I significati principali del concetto di natura in Husserl

Il confronto di Husserl con la scienza moderna costituisce una delle direttrici principali del suo pensiero, caratterizzandone in certo modo l’intero arco, a partire dalla prima opera dedicata a questioni di filosofia dell’aritmetica e fino all’ultimo lavoro intitolato, non a caso, La crisi delle scienze europee. Si tratta di un rapporto costante e intenso, contrassegnato da un’ineliminabile ambivalenza. Da un lato Husserl, che ha una formazione da matematico, vede nella scienza una forma di conoscenza rigorosa capace di fungere anche da punto di riferimento per altre forme di sapere, filosofia compresa. L’idea di una ricerca incentrata sulle “cose stesse”, cioè su problemi obiettivi, non su interpretazioni soggettive o visioni del mondo personali; l’esigenza di risultati intersoggettivamente comprovabili e dimostrabili; la prospettiva di una progressione del sapere grazie al lavoro comune dei ricercatori, a livello di gruppi, comunità e addirittura generazioni: questi aspetti, propri della ricerca scientifica, rappresentano ai suoi occhi elementi fondamentali che dovrebbero essere patrimonio di ogni tipo di sapere.1 Nella prospettiva storico-epocale della Crisi, inoltre, le scienze moderne contribuiscono in modo decisivo a inverare – pur attraverso perniciosi slittamenti di senso – il telos dell’umanità europea, cioè l’ideale di una vita liberamente condotta, giustificata e responsabile. Tuttavia, dall’altro lato, le scienze moderne si dimostrano secondo Husserl incapaci di venire in chiaro dei propri presupposti teoretici, finendo con l’assumere e il propagare preconcetti in modo ingenuo e dogmatico. È ciò che succede nel caso del fondatore stesso della fisica moderna, cioè Galilei, il genio che scopre e al contempo occulta, nella misura in cui dispiega in modo sistematico la possibilità della matematizzazione della natura senza però cogliere il senso di questa operazione, finendo anzi con il travisarlo del tutto mediante la prospettiva del grande libro della natura scritto in caratteri matematici. Su questa base prende corpo l’obiettivismo che caratterizza tutto il sapere scientifico moderno.2

Rispetto alla scienza di matrice galileiana, la fenomenologia avanza la pretesa di una filosofia fondata autonomamente in quanto scienza rigorosa e prima (strenge und erste Wissenschaft), sulla cui base è possibile giustificare anche tutti gli altri saperi. Il sapere scientifico moderno non può rappresentare, dunque, un modello epistemico per il pensiero fenomenologico, poiché il suo stesso metodo di ricerca, così efficace sul piano empirico dei risultati conseguiti, ha bisogno di un chiarimento gnoseologico, che ne metta in risalto le possibilità di principio e i presupposti ontologici non esplicitati o assunti in modo ingenuo. Secondo la convinzione di Husserl, solo la ricerca fenomenologica può elucidare i fondamenti teoretici delle scienze naturali, depurando così la comprensione della natura da ingenuità e preconcetti metafisici che non trovano un’adeguata esibizione intuitiva.

Questa ambivalenza nella considerazione delle scienze ha potuto generare letture differenti o esplicitamente divergenti tra gli studiosi di Husserl. Molti hanno messo in evidenza la radicale alterità, metodologica e contenutistica, della fenomenologia rispetto alle scienze moderne. Altri, al contrario, hanno sottolineato la possibilità di una loro interazione o addirittura di una sintesi innovativa e produttiva delle rispettive istanze. Rispetto a quest’ultima prospettiva, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sono andati prendendo piede vari progetti di naturalizzazione della fenomenologia,3 nella convinzione che sia possibile conciliare in termini di co-determinazione la sua indagine in prima persona e l’analisi esterna propria delle scienze, condotta in terza persona.4 Anche la fenomenologia è finita in questo modo dentro al grande dibattito sul naturalismo contemporaneo, visto ovviamente non nella sua versione più radicale e riduzionista, ma in una declinata in chiave di teoria della complessità, aperta a una maggiore pluralità metodologica e contenutistica.5 Nel presente contesto, non si intende entrare nel merito di tale questione, che avrebbe bisogno di una trattazione a sé. È tuttavia significativo notare come nel dibattito sulla naturalizzazione della fenomenologia manchi spesso una tematizzazione esplicita del concetto di natura in Husserl.

Già ad una prima ricognizione, appare piuttosto chiaro che tale concetto non è univoco. Egli parla di natura in ambiti differenti e con finalità teoriche diverse. Nell’ambito ristretto di questo articolo, non è possibile realizzare una ricostruzione esaustiva e filologicamente completa dell’universo semantico e concettuale di ciò che egli intende quando usa il termine Natur e i suoi derivati. Si vuole, però, almeno provare a delineare i significati principali che esso assume nella sua riflessione. Si ha infatti spesso l’impressione che nell’ambito dei testi husserliani (editi e inediti) questi aspetti rimangano intrecciati o addirittura confusi tra di loro, senza essere distinti a sufficienza. Il chiarimento di tali differenze e delle loro interconnessioni può invece fornire spunti utili per una migliore comprensione dell’intero progetto fenomenologico e, di conseguenza, del suo rapporto con l’indagine propriamente scientifica.

