1. Premessa
Nella concezione metafisica di Numenio (II secolo), se si procede nella lettura dei frammenti pervenutici del dialogo intitolato Περὶ τἀγαθοῦ,1 la già particolare configurazione del principio, l’Uno-Essere, inteso come Nοῦς, si arricchisce di una puntuale dissertazione filosofica che illustra come esso si esplichi in tre diverse fasi, o meglio, livelli di unità, detti dèi dall’autore, per rivelarsi nel cosmo, plasmando e reggendo la materia.2 In questa sede non è possibile affrontare e chiarire ogni aspetto della filosofia dell’Apamense nel suo insieme – e pertanto si rimanda a studi specifici – ma di fronte all’urgenza della ricerca si vuole analizzare filologicamente, offrendo un originale contributo al lungo dibattito che ne è scaturito, il misterioso proschresis. Tale termine, chiave per la comprensione di tutta la concezione filosofica di Numenio, è da lui adoperato al termine della sua opera proprio per chiarire il ruolo dei tre dei, che nel Principio Uno e triadico danno luogo alla generazione del Cosmo, e soprattutto per chiarire la «relazione» che intercorre fra essi, in quanto è da questa relazione fissa ed eterna che scaturirebbe il movimento, noetico e ontico, che ordina il mondo.
2. Sulla proschresis
Νουμήνιος δὲ τὸν πρῶτον κατἀ τὸ ‘ὅ ἐστι ζῷον’ τάττει καὶ φησιν ἐν προσχρήσει τοῦ δεύτερου νοεῖν, τὸν δὲ δεύτερον κατὰ τὸν νοῦν καὶ τοῦτον αὖ ἐν προσχρήσει τοῦ τρίτου δημιουργεῖν, τὸν δὲ τρίτον κατὰ τὸν διανοούμενον.
Numenio classifica il Primo come «l’essere vivente che è» e dice che questi ha bisogno del secondo per intelligere; classifica invece il Secondo come l’Intelletto e dice che questi è a sua volta nella condizione di ricorrere in aggiunta al Terzo per plasmare demiurgicamente; infine, classifica il Terzo come colui che usa il pensiero discorsivo.3
Secondo Michalewski – si riporta la sua lettura – la soluzione proposta da Numenio di conciliare l’unità di dio e la molteplicità inerente al vivente intelligibile consiste nel dire che il primo è in stasi nella sua semplicità e «ricorre in modo aggiuntivo» al secondo principio per pensare: delega questo compito a un principio inferiore che contiene in esso la molteplicità dell’intelligibile (le Idee). Il secondo principio, a sua volta, utilizza un principio derivato per produrre il mondo sensibile. La proschresis («il ricorso aggiuntivo») assicura il collegamento tra i differenti principi, ciascuno dei quali sviluppa ciò che il precedente comprende nella sua unità. Queste forme di «delega» permettono di mantenere diversi livelli di unità, ponendo al vertice della gerarchia intelligibile il primo principio, privo di una qualsiasi attività che coinvolga una pluralità. Il primo, chiamato «vivente intelligibile», è una sorta di stato grezzo del modello4 che non ha ancora sviluppato tutte le specie che sono come avvolte nella sua suprema unità. Il primo dio contiene nell’unità della sua phronesis il secondo intelletto, demiurgo del mondo sensibile, sviluppato e diviso nell’atto di pensiero (νοεῖν). Nel primo dio esiste un contatto immediato, diretto, impeccabile, tra l’essere totalmente concentrato in se stesso, e ciò che li «afferra» nella propria unità. In questo modo, chiamare «intelletto» il primo dio è quasi una sorta di passaggio al limite.
