Un’avvertenza introduttiva. L’impasse di ogni definizione di fede filosofica
Se è vero che almeno due testi risalenti al periodo «maturo» (rispettivamente al 1948 e al 1962)1 sembrano tematizzarne specificatamente significato e impiego, non per questo risulta agevolmente spiegabile il concetto jaspersiano di fede filosofica (philosophische Glaube). Al contrario, al di là delle illusorie apparenze l’impresa è assai ardua, non ultimo per l’ubiquità che caratterizza la componente sostanziale dell’espressione in causa, la fede stessa. Tale onnipresenza, certo un ostacolo ai fini della comprensione più puntuale, d’altro canto ne attesta l’assoluta importanza all’interno del pensiero complessivo di Jaspers. Più chiaramente: se solo in alcun limitati lavori l’idea di fede è apertamente tematizzata, si deve registrare fin da subito come essa riappaia con livelli di esplicitazione più o meno accentuati in gran parte delle restanti aree di studio, di norma quale attitudine e generale atmosfera che accompagna e indirizza il ricercare stesso. A ben vedere la si trova nelle riflessioni sulla politica e sulla società tedesca e occidentale di quegli stessi anni,2 oltre che nella filosofia della storia approntata nel 1949;3 negli sforzi storico-filosofici e in particolare nel progetto di filosofia mondiale;4 ma persino in lavori ben precedenti, quali i tre volumi di Filosofia5 (e punti di contatto potrebbero essere suggeriti almeno con la Psicologia delle visioni del mondo).6
Stupisce, di conseguenza, che a questa onnipresenza larvata o esplicita di una certa impostazione fideistica lato sensu non corrisponda una illuminazione concettuale adeguata dell’espressione in gioco, nemmeno nei testi più tardi. Se si prende in considerazione il maggiore indiziato a fornirci una risposta chiara e puntuale, le già citate lezioni pubblicate nel 1948, è difficile a questo proposito non restare delusi: l’autore della fede filosofica risulta in seria difficoltà nel definire il suo stesso termine. Si procederà con ordine e in modo progressivo, per rilevare questa fatica oltremodo significativa.7
Dapprima si leggono descrizioni talmente ampie e generali («la tensione verso una conoscenza illimitata» e «la volontà di chiarificare se stessa»8) da non spiegare granché, precedute solo dall’avvertenza secondo la quale «la fede non deve essere assolutamente confusa con l’irrazionale».9 Proposizioni di questo tipo sembrano valide solo da un punto di vista retorico e introduttivo, poiché da sole risultano accostabili a proprio piacimento alla filosofia, a una indistinta concezione dello spirituale nonché alle scienze stesse.
Un contributo un poco più preciso si ha nella notazione secondo la quale nell’esperienza della fede non si verifica la consueta divisione tra soggetto e oggetto. È anzi solo nella loro unità, sostiene Jaspers, che si evita tanto il pericolo della credulità (l’assenza di un oggetto specifico a cui tendere) quanto quello di trasformare la credenza in dogma e formula, svuotata dell’apporto del soggetto che la vive; la dinamica della fede riunisce in sé tanto «la sorgente da cui nasce il nostro atto fideistico» quanto «il contenuto a cui si applica».10 Questa precisazione, per quanto ancora insufficiente, rappresenta un significativo progresso. I parametri dell’oggettività e della soggettività forniscono un primo posizionamento della fede e soprattutto stabiliscono un discrimine che può essere letto in senso cronologico: quale dinamica che precede la Spaltung soggetto-oggetto, o quale ricomposizione successiva di tale frattura. La scelta tra queste due interpretazioni rimane al momento indeterminata, ma costituirà uno dei nodi del presente contributo.
La mossa successiva, pur avanzando un’ulteriore specificazione, non è esente da un’ovvia problematicità di fondo. Per Jaspers il concetto di fede filosofica assume piena pregnanza solo una volta accostato all’evento sempre incompleto dell’Umgreifende, l’Abbracciante che non si lascia afferrare come vorrebbe la consueta operazione ontologica ma al contrario avvolge gli enti stessi, dà luogo a una periecontologia senza la quale la sopracitata scissione non sarebbe nemmeno concepibile.11 Più precisamente la fede viene a coincidere con l’accertamento dell’Umgreifende:12 dinamica innanzitutto esistenziale e alogica, e per questo irriducibile alla descrizione logica. Ma ciò non toglie, una volta riconosciuti alla fede i caratteri dell’immediatezza e della storicità,13 che descrizioni quali «la vita che prende le mosse dall’Umgreifende» e «la direzione e la pienezza che attraverso l’Umgreifende si realizza»14 continuino a risultare oscure. Una tensione irrisolta è in atto: l’idea di fede è tanto dimensione generale (e generica) propria dell’uomo in quanto tale (dunque costante almeno antropologica) quanto componente irrinunciabile di un procedere filosofico specifico e non obbligato.
In effetti un passo avanti decisivo verso una maggiore chiarezza si guadagna solo con l’annotazione dei contenuti della fede filosofica. Jaspers ne elenca qui tre:15
- Dio è
- C’è un’esigenza incondizionata nell’esserci
- La realtà del mondo ha un esserci evanescente tra Dio e l’esistenza.