Nel contesto di questo contributo si metteranno in evidenza quattro significati fondamentali che la nozione di natura assume nel discorso di Husserl:

  1. Natura in quanto atteggiamento naturale fondamentale (natürliche Grundeinstellung) che determina la nostra vita nel mondo. A questo aspetto è connessa la definizione di quel che Husserl inizialmente chiama concetto naturale di mondo (natürlicher Weltbegriff), poi mondo-della-vita (Lebenswelt), intentendo con ciò una comprensione del mondo basata su un’esperienza prescientifica, quotidiana, doxastica;
  2. Natura come ambito della costituzione cosale, come dimensione delle oggettualità spazio-temporali;
  3. Natura come essenza, cioè come ciò che un oggetto è in sé, nel senso dell’insieme di tutte le caratteristiche che determinano il suo esser-così, la sua identità specifica e distinta da tutte le altre;
  4. Natura in relazione alla vita intenzionale: posto che tale vita non ha le caratteristiche della natura nel senso delle moderne scienze naturali, è opportuno chiedersi se essa possa rappresentare un altro tipo di “natura”.

Atteggiamento naturale e atteggiamento fenomenologico

Come noto, Husserl ha spesso definito la fenomenologia come una filosofia basata su un pensiero “non naturale” o “innaturale”.6 Il modo di pensare della fenomenologia, in effetti, non risulta naturale, cioè solidale con l’atteggiamento che per lo più assumiamo nella nostra vita quotidiana. In che consiste questa innaturalità o “artificiosità”? Il pensiero fenomenologico presuppone una certa torsione dello sguardo, una trasformazione dell’atteggiamento soggettivo, nella misura in cui esso mette tra parentesi il mondo e la nostra esistenza in esso. La nostra vita, costituita da attività, incontri, conoscenze, abitudini e così via, viene per così dire neutralizzata: non viene interrotta o fermata, essa prosegue il suo corso, benché noi non viviamo più “in” essa; il nostro interesse non è più rivolto esclusivamente al mondo in cui ci muoviamo, con i suoi eventi e le sue cose. La fenomenologia realizza un passo indietro o di fianco rispetto alla nostra vita quotidiana, cioè in riferimento a ciò che per noi è appunto del tutto “naturale” nel senso di “normale”, “consueto”. Si tratta di una nuova declinazione del vecchio ideale dello spettatore disinteressato (unbeteiligter Zuschauer),7 che non ha però la pretesa di osservare le cose da un punto di vista neutrale oggettivo, che non coincide con alcun posto concreto: si tratta invece di riposizionarsi nel mezzo della relazione io-mondo, al cuore di ciò che Husserl chiama intenzionalità.

L’idea di uno sguardo obiettivo, che noi presupponiamo spesso nella nostra vita quotidiana come qualcosa di scontato, rimane ingenua finché non venga chiarito come si costituisce, da dove prende origine, come si legittima. La filosofia non può richiamarsi a una sedicente oggettività, poiché, al contrario, è obbligata a elucidare il senso originario di tutto ciò che può definirsi “oggettivo”. In questo contesto, la proposta della fenomenologia consiste, come noto, nell’analisi intenzionale, che mira a esibire le strutture fondamentali mediante cui prende corpo il nostro rapporto con le cose. Si tratta di una trasformazione di quella prospettiva che già da sempre – in modo “naturale” – abbiamo assunto nel nostro avere a che fare in vario modo con il mondo e i suoi oggetti. La possibilità di un cambio di prospettiva si dà sulla base della struttura stessa del phainomenon, che non indica soltanto la cosa che appare, ma, come indica il carattere medio del termine greco, anche l’apparire stesso. L’apparire è ciò che Husserl chiama anche il fenomeno soggettivo, laddove l’aggettivo “soggettivo” non deve far pensare a un semplice vissuto in senso psicologico, bensì, ancora una volta, alla coappartenenza strutturale che lega i due sensi del phainomenon, cioè la correlazione trascendentale soggetto-mondo.8 Nell’originaria compenetrazione di queste due dimensioni si fonda, in ultima analisi, la specificità del metodo fenomenologico. Il fenomenologo non può essere dunque un osservatore in senso naturale, proprio perché deve rinunciare all’atteggiamento naturale che caratterizza la nostra consueta esperienza del mondo. Si tratta dell’atteggiamento fondamentale che si dirige innanzitutto a ciò che appare nel senso del complesso di cose, persone, eventi, oggetti con cui abbiamo quotidianamente a che fare nella nostra vita ordinaria. È la postura della soggettività che vive geradehin, immersa negli affari del mondo, direttamente alle prese con le cose di cui ha bisogno, dimentica di sé come soggetta alla e portatrice della relazione intenzionale. Questo atteggiamento è, secondo Husserl, all’origine di una posizione metafisica che connota spesso il senso comune – e, di conseguenza, tutti i tipi di conoscenza che si edificano sulla sua stessa base –, vale a dire l’obiettivismo, cioè l’idea che il mondo sia un insieme di cose già bell’e pronte, di fatti dotati di un senso a prescindere dall’esperienza che se ne possa fare. Atteggiamento naturale e obiettivismo determinano le scienze positive, nella misura in cui ciascuna di esse tematizza un certo aspetto o una certa regione del mondo inteso come insieme di fatti. In questo senso, tanto le scienze della natura in senso stretto quanto quelle dello spirito possono essere considerate come scienze “naturali”, poiché tutte rimangono nell’ambito dell’esperienza naturale del mondo. I fenomeni di queste scienze vengono considerati, in modo unilaterale, solo dalla prospettiva degli oggetti che appaiono, non anche in riferimento alle loro specifiche modalità di manifestazione. Al contrario, la fenomenologia si presenta come un tipo di sapere non naturale, proprio perché realizza un passo indietro o di lato rispetto al piano obiettivo dell’esperienza in senso consueto. In altri termini, essa si concentra sulla coappartenenza originaria delle due dimensioni del fenomeno – apparire e cosa che appare –, che nell’atteggiamento naturale rimane nascosta. È questa la prospettiva trascendentale della fenomenologia husserliana, che tuttavia non implica una fuga dal mondo o una rinuncia all’atteggiamento naturale, bensì soltanto il tentativo di far emergere il senso originario della nostra esperienza in tutte le sue forme. Proprio per questa ragione, una parte importante del progetto fenomenologico consiste nell’elucidazione delle caratteristiche dell’atteggiamento naturale e del concetto naturale di mondo. Ciò rappresenta un punto di fondamentale importanza anche per la questione epistemologica dei fondamenti teoretici delle scienze positive, proprio perché anche esse sono radicate, in ultima analisi, in tale atteggiamento.