L’intellezione stessa, coinvolgendo la distinzione delle forme tra loro, non appare fino al livello del secondo intelletto. Questa duplicazione aggiunge valore all’ozio stazionario di un dio al di sopra del demiurgo e totalmente trascendente. Ma come pensare al primo dio che è intelletto e che è al di là del pensiero? Due concezioni della divinità concorrono in questa duplicazione dei livelli divini. La prima, ispirata dal pitagorismo, fa del primo dio un qualcosa di ancora più semplice dell’intelletto, un’unità primaria che si presenta come il primo caso della seconda parte del Parmenide. La seconda comprende il primo dio come realtà intellettiva.5 In breve anche Müller ripercorre quest’analisi. «Proclo qui parla di tre livelli e due attività: νοεῖν e δημοιυργεῖν. La prima attività è quella che realizza il primo nella πρόσχρησις del secondo. E questo aiuta a spiegare perché, secondo Numenio, ‘ὅ ἐστι ζῷον’ occupa il primo posto, che nella maggior parte dei frammenti […] è identificato con il bene: il primo dio è il modello che dà la possibilità che il secondo, in quanto νοῦς, possa esercitare l’attività dell’intellezione (νοεῖν), allo stesso modo che il Bene è la condizione di possibilità dell’intellezione degli oggetti intelligibili nell’analogia con il sole di Repubblica VI. D’altra parte, la demiurgia è un’attività che il secondo realizza nella πρόσχρησις del terzo, che si trova nella posizione di colui che esercita la διάνοια. È da dire che il secondo νοῦς, al quale corrisponde propriamente l’attività noetica o contemplativa, è demiurgo in quanto è causa della γένεσις del mondo sensibile e utilizza il terzo dio, a cui si deve attribuire la pianificazione di questo ordine. Il secondo dio, fin qui qualificato come νοῦς, in seguito si lega a entrambe le attività, così come è in relazione con ciò che lo precede o con ciò che lo segue all’interno della gerarchia divina»6.
Ma le precedenti interpretazioni delle due studiose citate, seppur corrette, non sembrano dar abbastanza forza alla tesi del presente studio: l’essere di Numenio, che è il pensiero (τὸ ὂν εἶπον ἀσώματον, τοῦτο δὲ εἶναι τὸ νοητόν)7 la cui «vita» in quanto «essere vivente che è» (ὅ ἐστι ζῷον) si esplica in tre momenti di vita «psichica» differenti, con diverso valore assiologico ed epistemologico, ma inerenti alla sola Unità dell’Essere, che permane fissa ed eterna prima e dopo la generazione del divenire. Si ritiene proficuo, dunque, approfondire i due importanti frammenti di Numenio (21-22), tratti dal Commentario al Timeo di Proclo, secondo un’altra prospettiva di ricerca, e cioè confrontandoli con alcuni passi dei Trattati di Filone di Alessandria. Non bisogna quindi dimenticare che, come dice anche Andolfo, la tradizione platonica che fece rinascere la metafisica sarebbe stata per gran parte composta dal contributo teoretico filoniano.8
Νουμήνιος δὲ τὸν πρῶτον κατἀ τὸ ‘ὅ ἐστι ζῷον’ τάττει καὶ φησιν ἐν προσχρήσει τοῦ δεύτερου νοεῖν…
Numenio classifica il Primo come «l’essere vivente che è» e dice che questi ha bisogno del secondo per intelligere… (Fr. 22).9
σκιὰ θεοῦ δὲ ὁ λόγος αὐτοῦ ἐστιν ᾧ καθάπερ ὀργάνῳ προσχρησάμενος ἐκοσμοποίει.
