Nietzsche critico della morale e del cristianesimo

Sono molti gli studi usciti negli ultimi trent’anni sul pensiero di Nietzsche che, per molti aspetti, rimane ancora attuale. Il desiderio di cimentarsi con un pensiero così ricco e complesso ci ha condotto a riscoprire un testo spesso e volentieri trascurato dagli studiosi: Umano troppo Umano. Sarà a partire dalle pagine di quest’opera, che riteniamo fondamentale nell’itinerario filosofico di Nietzsche, che tenteremo di presentare alcune riflessioni su morale e cristianesimo, argomenti centrali del pensiero nietzschiano, che saranno approfonditi nelle opere successive.

1. Cammino di liberazione

Negli otto numeri della prefazione di Umano troppo umano, Nietzsche, oltre a fornirci le motivazioni prime necessarie sulla formazione di quest’opera, presenta un vero e proprio cammino di liberazione attraverso il quale il singolo individuo deve passare per giungere alla matura libertà di spirito. Ci pare importante, allora, analizzare e descrivere queste tappe, scoprire il dinamismo che troviamo in esse, per giungere ad una comprensione più completa dello spirito libero.1 L’uomo non è sinonimo di tranquillità e pacatezza, non è come un lago montano dove nulla interviene a mutare l’eterna stabilità delle sue acque. Secondo il nostro, durante la vita dell’uomo avvengono eventi che per la loro incisività si possono definire addirittura catastrofici. Il primo di questi è chiamato da Nietzsche la grande separazione.2 È un momento senza precedenti nella storia del singolo individuo, un «momento improvviso come una scossa di terremoto».3 La vittima di questa nuova situazione esistenziale non è l’uomo maturo, equilibrato, che può e sa decidere saggiamente. È, invece, una giovane anima, che non riesce a controllare i nuovi impulsi vitali, che si dibatte e si meraviglia per il nuovo mondo. Nietzsche descrive con accurato ardore i sentimenti propri di questo particolare periodo, sperimentati dal giovane. Infatti: «si svegliano in esso una volontà ed un desiderio di andare avanti […] Una pericolosa curiosità verso un mondo ignoto serpeggia fiammeggiando in tutti i suoi sensi. Una smania ribelle, capricciosa di peregrinare, espatriare, estraniarsi».4 Alla tranquillità e serenità tipica della fanciullezza e, per un certo verso, anche dell’adolescenza, alla soglia della maturità si contrappone un momento di smarrimento ove tutto viene messo in discussione. È molto importante notare questo, perché Nietzsche sembra voler dire che spiriti liberi non si nasce. Occorre saper cogliere il momento di transizione per rifondare la propria esistenza su basi nuove, che permetteranno al singolo individuo di librarsi disinvolto verso mondi sconosciuti, considerati tabù per la gente normale o meglio, per coloro che hanno avuto paura di compiere il primo «volo» compromettendo in modo definitivo ed irreparabile la grande possibilità di vivere in libertà.

Quella degli spiriti liberi non è, quindi, una casta ristretta per pochi eletti, bensì una possibilità che ogni singolo individuo incontra nel suo cammino. Ci possiamo chiedere: che cosa è stato a provocare il cambiamento? Perché la giovane anima vuole scappare? E da chi? Seguendo il discorso tracciato dal nostro non è difficile rispondere. Infatti, è la nausea e l’insofferenza delle cose di sapore antico, del già determinato, fissato in modo inarrivabile, è il rifiuto verso ciò che prima di questo momento drastico l’individuo considerava buono e giusto, rispettoso e degno di venerazione.5 È un «gesto sacrilego all’indietro che lo portano ad andare verso le cose più proibite, per dimostrare a sé stesso il suo dominio sulle cose».6 Come già prima dicevamo, possiamo considerare questo momento come una fase di passaggio in cui, alla calma ed alla serenità, si sostituiscono l’agitazione e l’insicurezza, alla pacatezza verso i misteri della vita, insorgono sentimenti di ribellione e di distruzione. Rimane, comunque, ancora da scoprire quale sia il modo migliore per affrontare una simile situazione, che sembra di fondamentale importanza per il passaggio definitivo alla maturità.

Dopo questo iniziale momento d’ardore pieno di sconvolgimenti secondo Nietzsche «possono venire lunghi anni di convalescenza».7 Proprio come dopo una malattia portatrice di scompensi e disagi viene un periodo più o meno lungo dove il paziente recupera pian piano il perduto equilibrio biologico, così avviene per la giovane anima, che sconvolta dalla «grande separazione» ha bisogno di un periodo per ritrovare il proprio equilibrio esistenziale. Sono, questi, anni pieni di mutamenti, in cui è particolarmente evidente una caratteristica e cioè la gioia e la soddisfazione per aver intrapreso con coraggio questo nuovo cammino: «che fortuna non essere rimasto a “casa”, sempre “con sé stesso”, come un fannullone delicato ed intontito! Solo ora vede sé stesso e quali sorprese gli sono qui riservate! Che brividi mai provati! Che felicità ancora nella spossatezza, nella vecchia malattia, nelle ricadute del convalescente. È saggezza, saggezza di vita, somministrarsi per lungo tempo la salute stessa solo a piccole dosi».8 La presa di coscienza di essere sulla giusta strada per poter realizzare le proprie potenzialità, galvanizzano l’individuo che diventa disposto a proseguire il cammino intrapreso, nonostante le situazioni dolorose che inevitabilmente incontra. Queste ultime, sono il chiaro frutto del continuo distacco, del continuo svincolarsi da quelle catene metafisiche, tradizionali e religiose, che avevano costituito la situazione esistenziale della sua precedente formazione.9 Di conseguenza, la convalescenza diventa un periodo vissuto prevalentemente a livello di coscienza per sanare e purificare la stessa dai residui metafisico – tradizionali, che ancora la contaminano. È, dunque, molto lunga la strada per arrivare alla guarigione, alla maturità completa, all’ agognata e sospirata libertà di spirito. L’autore, però, non invita alla frenesia, al desiderio di arrivare subito alla meta, bensì alla pazienza, in quanto solo in essa può tessersi la tela della maturità. Che cos’è, allora, quest’ultima? Che cos’è che spinge la giovane anima a sopportare laceranti sofferenze? Che cosa deve diventare ed imparare?

