazione.20
D’altronde la ricerca marxiana si era soffermata già nei primi due manoscritti su temi come salario, profitto, rendita fondiaria, accumulazione capitalistica. È a partire da questi interessi per l’analisi economica che, non solo assisteremo ad uno spostarsi del centro gravitazionale dalla coscienza alla società, ma piuttosto, soprattutto, ad una ridefinizione del compito della riflessione filosofica che, in quanto interrogazione del sociale, per esprimerci in termini moderni, è immediatamente praxis.«Si vede come soggettivismo e oggettivismo, spiritualismo e materialismo, attività e passività, soltanto nella società perdono la loro opposizione e però la loro esistenza di opposti.»21 Ricomposizione dunque, ma solo a muovere dalla esistenza dei due opposti. È così che, poco dopo, Marx può dire che l’elemento stesso del pensare, l’elemento della manifestazione vitale del pensiero, il linguaggio, è di natura sensibile. «Sensibile» che, a questo punto, non può più essere lo stesso «senso» di Feuerbach. Estrapolato dal contesto, questo concetto potrebbe indurre in errore, come si evince anche dall’affermazione che segue: «La sussistenza per opera propria della natura e dell’uomo è inconcepibile perché contraddice a tutte le evidenze della vita pratica»22 dove natura e coscienza, bisogno e volontà libera sono fortemente intrecciati. Il «dualismo realistico» è, dunque, un problema che riguarda Feuerbach, non Marx. A partire da questo dualismo Feuerbach, come espressamente dice Marx, potrà restaurare l’astrazione dell’infinito dopo avere posto il finito, il sensibile come negazione dell’infinito. «Feuerbach concepisce dunque la negazione della negazione solo come la contraddizione della filosofia con se stessa, come la filosofia che afferma la teologia (trascendenza) dopo averla negata e l’afferma dunque in contrasto seco stessa».23 Dunque, in linea con Hegel, egli «ha soltanto trovato l’espressione astratta, logica, speculativa, del movimento della storia, che non è peranco la storia reale dell’uomo come soggetto supposto, ma soltanto atto creazionistico, storia originaria dell’uomo».[^28] In questione qui non è tanto un preteso materialismo di Feuerbach, ma piuttosto una contraddizione non risolta, una soggezione del filosofo al metodo hegeliano. Nella maturità infatti, in polemica con i materialisti alla Moleschott egli potrà dire:
per me, come per loro, l’uomo è un ente naturale, scaturito dalla natura; ma l’oggetto fondamentale della mia ricerca è rappresentato da quel complesso di pensieri e di fantasie che scaturiscono dall’uomo, e che nella opinione e nella tradizione degli uomini sono considerati enti reali.24
Il materialismo di Feuerbach è solo l’altra faccia della stessa medaglia.
3. L’ideologia tedesca
«Le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze».25 Le circostanze di cui qui si parla non sono delle circostanze casuali, ma quelle che ci sono date nella cosiddetta società civile e, più precisamente, le «forze produttive», «i capitali», le «forme di relazione sociale»: sono essi oramai la «base reale di ciò che i filosofi si sono rappresentati come “sostanza” o “essenza dell’uomo”».26 E coi filosofi anche gli storici, «questi alteri e magniloquenti bottegai del pensiero», Bruno Bauer in testa, hanno sempre visto nella storia «soltanto azioni di capi, di Stati, di lotte religiose e, in genere, teoriche».27 Non diversamente da Stirner e Bauer anche Feuerbach nella Filosofia dell’avvenire spiega:
come le condizioni determinate di esistenza, il modo di vita e l’attività di un individuo animale o umano siano quelle in cui la sua «essenza» sia soddisfatta. […] Se, dunque milioni di proletari non si sentono per niente soddisfatti delle loro condizioni di esistenza, se il loro essere non corrisponde neppure lontanamente alla loro «essenza» […] questa sarebbe una disgrazia inevitabile. […] In simili casi, quindi Feuerbach non parla mai del mondo umano, ma ogni volta si rifugia nella natura esterna, e proprio in quella natura che non è stata ancora sottomessa al dominio dell’uomo.28