L’ombra di Dio è il suo Logos, di cui Dio si serve come di uno strumento nella creazione del mondo. (Legum allegoriae III, 96).10
Il fatto che Proclo riporti una testimonianza, anche se critica, relativa a Numenio in un tale contesto (fr. 21-22), può indurci a pensare che l’autore abbia letto nell’opera originale e completa del De bono qualcosa di molto simile a ciò che rinveniamo nei Trattati del filosofo platonizzante Filone l’Ebreo, ma rivisitato (fatto proprio) e riadattato da Numenio in una «chiave» concettuale spiccatamente platonica. Il sostantivo proschresis compare, prima che in Filone, soltanto in Platone, e precisamente nelle Leggi,11 in un contesto non attinente a quello in cui si muovono invece Filone e Numenio.12
εἰ κέχρηται τοῖς ὀργανικος μέρεσι, βάσεις μὲν ἔχει τοῦ προέρχεσθαι χάριν – βαδιεῖται δὲ ποῖ πεπληρωκὼς τὰ πάντα;
Perciò perché parlarne ancora? Se Dio usa organi specifici ha piedi per camminare: ma dove andrà nel momento che riempie tutte le cose?13
Filone prosegue: «e da chi andrà visto che nessuno Gli è pari di rango? E per quale scopo? Lui non ha da prendersi cura della salute, come noi. Dovrebbe avere mani per prendere e per dare: ma Egli, certo, non prende niente da nessuno, giacché, oltre al fatto che non ha bisogno di niente, ha già il possesso di tutte le cose»14. Come in Numenio viene riaffermata l’autosufficienza di Dio in quanto «puro» essere, che è, dunque, anche in pieno possesso di tutte le cose, in quanto a lui tutte le cose, nella loro specificità, devono l’essere (l’acquisire la forma).15 Il Dio di Filone è ineffabile, e come il Dio di Numenio non crea, o almeno non «direttamente» («il Primo Dio è inattivo nell’opera della creazione»),16 poiché la «specificità» del Primo Dio è quella dell’«essere» non del «divenire-generare», il primo è Uno e non diade ideale, come il secondo dio che si «scinde» pensando.17 Ma in quanto è essere gli appartiene perfettamente anche il secondo momento «intellettivo», la creazione, la quale in Filone appare come l’unico momento intellettivo, in quanto per lui il Primo è inintelligibile.18 Anche se non si presenta una perfetta o almeno dichiarata coincidenza dell’Essere col Pensiero, come in Numenio, ciò non significa che Dio non pensi, anzi, più propriamente, come già visto, lo fa tramite il Suo Logos.
Egli dà impiegando, come ministro dei doni, il Suo Logos, mediante il quale ha anche costruito il mondo. E certamente non avrebbe bisogno di occhi, che non possono percepire senza una luce sensibile, mentre Dio vede, anche prima della creazione, mediante la luce che Lui stesso è.19
Per Filone, a differenza di Numenio, non è necessario speculare su una coincidenza diretta del pensiero con l’essere, in quanto il pensiero appartiene all’essere, come la luminosità al sole, e in tal senso è lui stesso la luce che rende pensabili le cose, semplicemente pensandole. Le cose sono e in quanto sono le pensiamo, perché sono in Dio che le pensa e le continua a pensare nell’attimo eterno della creazione.20 Tutto ciò non toglie che l’Essere in quanto tale, quindi scevro dal Logos, dalla sua copia che è paradigma di tutta la realtà,21 non sia per Filone ineffabile e inintelligibile, in quanto potenzialità (possibilità efficace) della pensabilità. Bisogna evidenziare che – ed è ciò che più attiene al presente lavoro di ricerca – l’identità di Dio e il Suo Logos in Filone, alla luce della «differenza omeomera» del par. 3.2.3, dove il nome per ciascuno dei tre dèi si concettualizza per la caratteristica saliente del momento divino, conferma la nostra interpretazione