Dovevi diventare padrone di te stesso, padrone anche delle tue virtù. Prima erano esse le tue padrone; ma esse devono essere solo i tuoi strumenti. Dovevi acquistare potere sul tuo pro e contro ed imparare a saperli staccare e riattaccare, secondo il tuo scopo superiore. Dovevi imparare a comprendere ciò che appartiene alla prospettiva in ogni giudizio di valore: lo spostamento, la deformazione e l’apparente teleologia degli orizzonti ed ogni altra cosa che fa parte della prospettiva; anche la parte di stupidità nei confronti dei valori opposti e tutta la perdita intellettuale, con cui ogni pro ed ogni contro si fanno pagare. Dovevi imparare a comprendere la necessaria ingiustizia di ogni pro e contro, l’ingiustizia come inseparabile della vita, la vita stessa come condizionata dalla prospettiva e dalla sua ingiustizia. Dovevi soprattutto vedere con i tuoi occhi dove l’ingiustizia è sempre più grande: là cioè dove la vita è sviluppata nel modo più piccolo, più ristretto, più meschino e più primordiale e tuttavia non può fare a meno di prendere sé stessa come scopo e misura delle cose e di sgretolare e porre in questione segretamente e grettamente e incessantemente, per amore della sua conservazione, ciò che è superiore, più grande e più ricco; dovevi guardare in faccia il problema della gerarchia, e vedere come forza e diritto e comprensività della prospettiva crescono insieme all’altezza.10

Analizziamo ora con attenzione ciò che Nietzsche considera la situazione esistenziale ideale. In primo luogo, egli valuta le virtù come strumenti che l’individuo deve sapere utilizzare e non viceversa. Cosa poi esse siano di preciso l’autore non lo specifica, anche se è facile pensare alle individuali capacità innate o acquisite.11 È la dichiarata tematizzazione che, qualsiasi precomprensione interna all’uomo, non deve prevaricare né tanto meno compromettere la singolare libertà dello stesso. In secondo luogo, Nietzsche, affronta il problema del giudizio, delle capacità di scelta. Mentre prima, a riguardo delle virtù, il nostro aveva chiarito e specificato che fosse l’uomo il centro del movimento di liberazione interiore, ora ciò rimane problematico. Infatti, sembra un diritto conteso tra la singolarità della persona umana e la meta che essa si pone, in un quanto mai triste spostamento dal soggetto all’oggetto e viceversa, uno scambio che, anche se rimane a livello concettuale, propone non poche perplessità. Ci troviamo di fronte alla prima evidente contraddizione: télos o centralità personale? Chi dei due determina in modo significativo le scelte dell’individuo? Inoltre, questo fine, che deve ancora essere tematizzato con chiarezza, presenta non poche ambiguità in quanto cosparso di quel sapore metafisico che, come vedremo, sarà causa di molte critiche e polemiche.12 La maturità dello spirito libero è, dunque, determinata dalla padronanza di sé, che è anche disciplina del cuore, apertura interiore, che dovrebbero provocare nel singolo individuo un continuo movimento in avanti: «escludendo il pericolo che lo spirito si perda e, per così dire, si innamori delle sue stesse vie e resti fisso, inebriato in un punto qualsiasi».13 È, quindi, una situazione capace di permettere all’uomo di librarsi sulle cose, sugli ideali per proiettarsi ed andare verso una meta non ben chiarita in precedenza.

2. Libero da quali catene?

C’è una grande separazione nei confronti dei valori antichi che Nietzsche introduce nella sua opera e che, per certi aspetti, caratterizza la sua particolare produzione filosofica. In modo particolare, sono famosi gli aforismi contro la religione la morale e l’arte, non solo in Umano troppo umano, che stiamo analizzando, ma anche nella produzione successiva. Prima di sondare i fondali della morale e della religione, Nietzsche mette al corrente l’interlocutore sugli strumenti che utilizzerà per una simile operazione critica. L’osservazione psicologica sarà la campagna fedele che ci condurrà verso mondi mai scoperti prima, in continuo movimento di novità.14 Le analisi sinora prodotte sulla condizione umana a detta di Nietzsche si sono soffermate alla superficie e che, per questo motivo, hanno prodotto diversi errori interpretativi. La civiltà Occidentale sembra essere sorta e sviluppata a partire da errori di prospettiva, da quella metafisica che ha progressivamente interpretato l’evento, imbrigliandolo negli schemi teorici precostituiti e poco verificati. È, quindi, un’esigenza di chiarezza, di verità, che sta alla base della ricerca del nostro, un’insoddisfazione per tutto ciò che è emerso fino ad ora.15 Seguiamolo, allora, in questo cammino di smantellamento che è, allo stesso tempo, un’operazione di smascheramento.16