Nell’Ideologia Marx compie un altro passo decisivo verso l’abbandono dell’essenzialismo feuerbachiano attraverso il concetto fondamentale, che si era già affacciato nei Manoscritti ma che sarà alla base dell’elaborazione futura, del contrasto tra forze produttive e rapporti di produzione. Questo non è un concetto applicabile esclusivamente alle società capitalistiche avanzate; esso è il concetto chiave che ci consente di penetrare tutta la storia passata e spiega il passaggio da un’epoca ad un’altra. Questo contrasto, a sua volta, non potrà essere sanato finché non saranno cessati i contrasti di classe. Inoltre, e questo è il punto di maggiore interesse, la classe dominante «non può essere abolita togliendosene dalla testa l’idea generale, ma soltanto se gli individui sussumano nuovamente sotto sé stessi quelle forze oggettive, abolendo la divisione del lavoro».29 Fino a questo momento gli individui sono entrati in rapporto tra di loro in quanto membri di una classe, la loro unione non era frutto di un patto stabilito in piena libertà come sostiene Rousseau nel Contratto sociale, quanto in una condizione di necessità stabilita dai rapporti tra forze produttive e rapporti di produzione. È in questo quadro che gli individui possono godere di quella casualità che viene indicata come «libertà personale». I proletari rivoluzionari si distinguono da tutto ciò in quanto «prendono sotto il loro controllo le condizioni di esistenza proprie e di tutti i membri della società, è proprio l’opposto: ad essa [società] gli individui prendono parte come individui».30 La separazione tra società civile e lo stato politico è considerata da Marx un «progresso» rispetto alla teoria precedente in quanto ha comportato l’abolizione di privilegi, almeno sul piano politico. Il prezzo che però la società ha dovuto pagare è stato ancora la separazione tra l’homme il citoyen; il primo chiuso nella propria immediata esistenza, il secondo come uomo «astratto», persona «allegorica» e «morale».31 Solo quando l’uomo reale, individuale, riassorbe in sé il cittadino astratto e come uomo individuale nella sua vita empirica, nel suo lavoro individuale, nei suoi rapporti individuali è ritenuto ente generico, soltanto quando l’uomo ha riconosciuto e organizzato le sue forces propres come forze sociali, e perciò non separa più da sé la forza sociale nella figura della forza politica, soltanto allora la forza umana è compiuta.32
Già qui, come sostiene anche Luporini,33 l’appartenenza al genere nel senso feuerbachiano è piuttosto un compito che un dato.
Anche quando Marx nell’Ideologia prenderà la difesa di Feuerbach contro Bauer, lo farà tenendo ben distinta a sua prospettiva. Così quando Bauer contesta allo stesso di avere fatto del bisogno una potenza «al di sopra di lui», Marx risponde che «l’errore di Feuerbach non sta nell’avere enunciato questo fatto, ma nell’averlo reso autonomo idealizzandolo, invece di interpretarlo come il prodotto di uno stadio di sviluppo storico determinato e superabile.»[^39]
Come l’umanesimo, quindi, consiste per San Bruno nel «pensare» e nel «costruire un mondo spirituale», così «Il materialista riconosce soltanto l’essenza presente, reale, la materia» (come se l’uomo con tutte le sue qualità, compreso il pensiero, non fosse un «essenza presente reale») «e riconosce questa materia come attivamente allargantesi e realizzantesi nella molteplicità come natura» […] Prima esiste — questo il commento di Marx — il concetto della materia, l’astratto, la rappresentazione, e questo si realizza nella natura reale. È letteralmente la teoria hegeliana della preesistenza delle categorie creative.34
Bauer, dunque, nella sua polemica contro Feuerbach e i suoi «pretesi consorti» (Marx), rispolvera il modo di procedere tipicamente hegeliano: aveva idealizzato il reale, il finito, nel senso che lo aveva semplicemente negato. La differenza con Feuerbach è che quest’ultimo aveva negato anche la negazione nella filosofia, ma per ambedue il finito, in ultima istanza è sempre qualcosa di irriducibile, di incommensurabile, di statico, di inerte, e questa, come ho cercato di dimostrare e come adesso dice Marx, quella «maniera estremamente limitata» con cui Feuerbach riconosce il sensibile.