sull’unità identitaria, seppur dinamica, in cui si trovano questi momenti col primo momento, in Numenio. Il Primo Dio, come momento in potenza, è in realtà un «non momento», non un Dio prima della creazione, ma «colui che è» (ὁ μέν γε ὢν)22 in «espansione»:23 l’essere che è, e non può cessare di essere, in ogni attimo della sua esplicazione, così come non può cessare la sua unità e trascendenza. Si riprenda ancora una volta il passo poco sopra citato del Quod Deus sit immutabilis e si rifletta sul fatto che, come il fr. 22 del De bono voglia probabilmente rievocare il concetto di proschersis più volte utilizzato da Filone di Alessandria nel reinterpretare il Timeo 39e, col quale si è aiutato nel definire il rapporto tra il Dio biblico (l’Essere) ed il Logos, anche l’altro frammento del De bono, il 21, tratto anch’esso dal Commentario al Timeo di Proclo, stia concettualizzando, ma in estrema sintesi, un passo numeniano che si accostava presumibilmente al Quod Deus sit immutabilis 57-58:
ὤστε ὁ κατ’ αὐτὸν δημιουργὸς διττός, ὅ τε πρῶτος θεός καὶ ὁ δεύτερος…
pertanto il suo demiurgo è duplice, il Primo Dio e il secondo…24
Si completi di seguito l’accostamento di Filone a Numenio, consci delle differenze della loro speculazione. Si proceda, dunque, non solo raffrontando queste due testimonianze di Proclo con Filone, ma anche i punti salienti e comuni che ritroviamo nei due sistemi di pensiero, così da trarre le conclusioni che rendano quanto più possibile il ricostruire la concezione metafisica di Numenio. Per procedere con quanto detto si suppone sia opportuno lasciare, innanzitutto, che la «voce» di Numenio segua la traccia di quella di Filone. «Dio non è come un uomo», ma neppure come il cielo, né come il mondo: queste, infatti, sono forme fatte in un certo modo, e vengono a presentarsi alla nostra sensibilità, mentre Dio non è certo afferrabile neppure dall’intelletto, se non per quanto riguarda il suo effettivo esistere. È la Sua esistenza, infatti, che noi comprendiamo, ma al di fuori dell’esistenza, nient’altro.25 Non è possibile trarre l’idea del Bene da nulla di presente e neppure da qualcosa di sensibile che sia a lui simile.26 L’essere è in tutto e per tutto eterno, non uscendo in nessun modo e in nessuna parte da se stesso, e rimane nello stesso modo e si mantiene parimenti fisso, senza dubbio […] questo quel che «coglie l’intelligenza tramite il ragionamento».27
Numenio e Filone condividono la stessa concezione di stampo eleatico dell’essere: fisso ed eterno, dunque incorporeo, al cui interno non è ammissibile alterità, e quindi molteplicità. Ma con l’aiuto di Filone è possibile risolvere il paradosso sottolineato da Proclo riguardo alla filosofia dell’Apamense:
Ἄμεινον γὰρ οὕτω λέγειν ἢ ὡς ἐκεῖνος λέγει προστραγῳδῶν, πάππον, ἔγγονον, ἀπόγονον. Ὁ δὴ ταῦτα λέγων πρῶτον μὲν οὐκ ὀρθῶς τἀγαθὸν συναριθμεῖ τοῖσδε τοῖς αἰτίοις· οὐ γὰρ πέφυκεν ἐκεῖνο συζεύγνυσθαί τισιν οὐδὲ δεύτεραν ἔχειν ἄλλου τάξιν.
In vero, è meglio esprimersi così che piuttosto come parla lui, esagerando con enfasi tragica, di «nonno», «figlio», «nipote».28 Dunque, parlando in questi termini si include non correttamente il Bene nell’insieme di queste cause, mentre questi per sua natura non è aggiogato a niente né ha una posizione che sia seconda a qualcun’altro.29
3. Conclusione
E se la pomposità, «l’esagerazione tragica» (τετραγῳδημένον), sia da riferirsi a una riflessione di Numenio che si ricollegherebbe, almeno nei punti essenziali di matrice platonica, alla seguente di Filone, come si potrebbe evincere dalla similarità di alcune espressioni?