La questione del senso dell’esperienza naturale si pone soprattutto nel contesto della cosiddetta svolta trascendentale della fenomenologia, quando ciò che abbiamo definito “passo indietro” o “di lato” viene tematizzato esplicitamente in termini di riduzione fenomenologica. La ridefinizione trascendentale della fenomenologia, che comincia negli anni immediatamente successivi alle Ricerche logiche (1900-1901) e giunge a un primo compimento (almeno provvisorio) con il primo libro delle Idee (1913), conosce due tappe importanti nelle lezioni del 1907 Hauptstücke aus der Phänomenologie und Kritik der Vernunft e nelle lezioni del semestre invernale 1910/11 sui Grundprobleme der Phänomenologie. Nell’introduzione alle prime, nota come Die Idee der Phänomenologie, viene discussa la distinzione tra scienza naturale e scienza filosofica, nel contesto della delineazione di un accesso gnoseologico al pensiero fenomenologico. Qui la portata trascendentale della fenomenologia viene connessa all’idea – di ascendenza kantiana e, poi, neokantiana – di una critica epistemologica, nella convinzione che la filosofia debba chiarire le condizioni di possibilità degli altri saperi. In questo quadro, Husserl parla già di una postura naturale dello spirito (natürliche Geisteshaltung), secondo la quale «siamo rivolti, sia nell’intuire sia nel pensare, verso le cose che ci sono date volta per volta, e date in modo del tutto ovvio, anche se in diversa guisa e diversi modi d’essere, a seconda della fonte conoscitiva e del piano conoscitivo».9 Nelle successive lezioni del 1910/11, si assiste a un cambiamento considerevole del punto di partenza nelle analisi husserliane. Anche queste lezioni possono essere viste come un’introduzione generale al pensiero fenomenologico, poiché in esse vengono tematizzati i tratti principali della «costituzione fondamentale (Grundverfassung) della coscienza in generale».10 Si tratta sempre, in altri termini, della distinzione tra la postura naturale e quella filosofica, ma stavolta il punto di accesso non è tanto una questione epistemologica in senso stretto, bensì il problema del senso che il mondo ha per noi in un’esperienza pre-scientifica, ordinaria, doxastica, che in quanto tale costituisce il necessario fondamento per ogni scienza positiva. Il punto di partenza non è dato da una questione teoretica elevata e specifica, ma da considerazioni dell’esperienza quotidiana e concreta. Come Husserl sottolinea in modo piuttosto significativo, qui la fenomenologia non pretende ancora di essere una dottrina di essenze, ma rivendica soltanto un approccio esperienziale (erfahrend).11 La concretezza di questa nuova prospettiva può essere apprezzata anche rispetto alla terminologia usata: Husserl non parla più di postura spirituale – espressione che in certo modo presuppone già il concetto di spirito e, con ciò, anche la sua differenza dalla natura –, utilizzando invece il termine “atteggiamento” (Einstellung).12 Qui il discorso non deve essere inteso in senso psicologico. Le analisi fenomenologiche sull’atteggiamento naturale non rientrano in un alcun tipo di psicologia, poiché il nuovo approccio trascendentale ha fatto un passo ulteriore rispetto a ciò che, nelle Ricerche logiche, era definito ancora psicologia descrittiva. Infatti, anche una psicologia pura sarebbe ancora una scienza naturale, nel senso che essa presupporrebbe ancora l’atteggiamento naturale e avrebbe ancora luogo sul piano del mondo già costituito, quale ontologia regionale della dimensione psichica.13

Dunque, quando Husserl parla di atteggiamento/i, non intende dei particolari avvenimenti della dimensione psichica, bensì le differenti posture che il soggetto umano può strutturalmente assumere nel suo rapporto intenzionale con il mondo. La distinzione di atteggiamenti diversi è, tra le altre cose, funzionale a individuare una via di accesso più semplice e intuitiva al pensiero fenomenologico. Detto altrimenti: chi si avvicina alla fenomenologia non deve pensare che il suo punto d’avvio sia costituito da questioni gnoseologiche astratte o addirittura astruse, ma deve essere messo nella condizione di considerare l’indagine fenomenologica come vicina alla vita e all’esperienza. La messa fuori circuito dell’atteggiamento naturale non significa – ancora una volta – che il pensiero fenomenologico si ritrae da questo mondo, rifugiandosi nell’astrattezza di una strana dimensione quasi iperuranica. In realtà, nonostante la loro distinzione, atteggiamento naturale e atteggiamento fenomenologico sono strutturalmente congiunti. Anche se non si pone sul piano dell’esperienza naturale, la riflessione fenomenologica mira però a far emergere il senso proprio di tale “naturalezza”.