In un’occasione precedente, risalente al 1942-43, a questi si accompagnavano altre due proposizioni, secondo le quali «l’uomo può vivere sotto la guida di Dio» e «l’uomo è finito e inesauribile».16 Per quanto ciascuno di questi concetti sia meritevole di una discussione a parte (come in effetti accade), è possibile svolgere qualche osservazione circa l’impostazione complessiva di Jaspers, secondo quanto finora riscontrato. Si danno dei principi di chiaro afflato religioso o spirituale – forzatamente lato sensu, ma in modalità affini a quanto ci si attenderebbe da posizioni prettamente confessionali –, i quali tuttavia si rivolgono a delle domande dal sapore strettamente filosofico se non proprio kantiano (Che cosa so? Che cos’è veramente? Che cos’è la verità? Come so?).17 Lo stesso impianto ancor prima dei suoi contenuti, in altre parole, tradisce un carattere anfibio e oscillante tra filosofia e religiosità, interrogazione sull’uomo e appello che sembra emanato da una forza altra, la Trascendenza: consiste in una costellazione18 che dialetticamente tiene insieme, come entità energetica viva, l’una e l’altra polarità, senza che ciò rimandi a una sintesi ma semmai a un continuo versamento del primo termine nel secondo e viceversa. Da questa prospettiva sembra di poter dire che per Jaspers non vi è autentico filosofare che non sia pieno di fede – che non sia, in effetti, una forma peculiare di aver fede; senza questa l’intero discorso sull’Umgreifende diviene lettera morta. Una ispirazione fideistica percorrerebbe, allora, l’intera filosofia jaspersiana senza limitarsi a indicare una circoscritta area del suo pensiero: senza dubbio si può (e si deve) individuare una tematica descrivibile nei termini tradizionali di «filosofia della religione», ma al contempo va ribadito come una certa declinazione del religioso è non solo tema particolare, bensì anche e innanzitutto atmosfera, Stimmung, indirizzo, postura a un tempo teoretica e pratica che solo in seguito si rivolge a determinati oggetti. Il movimento della fede filosofica procede così in parallelo alla dinamica espansiva dell’Umgreifende che tutti gli enti avvolge e compenetra: in fondo, riprendendo le trattazioni jaspersiane, si direbbe che la fede filosofica è la caratteristica essenziale dell’Umgreifende che noi siamo,19 è quell’attributo che ci rende Umgreifende a nostra volta.
Se per fede filosofica intendiamo, almeno provvisoriamente, una ispirazione di carattere fideistico nell’attività del filosofare in quanto ex-porsi dell’Esistenza alla Trascendenza dell’Essere,20 si può pensare di testare questa definizione minimale ponendola a contatto con quella meno controversa e più definita di fede rivelata, come fa a più riprese lo stesso Jaspers. Tale confronto, e qui giungiamo al cuore del discorso, si svolge secondo una sostanziale sincronia: fede filosofica e fede rivelata si rapportano e si influenzano a vicenda, suggerendo e correggendo i rispettivi contenuti. Ma non è questa l’unica opzione possibile: si può anche supporre la tesi di una precedenza temporale della fede filosofica o al contrario di quella rivelata – così che l’una o l’altra, a seconda dei casi, debbano fare i conti con l’essere origine istituente oppure fine istituita. In uno spazio inevitabilmente limitato forniremo allora tre immagini, quali abbozzi, «ossature» di tre modi diversi di interpretare temporalmente la fede filosofica. Attraverso la domanda cronologica sarà possibile esaltare la rilevanza e l’attualità di tale concetto.
La fede filosofica insieme alla fede rivelata
Sul rapporto tra fede filosofica e fede rivelata Jaspers spende alcune delle pagine più celebri della propria produzione, giustamente oggetto di una folta letteratura critica. A un primo sguardo generale la posizione jaspersiana sembra piuttosto inequivocabile: in estrema sintesi, la fede filosofica rimanderebbe a un sentire religioso aperto, che proviene dall’interiorità ed esprime l’esigenza umana di trascendenza, un sentire che è portato alla continua riflessione e comunicazione tra uomini e popoli – un pensiero religioso che è stato efficacemente definito liberale.21 Al contrario la fede rivelata rischia di scoprirsi ricettacolo di dogmatismo, intolleranza, chiusura, rifiuto del dialogo, imposizione di una rigida gerarchia ecclesiastica: questo perché pretende di conoscere e disporre dell’unica Verità – non solo incondizionata, come è giusto che sia in ambito esistenziale, ma anche (e qui sta il grave fraintendimento) universalmente valida.22 Tale verità, di conseguenza, non si attua e non si scopre nella comunicazione: ma viene al più impartita, senza possibilità di confronto, da parte di chi la detiene verso chi si suppone esserne all’oscuro, secondo una dinamica verticale e inegualitaria.
Ora, tali considerazioni sono senz’altro presenti nella riflessione jaspersiana e tuttavia non si avvicinano nemmeno a esaurirne la complessità. Fino a questo punto non si avrebbe nient’altro che una chiara polemica, certo non unica nella storia del pensiero, nei confronti di una delle declinazioni maggioritarie del religioso. L’impostazione sarebbe peraltro inevitabile, nel senso che non si dà «alcun punto di vista che sia estraneo all’alternativa: filosofia e religione»; «ognuno di noi si trova già in una delle due parti della polarità, e, in un punto che è decisivo, parla dell’altra, senza una vera e propria esperienza».23 La fede filosofica è filosofia, per quanto avvolta in una certa atmosfera fideistica, e niente affatto religione; se si pratica questa peculiare fede non si può aderire all’altra.
Tale motivo è a ben vedere complicato da una postura più ambivalente nei confronti delle religioni rivelate. Innanzitutto Jaspers mostra tre esempi di affinità tra religione e filosofia: l’idea di Dio, che sarebbe nata in Occidente tanto nell’Antico Testamento quanto nella filosofia greca (pur riconoscendo che «l’Uno della filosofia non è l’Uno della Bibbia»);24 l’atto della preghiera, che pur appartenendo al culto può farsi esperienza individuale ed esistenziale, divenendo «filosofia nell’istante in cui crollano tutte le realtà interessate con la divinità, e ogni reale volontà di agire su di essa»;25 e il fenomeno stesso della Rivelazione, che in quanto messaggio diretto di Dio è senz’altro affare della fede rivelata e che tuttavia contiene in sé un nucleo che «appartiene all’uomo in quanto uomo».26 Ma forse ancora più eloquenti sono le due «proposizioni fondamentali», le quali nel loro drammatico antagonismo si completano a vicenda:
La religione biblica contiene in germe una pretesa di esclusività che appare in tutte le sue ramificazioni, ma che forse non le è né necessaria, né essenziale. Questa pretesa esclusivistica, nei suoi motivi e nei suoi effetti, è la rovina di noi uomini. Per la verità e per l’anima nostra, noi dobbiamo combattere questa pretesa che è mortale. Noi filosofiamo a partire dalla religione biblica e vi troviamo una verità insostituibile.27
La certezza è insomma che il pensiero filosofico incontra nella «religione biblica» (il portato della tradizione ebraico-cristiana)28 un patrimonio culturale inestimabile, senza il quale il filosofare stesso è immensamente più povero; l’incertezza riguarda invece lo statuto di questa tradizione nel suo aspetto immediatamente confessionale, che ha storicamente dato luogo a tragiche storture nel nome di una presunta pretesa di esclusività. Proprio questo è il nodo decisivo attorno al quale Jaspers resta titubante: è tale deriva, continuamente da contrastare e denunciare, uno slittamento obbligato delle fedi confessionali? Vi è nelle religioni un «peccato originale» inestirpabile, una loro sostanziale impurità che ne mina alle fondamenta ogni buona intenzione?