Ma neppure questo si dovrebbe ignorare: che l’enunciato «Io sono il tuo Dio» <Gen. 17,1 / c> è espresso in senso improprio, non appropriato. Perché l’Essere in quanto è Essere, non appartiene al relativo: infatti è di per sé pieno di se stesso e sufficiente a se stesso: così era prima della creazione del mondo, così rimane, senza mutamenti, dopo la creazione. Egli è immutabile ed inalterabile, non ha assolutamente bisogno di null’altro, sicché tutto Gli appartiene, mentre Egli in senso proprio non appartiene a nessuno. Ma alcune delle Potenze che ha proiettato nella creazione per il bene della struttura da Lui preordinata, sono chiamate in qualche modo relative, come la Potenza regale e la Potenza benefica: infatti essere re o benefattore di qualcun altro significa esserlo di qualcuno che è inevitabilmente subordinato alla sovranità oppure oggetto del beneficio. Parente prossimo30 di queste è anche la Potenza creatrice, chiamata Dio, perché per mezzo di essa il Padre, che ha creato e foggiato con arte tutte le cose, ha dato loro un ordinamento. Sicché «Io sono il tuo Dio» equivale a «Io sono il creatore e l’artefice». È dono grandissimo avere per architetto Lui che è stato l’architetto del mondo intero.31
Se non fosse per le citazioni bibliche, la gran parte delle espressioni di questo passo possono essere rintracciate in Numenio, ma si sorvoli su questo punto.32 Si può invece affermare che il rapporto tra il Primo Dio ed il Demiurgo in Numenio è concettualmente il medesimo rapporto che tempo prima aveva rielaborato Filone tra l’Essere e il Logos, rileggendo o, meglio, rintracciando le concordanze del testo sacro dei Giudei con la cosmogonia del Timeo. L’essere in quanto essere permane identico prima e dopo la creazione; dunque non è semplicemente un dio, o meglio, un momento antecedente la creazione, come già visto nel corso di questo capitolo; e ciò conferma l’opportunità che il modello eterno dell’esistenza e dell’essenza di tutte le cose sia semplicemente «l’è», che ha eternamente in sé, fisse e immutabili, le leggi dell’universo che da esso «naturalmente» si esplicano, in quanto in lui stesso sono, così che in lui permangano il demiurgo ed il legislatore. Con la genesi del divenire non cessa l’eternità (1° Dio), ma è dall’eternità che il tempo scaturisce, in quanto pensiero/copia dell’eternità proiettato nel caos materiale.
Il tempo (Cosmo) persiste soltanto grazie a questo «perdurare dell’eterno», che come un’asse centrale di una sfera muove e non è mossa, mentre il suo ricondurre all’ordine il movimento attraverso lo sviluppo della potenzialità delle idee nel sostrato precosmico33 (2° Dio-Materia) è la legge immutabile che contiene34 l’intero prodotto demiurgico, facendo sì che quanto generato si conservi e viva secondo il proprio ordine partecipando della stabilità del Bene, il Dio vivente (3° Dio).35 La critica di Proclo affermava che fattore e padre (ποιητὴν καὶ πατέρα) non possono riferirsi al Primo Dio, in quanto se fosse tale, riportato nella gerarchia che si vuol «vedere» in Tim. 28c, il Padre, che è il Primo Dio di Numenio, non resterebbe separato ed immutabile come lo stesso autore aveva affermato lungo tutta la sua opera, ma addirittura apparirebbe secondo al Demiurgo, il quale è il fattore. Ma nel passo sopra riportato da Filone è il Padre stesso a proferire «ἐγώ εἰμι ποιητὴς καὶ δημιουργός»36. Dunque, se tutto proviene dall’Uno è nell’Uno, tanto che l’ineffabilità, che lo stesso Filone dichiara per il Primo, non rende impossibile che il suo Dio venga chiamato «fattore e demiurgo», così che l’unità degli attributi non sia propriamente nel Primo, in quanto fattore (creatore), ma è fattore e demiurgo (2°-3° Dio) in quanto è Padre.37
Con quanto detto si risolverebbe l’impasse sostenuta da Proclo riguardo la filosofia numeniana, che a differenza di quella di Plotino non conosce una processione totale dell’Uno, in quanto l’Uno, coincidendo con l’Essere e l’Intelletto, è principio provvidenziale legatosi alla necessità dalla materia, affinché, come modello eterno, tutto sia («È») a sua immagine (1° Dio o momento divino), da lui, come demiurgo, generato (2° Dio o momento divino), e da lui, come ragione legislatrice, retto e ordinato (3° Dio o momento divino).38 Mentre le leggi di Dio poste nella natura sono conoscibili attraverso la scienza, così come è possibile risalirne alla sintesi e alla struttura logica, ciò che resta inafferrabile di questo Divino è, nella sua unità stabile, il Primo Dio, il quale è il Bene, l’Uno-Essere.39 L’Uno è in tutte le cose e tutte le cose sono in lui, tanto da contenere nella propria unità la molteplicità dinamica,40 rimanendo al contempo trascendente.