L’analisi dell’atteggiamento naturale deve affrontare esaustivamente tutti gli aspetti che troviamo nella nostra esperienza quotidiana – o meglio: che abbiamo già da sempre trovato e che, per questo, abbiamo sempre presenti. In effetti, si tratta di determinazioni che continuamente rinveniamo (vorfinden) nel nostro rapporto quotidiano con il mondo. Anche per questa ragione, Husserl chiama tali determinazioni rinvenimenti o reperti (Vorgefundenheiten, Vorflindlichkeiten).14 Ciò che rinveniamo nel corso dell’esperienza è qualcosa che sta costantemente intorno a noi e che giunge continuamente a noi. La dimensione spaziale e temporale sono in questo caso intrecciate in modo essenziale, si coappartengono: possiamo rinvenire ciò che ci sta di fronte in termini spaziali poiché giunge a noi in modo temporale, o meglio è già giunto, prima che noi lo troviamo esplicitamente. E viceversa: ciò che è rinvenuto è già presente proprio nel senso che lo incontriamo di fronte e intorno a noi. Ciò equivale a dire che abbiamo già sempre incontrato il mondo e le sue cose, che essi già ci sono stati dati o meglio pre-dati, che sono già presenti in anticipo.

Come detto, in queste lezioni Husserl si decide per una linea argomentativa che comincia da considerazioni comuni o addirittura ovvie:

Ognuno di noi dice «io» e, parlando in questo modo, si sa come un io. È in quanto tale che egli rinviene sé stesso, e trova in ogni momento sé stesso come centro di un ambiente circostante. «Io» significa, per ciascuno di noi, qualcosa di differente, per ognuno allude a una ben precisa persona, che possiede quel determinato nome proprio, che vive le sue percezioni, ricordi, attese, rappresentazioni di fantasia, sentimenti, desideri, atti di volontà, che ha i suoi stati, compie i suoi atti, che ha, inoltre, le sue disposizioni, le sue attitudini innate, le sue facoltà e capacità acquisite ecc.15

A ciò bisogna aggiungere: ogni io si rapporta al suo ambiente circostante, a cose e oggetti, incontra altri corpi dotati di vita, si trova coinvolto in determinati eventi e così via. L’atteggiamento naturale è allora proprio la dimensione dell’esperienza quotidiana, dalla quale siamo determinati così in profondità da non averne il più delle volte contezza. Questo atteggiamento potrebbe essere definito anche come mondano – o, per dirla con lo Heidegger di Sein und Zeit, intramondano –, proprio per sottolineare che questa postura implica sempre un coinvolgimento con il mondo già costituito. Anche quelle esperienze che, secondo modalità differenti, superano i limiti della vita immanente, mondana, in direzione di un che di trascendente o di una sfera desoggettivata, estatica e fusionale – come può accadere nella religione, nella mistica, in talune pratiche di contemplazione e meditazione –, rimangono tuttavia stabilmente nell’orizzonte del mondo, poiché rimandano a sopramondi, o a dimensioni ulteriori, che in qualche modo sono caratterizzati sempre dalla grammatica di senso dell’essere mondano. Esse continuano, cioè, ad essere caratterizzate dall’atteggiamento naturale. Anche per questo, Husserl si vede costretto a distinguere tra atteggiamento naturale e atteggiamento naturalistico.

Si tratta di un tema che viene affrontato principalmente nei testi predisposti per il secondo libro delle Idee, in cui vengono presi in considerazione la costituzione del mondo spirituale e l’atteggiamento personalistico. Tutti i significati spirituali e personali che possono essere attribuiti alle cose, vengono sempre rinvenuti “nel” mondo, cioè esperiti come sue componenti. Ciò equivale a dire che il cosiddetto approccio personalistico appartiene alla struttura fondamentale dell’atteggiamento naturale. In effetti, nell’ambito di quest’ultimo emerge anche la prospettiva personalistica, in virtù della quale il modo si presenta come un nesso di significati spirituali. Questa caratteristica permea in qualche modo l’esperienza più comune e quotidiana: troviamo le cose belle o brutte, buone o cattive, viviamo in comunità umane, consideriamo il nostro ambiente come un campo d’azione, attribuiamo agli animali una vita psichica più o meno simile alla nostra e così via. Da questa modalità di rapporto al mondo si distingue quella che considera le cose come semplici oggetti della natura, che dunque concepisce il mondo solo dal punto di vista della sua costituzione cosale-materiale. È questa la modalità propriamente naturalistica. Si tratta di un tipo di approccio interessato in modo preminente ai nessi della natura fisica, cioè alla regione delle realtà spazio-temporali. L’atteggiamento naturalistico rappresenta dunque il fondamento per il pensiero proprio delle moderne scienze naturali.16 In quanto prescinde dalle componenti di senso di tipo spirituale-personale, sempre implicate nell’esperienza naturale del mondo, esso può essere definito come una modalità conoscitiva letteralmente astrattiva. Con ciò si vede anche chiaramente in cosa consista la differenza tra atteggiamento naturale e naturalistico: ogni atteggiamento naturalistico rientra nell’ambito del naturale ma non lo esaurisce, nella misura in cui in quest’ultimo rientra anche la dimensione personalistica e spirituale. In alcuni contesti, Husserl sembra usare i due termini come sinonimi, specie quando si riferisce alla distinzione di Dilthey tra scienze della natura e scienze dello spirito. Ma quando si prescinde dalla questione della delimitazione dei differenti ambiti conoscitivi, quando dunque si realizza una più profonda e generale analisi dell’esperienza del mondo, bisogna prestare attenzione alla distinzione tra “naturale” e “naturalistico”, in virtù della quale tanto l’atteggiamento naturalistico quanto quello personalistico sono possibili sulla base del rapporto naturale con il mondo

Natura come dimensione delle oggettualità spazio-temporali

L’analisi della costituzione di senso, che rappresenta il cuore pulsante del metodo fenomenologico, rinviene determinati strati e livelli costitutivi. L’esperienza del mondo si dispiega come una continua sovrapposizione e co-implicazione di differenti componenti di senso, cosa che porterà il tardo Husserl a parlare della fenomenologia nei termini di una sorta di archeologia filosofica.17 L’analisi fenomenologica deve in certo modo portare alla luce – ricostruendo in un comprendere che procede a zig zag18 – l’intera sequenza degli strati e dei nessi, ripercorrendola a ritroso fino livelli originari della donazione di senso, che sono fondanti per tutti gli altri. Ogni significato spirituale, ogni determinazione intellettuale rimanda in definitiva alle operazioni primordiali della sensibilità, intesa in un senso ampio che comprende percezioni, sensazioni, sentimenti, pulsioni, desideri, nei quali sono radicate tutte le esperienze in generale. Il mondo è infatti dato, prima di tutto, in modo immediatamente sensibile.