3. La morale

La riflessione che Nietzsche svolge a riguardo della morale, lo conduce a delineare una storia dei sentimenti morali, che si sviluppa in tre fasi principali: «prima si dicono buone o cattive singole azioni senza alcun riguardo ai loro motivi, ma solo per le loro conseguenze utili e dannose. Presto, però, si dimentica l’origine di queste designazioni e ci si immagina che la qualità di “buono” e “cattivo” inerisca alle azioni in sé, senza riguardo alle loro conseguenze; questo avviene perché si prende per causa ciò che è effetto. Poi si ripone l’essere buono o cattivo nei motivi e si considerano le azioni in sé come moralmente ambigue. Si va oltre e si dà il predicato di buono o di cattivo non più al singolo motivo, bensì all’intero essere di un uomo, dal quale il motivo sorge come la pianta dalla terra. Così si tiene l’uomo responsabile, nell’ordine, per i suoi effetti, poi per le sue azioni, quindi per i suoi motivi e da ultimo per il suo essere. Alla fine però si scopre che neanche questo essere può portare la responsabilità, in quanto esso è in tutto e per tutto conseguenza necessaria e concresce dagli elementi ed influssi di cose passate e presenti: cioè che l’uomo non è da tenere responsabile per niente, né per le sue azioni, né per i suoi effetti. Con ciò si è giunti a riconoscere che la storia dei sentimenti morali è la storia di un errore, dell’errore della responsabilità: il quale riposa sull’errore della volontà di volere».17 Nietzsche, dunque, scagiona l’uomo dalla responsabilità della sua azione. Questo lo si comprende meglio se si procede nella lettura di questo aforisma quando parla del disagio che provoca l’azione: «dunque: perché l’uomo si ritiene libero, ma non perché è libero, prova pentimento e rimorsi. Inoltre questo disagio è qualcosa da cui si può disavvezzare; in molti uomini esso non si riscontra in rapporto ad azioni per le quali molti altri l’hanno».18 Ciò che per Nietzsche è in discussione non è tanto la responsabilità dell’azione, il libero volere bensì la libertà. È quest’ultima che fonda la prima, è per il fatto che l’uomo è libero di scegliere per l’una o l’altra azione, che diventa responsabile a tutti gli effetti delle conseguenze della stessa. Nietzsche, però, liquida il discorso dichiarando il libero volere inesistente, senza fornirci nessuna motivazione chiarificatrice per una tale affermazione. Nietzsche continua la sua analisi della morale parlando dell’«ordinamento dei beni e la morale».19 Egli afferma che

la gerarchia dei beni, una volta accettata, decide oggi sull’essere morale e sull’essere immorale. Preferire un bene inferiore (per esempio il godimento dei sensi) ad un bene stimato superiore (per esempio la salute) è giudicato immorale. La gerarchia dei beni non è però una gerarchia fissa ed uguale in tutti i tempi; se qualcuno preferisce la vendetta alla giustizia, egli, secondo il criterio di una civiltà passata, è morale; secondo quella dell’odierna, immorale. «Immorale» sta dunque ad indicare che uno non sente ancora, o non ancora abbastanza fortemente, i motivi più elevati, più sottili e più intellettuali, che la nuova civiltà di volta in volta ha portato: designa un arretrato, ma sempre e solo in base ad una differenza di grado. La gerarchia dei beni stessa non viene stabilita e sostituita in base a punti di vista morali: sì però, in base alla determinazione di essa fatta di volta in volta, si giudica se un’azione sia morale o immorale.20

L’uomo di ogni epoca, dunque, si è sempre posto davanti a sé, o sopra di sé, una gerarchia dei beni con la quale poter valutare la situazione ed agire di conseguenza. Nietzsche sembra dirci di fare attenzione a porre criteri di valore fuori da noi stessi, in quanto si presentano estremamente mutevoli nell’arco della storia, soggetto, quindi, alle trasformazioni culturali e sociali. Questa labilità della morale è, secondo noi, positiva, poiché ci fa conoscere come l’uomo non sia rimasto eternamente soggetto alla stessa gerarchia, ma l’abbia saputa mutare e manipolare a suo uso e consumo. Non l’uomo per la morale, bensì la morale per l’uomo. Se questo discorso ha valore per il genere umano, diversamente bisogna porsi nei confronti della specie. Questo sembra essere l’appello di Nietzsche. Molto spesso, infatti, il singolo individuo resta attanagliato tra le grinfie della morale senza riuscire ad agire in modo autonomo. Rischio, questo, che corre ogni persona che lascia intorpidire in suo spirito, gettando la possibilità di librarsi verso cieli infiniti e mondi sconosciuti. Chi è allora l’immorale, l’arretrato descritto dal nostro autore? Non ci pare di forzare troppo il testo se diciamo che in questo caso Nietzsche alluda allo spirito libero. Come, infatti, vedremo in seguito, una caratteristica del suddetto, è di rimanere distaccato dalla realtà socio culturale nella quale è inserito, agendo in modo sorprendente e, per le categorie e gradi del tempo, immorale. Nietzsche sembra dirci che la differenza di grado non sia da ritenere poi così importante per la valutazione dell’individuo. Occorrerebbe un giudizio con valenza assoluta ma, poiché manca e tutto è dato da considerare al momento storico, è possibile passare oltre ed agire di conseguenza.