-
Per la consultazione dell’opera si consiglia la traduzione italiana contenuta in Medioplatonici, Opere, frammenti, testimonianze, Testi greci e latini a fronte, a cura di E. Vimercati, («Il pensiero occidentale»), Bompiani, Milano 2015. ↩︎
-
Cfr. Numenio, fr. 4b, r. 14 sg.: «tutti i corpi hanno bisogno di un qualcosa che li mantenga». ↩︎
-
Ibidem, fr. 22. ↩︎
-
Affermazione assai rischiosa di Michalewski. ↩︎
-
Cfr. A. Michalewski, La Puissance De L’intelligible: La Theorie Plotinienne Des Formes Au Miroir De L’heritage Medioplatonicien, («Ancient and Medieval Philosophy»), Leuven Univ Pr, 2014, p. 95. ↩︎
-
Cfr. G. Müller, La doctrina de los principios en Numenio de Apamea, «Cuadernos de Filosofia N° 56», Otoño 2001, pp. 63-64. ↩︎
-
Numenio, fr. 7, r. 3. «Il noetico, qui, è l’intelligibile nel senso platonico; corretto con un moderno pensabile, non consacrerebbe quella grande verità, che l’essere si identifica col pensiero?» (G. Martano, Numenio d’Apamea un precursore del neo-platonismo, Ed. Perrella, Roma 1941, p. 89). ↩︎
-
Cfr. M. Andolfo, L’ipostasi della «Psyche» in Plotino. Struttura e fondamenti, («Temi metafisici e probl. del pens. antico»), Vita e Pensiero, Milano 1996, pp. 364-365. ↩︎
-
Mentre il secondo crea, ma attraverso il terzo: «classifica invece il Secondo come l’Intelletto e dice che questi ha bisogno a sua volta del Terzo per creare» (fr. 22, r. 4 sg). ↩︎
-
«Quest’ombra in quanto tale è una copia archetipo delle altre realtà. Se, infatti, Dio è il paradigma di quella immagine, che qui chiama “ombra” è pur vero che questa medesima immagine diviene paradigma delle altre realtà» (Leg. all., III, 96) [tr. it di R. Radice]. ↩︎
-
S. v. προσχρηστέον in Plat. Leg., 713 a 6. ↩︎
-
Waszink si spinge ad ipotizzare una derivazione filoniana tout court. Cfr. J.H. Waszink, Porphyrios und Numenios, in Entretiens sur l’antiquité classique, Vandouvres-Genève, XII, 1966, p. 50, n. 4. ↩︎
-
Filone di Alessandria, Quod Deus sit imm., 57 [tr. it. R. Radice]. ↩︎
-
Ivi. ↩︎
-
Numenio, fr. 10 b CCXCVIII, r. 98 sg.: «la massa di tutte le cose è costituita da Dio e dalla materia». Cfr. fr. 20. ↩︎
-
Ibidem fr. 12, r. 13 sg. ↩︎
-
Cfr. fr. 16. S. v. fr. 11. ↩︎
-
Cfr. Filone di Alessandria, De mut. nom., 15. ↩︎
-
Filone di Alessandria, Quod Deus sit imm., 57-58 [tr. it. R. Radice]. Si noti come Numenio nel fr. 14 faccia largo uso sia all’analogia del donatore-donatario che di quella della luce. ↩︎
-
Come per Numenio, la «fissa eternità» del fr. 5. ↩︎
-
