Mirko Di Bernardo, Per una rivisitazione della dottrina monodiana della morfogenesi autonoma alla luce dei nuovi scenari aperti dalla post-genomica, Dialegesthai. Collana di ricerche filosofiche, Aracne, Roma 2007.
«Per una rivisitazione della dottrina monodiana della morfogenesi autonoma alla luce dei nuovi scenari aperti dalla post-genomica», un titolo importante, impegnativo quello del saggio di Mirko Di Bernardo pubblicato dalla Collana di ricerche filosofiche «Dialegesthai», un titolo che inquadra subito nel lettore i concetti trattati nell’ambito di quella materia vastissima, variegata nei contenuti ed emergente per le problematiche suscitate dagli sviluppi delle conoscenze che è la biologia.
Monod, il famoso biologo francese, insieme a Jacob, formulò il modello della codificazione da parte dei geni per la produzione delle proteine, cioè delle molecole più importanti per la costituzione ed il funzionamento degli organismi viventi. Il primo capitolo è proprio dedicato alla dottrina formulata da Monod nel suo famoso libro dal titolo Il caso e la necessità, che consiste nell’elaborazione del modello meccanicistico del funzionamento degli organismi viventi. Non si tratta soltanto di riportare la sintesi ragionata dei risultati degli studi di un grande scienziato o l’articolazione di una revisione delle attuali conoscenze sullo specifico argomento, ma molto di più. La focalizzazione sulla dottrina monodiana della morfogenesi autonoma è dettata dalla constatazione dell’autore che le conoscenze scientifiche sintetizzate in tale opera hanno segnato un punto di svolta non solo nella biologia contemporanea, ma soprattutto nella visione della vita da parte dell’uomo evidenziando l’indispensabile introduzione della filosofia nell’ambito della biologia. L’opera di Monod viene inquadrata da Di Bernardo nel suo contesto storico e scientifico a partire da quella rivoluzione della biologia che consiste nella scoperta, da parte di altri due scienziati Crick e Watson, della struttura del DNA, l’acido desossiribonucleico, che è la sede dell’informazione per gli organismi viventi. Si è all’inizio della seconda metà del XX secolo e la rivelazione della struttura del DNA apre lo scenario di una nuova branca delle scienze della vita: la biologia molecolare. È l’accesso dell’uomo ai misteri della parte più intima della vita e lo studio degli acidi nucleici, le molecole che si trovano nel nucleo e nelle cellule di tutti gli organismi viventi, costituisce la base su cui poggiano tutti i successivi livelli di organizzazione della materia vivente ordinati su una scala di crescente complessità, che dalle molecole porta alle cellule, organi, organismi, specie microbiche, vegetali, animali fino agli interi ecosistemi. La conoscenza della straordinaria diversità di tutte le forme di vita parte da quella della struttura e del funzionamento di tali molecole. L’excursus delle principali tappe della storia della biologia, con cui l’autore apre il libro, seppur brevissimo, per necessaria sintesi, risulta essenziale e determinante per discutere anche con i non biologi circa l’eterna domanda dell’uomo: che cos’è la vita? Che cosa distingue gli esseri viventi dalla materia non vivente? In altre parole che cos’è che caratterizza inequivocabilmente quegli «oggetti strani» che, secondo una definizione di Monod, sono i sistemi viventi? Questioni di così tale spessore vengono affrontate dall’autore in maniera molto chiara, non rinunciando agli specifici, tanto che suscitano l’interesse sia dei biologi che dei non biologi. Così vengono spiegate le proprietà fondamentali dei viventi: la dotazione di un progetto (teleonomia), la capacità di auto-costruzione (morfogenesi autonoma) e la trasmissione dell’informazione da una generazione a quella successiva (invarianza riproduttiva).
