Recensione a Gennaro Cicchese e Giovanni Chimirri, Persona al centro. Manuale di antropologia filosofica e lineamenti di etica fondamentali

Gennaro Cicchese e Giovanni Chimirri, Persona al centro. Manuale di antropologia filosofica e lineamenti di etica fondamentali, Mimesis, Milano-Udine 2016.

«Persona al centro. Manuale di antropologia filosofica e lineamenti di etica fondamentali» di Gennaro Cicchese e Giovanni Chimirri, Mimesis, Milano-Udine, 2016 unisce, nella veste di un corposo volume di 750 pagine, le virtù del libro didattico, destinato alla formazione e all’insegnamento (v. p.720) ad un impegno teoretico, vòlto ad introdurre alla Filosofia, secondo una rilettura dei valori tradizionali della filosofia cristiana (perché, si dice, la filosofia deve «puntare in alto», ai valori che potenzino l’uomo (v. p.27) ed esercitarsi alla problematizzazione, in quanto nata dalla meraviglia (cfr. p.28). Questo vale in particolare per l’antropologia e la filosofia morale, secondo un approccio che superi le dicotomie e le rigide contrapposizioni, ad esempio, tra metafisica e idealismo, fede e ragione, esperienza e ontologia e rinnovi su nuove basi, fenomenologiche e critiche, le posizioni del realismo («Una filosofia realista è, perciò, naturalmente aperta alla trascendenza (orizzontale e verticale: al cosmo e all’uomo, ma anche all’Assoluto» (p.36) con notevoli aperture al pensiero moderno e contemporaneo ebraico, cristiano, laico. I vari ambiti nel quale la questione uomo viene affrontata (gnoseologico, psicologico, comunicativo, politico, morale, teologico) trovano nell’ontologia non soltanto il loro punto di partenza (cfr. pp. 35-36) ma la loro fondazione-chiarificazione, secondo un taglio teoretico e sistematico, svolto però in maniera articolata con un linguaggio appropriato sia all’uso didattico che alla funzione propedeutica in vista di indagini e ricognizioni personali più profonde. Le possibilità del filosofare e le contaminazioni ermeneutiche di esso con le discipline delle scienze umane (prevalentemente psicologiche) e quelle religiose (la teologia) ne ricevono impulso e nutrimento. Il testo conforta la trattazione con l’attraversamento di diversi ambiti, autori ed opere. L’antropologia filosofica fa questione dell’uomo e pone al centro l’uomo nella reciprocità dei rapporti con gli altri e con il mondo (cfr. p. 42). L’interrogazione principale concerne la struttura e la storia del problema antropologico e la sua possibile soluzione.

Il carattere necessariamente metafisico della domanda filosofica, generata dallo stupore rispetto al cosmo e all’uomo, orientata alla comprensione dell’essere come amore, viene richiamato con riferimenti a Berti e M. Gentile, Pareyson, Blondel (pp.61-2), Buber, (p.54-55) Scheler, Mounier, in una prospettiva che include, nell’esplicitazione del mistero dell’uomo (v. p.46) il dato della rivelazione. La vocazione personalista del testo risulta evidente soprattutto nel Cap. VII «Persona e agape», (v. part. le pp. 449-456), che trova una logica prosecuzione nell’analisi della relazione interpersonale, del pensiero dialogico (cap, IX «Dal silenzio al dialogo») e nella filosofia morale e sociale dei capitoli seguenti. L’oggetto e il metodo dell’antropologia filosofica, rivendicata nella sua autonomia, viene proposto dagli Autori come studio dell’essenza dell’uomo in termini metafisici (p.51), in una visione a forte curvatura personalista, ricostruita nella sua genesi storica, che confluisce nella nuova antropologia di Scheler, Plessner e Gehlen (pp.56-59). Il capitolo II scommette sui «Fondamenti metafisici dell’antropologia», una disciplina che – si dice – non può fare a meno né della metafisica né dell’etica, risolvendosi la stessa metafisica in metafisica teologica (p.82). La filosofia non può escludere la trascendenza: «La filosofia è sempre stata, fin dalle sue origini, un’istituzione del Fondamento, una posizione dell’Intero, un ricorso al Principio» (p.82-83). Ripercorrendo cinque grandi visioni del mondo il testo individua la possibilità di integrare il pensiero moderno, in alcune sue espressioni, con la dimensione