L’ultimo aforisma che vogliamo riportare riguarda le tre fasi finora attraversate dalla moralità: «il primo segno che l’animale è diventato uomo sia ha quando il suo agire non si riferisce più al bene momentaneo, ma a quello durevole, quando l’uomo diventa cioè utilitario e calcolatore: allora si afferma per la prima volta il libero dominio della ragione. Un grado ancora più alto è raggiunto quando egli agisce in base al principio dell’onore; in virtù di esso egli si inquadra, si sottomette a sentimenti comuni, e ciò lo eleva molto al di sopra della fase in cui sono l’utilità intesa in senso individuale lo guidava: egli rispetta e vuole essere rispettato … Finalmente, nel più alto grado di moralità finora raggiunto, egli agisce in base al proprio metro delle cose e degli uomini: egli stesso determina per sé e per gli altri che cosa sia onorevole, che cosa utile: è diventato legislatore delle opinioni».21 Secondo Nietzsche l’evoluzione che la moralità nel corso dei secoli ha seguito va dall’universale al particolare, e cioè da considerazioni di utilità generale che fondano una moralità impersonale, ad una morale personale nella quale il centro decisionale è il singolo individuo. L’uomo tende così, a prodursi in favore di azioni altruistiche a scapito, però di sé stesso. In definitiva, è la vita comune, fatta di tanti singoli, che prende il sopravvento sulle modalità dell’agire personale. È importante, allora, una profonda trasformazione che già si sta attuando, ove venga messa in rilievo la considerazione personale. In realtà, ciò che non si è mai compreso è che, proprio nell’agire personale, nel far di sé una persona completa che si trova la più grande utilità per la collettività. È questo, secondo Nietzsche, ciò che oggi va inteso per moralità: un’azione che parta dal centro della propria persona, del proprio interesse, che scaturisca cioè dal proprio mondo, tralasciando le false ipocrisie del bene per gli altri come giustificazione fondante l’azione. Ci pare, questa un’intuizione di fondamentale importanza visto e considerato che l’epoca nella quale Nietzsche scriveva non era ancora del tutto disincantata da falsi misticismi. Infatti, va ben oltre le considerazioni di un Kant o di un Hegel che riconducevano tutto ai loro sistemi freddi e rigidi. Quello che Nietzsche vuole salvare e portare in rilievo è la natura dell’uomo smantellata da tutti quei valori metafisici che, secolo dopo secolo, hanno portato a travisare la giusta dimensione delle cose. L’uomo al centro della sua azione non per egoismo, ma perché solo in questo modo è possibile uscire da quel clima di impersonali che ha plasmato fino ad ora la nostra società. È il tentativo di passare da una società morale, religiosa, statale, ad una società umana.

Un confronto immediato balza ai nostri occhi e cioè con Max Stirner e con le intuizioni contenute nella sua opera L’Unico e la sua proprietà.22 Mentre quest’ultimo porta all’estremo l’essenza e la possibilità umana disincarnandola dal contesto culturale e sociale, Nietzsche mira più in profondità, alla natura dell’uomo, tentando di rifondare un nuovo mondo demitizzato dai falsi miti della religione e di esistenze umanizzate. Da qui, lo spirito libero risulterà una persona sradicata, ma non per suo volere, bensì perché incompreso nel suo agire e nella sua missione. Egli possiede prospettive troppo progredite rispetto all’epoca vissuta. A conferma di ciò, troviamo in Umano troppo umano molti riferimenti in cui si parla di società per spiriti liberi, anche se non mai adeguatamente esplicitate e tematizzate per il carattere di novità che si estende in un futuro ancora da raggiungere.23 Gli altri aforismi che riguardano i capitoli sulla morale sono tutti rivolti ad analizzare, con gli strumenti visti in precedenza, i principali atteggiamenti morali come la compassione, la benevolenza, l’onestà, la menzogna, la sincerità, la speranza ed il pudore. Anche nei riguardi di questi il tentativo del nostro è sempre quello di svelare ciò che di vero ed autentico esiste in ciascuno di essi, molto spesso portandoli persino al ridicolo.24 Non è chiaramente sua intenzione fare del sarcasmo o dell’ironia, ma la sua analisi demitizzante a favore della natura umana, porta molto spesso il lettore a rendersi conto dell’errore storico contenuto nell’azione analizzata. È, quindi, un continuo tentativo se non proprio di confutare ogni azione, per lo meno di correggerla rendendola più umana.