Sempre analizzando l’opera di Monod, Di Bernardo mette in luce il concetto della gratuità dei processi biologici, secondo cui le interazioni chimiche tra le molecole che regolano l’attività delle cellule evidenziano la casualità dei processi biologici e quindi anche la vita stessa risulta essere il prodotto di una serie di eventi casuali. Da questa considerazione di carattere biologico, l’autore pone un interessante quesito che trascende le problematiche strettamente biologiche e sfocia nell’etica: se la casualità è la condizione stessa della libertà, da questa discende il concetto di responsabilità. Di fronte alle imprevedibili eventualità che ci offre la natura, l’essere umano si trova davanti alla possibilità ed alla responsabilità delle scelte. Ma in contrasto con tale casualità si pone l’invariante biologico che è il DNA il quale assicura, con la sua replicazione, la trasmissione dell’informazione ad ogni generazione cellulare, un’informazione che viene continuamente tradotta nelle cellule per fabbricare le proteine. Tale traduzione è assicurata dal codice genetico che è universalmente lo stesso per tutti gli organismi viventi; ma se da una parte trascrizione, traduzione e codice genetico costituiscono la necessità della vita, dall’altro il caso si inserisce come un errore nel processo di replicazione del DNA che, se non viene corretto, rappresenta una fonte di variabilità genetica e quindi di diversità della vita. Questi «errori» sono alla base dell’evoluzione dei viventi, in quanto producono cambiamenti negli organismi, costantemente accomodati dalla selezione naturale. Alla luce di tutto ciò, quindi, il fondamentale contributo di Monod alla moderna teoria sintetica dell’evoluzione è rintracciabile nella continua interazione tra necessità e caso, ovvero tra l’invarianza della replicazione del DNA e la sorgente di variabilità (metamorfosi che sta sotto e sopra l’invarianza) che è alla base dell’evoluzione della vita. Il primo capitolo si conclude con l’inevitabile interrogativo che si pone lo scienziato francese, ma come lui ogni uomo: come si spiega l’origine del codice della vita? E questo è un altro passo rilevante del libro di Di Bernardo: ogni importante tappa nello sviluppo delle conoscenze da parte dell’uomo, se da una parte fornisce spiegazioni a nuovi meccanismi prima sconosciuti, dall’altra apre scenari sempre più vasti di mistero. Così la scoperta del codice genetico ha dato spunto a tanti studi di biologia, che si può individuare il secolo appena trascorso come «il secolo del gene», ma, nello stesso tempo, ha posto altrettanti interrogativi precedentemente inimmaginabili.
Il secondo capitolo del libro di Di Bernardo esamina un altro testo importante: Il secolo del gene, capolavoro della Fox Keller, che costituisce un’altra tappa fondamentale nell’ambito delle scienze biologiche. Siamo alla fine del XX secolo e dopo la decifrazione del codice genetico, l’uomo si pone subito il nuovo obiettivo di andare a leggere tutta l’informazione contenuta nella parte più intima della vita, in quelle molecole di DNA che formano i geni e che nel loro complesso costituiscono il genoma, cioè l’intero patrimonio genetico di ogni organismo. Si incomincia con gli organismi più semplici, come i virus, si passa ai batteri, al moscerino della frutta, per arrivare naturalmente all’uomo. L’uomo non resiste ad andare a scoprire ciò che fino ad oggi è stato nascosto nella parte più intima di ciascuno di noi, vuole leggere tutte le informazioni che, pensa, possano darci la risposta alla domanda «chi siamo?», o, come si dice in gergo tecnico, a sequenziare il genoma. La Keller stessa, insieme ad un notevole numero di altri scienziati, ha espresso il suo dissenso nei confronti della visione riduzionista dell’essere umano, la cui complessità risulterebbe determinata dalla sequenza di un numero alto sì, ma comunque abbastanza limitato, di geni. Ma, come si sa, nulla e nessuno può fermare quel desiderio di conoscenza che spinge l’Ulisse di Dante, personificazione dello spirito investigativo dell’uomo di ogni tempo, a varcare, nonostante tutto, le colonne d’Ercole, a scoprire cosa c’è oltre, rifiutando ogni limite che, egli considera, possa trattenerlo nell’ambito della sua vita»bruta» impedendogli, così, di raggiungere i più alti livelli di «virtude e