La questione resta in sospeso, e Jaspers si limita a proporre le tre soluzioni – di nuovo, molto generali – del «liberarsi dalle forme irrigidite», del «recuperare le tensioni antinomiche» e del chiarificare ed esaltare la verità eterna.29 In effetti ciascuno di questi punti può essere letto come componente di un’unica operazione fondamentale. La religione – che pure, si potrebbe sostenere, ha bisogno di un abito, di una forma esteriore che la esprima30 – evoca una verità profonda che si oppone a qualsiasi pretesa di fissazione dei contenuti una volta per tutte: esaltare le tensioni antinomiche significa non distogliere lo sguardo dalle numerose contraddizioni che abitano (e vivificano) lo stesso testo biblico, indice di «un movimento di pensiero in cui parla una verità che non si lascia esprimere in una enunciazione diretta».31 Questo procedere dialettico adombra – senza consegnare – l’immagine di una verità eterna il cui nucleo sta nella comunicazione tra polarità, in quella che Jaspers altrove chiama «lotta amorosa» e le cui singole manifestazioni sono continuamente da sfondare (durchbrechen).32
Assodato che la fede filosofica è filosofia e non religione e che tuttavia la filosofia ha bisogno della religione poiché «non può dare all’uomo ciò che la religione gli dona»,33 l’analisi acquista una profondità maggiore non appena viene tradotta in termini cronologici. Riprendendo il titolo della riflessione jaspersiana, la fede filosofica si pone di fronte alla rivelazione (o alle rivelazioni) esercitando la propria dinamica contemporaneamente a quella altrui. In questo modo essa funziona da argine e da vincolo esattamente nel momento in cui la fede rivelata tende a superare il proprio limite di possibilità e a scivolare, secondo una tendenza forse intrinseca, nel dogmatismo e nell’assolutismo. È quasi la fede rivelata, in questo senso, a invocare l’intervento della fede filosofica: riconosce l’assoluta necessità che l’antagonista continuamente re-agisca nei suoi stessi confronti, al fine di mantenersi autentica e non divenire superstizione, fissità. Senza fede filosofica non vi è autentica esperienza religiosa ma solo un suo simulacro, in nome del quale possono essere giustificate le azioni più deplorevoli.34 In altre parole, questa fede coincide con una dinamica esterna che penetra all’interno di una data confessione (quale può essere il cristianesimo o qualsiasi altro credo) per introdurvi una differenza e avviarne una crisi permanente, distinguendo tra le sue manifestazioni autentiche e quelle inautentiche; la fede filosofica diventa qui la serie infinita di tagli che continuamente separano il grano dalla zizzania, l’azione ripetuta di schibboleth che discrimina e seleziona, denuncia e salva.35 Complessivamente, in questa lettura non vi è un prima e un poi: l’interpretazione è essenzialmente astorica, nel senso che il binario di contemporaneità reciproca su cui procede è idealmente illimitato in avanti e indietro. Fede filosofica e fede rivelata appaiono qui come costanti antropologiche insuperabili36 che procedono parallelamente e nel loro intreccio rinviano tanto all’origine quanto al fine dell’umanità stessa:37 sono, si potrebbe dire, quelle linee di continuità che scandiscono l’avvicendarsi storico delle singole confessioni religiose e delle istanze a esse storicamente contrappostesi. È dunque grazie a questo carattere di contemporaneità che la dialettica risulta applicabile in ogni epoca storica tra cui la nostra, quale strumento ermeneutico prezioso per comprendere e rispondere attivamente alle tendenze dell’attualità, elaborando strategie per un dialogo efficace tra l’elemento laico e quello religioso.
La fede (filosofica?) prima della fede rivelata
Non è questa, tuttavia, l’unica lettura possibile dell’articolazione jaspersiana; è anzi proprio la riscontrata «neutralità» storica a suggerire la possibilità delle altre due interpretazioni, di nuovo a partire dai termini chiave di origine e fine. La prima di queste riguarda la possibilità che la fede filosofica componga l’origine delle fedi rivelate, storicamente determinate. La tesi che la fede filosofica sia qualcosa che precede i singoli contenuti interni contribuisce a spiegare la riscontrata genericità del termine: essa sarebbe, appunto, impostazione generale o forse sfondo grazie al quale alcuni contenuti possono emergere in primo piano, fondo su cui di volta in volta si innestano le singole manifestazioni. Già alcuni interpreti hanno notato l’ambiguità della posizione di Jaspers e in particolare ci si è domandato se fede filosofica e fede rivelata stiano effettivamente sullo stesso livello.38 A seguire l’impostazione finora considerata la risposta risulta affermativa: è solo in virtù di questa posizione simmetrica che la fede filosofica può accompagnare la fede rivelata, raddrizzandone le storture e risultando a sua volta arricchita nei propri svolgimenti. Eppure si potrebbe affermare in modo opposto che l’operazione stessa di schermatura, di scioglimento delle fissità, di trasformazione dei dogmatismi in cifre39 implica un prima e un poi: il contenuto è inizialmente reificato e successivamente sciolto; inizia come oggetto e finisce come cifra, secondo una dinamica che si presenta come ripetitiva40 (da qui il senso di astoricità) ma che è costitutivamente temporale.