4. Le tesi su Feuerbach
Nelle Tesi il processo di emancipazione di Marx dalla sinistra hegeliana è interamente compiuto. Essa aveva salvato la forma hegeliana (la dialettica e l’opposizione contraddittoria) rigettandone il contenuto (i riferimenti alla società prussiana). Per Marx, invece «la filosofia avutosi finora appartiene a questo mondo (la Germania) e ne è, in qualche modo, il completamento ideale», pertanto ogni reale progresso rispetto ad essa si può «ottenere soltanto attraverso la negazione della filosofia avutasi finora, della filosofia in quanto filosofia».35 Queste affermazioni possono sembrare generiche, quando in effetti esse toccano delle questioni delicatissime. I radicali hegeliani lanciano i loro strali contro la religione, ma lasciano sopravvivere, di fatto, un astratto modo di filosofare che presume di poter trascendere il reale. Su queste basi il progresso stesso è eliminato dalla storia. Raggiunta l’autocoscienza, non c’è che da prendere atto della identità di pensiero ed essere. Questa identità si può però intendere in due modi: come un dato o come un fieri. Hegel conclude per la prima modalità in quanto ammettere un’imperfezione in questo rapporto identitario ci porterebbe ancora al punto di vista del finito o del cattivo infinito. La ragione invece è «rotonda», in quanto contiene già in sé il diverso. Anche il punto di vista kantiano è quello di una ricomposizione di essere e pensiero, tuttavia la differenza è che questo pensiero (che non è La ragione) è un continuo farsi, è fondamentalmente induttivo, ipotetico e, quindi, aperto a prospettive diverse, parziali per definizione. Non sappiamo fino a che punto Marx conoscesse e apprezzasse Kant, certo è che il suo modo di procedere è molto più vicino all’induzione kantiana che alla dialettica hegeliana. La trattazione scientifica — sostiene Marx — sembra cominciare con il reale, ad esempio nell’economa con la popolazione; in effetti, ad un più attento esame, la popolazione è un’astrazione se io non considero le classi di cui è composta, e ancora queste sono parole prive di senso se non conosco gli elementi su i fondano, per esempio, la divisione del lavoro, il denaro, la rendita etc.36
Il concreto è concreto perché è sintesi di molte determinazioni ed unità quindi del molteplice. Per questo esso appare nel pensiero come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, benché sia l’effettivo punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell’intuizione e della rappresentazione. Per la prima via, la rappresentazione piena viene volatilizzata ad astratta determinazione; per la seconda, le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero. È per questo che Hegel cade nell’illusione di concepire il reale come il risultato del pensiero automoventesi, del pensiero che abbraccia e approfondisce sé in sé stesso, mentre il metodo di salire dall’astratto al concreto è solo il modo in cui il pensiero si appropria il concreto, lo riproduce come un chè di spiritualmente concreto. Ma mai e poi mai il processo di formazione del concreto stesso.37
Questo procedimento scientifico (per quanto tale si può definire un lavoro di scandaglio della società) è poi esemplificativo del modo in cui, solo, Marx può riferirsi all’uomo.
L’uomo è immediatamente ente naturale vivente, è da una parte fornito di forze naturali, di forze vitali, è un attivo ente naturale, e queste forze esistono in lui come disposizioni e capacità, come impulsi; e, d’altra parte, in quanto ente naturale, corporeo, sensibile, oggettivo, è un ente passivo, condizionato e limitato come è anche l’animale e la pianta: e cioè gli oggetti dei suoi impulsi esistono fuori di lui come oggetti da lui indipendenti, e tuttavia questi oggetti sono oggetti del suo bisogno, oggetti indispensabili essenziali alla manifestazione e conferma delle sue forze essenziali.38
Si potrebbe ancora continuare a lungo, ma mi pare di avere evidenziato sufficientemente come Marx, quantomeno e kantianamente, tenga presenti ambedue le prospettive e non solo la seconda. Solo a partire da questi presupposti si può intendere a pieno il senso delle Tesi su Feuerbach. È qui che Marx registrerà schematicamente, quasi con uno stile notarile, la sua definita lontananza dalle tesi della sinistra hegeliana e da Feuerbach in particolare.
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi (compreso quello di Feuerbach) è che l’oggetto, la realtà, la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell’obietto e dell’intuizione, ma non come attività umana sensibile, attività pratica; non soggettivamente. Di conseguenza il lato attivo fu sviluppato astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo. (Tesi nº 1.)