conoscenza». Ma il Progetto Genoma Umano, che ha avuto lo scopo di sequenziare l’intero patrimonio genetico dell’uomo, invece di fornire risposte chiare ed esaurienti, ha reso ancora più complicata la situazione, rivelando un numero di geni del tutto inadeguato per rendere ragione della posizione privilegiata che l’uomo occupa nell’immensa diversità della natura; inoltre egli si trova a dover accettare di condividere la maggior parte delle sequenze dei suoi geni con le scimmie antropomorfe e circa un quarto di esse con alcuni vegetali! La soluzione a questo evidente paradosso, Di Bernardo la trova ancora nel testo della Keller, che mette in luce come il gene non vada considerato solo nei suoi aspetti strutturali, ma anche in quelli funzionali, che si esplicano sia nel contesto genetico, di interazione con gli altri geni, sia nel contesto ambientale, di interazioni con il resto della cellula e spiana la strada verso quella nuova branca delle scienze biologiche denominata Genomica Funzionale. Ed è proprio a questo punto dell’esposizione che Di Bernardo chiama in causa la imprescindibile «visione olistica» della vita, che risulta indispensabile se si vuole tentare di raggiungere una pur vaga idea della straordinaria complessità dei sistemi viventi. Il concetto che questi non sono il mero risultato della somma delle loro parti, né determinati semplicemente dalle condizioni iniziali, ma sono il risultato dell’insieme delle relazioni che si esplicano tra le parti al loro interno e tra le parti, e l’intero sistema, con l’esterno. Questa visione della vita si contrappone a quella riduzionista, che è tipica del mondo moderno e che vede la singola parte come esaustivo oggetto di interesse, svincolata dal suo complesso e quindi privata di quelle interazioni che costituiscono l’aspetto peculiare del sistema in toto e ne garantiscono il corretto funzionamento. Inoltre, solo considerando i sistemi biologici nel loro insieme e nell’insieme dei complessi di cui fanno parte è possibile seguire e cercare di comprendere quel programma di sviluppo che, partendo dalla loro formazione, conduce al continuo cambiamento a cui ciascun sistema è soggetto e che, in senso lato, costituisce la vita stessa. A questo punto il richiamo di Di Bernardo alla Critica della facoltà di giudizio di Kant appare quanto mai appropriato, nel momento in cui, per rispondere alla domanda «che cos’è un organismo?» il filosofo tedesco si trova costretto ad individuare la capacità di autodeterminazione tipica dell’organismo stesso. E la moderna genomica funzionale non può far altro che accettare il riconoscimento di tale caratteristica peculiare, cercando, altresì, di continuare ad indagarne l’essenza. E quindi il concetto di autodeterminazione del vivente, superando la nozione di sviluppo dell’organismo che si svolge in base ad un disegno prefissato, mette in luce il continuo mutamento dell’informazione in rapporto con l’ambiente, che conferisce continuamente nuovi significati all’informazione stessa. In questo senso gli organismi possono essere considerati come dei progetti che auto-progettano. In quest’ottica la definizione che Di Bernardo fornisce di autodeterminazione del vivente risulta assai stimolante e soddisfacente, in quanto «opportunità fornita al caso di acquisire un significato a posteriori e in un determinato contesto di osservazione».
La necessità che hanno oggi le scienze biologiche di considerare ed elaborare contemporaneamente una vastissima rete di informazioni, che renda ragione delle interazioni, tra le parti e con l’esterno, al fine di descrivere le funzioni biologiche, comporta necessariamente il ricorso ad altre discipline, quali l’ingegneria e l’informatica, con le loro tecniche ed i loro linguaggi. Ed è proprio su questo aspetto che Di Bernardo si sofferma prima di concludere il secondo capitolo, introducendo anche i fondamenti e le motivazioni della moderna bio-informatica. Ma nonostante l’ausilio dei più sofisticati, sensibili e potenti mezzi di indagine forniti della tecnologia moderna, il mistero della vita, che ne rende tanto affascinante lo studio, rimane ancora tale; e Di Bernardo conclude il secondo capitolo con lo stesso interrogativo posto alla fine del primo capitolo da Monod e ripresentato mezzo secolo dopo dalla Keller, circa le origini della vita.