Come ben noto, nell’ambito dell’originaria donazione di senso operata sul piano della sensibilità un ruolo centrale è giocato, secondo Husserl, dalle percezioni, poiché è primariamente attraverso di esse che il mondo emerge attorno a noi. Il correlato del percepire sensibile in generale è, in particolare, il mondo come compagine di oggetti sensibili o semplici cose, la natura in quanto «unità d’esperienza prima di ogni pensiero scientifico».19 Si tratta di oggetti la cui determinazione fondamentale è costituita dalla datità spazio-temporale, che dunque possono essere considerati come cose materialmente presenti in un certo luogo e in un dato tempo. Questo livello della costituzione rivela il nucleo originario della natura in quel senso peculiare che è anche alla base delle moderne scienze naturali. Ciò emerge piuttosto chiaramente in alcuni passaggi come il seguente:

Natura è l’insieme unitario o, piuttosto, come emerge da una considerazione più precisa, il tutto unitario, governato da leggi, che raccoglie ogni esistenza spazio-temporale, quindi tutto ciò che ha luogo ed estensione nell’unico spazio e posizione e durata nell’unico tempo. Questo tutto lo chiamiamo mondo o totalità della natura.20

Più in particolare, in questa totalità spazio-temporale è possibile distinguere tra una natura in senso ristretto e primario, cioè la natura materiale, e una in senso più ampio e secondo, vale a dire la natura animale o, per meglio dire, vivente.21 Nelle già citate lezioni del 1910/11, per la prima volta, il tema della costituzione cosale e, con ciò, l’emergere di una natura in quanto regno delle cose spazio-temporali vengono esplicitamente connessi con la questione dell’esperienza dell’altro. La costituzione del mondo reale, in effetti, non può essere compiuta da un soggetto singolo, ma è invece un’operazione intersoggettiva e plurale. Detto in altri termini: il mondo appare in quanto tale a una comunità di soggetti o – come dirà il tardo Husserl richiamandosi a Leibniz – monadi. Il senso di ciò che chiamiamo oggettività si costituisce, dunque, sul piano intersoggettivo, proprio in quanto senso di qualcosa che può valere per una quantità di soggetti idealmente infinita.22 Ogni ego ha il suo irripetibile flusso di coscienza, che consiste nella connessione complessiva delle manifestazioni: a tali manifestazioni appartengono anche le esperienze dell’estraneo, le relazioni empatiche con le altre soggettività, mediante le quali altri flussi di coscienza possono essere presentificati. I differenti flussi di coscienza sono in linea di principio reciprocamente irriducibili, tuttavia essi non sono separati, bensì sono connessi l’uno con l’altro o, per dirla con Husserl, sono caratterizzati da uno specifico essere-l’uno-nell’altro (Ineinander) che significa un essere-l’uno-per-l’altro (Füreinander) .23 In altri termini, la dimensione intersoggettiva non è una semplice somma di soggetti individuali, ma si struttura – come si evince in alcuni passaggi assai significativi – come una coscienza sociale (soziales Bewusstsein).24 Nell’ambito di questa struttura di implicazione, la natura si costituisce come mondo comune dell’esistenza spazio-temporale. Dal punto di vista dei nessi intenzionali, si può determinare la natura come «indice per la legalità universale che abbraccia tutte le correnti di coscienza che, attraverso l’empatia, stanno l’una con l’altra in una relazione di esperienza».25

La natura come ambito di realtà puramente spazio-temporali rappresenta solo un certo strato della costituzione del mondo, sul quale si edificato altri livelli. Nella vita quotidiana, pertanto, tale natura risulta in quanto tale non esperita, poiché il nostro rapporto con le cose possiede sempre anche elementi afferenti alla sfera del sentimento, del volere, del desiderio, in una parola alla dimensione del significato. Un simile concetto di natura può essere guadagnato soltanto per via astrattiva, attraverso quel peculiare atteggiamento che Husserl definisce in termini di puro interesse teoretico. Si tratta di una specifica postura che sta alla base anche delle scienze moderne e della loro impostazione naturalistica. In questa prospettiva, ciò che è rinvenibile nel nostro mondo ambiente – case, alberi, strumenti, corpi ecc. – viene considerato come semplice cosa materiale. Come scrive Husserl in Idee II, «attingiamo una simile idea conclusa a priori in quanto mondo delle mere cose quando diventiamo soggetti puramente teoretici, soggetti di un interesse puramente teoretico, e quando miriamo puramente a soddisfare questo interesse».26 Nel caso delle scienze naturali, più in particolare, la natura come dimensione di cose spazio-temporali va incontro a un’obiettivazione peculiare, mirante a «costruire attraverso il pensiero la pura cosa della fisica (das physikalische Ding)»,27 cioè qualcosa di intersoggettivamente valido sulla base della sua matematizzazione.28