È vero che Marx aveva sostenuto nei Manoscritti che l’uomo è un «ente patiens», è un ente che, in quanto avverte il suo stesso patire, è «appassionato», tuttavia e non per caso, sente subito il bisogno di precisare che:
l’uomo non è soltanto un ente naturale, ma un ente naturale umano: cioè ente che esiste a sé stesso, perciò ente generico e, come tale, deve attuarsi e confermarsi tanto nel suo essere che nel suo sapere. Né la natura obiettiva, né la sintesi subiettiva, è immediatamente presente come adeguata all’ente umano.39
Questo «ente generico» non è più, dunque, quello stesso di Feuerbach (anche le Tesi sono del ’45), né prima né dopo. In ogni caso, per chi avesse ancora dubbi, Marx dirà nella VI tesi:
Feuerbach non penetra nella critica di questa essenza reale, e perciò è costretto:
- Ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presupporre un individuo umano astratto, isolato;
- L’essenza può dunque essere concepita soltanto come genere, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente».
E nella IX: «L’altezza massima a cui può arrivare il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce il mondo sensibile come attività pratica, è l’intuizione dei singoli individui nella “società borghese”». Per concludere nella tesi nº 10: «Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese, il punto di vista del materialismo nuovo è la società umana e l’umanità sociale». La radice dell’errore del vecchio materialismo, aggiungo io, sta ancora nella confusione tra opposti reali e contraddizione logica: come Hegel aveva presupposto una erronea opposizione tra società civile e stato, Feuerbach presuppone un’opposizione tra filosofia e religione, e come il primo risolve tutto nell’organismo statale, così Feuerbach pensa di eliminare la contraddizione semplicemente abolendo la religione.
5. Conclusioni
Tutti e tre i capitoli sono stati chiusi con un riferimento alla dialettica e non a caso. Se noi non diamo, ai fini di un chiarimento del rapporto tra Marx ed Hegel e quindi tra Feuerbach e Marx, una giusta valutazione del contraddittorio, non solo rischiamo, come nel presupposto di ogni religione, di eliminare il finito, ma (il che è più grave), dovendo il pensiero, l’essenza, l’infinito anche esistere necessariamente, rischiamo di restaurare surrettiziamente la realtà nei suoi aspetti più immediati e sensibili, facendo altresì, il che non sarebbe meno grave, di Marx un Leibniz redivivo. Trasferire la dialettica logica hegeliana così com’è alla materia, dunque è un’operazione equivoca e inconcludente. Questa operazione, ribadisco, non è di Marx ma di Engels e, prima ancora, se vogliamo, di Feuerbach.
Fino a quando consideriamo le cose in stato di riposo e prive di vita, ciascuna per sé, l’una accanto all’altra, l’una dopo l’altra e certo — avverte Engels — che in esse non troveremo alcuna contraddizione. […] Tutt’altra cosa allorché consideriamo le cose nel loro movimento, nel loro cambiamento, nella loro vita, nella loro azione reciproca. Qui cadiamo subito in contraddizioni. Lo stesso movimento è una contraddizione; già persino il semplice movimento meccanico locale si può compiere solamente perché un corpo in un solo e medesimo istante è in un luogo e nello stesso tempo in un altro luogo, è in un solo e medesimo luogo e non è in esso.40
Il principio di contraddizione è dunque il principio di movimento e la negazione della negazione è la modalità che gli è peculiare. Che cos’è la ‘negazione della negazione’? Risponde Engels:
una legge di sviluppo estremamente generale della natura, della storia e del pensiero e che appunto perciò ha un raggio d’azione e un’importanza estremamente grandi; legge che, come abbiamo visto, risalta nel mondo animale e vegetale, nella geologia, nella matematica, nella storia, nella filosofia.41
È tutto qui l’equivoco che porterà Engels, apparentemente così lontano da Hegel, a «misconoscere», come Hegel, la realtà e, nella realtà, l’originalissima «trascendentalità» del pensiero affermata da Kant. Non a caso con Engels il pensiero, nel senso delle categorie logiche e della elaborazione intellettuale, torneranno ad essere meri riflessi della materia concepita in chiave dialettica. In effetti, nella storia del pensiero marxista, questo equivoco, un po’ per la sua più facile traduzione verbale, un po’ per contrastare positivismi e razionalismi trionfanti verso la fine del XIX sec.,42 un po’ per ignoranza (nel senso della non conoscenza dei testi),43 ha avuto parecchia fortuna. Allo stesso modo di Engels, l’equivoco sarà di Plechanov («La peculiarità di ogni finito è di negare se stesso e trasformarsi nel suo contrario») e, come Plechanov anche Lenin («Mi sforzo di leggere Hegel materialisticamente; Hegel è il materialismo messo testa all’ingiù»). Per una buona conoscenza di Marx è invece necessario, a mio parere, abbandonare le acque torbide della «dialettica della natura» e tornare piuttosto al materialismo storico proprio di Marx.