La differenza tra questa e la precedente interpretazione, equiparabile allo scarto ermeneutico tra «l’intendere originario e l’intendere il già-inteso»,41 è cruciale. Quanto qui avviene è una torsione dell’idea di taglio cui si accennava prima, la cui singola applicazione risulta lecita solo in virtù di una certa «istanza critico-trascendentale»42 all’opera come premessa silenziosa: si avrebbe un assoluto tagliare che fonda i singoli tagli. In altre parole, la fede filosofica varrebbe da condizione di possibilità e meccanismo di produzione di quella fede che caratterizza la confessionalità religiosa.43 Da questo punto di vista la fede filosofica non solo precede cronologicamente quella rivelata, ma è proprio la precedenza storica a segnalare una priorità lato sensu «ontologica»: la fede confessionale può esistere perché alla sua base è data l’attività della fede filosofica quale esperienza generale, tipica dell’umano in quanto ente privilegiato nella comunicazione con l’essere. La fede filosofica diventa in questo senso sinonimo di fede tout court, declinabile poi in molteplici modi possibili (tra cui quello proprio delle fedi rivelate). Ma non vale un discorso simile, dopotutto e come è stato notato,44 per qualsiasi impresa conoscitiva, che dà senza dubbio luogo a singoli contenuti obiettivabili ma richiede a sua volta una credenza profonda nell’atto stesso del ricercare, affinché questo possa recare i suoi frutti? Come in fondo testimonia il suo carattere anfibio, la fede filosofica significherebbe il suo nome solo ex post: poiché sarebbe in realtà l’origine che dà alla luce tanto la filosofia quanto la religione.45
Quali sono le conseguenze dell’impostazione? Innanzitutto bisogna valutare se e come questa precedenza implichi una preferenza e una gerarchia. Jaspers, lo si è detto, non dà adito a dubbi nel dichiararsi filosofo e mai teologo, aderendo saldamente a una sola delle due polarità. Ma questa priorità può essere intesa in modo più radicale, che vada oltre la mera sensibilità personale: si tratterebbe al contrario di un’articolazione ben precisa, dalla chiara valenza ontologica. Da questa prospettiva il carattere comprensivo della fede filosofica la avvicina forse non casualmente al concetto stesso di Umgreifende, di quell’abbracciante che nell’avvolgere dà vita. La fede filosofica è capace di articolare il complicato nesso tra filosofia e religione perché è alla base di entrambe ed entrambe sorregge: sta nella presenza o assenza di questo «fondamento sfondante», che fonda solo attraverso lo sfondare gli orizzonti irrigiditi, il discrimine tra una conflittualità puramente distruttiva e la lotta amorosa autentica. L’una è annientamento del vero nel segno del dogmatismo, l’altra è dialogo incessante anche aspro, nella continua coscienza della propria e dell’altrui differenza, ma volto alla ricerca della verità che si dà solo nel riconoscimento della controparte, nel desiderio che anch’essa giunga alla piena fioritura. Solo così si realizza quella che è a un tempo fede nella possibilità della comunicazione illimitata e fede nell’alterità assoluta che in tale dialogo si manifesta, si consegna, mostra il proprio volto.
Questa immagine della fede filosofica è convincente perché soddisfa bene l’esigenza jaspersiana di anticipare la scissione tra soggetto e oggetto: rappresenta l’unità che non annienta la separazione, ma che al contrario la autorizza e articola – in vista di un’unità e di un taglio ulteriori. L’idea di fede filosofica è dunque comprensibile nei termini dell’origine, dal carattere tuttavia peculiare. Come si è accennato essa non è solo storicamente situata e il suo essere prima rispetto al poi della fede rivelata non è di carattere semplicemente cronologico quanto piuttosto ontologico – è più che historisch, è innanzitutto geschichtlich. Questa origine continua ad agire insieme a ciascuna Existenz e nel tempo di questa, è la sua storicità più profonda; non è affatto passata o superata, bensì temporalmente progrediente e rinnovantesi.46 Questa fede come origine esprime bene il carattere anfibio dell’esistenza, nel suo essere a un tempo indice di finitezza e creaturalità, propria del Dasein, e indice di trascendenza, apertura all’illimitato. Quella della fede filosofica sarebbe allora una traccia che non cessa di abitare l’epoca contemporanea, sia questa favorevole o contraria alla sua influenza, disponibile ad ascoltarne l’eredità o tendente ad occultarla il più possibile. Non è un caso, infatti, che la separazione di soggetto e oggetto possa essere anche saldata a posteriori, dopo che il taglio si è consumato, mediando la differenza generata nelle modalità di una sintesi, sempre parziale e sempre instabile.