Nell’ultimo capitolo del suo libro, Di Bernardo affronta l’articolato tema della complessità dei sistemi viventi, complessità che deriva non dall’abbondanza e complicazione delle loro componenti, bensì dalle interazioni tra le componenti stesse; sono tali interazioni, quindi, che conferiscono all’insieme la proprietà dell’integrazione, peculiare dei sistemi viventi stessi ed è da tali interazioni che scaturiscono quelle proprietà emergenti che caratterizzano inequivocabilmente detti sistemi. Dunque, è proprio questa fitta rete di connessioni che, insieme alla capacità riproduttiva, distingue la vita e ne permette la continuità. Ma la comprensione di questa complessità, pur con i continui progressi nei metodi di indagine della tecnologia e delle scienze, non è ancora acquisita dalla mente dell’uomo e la collocazione dei sistemi ad alta complessità in una regione intermedia tra l’ordine ed il caos rappresenta un’intuizione stimolante e geniale. I due estremi sono incompatibili con l’esistenza dei sistemi complessi: il primo, l’ordine fisso, perché incapace di cambiamenti adattativi senza essere distrutto, il secondo, il caos, in quanto disordine e casualità senza alcuna possibilità di programmazione. A questo punto Di Bernardo esamina il problema delle frontiere della conoscenza, che l’uomo è spinto costantemente a superare fino ad arrivare alla «creazione» di nuove forme di vita. In un certo senso è l’approccio che l’uomo sta seguendo nelle moderne biotecnologie. Il discorso qui prenderebbe una piega che esula dalle finalità del libro, ma un aspetto è ancora importante da segnalare: la circolarità del percorso dei sistemi naturali e biologici in particolare. La vita si rinnova continuamente da quattro miliardi e mezzo di anni perché segue un percorso ciclico, nel quale nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto è in continua, perenne trasformazione. Essendo circolare tale percorso è caratterizzato dalla sua chiusura, che Di Bernardo spiega essere il risultato di un’operazione che cade ancora nel sistema stesso.
Così rimane da chiedersi quali siano veramente le frontiere della conoscenza, visto che la maggior parte delle attività dell’uomo moderno che hanno maggiore impatto sulla natura seguono un percorso lineare, che parte dal consumo di risorse, si alimenta trasformandole e consumando energia e finisce accumulando tutto ciò che è considerato un rifiuto.
In conclusione, a mio giudizio, il presente volume costituisce un’interessante sintesi divulgativa del punto di arrivo delle ricerche nel campo delle Scienze Biologiche ed in particolare della Biologia Molecolare, una sintesi che, facendo dialogare costantemente Biologia ed Epistemologia, mantiene come orizzonte teorico di riferimento l’attuale dibattito nel campo degli studi relativi alla Teoria della Complessità, da tempo portati avanti presso la cattedra di Filosofia della Scienza dell’Università di Roma Tor Vergata dal Professor Arturo Carsetti, organizzatore di numerosi convegni internazionali sull’argomento e direttore della rivista specialistica La Nuova Critica, nella quale vengono pubblicati i risultati delle ricerche attuali.
Il lavoro di Di Bernardo ha il pregio di affrontare argomenti di attualità della biologia che suscitano grande interesse sia per i non biologi, che per i biologi stessi: ai primi vengono spiegate con chiarezza e semplicità i concetti basilari della moderna biologia; ai secondi risulta molto utile la sintesi sugli attuali sviluppi delle ricerche, inquadrando la discussione in quel contesto storico che da mezzo secolo a questa parte ha segnato l’evoluzione esponenziale delle conoscenze in campo della biologia molecolare. Ma soprattutto questo libro evidenzia l’importanza della visione filosofica anche nel campo delle scienze biologiche, che è essenziale nel guidare le scelte e le priorità degli indirizzi delle ricerche scientifiche. Le modalità di esposizione e lo stile fluido e scorrevole ne favoriscono la lettura, nonostante lo spessore e la complessità degli argomenti trattati.