Ibidem.
Ibidem.
L. Feuerbach, Scritti filosofici, Roma-Bari, Editori Riuniti, p. 108.
Ibidem.
K. Marx, L’ideologia tedesca, cit., p. 80.
-
Ivi, cit. p. 25-26. ↩︎
-
L. Feuerbach citato da C. Cesa (a cura di) Introduzione a Feuerbach, cit. p. 30. ↩︎
-
L. Feuerbach, Scritti filosofici cit. p. 184. ↩︎
-
Ivi, cit. p. 252. ↩︎
-
Ivi, cit., p. 212. ↩︎
-
F. Engels, Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, 1886, Trad. Rinascita 1950, p. 50-52. ↩︎
-
L. Feuerbach, L’essenza della religione, cit. in Cesa, Introduzione a Feuerbach, cit. p. 58/59. ↩︎
-
L. Feuerbach, Scritti filosofici, p., 212. ↩︎
-
K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Roma: Editori Riuniti, pp. 199-200. ↩︎
-
Ivi, p.201. ↩︎
-
Ivi, p.223. ↩︎
-
K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit, p. 224. ↩︎
-
Ivi, p. 224. ↩︎
-
Ivi, p. 225. ↩︎
-
K. Marx, O.F.G., cit., Terzo manoscritto, p. 226. ↩︎
-
Ivi, p. 259. ↩︎
-
Ivi, p. 227. ↩︎
-
Ivi, p. 228. ↩︎
-
K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1967 p. 57-58. ↩︎
-
K.Marx, O.F.G., cit. p. 229. ↩︎
-
Ivi, p. 231. ↩︎
-
Ivi, p. 234. ↩︎
-
K. Marx, O.F.G., cit. p. 259-260. ↩︎
-
L. Feuerbach citato in C. Cesa, Introduzione a Feuerbach, cit. p.107. ↩︎
-
K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1967, p.30. ↩︎
-
Ivi, p. 30. ↩︎
-
Marx-Engels, L’ideologia tedesca, cit., 1972, p. 31-32. ↩︎
-
Marx, Engels, L’ideologia tedesca, cit. p. 34-35. ↩︎
-
Ivi, p. 54. ↩︎
-
Ivi, p. 57. ↩︎
-
Cfr. K. Marx, La questione ebraica, in Scritti politici giovanili Roma, Einaudi, 1975, p. 384. ↩︎
-
Ivi, p.385. ↩︎
-
Cfr. C. Luporini, Introduzione a L’ideologia tedesca., cit. ↩︎
-
Ivi, p. 84. ↩︎
-
K. Marx, Introduzione alla critica della filosofia hegeliana del diritto. In Scritti politici giovanili, cit., p.402-403. Questi scritti risalgono al periodo agosto ’43-gennaio ’44. ↩︎
-
Cfr. K. Marx, Introduzione alla critica dell’economia politica del ’59, In Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, 1973. ↩︎
-
Ivi, p.189. ↩︎
-
K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., p. 267. ↩︎
-
Ivi, p. 268 (Le sottolineature sono mie). ↩︎
-
F. Engels, Antidhuring, Roma, Editori Riuniti, 1971, p.128. ↩︎
-
Ivi, cit. p. 149-150. ↩︎
-
Cfr, Valentino Gerratana, Introduzione a l’Antiduhring, In F. Engels, Antiduhring. ↩︎
-
I Manoscritti di K. Marx furono resi noti in Europa, solo nel 1929 e L’ideologia tedesca nel 1932. ↩︎