La religiosità come resto. Quale fede dopo la fede rivelata
Nella filosofia jaspersiana l’origine non è mai separata dal fine; solo così la costellazione acquista un senso.47 Ma esattamente per la sua qualità marcatamente ontologica l’origine si ritrova anche alla fine, implicando un «dopo» e in modo tale da risultare profondamente trasformata da quel mentre che si è storicamente verificato. Nel caso della religione rivelata, si deve pensare allora a quale fede filosofica possa darsi dopo la dinamica confessionale;48 o in termini più generali, a quali modi del religioso rimangano al termine dell’esperienza religiosa strutturata, ecclesiastica, gerarchica. Risulta infatti ingenua, come è stato ampiamente notato, la tesi della fine di ogni idea del sacro nella società contemporanea occidentale.49 Piuttosto, dopo la morte di Dio il religioso si coagula in configurazioni alternative e poco scontate, forse meno strutturate ma capaci di esprimere spontaneità uguale o maggiore, rivelandosi in contesti imprevisti e abitualmente non associati al sacro – ma non per questo viene del tutto a mancare.50
Jaspers sembra aver lucidamente anticipato tale scenario. Parla, cioè, della possibilità di una radicale trasformazione della religione biblica come di una esigenza fondamentale per l’umanità a venire, riflettendovi nella forma di una domanda aperta:
Può la fede biblica in base alla sua origine riformarsi nuovamente in quella pura serietà che non sta nella professione di fede ma nella costituzione dell’anima nelle azioni e nelle decisioni pratiche? […] Può di nuovo il pneuma divenire una potenza che gli uomini in comunità esperiscono come sorgente presente che impressiona con la sua chiarezza, con la sua misura e la sua accortezza, tanto che l’uomo come individuo si senta uno con la totalità comprensiva che lo collega agli altri, come se la pienezza dell’essere scorresse in loro?51
Affinché possa essere raggiunta una risposta positiva, tre trasformazioni della più intima materia religiosa cristiana sono suggerite: «Gesù Cristo non è più il Cristo Dio-uomo per tutti i credenti», «la rivelazione diviene cifra della rivelazione» e «cade l’esclusivismo della verità di fede dogmaticamente stabilita».52 Non può passare inosservato, tuttavia, che con la loro radicalità queste richieste contraddicono puntualmente l’altra affermazione di Jaspers, secondo la quale al fine di una ripresa della fede biblica non è necessario un vero e proprio «progresso nella sostanza» quanto un semplice «cambiamento dei suoi rivestimenti».53 Al contrario, e come è stato vivacemente fatto notare,54 la soluzione al problema genera una nuova questione: se cioè dopo una tale trasformazione quel che resta possa ancora definirsi religione biblica, o se non si produca piuttosto un surrogato di specie del tutto differente. È vero che non si propone qui nient’altro che un’applicazione – per quanto intensa - dell’operazione fondamentale jaspersiana, quella attività generale (valida per ogni ambito) di fluidificazione delle fissità, di sfondamento di quanto è rigido affinché possa rivelarsi la sua natura di cifra, simbolo, immagine densa ma trasparente:55 ma così facendo Jaspers sta forse chiedendo alla fede rivelata qualcosa che essa non può dare a meno di non snaturarsi completamente, sta prefigurando una religiosità che con il cristianesimo e le altre religioni confessionali condivide poco o nulla. Il derivato di questa operazione, che abbiamo finora definito con il termine di fede filosofica, sarebbe allora niente di più e niente di meno di una sostituzione, nella quale essa andrebbe a occupare il posto lasciato vacante delle fedi rivelate.
Certamente la questione è cruciale, e tuttavia il percorso finora svolto è utile a mostrare una prospettiva diversa, forse altrettanto significativa ma meno dibattuta. Chiedersi quanto si possa conservare delle religioni e delle loro tradizioni non è in effetti l’unica domanda possibile. Piuttosto, invertendo il punto di vista bisogna riflettere su cosa guadagna la fede filosofica dal venire dopo l’esperienza confessionale; cosa essa ha acquisito e che non poteva ottenere senza quel «mentre» rappresentato dalle fedi rivelate. La religiosità confessionale, in questo senso, viene compresa come origine di quella fede speculativa e sui generis che ancora oggi è possibile, anche se costitutivamente fragile e in pericolo, così come la religione biblica diviene origine (vivente e tuttora operante, come si è detto) di quanto costituisce il mondo occidentale contemporaneo:56 l’una e l’altra sono molto più di un patrimonio dapprima messo a profitto e quindi abbandonato. Questo è il lato del prisma che Jaspers intendeva mostrare, forse, quando ribadiva con forza l’importanza del patrimonio tramandato dalla religione biblica: eredità che deve valere per l’erede, e dunque per chi viene dopo. La fede della religione biblica è un lascito di natura affine a quello dell’età assiale (di cui fa parzialmente parte)57 che indica un sentiero, assai vago e del tutto da precisare, per la costruzione di un’umanità a venire: che certo non abdichi ad acquisizioni ormai per noi irrinunciabili (quali la laicità, il pluralismo, alcune declinazioni di umanesimo) ma sappia sussumerle sotto un unico slancio, una forma di spiritualizzazione che oltrepassi il terreno della pura immanenza.58
Solo in questo senso la fede filosofica si configura come una (l’unica?) fede possibile dopo le acquisizioni moderne e contemporanee delle scienza e della tecnologia, dopo l’idea di politica secolare che si è imposta negli ultimi secoli. Di fronte al problema, per Jaspers incessante, dell’antiragione e del nichilismo che a questa è sotteso,59 essa può rappresentare un argine in quanto non ingenuamente nostalgica della fede passata, ma consapevole e all’altezza delle sfide della modernità, a un tempo aperta al novum e riconoscente nei confronti del lascito della tradizione. Essa si confermerebbe dispositivo ermeneutico prezioso, capace di non ridurre l’epoca contemporanea a lineare esperienza di progresso né a decadimento da un’età dorata, rilevando con pari lucidità ragioni di preoccupazione e motivi di speranza dettati dal tempo presente, e perciò tanto la possibilità dell’esito più catastrofico quanto quella di sviluppi maggiormente auspicabili.60 In questo senso la fede filosofica dopo la fede rivelata può assumere un significato eminentemente politico, rintracciabile ad esempio nell’idea di un orizzonte sovrapolitico che guidi la prassi sociale nella sua concretezza.61 Di nuovo, ancor prima che somma di contenuti specifici essa è la metodologia o meglio l’attitudine, la postura teoretico-pratica che orienta i singoli movimenti e le decisioni particolari, che detta l’imperativo inderogabile della responsabilità.62 Nell’ottica di Jaspers conservare una certa fede, anche laddove i dettami delle religioni rivelate sembrano superati o poco credibili, significa rinnovare l’importanza di un modo di sentire pensante che non solo non è in conflitto con la conoscenza scientifica e non conduce all’irrazionalismo, ma contribuisce a dare senso all’esistenza, a rendere l’Existenz tale nel suo ontologico e costitutivo legame con la trascendenza.