trascendente e intemporale della filosofia intesa come «sapere assoluto dell’assoluto» (p.88) e «posizione di Essere» (p.92), con un forte appello alla dimensione dello spirito e dei valori. Esaminate le teorie sull’origine del mondo ed escluso che possano spiegare il perché dell’esistenza della specie umana (v. p.95) ribadisce le ragioni del creazionismo (v. pp.96-99) e ne coglie la prospettiva antropologica nell’atto di amore che unisce la creazione e la redenzione. Il confronto con l’idealismo si presenta sempre ampio e articolato, vòlto a scongiurare gli esiti panteistici dell’idealismo estremo, accogliendone però la critica dell’immediatezza e il superamento del finito. La valorizzazione dell’anima di verità contenuta nell’idealismo, cioè della sua critica al materialismo, conduce all’affermazione per cui non c’è opposizione radicale tra idealismo e realismo (v. p.101), una volta evitati i rischi del panteismo. Ammessa l’intrascendibilità del pensiero, bisogna, si osserva, distinguere tra atto metodologico e gnoseologico e atto assoluto ontologico, che rinvia all’essere sul piano metafisico (v. p. p.101). Il nichilismo, il materialismo e l’ateismo, dal canto loro, non superano le loro contraddizioni e sono sottoposti alle critiche classiche del pensiero greco e cristiano, secondo gli apporti dei documenti del Concilio Vaticano II. La stessa concezione della verità, si fa questione della fonte di essa in Dio e, su questa base, vengono classificate le concezioni tendenzialmente metafisiche distinguendole da quelle relativistiche e «deboliste» e si afferma un’ontologia della verità e della sua relazione con l’uomo. Così nel III capitolo il problema della verità e della conoscenza viene assunto tematicamente. Il problema del pensiero del soggetto umano e del suo rapporto necessario con la verità e la necessità logica e morale, in senso rosminiano, consente di evitare le secche del debolismo (cfr. pp.152-4), come del realismo ingenuo materialista, che coincide in fondo, con il punto di vista del senso comune. Viene riaffermata l’unicità della verità (cfr. p.143), che pure «si rende concreta in una costellazione di affermazioni e verità parziali» (p.151) e la sua oggettività, in rapporto alla quale il pensiero, come istanza di intenzionalità, si apre all’essere, al mondo e agli altri (cfr. p.145), ma soprattutto all’essere, nella sua dimensione di assoluto, nel quale si vive e si pensa, in una ontologia della verità che recupera Tommaso, Anselmo, Rosmini (cfr. p.213-14), Maritain e Blondel, oltre ogni certezza soggettiva e contro ogni forma di scetticismo. La filosofia «aspira ad essere l’auto-manifestazione della verità, la «verità prima» che informa tutto il conoscere umano» (p.191), necessaria, in quanto filosofia e sulle questioni di fondo, persino alla fede, che non si voglia ridurre al fideismo. Un manuale di antropologia filosofica non poteva tralasciare la trattazione dell’unità psico-somatica anima-corpo, pensata nei termini della versione rosminiana dell’ilemorfismo tomista (v. p. 247-8)

Una precisa ricostruzione della storia del concetto di libertà e della sua intrinseca connessione con lo spirito, introduce poi ad un’interpretazione di essa il cui valore viene pienamente reintegrato e ricostituito soltanto quando nella libertà il soggetto costituisce se stesso e si crea come persona in rapporto ad un fine, il Bene, che esige limiti all’autonomia dell’uomo (cfr. p.285 e p.303), nell’azione che è apertura, innovazione, risoluzione di conflitti, proposta (cfr. p.304). La libertà opera sulle necessità come «determinazione volontaria dell’atto» (Blondel, cit. a p.305). L’etica trova il corretto rapporto della ragione con le passioni nel realismo morale, in cui le passioni sono orientate e collocate nel loro giusto posto, in vista del bene e la volontà e il libero arbitrio si realizzano (v. p.313), nell’operosità di una costruzione quotidiana (cfr. G. Gentile, cit. a p.319 e 322, 349), che è processo di disindividualizzaione in rapporto all’altro e di conquista del valore, da attuare nella virtù, della personalità spirituale (v. p.322).