4. La religione

Nella sua critica alla religione e, in modo particolarmente specifico al cristianesimo,25 Nietzsche esordisce affrontando il problema della lotta contro il male: «religione e arte si sforzano di influire sulla modificazione del sentimento, in parte modificando il nostro giudizio sugli avvenimenti, in parte suscitando un piacere del dolore e dell’emozione in genere. Quanto più uno è incline ad alterare e ad aggiustare l’interpretazione, tanto meno terrà conto delle cause del male e le eliminerà: la momentanea mitigazione e narcotizzazione, come la si usa per esempio per il mal di denti, gli basta anche per i dolori più seri».26 Il problema del male è vecchio come la storia dell’uomo. Quest’ultimo, poi, ha sempre cercato di affrontare il suddetto problema con tutte le sue forze e molto spesso ha avuto la meglio. Ciò che invece gli riesce difficile è la soluzione di quei dolori più seri che riguardano la sfera interiore come l’ansia, l’angoscia, la pena e altri sentimenti del genere portatori di eterne sofferenze. Di questi dolori l’uomo molto spesso ignora quasi totalmente le cause e ciò provoca in lui angoscia. Di conseguenza si mette alla ricerca delle cause collaterali tendenti a modificare l’effetto, operando così uno spostamento sul sentimento «interpretando il male come il bene».27 Secondo il nostro autore, la religione rappresenta il più efficace narcotico contro il dolore. L’efficace narcotizzante contenuto in essa agisce con una tale forza nel centro vitale della volontà umana, che lo fa arrestare nella sua ricerca alle cause. La religione agisce dunque, contro la stessa natura dell’uomo, contro lo sviluppo totale della sua persona e, soprattutto, contro la sua struttura ontologica. Infatti, assopendolo nella sua normale ricerca affannata di risposte agli enigmi e quesiti della vita, offrendogli come sostituto nirvana, paradisi e fiumi di latte e miele, lo conduce ad una sorte di passività mentale ove tutto sembra già avere una risposta. L’uomo si sente così felice poiché sazio dall’offerta religiosa. Lo scotto che però, deve pagare per questa scelta è, secondo Nietzsche, molto alta. Si tratta, infatti, della sua stessa vita, nel senso esistenziale del termine, delle sue possibilità di indagare, di prendere le distanze da tutto ciò che minaccia la sua libertà, di librarsi, di essere uomo tra gli uomini pienamente responsabile del suo operare e pensare. Rimane, tuttavia, da verificare fino a che punto la religione sia un freno per lo sviluppo integrale dell’uomo. Ci chiediamo: è veramente impossibile mantenere una situazione esistenziale di ricerca obiettiva delle cause del dolore in un ambito religioso?

Dalle precedenti affermazioni Nietzsche continua la sua disanima: «Ogni religione è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell’esistenza fondandosi su errori della ragione […] Fra la religione e la scienza non esiste parentela, né amicizia né inimicizia, essi vivono su pianeti diversi».28 Riteniamo giusto osservare che, fino ad ora, quando Nietzsche parla di religione non allude ad una specifica, ma ne parla in senso generale come fenomeno o come realtà sociale non solo del mondo occidentale. Gli studi recenti ci hanno delucidato moltissimo sulle vaste conoscenze del nostro autore in questo campo.29 Gli errori della ragione sopra denunziati si riferiscono a quei filosofi che tendono: «a trattare in genere come essenza fondamentale dell’uomo tutti i sentimenti che trovano in sé stessi e a consentire quindi anche ai loro personali sentimenti religiosi di esercitare un notevole influsso nella costruzione dei loro sistemi di pensiero».30 Un’analisi più attenta sul rapporto religione e scienza ci porta a considerare una certa parentela fra i due mondi. Il fenomeno religioso, infatti, oltre ad essere oggetto di studio della filosofia della religione, contiene in sé una scienza, vale a dire la teologia. Quest’ultima, ha un suo ben preciso oggetto di studio, cioè Dio, ha un suo proprio linguaggio formale. Tutte caratteristiche queste, che ci permettono di affermare a ragione che la religione ha qualcosa a che fare con la scienza. Cercando di indagare sull’origine del culto religioso Nietzsche afferma che: «in quei tempi non si sa ancora nulla di leggi naturali […] Manca l’intera concezione dello svolgimento naturale. La riflessione degli uomini che credono alla magia ed ai miracoli mira ad imporre una legge alla natura: e, detto in breve, il culto religioso è il prodotto di questa riflessione».31