Postilla conclusiva. La fede filosofica come immagine dialettica
Le analisi qui elaborate, da intendere quali meri schizzi di vie da approfondire, consentono di interpretare il concetto jaspersiano di fede filosofica in tre diversi modi, secondo un approccio che è stato definito cronologico. Si è partiti, cioè, dall’ipotesi che la fede filosofica agisca in contemporanea alle fedi rivelate, fungendo da kantiano limite delle condizioni di possibilità e da meccanismo definitorio delle loro prerogative; in un secondo e in un terzo momento si è quindi sondata la possibilità di leggere la fede filosofica come origine e come fine della religiosità confessionale – valendo dapprima da fonte comprensiva che dà vita a quest’ultima, e poi come risultato ed esito del processo moderno di secolarizzazione, che non è perdita assoluta del sentimento religioso ma sua trasfigurazione in modalità alternative, spesso difficilmente inquadrabili in categorie prefissate.
Quel che è emerso dal percorso è che, da un punto di vista senz’altro teoretico ma in linea con le argomentazioni individuate nei testi, l’idea di fede filosofica di Jaspers autorizza a ciascuna di queste interpretazioni, a seconda dei passi presi in considerazione. La fede filosofica viene prima, accompagna e può persistere dopo la fede rivelata: si potrebbe dire – con una provocazione – che sopravvive alla morte di Dio, contribuendo di volta in volta a causarla e però forse giocando un ruolo rilevante nella nascita stessa del divino. La fede filosofica si configura quale ripetuta operazione di taglio, ma anche quale anima del tagliare stesso e addirittura quale residuo del tagliato, di quanto è stato scisso: ponendosi al di qua e al di là della separazione tra sapere filosofico e credenza religiosa, tra soggetto e oggetto. Sta forse in questa sua posizione innanzitutto anfibia la sua refrattarietà a ogni tentativo di descrizione definitiva, scacco che pure è stato il pungolo alla base della ricerca. D’altro canto la fede filosofica fa tutt’uno con l’Existenz stessa, che non a caso – a ricordare uno dei contenuti essenziali individuati da Jaspers – è sia finita che inesauribile: è tanto limitata in senso spazio-temporale quanto però nel suo rivolgersi al futuro sempre aperta e addirittura vocata a riempimenti ulteriori, nessuno dei quali sarà mai capace di soddisfarla una volta per tutte. Se l’idea di fede jaspersiana corrisponde e rimanda al carattere profondo dell’Existenz, nell’impossibilità di pensare pienamente quest’ultima si rispecchia il dilemma della fede filosofica: entrambe riguardano un’esperienza – o forse l’esperienza di tutte le esperienze – che è alogica (senza essere illogica) e dunque solo limitatamente logicizzabile, sintetizzabile in enunciati.
In conclusione viene in mente un impiego specifico – certo non l’unico – per ribadire la pregnanza dell’idea di philosophische Glaube, nel segno di una rinnovata attualità della riflessione di filosofia della religione di Jaspers. Ognuna delle tre impostazioni individuate è di massima fertilità per qualunque approccio (anche non filosofico e certamente non solo jaspersiano, ma persino sociologico, antropologico e psicologico) che miri a interrogarsi sullo statuto della fede oggi e su quello che la aspetta domani, nella riconosciuta inevitabilità di un qualche «bisogno di credere»63 e nell’altrettanto percepita incapacità di molte istituzioni religiose di reagire convincentemente alle sfide della contemporaneità. La preferenza per l’una o per l’altra lettura proposta può dipendere dalle esigenze dell’analisi da intraprendere, ma presa in sé è forse l’operazione concettuale meno interessante che si possa compiere: ognuna delle tre interpretazioni coglie un aspetto importante, al quale sarebbe bene non rinunciare. Filosoficamente più rilevante è allora l’opzione di tenerle insieme e articolarle in un unico plesso, nel segno di quel campo di forze che è la costellazione, l’immagine dialettica.64 Trattandosi di un approccio cronologico, quel che ne deriva è il ritratto di una fede dalla temporalità complessa, intricata, multipla, attraversata da venature diverse e non pienamente armonizzate tra loro: una fede come origine e fine dell’umano, addentellato della sua vicenda più intima e motore della storicità stessa. Si tratterebbe però di prospettiva innanzitutto laica e solo dopo e solo eventualmente confessionale, poiché la fede a cui pensa Jaspers va identificata come la vita dell’esistenza, indipendentemente da come questa si identifichi poi nella propria e irripetibile situazione: infatti l’esistenza è costitutivamente compenetrata dalla comunicazione con le altre esistenze, ma da qui non appartiene necessariamente ad alcuna concreta comunità (ecclesiastica piuttosto che scientifica, intellettuale, ecc.). Il concetto jaspersiano di fede filosofica opera a un livello più profondo e per questo funziona da punto di vista privilegiato per continuare a ripensare una domanda cruciale, eterna: quella di come articolare il nesso tra esistenza ed essere. L’esistenza è tale solo se crede e spera nella possibilità di quanto vi è di meno visibile e più impalpabile: l’Uno, l’Umgreifende, l’essere a seconda di come si voglia chiamarlo. Credendo e sperando, in tal modo di rimando, nella possibilità sempre attesa e sempre differita di incontrare se stessa.