Natura come essenza di un oggetto

L’interesse teoretico è importante non solo perché caratterizza le scienze naturali moderne, ma anche perché deve determinare ogni tipo di conoscenza rigorosa. Ogni forma di sapere che avanza la pretesa di fornire una conoscenza autentica deve essere mossa da un interesse puramente teoretico. Come noto, Husserl attribuisce la “scoperta” e l’esplicita tematizzazione di questo interesse alla filosofia greca antica, in cui si afferma – specie con Platone e Aristotele – l’ideale di una scienza rigorosa. Secondo questa lettura, per certi aspetti piuttosto classica, la filosofia autentica si libera dai bisogni vitali, dagli interessi pratici di qualsiasi tipo, per realizzare una pura theoría, cioè un sapere eminentemente contemplativo. Si potrebbero ovviamente avanzare delle obiezioni a questa ricostruzione storiografica, specialmente per quanto riguarda Platone. Bisogna però riconoscere che Husserl mette a fuoco un aspetto certamente significativo del pensiero antico. La teoria mira esplicitamente a concentrarsi sull’esser-così di qualcosa, sulle sue determinazioni fondamentali. L’indagine filosofica greca trova la sua dimensione più propria, non a caso, nel “ti estí?” socratico. Le determinazioni fondamentali di qualcosa rappresentano la sua natura propria, la sua essenza, in virtù della quale è proprio questa cosa e non un’altra.

In alcuni contesti della riflessione husserliana emerge una simile impostazione. Già a partire dalle Logische Untersuchungen, e poi sempre di più nelle opere successive, Husserl presenta infatti la fenomenologia come un sapere d’essenza o eidetico. In prospettiva fenomenologica, la questione dell’eidos non assume una classica portata metafisica, ma riguarda la validità generale di determinati nessi dell’esperienza caratterizzabili come invarianti. In riferimento alla dimensione dell’essenza, Husserl parla esplicitamente anche di natura: vengono chiamate “natura” tutte quelle determinazioni fondamentali che delineano il nucleo specifico di un certo ente o cosa, cioè «l’insieme di ciò che essa è: l’identico», a prescindere dal fatto che questa sia sensibile o meno.29

Un buon esempio in tal senso è offerto dall’esperienza assiologica. Nel quadro della questione relativa alla specifica datità di valore, Husserl sostiene esplicitamente che i valori non appaiono originariamente in modo oggettuale: essi sono sempre valori di determinati obiecta, stati di cose, fatti, avvenimenti, persone, ma in quanto tali essi non sono cose o oggetti. Le cose ci sembrano belle, buone, disgustose, utili e così via in virtù della nostra compenetrazione o – come Husserl preferisce dire – del nostro prendere parte ad esse in modo pratico-emotivo. Ma i valori in quanto tali non appartengono all’essenza o alla natura delle cose. Per fare un esempio: la natura specifica di un albero resta la stessa, che lo si utilizzi o no, che lo si trovi bello o brutto, importante o superfluo, dotato di determinati significati simbolico/culturali o meno e così via.30 Possiamo pensarlo senza tutte queste determinazioni, ma non senza le sue caratteristiche cosali, come quelle spaziali (figura, estensione, grandezza), temporali (posizione nel tempo, durata), sensibili in senso ampio (colore, consistenza ecc.): senza tali proprietà – che Husserl definisce anche predicati logici – semplicemente verrebbe meno come ente determinato.31 Le caratteristiche essenziali rendono l’oggetto pieno e intero (voll, ganz), conchiuso (in sich geschlossen), mentre il valore non è «una proprietà costitutiva dell’oggetto valutato».32

D’altra parte, possiamo anche rendere i valori oggetto del nostro interesse teoretico e determinare la loro essenza, ma si tratta appunto, ancora una volta, di un’oggettivazione teoretica che prescinde da tutti gli altri interessi. Il risultato di tale operazione è un’oggettualità di difficile determinazione, che Husserl definisce talvolta nelle sue lezioni di etica oggetto fondato o secondario.33 Più in generale, dunque, è ben possibile tematizzare la natura intesa come l’eidos o l’insieme delle proprietà essenziali di ogni ente o fenomeno, tenendo conto volta per volta degli specifici nessi fondativi e dei relativi piani costitutivi.

Natura in riferimento alla vita intenzionale

La caratterizzazione della fenomenologia come pensiero non naturale mira soltanto a disinnescare il normale corso dell’esperienza, riportando alla luce l’origine intenzionale di ogni donazione di senso. La fenomenologia non può rimanere sul piano del mondo così come lo intende il senso comune, deve fare un passo indietro rispetto all’esperienza ordinaria, per provare a chiarire la costituzione intenzionale del nostro vivere nel mondo. Dal canto suo, l’analisi intenzionale mostra ciò che si può intendere fenomenologicamente con natura: il primo strato della costituzione cosale, l’ambito degli oggetti spazio-temporali, che risulta fondante anche per altri livelli di senso. Si tratta di una considerazione della natura che appare in certo modo limitata e molto orientata in senso teoretico. Si ha talvolta l’impressione che, quando parla di natura in questi termini, Husserl abbia sempre come punto di riferimento la comprensione moderna della natura così come è sviluppata nelle corrispondenti scienze naturali: da un lato, egli viene profondamente influenzato da tale comprensione, mentre dall’altro prova a mostrarne i limiti. Per quanto egli tenti di prendere le distanze da una certa lettura univoca del naturalismo moderno,34 nella sua fenomenologia sono ancora rinvenibili aspetti che risentono di questa concezione. Ci sono tuttavia anche altri elementi, che in certo modo contribuiscono ad ampliare e arricchire l’interrogazione fenomenologica della natura.