Date queste affermazioni, si può comprendere che Nietzsche intenda la religione come una forma di cultura molto primitiva e rozza che, non avendo ancora gli elementi per comprendere e instaurare un giusto rapporto con la natura, tende ad «imprimerle delle leggi che essa di per sé non possiede».32 L’uomo primitivo, ignaro totalmente delle leggi della natura, cerca di accattivarsi quest’ultima esorcizzandola. In fin dei conti, si può capire il livello di civiltà di un’epoca o di un paese in base al culto religioso. La scienza contemporanea ci ha forniti di tali conoscenze, che ci hanno condotti ad avere un atteggiamento nuovo nei confronti della natura. Processo di demitizzazione, che ha condotto l’uomo a sentirsi pienamente a casa sua in questo mondo. Stregoni, esorcizzazioni, magie, miracoli, spiritismi formano così un detrito culturale tramontato ormai da tempo ed al quale l’uomo non ha più bisogno di guardare per affrontare la natura. L’ultima parte del capitolo è dedicata al cristianesimo.33 Nietzsche è molto attento a questo tema, al punto da trattarlo in quasi tutti i suoi libri, specialmente quelli dell’ultimo periodo, imperniato dall’esigenza di fondare una nuova umanità. Certamente questa critica al cristianesimo non poteva mancare nel suo tentativo di delineare la figura dell’uomo nuovo, lo spirito libero, l’autentico portavoce della nuova prospettiva. In Umano troppo umano le osservazioni sul cristianesimo non sono le più profonde. Maggiore, infatti, è l’incisività e l’acutezza di vedute nelle pagine di Al di là del bene e del male,34 de L’Anticristo35 del Crepuscolo degli idoli,36 di Aurora37 e della Gaia scienza.38 Nonostante questo, l’analisi che troviamo nel libro da noi preso in esame, la riteniamo sufficiente ad illustrarci il pensiero di Nietzsche a questo riguardo. In un primo momento il nostro considera il cristianesimo come una miscellanea di atti cultuali, che lo conducono ad essere «un’antichità emergente da epoche remotissime».39 Di fronte a tale realtà si chiede, con stupore, il perché oggi c’è tanta gente che crede ancora a cose simili. La risposta a ciò è chiaramente implicita nelle previe osservazioni sul fenomeno religioso. Da queste considerazioni sposta le sue analisi sul rapporto cristianesimo – uomo: «il cristianesimo schiacciò e frantumò l’uomo completamente e lo sprofondò come in una fonda palude […] Sul morboso eccesso di sentimento, sulla profonda corruzione della mente e del cuore a esso necessaria, agiscono tutti i sentimenti psicologici del cristianesimo: esso vuole annientare, spezzare, stordire, inebriare».40

Il successo del cristianesimo è, quindi, dovuto alla sua azione sul sentimento, alla corruzione della mente e del cuore, a quegli atteggiamenti che tendono ad illudere l’uomo portandolo, poi, al disastro esistenziale totale. Così il cristianesimo avvolge l’individuo in apparenti dolci catene, dalle quali successivamente, a causa dell’influsso esercitato sui centri vitali, non riuscirà più a liberarsene.41 Nietzsche, comunque, non riversa tutte le colpe sulle capacità ammaliatrici della dottrina cristiana, ma anche sulla debolezza morale dell’uomo, che diventa il bersaglio preferito della prima. Esistono, infatti, persone che hanno bisogno della religione per riempire ed abbellire la loro esistenza altrimenti vuota. A questo proposito un’attenzione particolare merita il lungo aforisma 132 ove viene analizzato il bisogno cristiano di redenzione, perno del cristianesimo. Secondo Nietzsche, l’uomo scopre in sé un’inclinazione ad azioni «che stanno molto in basso». Egli vorrebbe cimentarsi in quelle cosiddette buone, ma purtroppo si ferma solo al desiderio di esse. Questa insoddisfazione reca con sé un malessere, che lo spinge a guardarsi intorno alla ricerca di un medico in grado di guarirlo. Ciò gli accade perché, invece di confrontarsi con i suoi simili, si paragona con Dio «essere che è solo capace di quelle azioni che si dicono altruistiche e che vive nella costante coscienza di un pensiero disinteressato». Il pensiero di Dio provoca, poi, nell’individuo angoscia, poiché il primo sta davanti al secondo come giustizia vendicatrice. L’uomo è caduto in questo stato per una serie di errori della ragione. Infatti, lo specchio con il quale si confronta è opera della sua imperfetta fantasia. Non esiste così, un essere unicamente capace di azioni puramente altruistiche, poiché nessun uomo ha fatto mai qualcosa senza alcun movente personale. Perciò, un Dio che è tutto amore, secondo Nietzsche, non sarebbe capace di alcuna azione altruistica. Ciò che tiene in piedi il discorso sul peccato è l’idea di Dio ma, come essa sia nata, cioè per errore della ragione, non può più sussistere dubbio. Tolta l’idea di Dio probabilmente resta ancora quel disagio descritto inizialmente che, però, svanisce definitivamente quando l’uomo assimila la convinzione filosofica dell’assoluta necessità di tutte le azioni e della loro piena irresponsabilità. Da questo momento quello che sopraggiunge è il piacere di sé stesso, il benessere per la propria forza: l’uomo ama nuovamente sé stesso. Nuovamente, però, avviene una falsa interpretazione. Difatti, lo stato di interiore consolazione, l’uomo lo concepisce come effetto di una potenza che regna al di fuori di lui, l’amore, col quale in fondo ama sé stesso e gli appare come amore divino; ciò che egli chiama grazia e preludio di redenzione, è in verità grazia resa a sé stesso, redenzione di sé.