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Ci riferiamo alla pubblicazione del ciclo di lezioni tenute a Basilea nel 1947 (K. Jaspers, La fede filosofica, a cura di U. Galimberti, Cortina, Milano 2005; ed. or. Der Philosophische Glaube, Artemis, Zurigo 1948), e a quella più ampia trattazione che è La fede filosofica di fronte alla Rivelazione, a cura di F. Costa, Longanesi, Milano 1970 (ed. or. Der philosophische Glaube angesichts der Offenbarung, Piper, München 1962). ↩︎
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Pensiamo, nel segno della liberalità come forma mentis a cui Jaspers è stato educato fin dall’infanzia, a quella speranza di un’unità politica mondiale nel nome della libertà e della comunicazione illimitata (si vedano in particolare le pp. 156-219 de La bomba atomica e il destino dell’uomo, a cura di R. Cantoni, Pgreco, Roma 2013; ed. or. Die Atombombe und die Zukunft des Menschen, Piper, München 1958). ↩︎
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A questo riguardo basta riportare un passaggio introduttivo dell’opera di riferimento: «Nel mio abbozzo sono sostenuto dalla tesi, materia di fede, secondo cui l’umanità avrebbe un’unica origine e un’unica meta. Origine e meta ci sono ignote, assolutamente ignote in ogni specie di conoscenza. Esse sono percettibili soltanto nello scintillio di simboli ambigui; la nostra esistenza si muove fra quei due poli; a entrambe, origine e meta, cerchiamo di avvicinarci nella riflessione filosofica» (Origine e senso della storia, Mimesis, Milano-Udine 2014, pp.16-17; ed. or. Vom Ursprung und Ziel des Geschichte, Artemis, Zurigo 1949). ↩︎
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K. Jaspers, I grandi filosofi, a cura di F. Costa, Longanesi, Milano 1973 (ed. or. Die großen Philosophen, Piper, München 1957). Non a caso in questo imponente progetto si incontrano non solo figure appartenenti all’ambito filosofico «tradizionale», ma anche personalità più comunemente associate a quello della religione, quali Gesù, Buddha e Confucio. ↩︎
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Per limitarci a un unico riferimento, ad esempio il primo volume tematizza esplicitamente il rapporto tra filosofia e religione (Orientazione filosofica nel mondo, a cura di U. Galimberti, Mursia, Milano 1977, pp. 234-252; ed. or. Philosophische Weltorientierung, Springer, Berlin 1932). Ma, è soprattutto la dinamica complessiva nel suo movimento trascendentivo, a richiamare l’ambito fideistico (senza coincidervi): l’Esistenza è davvero tale solo se sa guardare a quell’assolutamente altro da sé che è più in alto, l’Uno o l’Essere. Non si dà Esistenza, dunque, senza Trascendenza; e questa Trascendenza non si può in alcun modo avvicinare – fermo restando l’inevitabile naufragio – attraverso la semplice operazione intellettualistica, richiede invece lo sforzo di una profonda chiarificazione dell’esistenza che non è affatto priva di Glaube. ↩︎
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In questa affascinante opera di confine la fede è descritta, seppure in uno spazio ridotto, come «una direzione, un incondizionato» contrapposto al sapere, una «forza suprema dello spirito» aderente a quel «tipo spirituale» che stabilisce il proprio punto di appoggio nell’infinito (Psicologia delle visioni del mondo, tr. it. di V. Loriga, Astrolabio, Roma 1950, pp. 385-398; ed. or. Psychologie der Weltanschauungen, Springer, Berlin 1919). Dietro al procedimento da indagine scientifica (la fede come oggetto di descrizione neutrale) si cela un assunto assiologico peraltro ambiguo, poiché da un lato l’ancoraggio nell’infinito è senz’altro preferito al punto d’appoggio nel limitato, e dall’altro però esso decade continuamente a forza propria del finito, divenendo inautentico. Si tratta di tesi, come vedremo, che anticipano riflessioni più mature. ↩︎
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Per un confronto, segnaliamo fin d’ora la ricostruzione di C. Fiorillo, Fragilità della verità e comunicazione. La via ermeneutica di Karl Jaspers, Aracne, Roma 2003, pp. 262-283. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica, cit., pp. 66-67. ↩︎
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Ivi, p. 65. ↩︎
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Ivi, pp. 67-68. ↩︎
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La descrizione più diretta della differenza tra ontologia e periecontologia è forse quella contenuta in Della verità, a cura di D. D’Angelo, Bompiani, Milano 2015, pp. 319-325 (ed. or. Von der Wahrheit, Piper, München 1947). ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., pp. 169-170. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica, cit., pp. 69-70. ↩︎
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Ivi, pp. 76. ↩︎
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Ivi, p. 89. ↩︎
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La traduzione è leggermente modificata. Per la trattazione estesa di questi contenuti, cfr. K. Jaspers, Grundsätze des Philosophierens: Einführung in philosophisches Leben, in Karl Jaspers Gesamtausgabe, Band 2, a cura di B. Weidmann, Schwabe, Basel-Berlin 2019, pp. 25-82. Per completezza di informazione indichiamo nello stesso ordine dato le proposizioni originali: Gott ist; Es gibt die unbedingte Forderung im Dasein; Die Realität in der Welt hat ein verschwindendes Dasein zwischen Gott und Existenz; Der Mensch kann in Führung durch Gott leben; Der Mensch ist endlich und unvollendbar. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica, cit., pp. 84-88. D’altronde l’idea di Philosophische Glaube non può non far pensare a quella kantiana di Vernunftglaube – un riferimento che rimane qui implicito, ma che Jaspers aveva sicuramente in mente. ↩︎
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Sulla potenziale affinità tra questa terminologia tipicamente benjaminiana e il filosofare jaspersiano si veda M. Quante, Die Dialektik von Grenzsituation und Transzendenz: über die Konzeption des existentiellen Selbstverhältnisses von Karl Jaspers, in Studi Jaspersiani X, 2022, pp. 225-247. ↩︎
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Il riferimento è qui, prima che a Della verità, alla più agevole e chiara trattazione che si dà in Ragione ed esistenza, a cura di A. Lamacchia, Marietti, Genova 1971, pp. 54-60 (ed. or. Vernunft und Existenz, J.B. Wolters, Groningen 1935). Ma è opportuno ricordare, a testimonianza del nesso profondo che lega riflessione sull’Umgreifende e problema religioso, che disamine sostanzialmente sovrapponibili si incontrano anche ne La fede filosofica, cit., pp. 71-77 e più ampiamente ne La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., pp. 130-154. ↩︎
