Recensione ad Alessandro Paris, Lev Šestov verso Gerusalemme

Alessandro Paris, Lev Šestov verso Gerusalemme. Saggio di introduzione critica, Aracne, Roma 2021, pp. 116.

Il chiasma Atene-Gerusalemme è una cifra spesso visitata per evidenziare la complessità del rapporto fede-sapere (Glauben und Wissen) che inside nel cuore della filosofia, specie a partire dalla riflessione sul carattere messianico e redentivo della conoscenza. Echi di Rosenzweig e Benjamin si intrecciano a quelli di Adorno, nonché all’esigenza di un pensiero come redenzione, che solo può rendere legittima la conoscenza.

Questa premessa per evidenziare la ricerca di Alessandro Paris che ha curato una agile e ad approfondita guida alla lettura di Lev Sestov, filosofo russo ed ebreo, che, come Rosenzweig e Levinas risente delle istanze critiche di una totalità oggettivante che cattura l’Uno ed il sacro in una declinazione necessaria e violenta, rendendo polvere e cenere ogni differenza. Tuttavia Sestov inizia proprio da questa endiadi di polvere e cenere, termine biblico atto a sancire la singolarità irriducibile di ogni vivente a tracciare un pensiero, consapevole dell’inevitabilità di una filosofia che deve rompere l’unità indifferenziata e generalizzante dell’Uno. Tale è, infatti, il paradigma di Atene che procede da Anassimandro a Plotino, fino a svilupparsi in Hegel ed Husserl. Sia procedendo in avanti, sia regredendo non si può far altro – come evidenzia Sestov – che attingere l’a-peiron che ristabilisce la giustizia nell’abolire la separazione esplicata come colpa, o L’Uno, generoso nel continuo dono di se stesso, che fa del mondo un incessante rinvio alla sua stessa sorgente originaria, o lo Spirito che trionfa, certo di sé su ogni figura storica, o quell’epoché fenomenologica che ravvisa nell’intenzionalità la cifra di una coscienza protesa all’universale, trasferendo ogni fenomeno nell’universalità dell’eidos. Per contro il paradigma di Gerusalemme rinvia all’interruzione di questa totalità e fa saltare il principio di non contraddizione, esprimendo invece il paradosso dell’esistenza, che si scopre soltanto sradicandosi dal suo orizzonte egoico, riconoscendosi come singolarità appellata, nella quale la vocazione esprime la possibile, seppur difficile libertà. Dunque l’inizio del pensiero è Abramo, così come è Giobbe: il primo nella sua erranza, volto verso un Chi, abbandonato definitivamente l’essere neutro, l’essere di un radicamento rispondente ad Ananke, capace di neutralizzare ogni singolarità. Il secondo segnato dalla lotta con Dio, ma forse meglio dire in rivolta contro un’apparente giustificata teodicea, per attestare il Dio grazie a cui la ragione implode per lasciar spazio ad un altro sapere.

Sestov prefigura, dunque, una sorta di topologia filosofica che deve volgersi da Atene e viaggiare verso Gerusalemme, provocando il pensiero a misurarsi con categorie altre, provocandolo, di conseguenza a rompere la sua affermazione escludente. Per quanto sia innegabile un’influenza di Franz Rosenzweig e di Emmanuel Levinas, così da poter facilmente inserire Sestov nel fecondo ambito che lega ebraismo e filosofia, il suo pensiero presenta anche tratti di assoluta originalità che svelano nello stesso retaggio biblico e nell’ermeneutica scritturistica cui egli si dedica, impensate masse di vita filosofica. Fra questi, rileviamo la sua riflessione sul racconto del peccato originale, in cui Sestov oppone al potere del serpente come quello di un nichilismo rovesciato in ragione ed in necessità, la pura possibilità di un sapere creaturale che vive nell’il limite possibilità del volere divino. Quindi la ragione retta da necessità, che rovescia in sapere della morte la condizione creaturale di Adamo ed Eva non è altro che l’ingresso nel potere del serpente, potere nullificante che fa coincidere inizio e fine.

Tuttavia, qui, si inserisce un aspetto ancor più originale della topologia sopra citata: questa coincidenza di inizio e fine rimanda all’antico frammento che riporta il detto di Anassimandro, il regressus che cancella nell’indifferenziato ogni differenza. Da questo punto di vista, lo steso ristabilimento dell’ordo creationis e della partecipazione ex parte Dei della sua libertà all’uomo non è da ravvisarsi sci et simpliciter nell’obbedienza all’Uno, quanto – al contrario – nell’apertura alla pluralità delle differenze, secondo il disegno originario. Tuttavia esso riguarda il riscatto del sapere dalla cifra del dominio, colpevole di tale reductio ad unum, di tale tentazione oggettivante che, per questo, è scienza di morte, segnata, per altro dalla concupiscientia sciendi. D’altro canto, il pensiero della Differenza di cui è intrisa la pagina biblica, interrompe in modo salvifico quel paradigma di Anassimandro-serpente che assoggetta anche Dio alla potenza dell’Ananke, la quale costituisce lo stesso velo che copre la verità, cedendo ad un paradigma di pura reificazione. Non è difficile ravvisare un’eco di istanze mistiche (nonostante Sestov rifiuti questo aggettivo) cristiane, e di intuizioni presenti in Adorno, che lega la deformata figura del mondo amministrato alle catture metafisiche impositive.

D’altro canto si possono ravvisare molteplici risonanze della filosofia di Simone Weil, specie quando Sestov parla dell’attesa e della supplica, entrambe declinate nel senso di una lotta, della lotta de l’homme en revolte, pur segnato dalla nostalgia del Totalmente Altro, e pronte a farsi ostaggio del dramma del mondo e del suo riscatto. Si può individuare in questo pensiero lo stesso carattere errante proprio del personaggio paradigmatico che Sestov recupera, dato che esso non può essere collocato in sistema alcuno, pur se continua a rappresentare quella spina nella carne della ragione grazie a cui il de profundis per la dialettica di manciniana memoria, prepara un nuovo pensiero il cui carattere inevitabilmente fenomenologico, tuttavia, non è più finalizzato ad un’epochè volta alla reductio ad unum quanto invece volta ad una coscienza il cui dato ineludibile è la stessa singolarità segnata dalla domanda di senso, dalla rivolta contro l’assurdo, dall’etica diacronica che apre ad un orizzonte messianico. Per tutto questo Lev Sestov merita di essere conosciuto ed approfondito ed il libro di Alessandro Paris costituisce un ulteriore importante contributo, visto che l’autore si attesta come uno fra gli unici studiosi di questo interessante ed inquieto pensatore.