Cfr. Filone di Alessandria, Leg. all., III, 96. ↩︎
-
Numenio, fr. 13 r. 4 ↩︎
-
Cfr. Ibidem, fr. 15, r. 10. Cfr. Alessandro di Afrodisia, De sacrif., 68: «ὧδε ἐγὼ στήσομαι καὶ ἐκεῖ» […] τονικῇ χρώμενος τῇ κινήσει «“Io sarò qui e là” […] con un movimento di espansione» [tr. it. di R. Radice]. ↩︎
-
Numenio, fr. 21, r. 5. ↩︎
-
Filone di Alessandria, Quod Deus sit imm., 62 [tr. it. di R. Radice]. «“Colui che è”, per Filone, non può avere un nome, in quanto la Sua natura è solamente di Essere, e qualunque nome, aggiungendo qualcosa all’Essere, comporta la predicazione, implicante pluralità e razionalità» (Eva Di Stefano, La Triade divina in Numenio di Apamea. Un’anticipazione della teologia neoplatonica, «Symbolon», CUECM, 2010, p. 75). ↩︎
-
Numenio, fr. 2, r. 4 sg. ↩︎
-
Ibidem, fr. 8, r. 2 sgg. ↩︎
-
O anche «antenato», «discendente», «nipote». ↩︎
-
Ibidem, fr. 21, 6-10. ↩︎
-
Anche qui vi è un forte richiamo all’analogia del rapporto di parentela che si instaurerebbe fra i tre dei secondo il linguaggio «pomposo» utilizzato da Numenio, a detta di Proclo, nel De bono. ↩︎
-
Filone di Alessandria, De mut. nom., 27-30. [tr. it. di R. Radice]. ↩︎
-
La proiezione delle potenze come la partecipazione che i sensibili hanno delle idee e la forte assonanza con il fr. 13 sulla «semina». La regalità del Primo, come Re (fr 12). Il benefattore leggibile come il donatario del fr. 14. ↩︎
-
Cfr. Numenio, fr. 13. S. v. anche Arist. Phys., Θ 5. 256 b 24. ↩︎
-
Cfr. Numenio, fr. 4a. ↩︎
-
Cfr. Ibidem, frr. 12, 15-16. È l’anima cosmica. Dio vivente dal fr. 22. ↩︎
-
Cfr. Filone di Alessandria, De mut. nom., 29. ↩︎
-
Cfr. Ibidem., 15-16. ↩︎
-
Il κόσμος νοητός. «Per sottolineare ancora di più la bellezza del nascituro, Mosè dice che egli verrà al mondo un “altro anno” <Gen 17,21>, indicando con “altr’anno” non già l’intervallo di tempo che si misura secondo la rivoluzione della luna o del sole, ma un qualche cosa di straordinario, insolito e veramente nuovo, “altro” dal visibile e dal sensibile, che appartiene all’ambito dell’incorporeo e dell’intelligibile, e serve da modello e da prototipo del tempo: l’eternità. “Eternità” significa nelle Scritture, vita del mondo intelligibile, come “tempo” significa vita del mondo sensibile» (Filone di Alessandria, De mut. nom., 267) [tr. it. R. Radice]. ↩︎
-
Cfr. Numenio, fr. 17. ↩︎
-
Cfr. Numenio, fr. 41 des Places: in ciascuna delle parti vi è anche l’intero. Cfr. Ibidem, fr. 11 r. 19 sg.: «si è legato al sensibile e lo circonda, lo eleva anche alla propria condizione». ↩︎