Aldo Masullo, Il tempo e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, Donzelli Editore, Roma 1995.
Il pensiero dominante del testo di Aldo Masullo è una delle questioni filosofiche per eccellenza: il tempo e l’intreccio dei tempi. Il percorso che viene compiuto è storico (Aristotele e il cambiamento destabilizzatore, Wolff e la non-razionalizzabilità del repentino, Heidegger e l’essere-nel-mondo) arricchito però di analisi critica che conduce allo stesso tempo a un’originale apporto teoretico il quale non si limita a dire il tempo in rapporto al proprio significato, e quindi dal punto di vista meramente cognitivo, ma a rivelarne le connessioni con il vissuto e con il patico — ossia a rivelarne il senso.
Questo non significa che il tempo non può essere conosciuto ma che, al contrario, viene primariamente esperito, sentito e patito anche se non può essere compreso dal discorso oggettivante in quanto si manifesta come perdita, come assenza, come ferita. Se l’inizio d’ogni sentire è l’avvertimento di sé, anzi di perdita di sé, allora il tempo è simultaneamente separazione e cambiamento; ma il cambiamento repentino è salto ed è destabilizzante, pertanto mostra un tempo senza grandezza e senza misura, un tempo originario e puro. Come afferma l’autore, il «fenomeno del “repentino” non ha potenza cognitiva o semantica, ma soltanto affettiva o patica. Il senso con cui lo si vive, è il patos del cambiare in quanto cambiare, ovvero il tempo nella sua purezza» (p. 43). Il repentino non abita nessun luogo ed è indeducibile, è vera e propria innovazione. È quindi inspiegabile perché non inscrivibile in un continuum. «Il tempo autentico non è un’idea, un oggetto qualsiasi della mente, ma un fatto, l’emozione originaria dell’esistenza, la passione assoluta. Esso è l’autoaffettivo senso della frattura irreversibile, il vissuto dell’insanabile discontinuità della vita, e della traumatica irruzione della contingenza» (p. 88).
Nel repentino il cambiamento può manifestarsi, secondo Masullo, o come grazia o come disgrazia e in entrambi i casi, indeducibili da qualsiasi riferimento a priori, si sperimenta l’irreversibilità e la contingenza che, a loro volta, svelano il senso del nostro esistere poggiato su questo fondo oscuro e impossibile da gestire. Infatti «l’irreversibilità del tempo suppone la discontinuità del cambiamento e con ciò l’assoluta contingenza» (p. 84).
Il passaggio successivo è per l’autore l’analisi della categoria complementare al tempo, il desiderio. Se il tempo è l’irreversibilità di una perdita, di una separazione, allora il desiderio è l’aspirazione al risarcimento, alla ricostituzione di ciò che non si possiede più. Ogni riparazione, però, per il fatto d’esser tale, è destinata allo scacco, all’inadeguatezza. L’esistenza è allora il sentire, il patire, ad ogni istante, un’irrevocabile perdita che il desiderio cerca inutilmente di recuperare. (Il desiderio viene giustamente distinto dal bisogno in quanto non dipende necessariamente dall’appagabilità, anzi la sua miglior forma è proprio l’inappagabilità, ossia il desiderio del desiderare). L’esistenza è infatti tesa verso ciò che propriamente non le appartiene, o che le appartiene come irrimediabilmente perduta.
«La paticità originaria del tempo come dolore della perdita rimbalza nel desiderio come struggente passione del ripristino e nel tremore come inquietante sentore della contingenza. Il dolore per la rottura della mia continuità si converte nel desiderio del suo ripristino. Ma la continuità spezzata è l’irruzione della contingenza. Perciò il desiderio è esacerbato dal malessere dell’incertezza» (p. 88).
L’esistere è caratterizzato dal cambiamento e il fenomeno del repentino rivela all’esistenza un fondamento destabilizzante, ma proprio per questo gratuito. È il presentarsi della grazia, come qualcosa che non può essere razionalizzabile e che paradossalmente rende più forte la ragione che è disposta ad accoglierla e ad ospitarla. Solo la grazia è in grado di cambiare il segno negativo della perdita nel segno positivo della speranza, la quale risveglia e attiva la responsabilità, a sua volta, capace di rispondere all’appello delle possibilità che provengono dal futuro e che attendono di essere accolte in quanto gratuite. «La serietà della ragione — conclude Masullo — trasfigura le lacrime del tempo nel sorriso della grazia» (p. 131).