Il capitolo VI, dedicato alla teoria dell’azione e dei valori, attraverso un fruttuoso confronto con l’etica dell’idealismo, evocata nelle le sue valenze cristiane, prepara il terreno al vasto impianto del capitolo VII «Persona e amore», che mette a frutto l’impostazione spiritualistica e personalistica del testo. Le prospettive teoretiche di fondo degli autori, in senso propositivo, rosminiana e impegnata in un rinnovamento sistematico della tradizione ontologica cristiana quella di Chimirri, centrata sulla filosofia dell’azione blondeliana e sulla visione personalista e dialogica (Buber, Eschel, Guardini, Blondel. Mounier) e in un superamento del Cogito cartesiano nel «amo ergo sum» quella di Cicchese, convergono però negli snodi fondamentali della trattazione, la cui tesi morale fondamentale è quella dell’essere come oblatività o essere nell’amore, l’essere come reciprocità, che si fonda sulla proposizione per cui l’essere è amore. Questa proposizione fondamentale viene trattata sotto diverse angolazioni interne all’antropologia filosofica e alla filosofia cristiana. L’io personale vi si rivela in quanto apertura e dono, che non si limita al donare, ma si sostanzia nella donazione di sé. Il centro della trattazione, che parte dalla terminologia e dalle caratteristiche strutturali della persona (v.p.404-409) e da un breve profilo storico della nozione di persona, è il nodo dell’identità di essere e pensare nella carità (cfr. p.645), chiave dell’ontologia e della gnoseologia, nel segno della filosofia dell’azione di tradizione blondeliana (cfr, p.450-452). L’essere come amore, che è in definitiva cifra dell’essere, una «nuova forma d’essere» (Mounier) opera per decentrare l’individuo da se stesso e centrarlo sull’altro, in una relazione dialogica (relazione tra io e tu, cfr, p.456), che si sviluppa. anche con originali riflessioni fondative, corroborate dal un robusto profilo storico, nel cap. VIII sulla relazione interpersonale e l’intersoggettività come primum antropologico, ontologico, con radici teologiche (cfr, pp. 480-485 sulla natura agapica della relazione tra le ipostasi trinitarie e sulla pericoresi che implica il non-essere nella reciproca inabitazione e nella negatività della kenosi v. p.483 e pp.485-492) e sulla dimensione originaria dell’essere dal punto di vista esistenziale, ontico, ontologico (v. p.470). La nuova frontiera dell’alterità e dell’intersoggettività, oggetto della filosofia dialogica, consente di ripensare in problema del soggetto e di superare il cogito cartesiano nella soggettività dialogica (v. il rinvio a E.Baccarini, p.473-4) per accedere, attraverso il riconoscimento, la parità interpersonale e la reciprocità, l’intersoggettività, alla con-soggettività (cfr. p.491), una comunione presenziale tra le persone, in cui la donazione agli altri è realizzazione di sé, in senso ontologico, gnoseologico e morale. I capitoli seguenti traggono in un certo senso le conclusioni da questa prospettiva teoretica. La forma agapica della comunicazione e della relazione tra gli uomini esige infatti che si riscopra il silenzio come dimensione complessa, oltre il rumore della contemporaneità, in una comunicazione autentica che parta dall’ascolto come stile di vita, «atto interiore e spirituale, reso possibile dal silenzio» (p.523) e si sviluppi nel dialogo, nel rispetto e nella comprensione dell’altro, una volta cessati i pregiudizi e le interpretazioni, che mette in gioco l’identità individuale. Il paradigma dialogico, inaugurato da Gesù, trova il suo terreno nel pensiero dialogico e nell’ermeneutica e i suoi echi più significativi sul piano ecclesiale nel Concilio Vaticano