Nei testi confluiti nel secondo libro delle Idee, in effetti, si legge esplicitamente che l’uomo atteggiato in senso naturale e lo scienziato della natura non si rendono conto dei limiti di senso connessi alla loro postura. In particolare, non notano che l’atteggiamento naturale non è affatto escludente e totalizzante, che quindi lascia spazio per qualcos’altro, cioè per cambi di sguardo (Blickwendungen) e di atteggiamento (Einstellungsänderungen).35 Nella modalità naturale di esperienza, accanto alla preminente considerazione oggettivante, può emergere anche un altro tipo di sguardo, riflessivo, che si concentra sulla relazione costitutiva di soggetto-mondo. Da questo punto di vista, il punto di riferimento polemico di Husserl è, ancora una volta, la concezione naturalistico-obiettivistica delle scienze moderne, come emerge in uno dei testi preparatori di Idee II, in cui si afferma significativamente che l’atteggiamento fenomenologico «è in certo modo molto naturale, ma non naturalistico (in gewissem Sinne sehr natürlich, aber nicht naturalistisch ist)».36

Questo aspetto non è privo di importanza, probabilmente, anche in relazione alla determinazione dello statuto proprio della fenomenologia husserliana. Vari interpreti ne hanno spesso sottolineato la caratterizzazione essenzialmente gnoseologica, nella misura in cui essa, in quanto riflessione trascendentale, mirerebbe primariamente a chiarire le strutture fondamentali o le condizioni di possibilità della nostra conoscenza del mondo. È indubbio che la dimensione gnoseologica sia decisiva per la fenomenologia, proprio nella misura in cui essa si presenta innanzitutto come un nuovo metodo di indagine filosofica. A uno sguardo più globale, tuttavia, sembra che l’aspetto gnoseologico, lungi dal rappresentare la cifra fondamentale della fenomenologia, sia solo un elemento tra i molti che concorrono a definirla. In effetti, lo specifico del pensiero husserliano non sta tanto, o per lo meno non solo, nella fondazione teoretica delle forme di una conoscenza valida in generale, bensì nel chiarimento dei modi proteiformi di donazione di senso attraverso i quali si dispiega l’esperienza. Detto in altri termini, la fenomenologia tematizza la vita intenzionale attraverso la quale il soggetto si rapporta al mondo secondo modalità molteplici. Questo aspetto viene sottolineato soprattutto dal tardo Husserl, come accade ad esempio in alcune lezioni su natura e spirito del 1927, dove leggiamo che «Il carattere fondamentale della fenomenologia è quello di una filosofia scientifica della vita (wissenschaftliche Lebensphilosophie), è quello […] di una scienza radicale, che ha come tema scientifico originario la vita concreta universale (das konkrete universale Leben) e il suo mondo-della-vita, il mondo circostante reale concreto».37 Si tratta di una lettura che è andata acquisendo nel tempo una consistenza sempre maggiore, sostenuta, seppure con accenti distinti, da voci alquanto autorevoli. Eugen Fink, allievo diretto di Husserl, è di sicuro uno dei primi a intravvedere questo sviluppo.38 Dal canto suo, Enzo Paci ha sottolineato come il fondamento che permette l’esperienza intersoggettiva dell’io sia una «vita soggettiva originaria» o «una soggettività preindividuale»,39 da cui emerge ogni ego individuale. Questa soggettività preindividuale, radicata nel corpo vivo (Leib), è caratterizzabile nei termini di una «natura originaria antepredicativa»,40 cioè una sfera di senso che precede il piano logico-predicativo e che è basata sulle dinamiche multiformi della sensibilità in tutta la ricchezza delle sue dimensioni. Tra gli interpreti più recenti, infine, Bernet sottolinea il darsi di una vita intenzionale sottesa a quella empirica,41 cosa che potrebbe quindi costituire la prospettiva a partire da cui articolare un concetto di natura differente, connesso a e al contempo irriducibile a quello delle scienze moderne. Si tratta tuttavia di un tema di grande complessità, che Husserl non sembra aver sviluppato a sufficienza.


  1. Come Husserl sostiene, ad esempio, nel Nachwort all’edizione delle Idee del 1930. V. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, ed. it. a cura di V. Costa, Mondadori, Milano 2008, p. 418. ↩︎

  2. V. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 1961, §9h. ↩︎

  3. V. a titolo di esempi: J. Petitot, F. Varela, B. Pachoud, J.-M. Roy (cur.), Naturalizing Phenomenology. Issues in Contemporary Phenomenology and Cognitive Science, Stanford University Press, Stanford (CA) 1999; M. Cappuccio (cur.), Neurofenomenologia. Le scienze della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Bruno Mondadori, Milano 2009. ↩︎

  4. V. F. Varela, Neurofenomenologia. Un rimedio metodologico al “problema difficile”, in M. Cappuccio, Neurofenomenologia, cit., pp. 65-93. ↩︎

  5. Sulla questione del cosiddetto “naturalismo” nel pensiero contemporaneo, con le sue declinazioni più radicali (naturalismo scientifico) e quelle più articolate e aperte al contributo di differenti modalità conoscitive (naturalismo liberalizzato) si veda M. De Caro, D. Macarthur (cur.), Naturalism In Question, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2044 (tr. it. La mente e la natura. Per un naturalismo liberalizzato, Fazi, Roma 2005); Ead., Naturalism and Normativity, Columbia University Press, New York 2010. ↩︎

  6. V. per es. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 225. ↩︎

  7. V. per es. E. Husserl, Fenomenologia e teoria della conoscenza, ed. it. a cura di P. Volonté, Bompiani, Milano 2000, p. 165. ↩︎