Come abbiamo potuto notare, secondo il pensiero di Nietzsche, l’uomo molto spesso interpreta erroneamente la realtà, perché è ignaro sulle cause che la muovono.42 Il lungo discorso fino ad ora affrontato sul peccato e la redenzione, è di fondamentale importanza e non va assolutamente trascurato. Moltissime, infatti, sono le persone che vivono in uno stato di angoscia e di ansia dovuta al peccato, che provoca in loro continui turbamenti. Molti cristiani di oggi assomigliano abbastanza alla descrizione di Nietzsche, incapaci cioè, di cogliere e gustare la bellezza della vita a causa delle regole che si sono trovati addosso il giorno in cui sono nati e dalle quali non sono mai stati capaci di liberarsi.43 Il cristianesimo, mentre da una parte fornisce una verità per alcuni assoluta, dall’altra propone atteggiamenti servili ed umilianti che non hanno nulla a che fare con la prima, ma che sono il frutto deleterio di tanti secoli di storia. La critica di Nietzsche al cristianesimo, giunge al suo culmine. Sarà nelle opere successive che l’analisi verrà approfondita aprendo in questo modo la strada all’annuncio della morte di Dio e all’avvento del super uomo. A nostro avviso, in Umano troppo umano Nietzsche, presentando al figura dello spirito libero, anticipa quei temi che saranno centrali nel suo pensiero filosofico.


  1. F. Nietzsche, Umano troppo umano, Adelphi, Milano 1982 prefazione 2. ↩︎

  2. Ivi, prefaz. 3. ↩︎

  3. Ibidem. ↩︎

  4. Ibidem. ↩︎

  5. Sono significative le sintonie con la riflessione con la filosofia esistenzialista che si svilupperà successivamente, soprattutto, quella di origine francese. In modo particolare cfr.: J.P. Sartre, La nausea, Einaudi, Torino 2014; A. Camus, Lo straniero, Garzanti, Milano 1974. ↩︎

  6. F. Nietzsche, Umano tropo umano, Op. Cit. prefaz. 3. ↩︎

  7. Ivi, prefaz. 4. ↩︎

  8. Ivi,. prefaz. 5. ↩︎

  9. Cfr. K. Lowith, Dio, l’uomo e il mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Donzelli, Roma 2018. ↩︎

  10. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit. prefaz. 6. ↩︎

  11. I valori a cui Nietzsche fa riferimento nel passaggio citato, sono il simbolo del retaggio metafisico assimilato dall’individuo. Su questo tema cfr.: K. Lowith, Dio, l’uomo e il mondo cit. p. 79s. ↩︎

  12. Nella filosofia di Nietzsche tutto ciò che è finalità non è nient’altro che una produzione e una proiezione umana perché la morte di Dio, implica la fine di tutti i valori. In questa prospettiva le finalità sono un’elaborazione arbitraria tipica della cultura occidentale. Cfr. ↩︎

  13. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit. prefaz. 4. ↩︎

  14. Eugen Fink nel suo libro: La filosofia di Nietzsche, Mondadori, Milano 1980, dedica un intero paragrafo a questo tema. Ci sembra importante riportare qualche sua osservazione a questo proposito: «il veicolo del suo pensiero è di nuovo, come nella «Nascita della tragedia», la psicologia, ma adesso si tratta di una psicologia non più speculativa, ma distruttiva, smascherante … Le interpretazioni psicologiche di Nietzsche hanno una struttura raffinata: dimostrando, stigmatizzando mascheramenti e travestimenti, egli può di volta in volta smascherare come solo apparentemente tale tutto ciò che è «contro la sua interpretazione». Fink però oltre ad accorgersi dell’acutezza e allo stesso tempo della forza confutativa del metodo adottato da Nietzsche ne coglie anche i limiti: «ognuno si accorge immediatamente di quanto metodo risulti dubbio e pericoloso: si riconosce subito l’illusione che domani questo disilludere, cioè la fede illuminista di poter spiegare tutti gli slanci dell’uomo al sovraumano come un inganno idealistico. Ciò di cui Nietzsche sembra aver perduto il senso è la grandezza umana» (p. 46s). ↩︎

  15. Questo desiderio di chiarezza, Nietzsche lo ha portato dentro di sé per parecchi anni prima di comunicarlo. Infatti, mentre il suo libro Umano troppo umano, portatore delle suddette verità, uscì nel 1878, già dall’estate del 1874 rimuginava queste cose dentro di sé: «non passerà molto tempo che dovrò manifestare opinioni le quali sono ritenute ignominiose per colui che le nutre: allora anche gli amici e i conoscenti diventeranno timidi e paurosi. Anche attraverso questo fuoco dovrò passare. Poi apparterrò sempre di più a me stesso» (riportato da M. Montinari in: Nietzsche. Che cos’ha veramente detto, Ubaldini, Roma 1978). ↩︎

  16. Chi interpreta la filosofia di Nietzsche con la categoria di smascheramento è, tra gli altri, G. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Bompiani, Milano 2003. ↩︎

  17. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit afor. 39. ↩︎

  18. Ivi, afor. 39. ↩︎

  19. Ivi, afor. 42 da notare come già nel 1862 queste tematiche fossero già ben impresse nel giovane Nietzsche. Scriveva infatti allora, in un saggio intitolato: Fato e storie: «la morale è il risultato di un generale sviluppo dell’umanità» (riportato da M. Montinari, op. cit. parte prima). ↩︎

  20. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit, afor. 42. ↩︎

  21. Ivi, afor. 94. ↩︎

  22. Cfr. M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano 1999. ↩︎

  23. Sul confronto tra i due autori citati, cfr.: A. LEVY, Stirner e Nietzsche, Ed. Immanenza, Milano 2016. ↩︎

  24. Valgono ancora oggi, a questo proposito, le riflessioni di: G. SIMMEL, Frederich Nietzsche filosofo della morale, Diabasis, Reggio Emilia 2008. ↩︎