II e nel magistero papale. Il vero dialogo non risponde a principi teorici ma «è lo stesso comandamento dell’amore» (Molinaro, cit. a p.540). Il principio del dialogo, centro della prospettiva di G. Calogero, deve trovare un più esteso riconoscimento, senza intaccare i principi primi della logica e della metafisica (v. p.539), nel riconoscimento dell’interpersonalità, che rimanda al comandamento agapico e lo realizza praticamente nella piena attuazione della dimensione essenziale dell’uomo, l’apertura di quell’essere che costituisce la persona (cfr. Molinaro, cit a p.542), da cui discende anche il riconoscimento e l’uguaglianza dei diritti e la possibilità di un’umanità dialogica in pace, che superi i conflitti interculturali (Cap. X) attraverso non il relativismo dei valori, che nasce dal soggettivismo valoriale (cfr. p. 582) ma una filosofia morale centrata sul bene e sull’unità della persona spirituale (cfr. p.581). Le norme giuridiche e la normalità psicologica richiedono una fondazione metafisica e teologica (cfr. pp.630 sgg, in particolare p.637 per la prospettiva ontologica rosminiana) e una chiarificazione antropologica (p.591) in vista di una concezione cristiana dell’amore umano come sintesi dell’etica (vedi le pp. 647-659).

Il problema del tempo in rapporto all’esistenza, alla coscienza, alla morte e all’eternità introduce all’antropologia nella storia (cap. XI) alla sua attualità e contemporaneità come tradizione che vive nel nuovo, nella coscienza presente degli uomini (cfr. p.671), nelle situazioni in cui si è coinvolti essenzialmente come persone (v. p.673), fuori da ogni naturalizzazione della filosofia della storia o della riduzione di essa al progresso ( un «finito infinitizzato», che funge da unico valore esistente v. p.686) o dalla concezione dell’eterno ritorno dell’identifico, con il suo assunto nichilistico di partenza e di arrivo, così come da ogni perdita della totalità di senso (p.676). La dottrina nietzscheana dell’eterno ritorno annulla l’originalità assoluta del reale ( v.p.691), la stessa creatività dello spirito, che non è ma si fa sempre nuovo. Con essa si assolutizza il divenire e si fenomenizza il reale, con una inevitabile ricaduta negativa sull’esistenza della persona spirituale come individuo libero e dell’evento come realtà originale (cfr. p.694). La stessa morte dell’individuo apre orizzonti di significato, perché esiste «solo nel mio atto di pensiero e nel mio atto personale di morire» (p.700) il quale assume così un valore unico e incondizionato (v. p.701), garantito soltanto dalla dottrina dell’immortalità dell’anima e della resurrezione della carne (v. p.706) e nell’unità sostanziale e permanente dell’Io o persona, che cresce e diviene ma persiste attraverso i tempi e il divenire delle cose, trascendendo il suo corpo organico e il suo divenire per passare ad una nuova vita, una vita trasfigurata, che oltrepassa il tempo e la storia (v. p.709). Lo sguardo d’insieme delle molteplici sfaccettature della problematica antropologica giova inoltre alla teologia che voglia parlare all’umanità intera e rinvia ad esigenze esistenziali e ontologiche che disegnano un nuovo umanesimo, dell’ascolto, del concreto, integrale e di trascendenza (poiché l’uomo oltrepassa se stesso). Dotato di un ricco apparato critico di riepiloghi, bibliografie, letture antologiche di testi-chiave, con funzione di guida e approfondimento ai temi trattati, il testo si raccomanda, in una forma comunicativa originale e di piacevole lettura, come una genuina e rigorosa Introduzione alla Filosofia, con taglio militante e critico, nutrita di un notevole pathos intellettuale e morale.