  8. «La parola fenomeno ha un doppio senso (doppelsinnig) per via dell’essenziale correlazione fra l’apparire e ciò che appare. Φαινόμενον vuol dire propriamente ciò che appare (das Erscheinende), e tuttavia è usato di preferenza per l’apparire (das Erscheinen) stesso, per il fenomeno soggettivo (se è permessa questa espressione che si presta a essere fraintesa in modo grossolanamente psicologico). Nella riflessione diviene oggetto la cogitatio, l’apparire stesso, e questo favorisce il formarsi dell’equivoco» (E. Husserl, L’idea della fenomenologia, ed. it. a cura di E. Franzini, Bruno Mondadori, Milano 1995, p. 53). Per una discussione della nozione di phainomenon in chiave husserliana, mi permetto di rimandare a M. Deodati, «Ciò che è confuso e tuttavia più manifesto. Osservazioni sul concetto di fenomeno a partire da Husserl», B@belonline, 6 (2020), pp. 81-93. ↩︎

  9. E. Husserl, L’idea della fenomenologia, cit., p. 59 (trad. leggermente modificata). ↩︎

  10. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, ed. it. a cura di V. Costa, Quodlibet, Macerata 2008, p. 5. ↩︎

  11. Ivi, p. 3. ↩︎

  12. Ivi, p. 5. ↩︎

  13. «La fenomenologia non è in alcun modo psicologia. Essa si situa in una nuova dimensione ed esige un atteggiamento essenzialmente diverso da quello della psicologia e da quello di ogni scienza che si occupa dell’esistenza spazio-temporale» (ibid.). ↩︎

  14. V. ivi, §7. ↩︎

  15. Ivi, p. 5. ↩︎

  16. Sulle differenze e i nessi tra atteggiamento naturale, naturalistico, personalistico si veda E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., Libro secondo (Idee II), §§ 2, 49-53. ↩︎

  17. V. per es. E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934. Die C-Manuskripte, Husserliana Materialien VIII, Springer, Dordrecht 2006, pp. 356-357. ↩︎

  18. V. E. Husserl, Ricerche logiche, ed. it. a cura di G. Piana, 2 voll., Il Saggiatore, Milano 2001, vol. I, p. 282; La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. 87. ↩︎

  19. E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie. Analysen des Unbewusstseins und der Instinkte. Metaphysik. Späte Ethik, Husserliana XLII, Springer,Dordrecht 2013, p. 361. ↩︎

  20. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., p. 16. ↩︎

  21. V. §12 di Idee II, in E. Husserl Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit, p. 464); Id., La filosofia come scienza rigorosa, tr. it. Di C. Senigallia, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 44. ↩︎

  22. «La natura è una realtà intersoggettiva, realtà non soltanto per me e per tutti gli altri uomini che sono casualmente con me, ma è per noi tutti, per tutti coloro che devono poter intrattenere con noi un commercio e devono potersi intendere con noi a proposito di cose e uomini» (E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 520). ↩︎

  23. V. per es. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., pp. 274-275; Id., Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana XV, Martinus Nijhoff, Den Haag 1973, p. 366. ↩︎

  24. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 521. ↩︎

  25. E. Husserl, I problemi fondamentali della fenomenologia, cit., p 77. ↩︎

  26. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 461. ↩︎

  27. Ivi, p. 521. ↩︎

  28. V. E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie, cit., p. 412. ↩︎

  29. Nel volume che raccoglie alcuni manoscritti significativi sulla questione dell’eidos, Husserl parla esplicitamente di natura delle cose (Natur der Sachen) e natura delle idee (Natur der Ideen) (v. E. Husserl, Zur Lehre vom Wesen und zur Methode der eidetischen Variation. Texte aus dem Nachlass (1891-1935), Husserliana XLI, Springer, Dordrecht 2012, pp. 70, 156). Espressioni analoghe ricorrono anche in E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, cit., pp. 35, 43. ↩︎

  30. La bellezza «non appartiene alla “natura” propria dell’oggetto. Ovvero: se noi ci raffiguriamo la rimozione dei predicati estetici e degli altri predicati di valore, allora l’oggetto continua ad avere la sua propria “natura”, è e rimane un oggetto pieno e intero» (E. Husserl, Vorlesungen über Ethik und Wertlehre 1908-1914, Martinus Nijhoff, Den Haag 1988, Husserliana XXVIII, p. 262). ↩︎

  31. V. ivi, pp. 259, 262-262. ↩︎

  32. Ivi, p. 396. ↩︎

  33. Cfr. E. Husserl, Vorlesungen über Ethik und Wertlehre, cit., pp. 255-260; 310-331. ↩︎

  34. V. E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa, cit., pp. 13-70. ↩︎

  35. V. E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, cit., p. 616. ↩︎

  36. E. Husserl, Ms. M III 1 I 4/14. ↩︎

  37. E. Husserl, Natur und Geist. Vorlesungen Sommersemester 1927, Husserliana XXXII, Kluwer, Dordrecht 2001, p. 241. Per una prima inquadratura complessiva del tema, benché di certo non esaustiva, mi permetto di rinviare a M. Deodati, La dynamis dell’intenzionalità. La struttura della vita di coscienza in Husserl, Mimesis, Milano-Udine 2010. ↩︎

  38. «Mi sembra che l’analisi intenzionale, nel solco del suo sviluppo metodico, diventi una sorta di filosofia della vita» (E. Fink, Nähe und Distanz. Phänomenologische Vorträge und Aufsätze, Alber, Freiburg-München 1976, p. 152). ↩︎

  39. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Laterza, Bari 1961, p. 241. ↩︎

  40. Ivi, p. 143. ↩︎

  41. «La fenomenologia trascendentale porta così ad apparire (sotto la forma di un apparire puro, cioè non empirico) una forma di vita trascendentale effettiva, che sottende alla vita empirica come suo fondamento celato. Contrariamente al neokantismo, il trascendentale è dunque per Husserl un modo di vita specifico che ha i suoi propri modi di apparire e nel quale la sensibilità gioca un ruolo privilegiato» (R. Bernet, Conscience et existence. Perspectives Phénoménologiques, PUF, Parigi 2004, p. 249). ↩︎