  25. «il cominciamento della problematizzazione nietzschiana al cristianesimo è da porsi con l’ingresso del giovane Nietzsche a Pforta in data 5 ottobre 1858. Questa data riveste grande importanza se si considera che in quello stesso periodo ha luogo la riforma Humboldt, che prevede un ridimensionamento dell’importanza della religione per l’educazione degli studenti e al contempo il consolidamento dello studio dei classici greci e latini». F. Barba, Il persecutore di Dio. San Paolo nella filosofia di Nietzsche, Mimesis Edizioni, Milano 2010. p. 22. ↩︎

  26. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit afor. 108. ↩︎

  27. Ivi, afor. 108. ↩︎

  28. Ivi, afor. 110. ↩︎

  29. Cfr. In modo particolare: K. Jaspers, Nietzsche e il cristianesimo, Marinotti, Milano 2008; M. Serrano, Nietzsche e l’eterno ritorno, Settimo Sigillo Europa, Roma 2015; F. Barba, Il persecutore di Dio. San Paolo nella filosofia di Nietzsche, cit. ↩︎

  30. F. Nietzsche, Umano tropo umano, cit afor. 110. ↩︎

  31. Ivi, afor. 111. ↩︎

  32. Ibidem. ↩︎

  33. C. Andreani sul rapporto di Nietzsche con il cristianesimo ci fa osservare come «nessuno seppe scrivere contro il cristianesimo parole di fuoco e di sangue come seppe scrivere Nietzsche. La religione cristiana è per lui la manifestazione più potente e nefasta della vita decaduta» (AA.VV., Nietzsche, Franco Angeli, Milano 1979, pag. 187). Inoltre sia Andreani che Montinari ci fanno porre l’attenzione sulla inscindibilità delle sferzanti parole contro la religione ed il cristianesimo in particolare, con la vita di Nietzsche. Infatti, secondo Andreani: «tanto furore è il rigetto della sua anima luterana, dell’istruzione opprimente che aveva ricevuto e che ad un certo punto doveva finire con l’odiare. La polemica incessante nasce da una reazione violenta ad una piovra, che l’aveva chiuso entro i suoi tentacoli; rovinandogli la giovinezza, la vita e, forse, lo sviluppo armonico stesso delle sue facoltà» (Op. Cit. pag. 187). ↩︎

  34. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 1977. ↩︎

  35. F. Nietzsche, L’anticristo, Adelphi, Milano 1977. ↩︎

  36. F. Nietzsche, Il Crepuscolo degli idoli, Adelphi, Milano 1994. ↩︎

  37. F. Nietzsche, Aurora, Adelphi, Milano 1978. ↩︎

  38. F. Nietzsche, La gaia scienza, Adelphi, Milano 1977. ↩︎

  39. F. Nietzsche, Umano troppo umano, cit. afor. 113. ↩︎

  40. Ivi, afor. 114. ↩︎

  41. A questo proposito è significativa la riflessione che si trova nei frammenti postumi: «Nessun Dio è morto per i nostri peccati; non c’è nessuna redenzione per la fede; non c’è nessuna resurrezione dopo la morte – sono tutte falsificazioni del cristianesimo autentico, di cui si deve far responsabile quella nefasta testa balzana. La vita esemplare sta nell’amore e nell’umiltà; nella pienezza del cuore, che non esclude nemmeno il più umile; nella rinuncia formale al voler avere ragione, al difendersi, al vincere nel senso del trionfo personale; nella fede della beatitudine qui, sulla terra, malgrado povertà, ostacolo, e morte; nella riconciliazione, nell’assenza di ira, di disprezzo; nel non voler essere ricompensati; nel non essere vincolati a nessuno; nell’essere senza signori in senso spirituale, molto spiritual; in una vita molto orgogliosa, sotto la volontà di una vita grama e servizievole. Dopo che la Chiesa lasciò cadere tutta la prassi cristiana e sanzionò propriamente la vita nello Stato, quel genere di vita che Gesù aveva combattuto e condannato, dovette porre in qualcos’altro il senso del cristianesimo: nella credenza in cose incredibili, nel cerimoniale di preghiere, venerazione, festa ecc.». F. Nietzsche, Frammenti postumi, 1887-1888, Adelphi, Milano 1971, p. 36. ↩︎

  42. Su questo aspetto cfr.K. Lowith: «Per Celso come per Nietzsche il cristianesimo è una rivolta sovvertitrice del popolo incolto, che non ha nessun senso delle virtù aristocratiche, dei doveri civili e delle tradizioni ataviche». Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, il Saggiatore, Milano 2010, p. 253. ↩︎

  43. «La storia del cristianesimo è per Nietzsche contrassegnata dalla conquista delle anime mediante quel capovolgimento dei valori operato fin dalle origini. Con ciò insorgono però delle implicazioni spirituali inaudite. Si arriva nell’uomo alla crescita di una poderosa tensione dello spirito, quando si sottomettono agli ideali del cristianesimo anche gli individui forti e nobili, che nel loro animo restano tuttavia inevitabilmente contrari ad essi. Alla fine subentra però il rilassamento di questa tensione spirituale portata agli estremi». K. Jaspers, Nietzsche e il Cristianesimo, cit., p. 74. ↩︎