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Per approntare questa definizione ci siamo avvalsi della bella frase di C. Fiorillo, Fragilità della verità e comunicazione, cit., p. 278: «la fede è quindi l’attesa dell’essere nell’esistenza che sperimenta la trascendenza». ↩︎
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Riprendiamo qui la terminologia di R. Celada Ballanti, che oltre agli studi su Jaspers ha anche proposto un impianto genealogico di tale ispirazione, che giunge fino a Jaspers e ai nostri tempi ma affonda le sue radici in autori e movimenti ben più antichi (quali la lezione di Lessing e della teologia liberale ottocentesca, ma ancor prima di Nicolò Cusano e dello spiritualismo tedesco seicentesco). Il testo in questione è Pensiero religioso liberale, Morcelliana, Brescia 2009. Dello stesso autore si veda almeno anche Filosofia del dialogo interreligioso, Morcelliana, Brescia 2020, e più circoscritto a Jaspers «Das Ausstrecken der Hände». Metafisica delle cifre e dialogo tra le fedi, in Studi Jaspersiani VI, 2018. Rimangono imprescindibili gli studi di chi ha pionieristicamente avviato tale tradizione di riflessione, A. Caracciolo (Studi jaspersiani, Edizioni Dell’Orso, Alessandria 2006). ↩︎
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Decisiva è infatti la distinzione da parte di Jaspers tra verità universalmente valida ma non incondizionata, che caratterizza i risultati della ricerca scientifica, e verità esistenziale, al contrario assoluta e incondizionata ma esclusiva di ogni Existenz, legata al realizzarsi storicamente unico e irripetibile di questa. Così la verità religiosa, appartenendo alla seconda e non alla prima categoria, non può pretendere di valere per ogni individuo alla stessa maniera e negli stessi contenuti. Cfr. al riguardo, tra gli altri, Xavier Tilliette, Karl Jaspers. Théorie de la vérité, métaphysique des chiffres, foi philosophique, Aubier, Paris 1960; R. Garaventa, «La verità è ciò che ci unisce». Attualità del pensiero di Karl Jaspers, Orthotes, Napoli 2017; e per un’applicazione al discorso contemporaneo F. Falappa, Sul confine della verità. La metafisica di Karl Jaspers e il futuro della coscienza europea, Franco Angeli, Milano, 2016. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica, cit., p. 132. ↩︎
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Ivi, p. 136. ↩︎
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Ivi, p. 137. ↩︎
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Ivi, p. 139. ↩︎
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Ivi, p. 143. Le pagine seguenti sviluppano poi l’una e l’altra posizione. ↩︎
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In rare occasioni (cfr. K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., p. 53) Jaspers evoca con questo termine anche la religione islamica, che non è tuttavia mai oggetto di attenzione specifica. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica, cit., pp. 156-160. ↩︎
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Conducono a questa tesi le illuminanti parole di Maria Zambrano: «Nella liturgia – in ogni liturgia – la vita riconosce sé stessa […]. Ma si veste per guardarsi: la vita nuda non può fermarsi né guardarsi, perché già non è in sé, ma fuori, più in là di se stessa e di tutto. Si veste per guardarsi e le vesti nascondono e dicono, eludono e alludono, come sempre succede quando qualcosa si veste con purezza. Niente di puro si veste per nascondersi completamente; poiché è costitutivo del corpo dire più cose di sé quando si copre e si adorna di quanto, diretto, crudo e nel suo essere completo, appare davanti alla vista». M. Zambrano, Renacimiento litúrgico. Sobre “El espíritu de la liturgia” de R. Guardini, in “Cruz y Raya” 3 [giugno 1933], pp. 161-164; la traduzione è riportata in S. Zucal, Lineamenti di pensiero dialogico, Morcelliana, Brescia 2004, p. 166. ↩︎
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Ivi, p. 158. ↩︎
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A questo proposito tra i numerosi contributi possibili si vedano D. Di Cesare, Comprendere ed esistere. Limite e comunicazione illimitata in Karl Jaspers, in G. Cantillo, D. Di Cesare (a cura di), Filosofia – Esistenza – Comunicazione, Loffredo, Napoli 2002; e il volume a cura di A. Hügli, D. Kaegi, R. Wiehl, Einsamkeit - Kommunikation – Öffentlichkeit, Schwabe, Basel-Berlin 2004. Il termine di lotta amorosa, presente in vari testi, è impiegato sin dalla Chiarificazione dell’esistenza, a cura di U. Galimberti, Mursia, Milano 1978, pp. 75-77 (ed. or Existenzerhellung, Springer, Berlin 1932). Sull’amore si veda M. L. Basso, Karl Jaspers o della filosofia come amore, Liguori, Genova 2013; sull’idea di sfondamento F. Falappa, Durchbruch del limite: dal naufragio al confine della verità con Karl Jaspers, in Studi Jaspersiani X (2022), pp. 57-73. ↩︎
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Karl Jaspers, La fede filosofica, cit., pp. 163-164. Addirittura, «a lungo andare la filosofia può mantenersi difficilmente in un mondo dove la società non vive più religiosamente». ↩︎
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Vengono in mente a questo proposito alcune trattazioni di Barth che pure è uno dei protagonisti della cosiddetta teologia dialettica, abitualmente contrapposta alla teologia e al pensiero religioso liberale di cui Jaspers farebbe parte. Per quanto la contrapposizione (come è testimoniato anche dai momenti di scontro tra le due figure) sia innegabile, si possono rintracciare alcuni singoli punti di contatto. Infatti, proprio nel testo più emblematico della fase «dialettica» di Barth, il commento all’Epistola ai Romani, il teologo di Basilea riconosce l’assoluta insufficienza e inadeguatezza di ogni chiesa visibile, con tutto l’apparato mondano che la contraddistingue, di fronte all’assoluta alterità del divino. Semmai il passo ulteriore, che davvero distingue Barth da Jaspers, sta nell’intensità con cui sottolinea l’altrettanto assoluta necessaria appartenenza a tale struttura. K. Barth, La lettera ai Romani, a cura di G. Miegge, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 312-406 (ed. or. Der Römerbrief, Keiser, München 1922). ↩︎
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Oppure, a partire da un’altra ottica, si può parlare della dialettica tra le due fedi come di un infinito movimento di allontanamento del divino rispetto alle possibilità dell’umano nel segno di un Deus absconditus (secondo la fede filosofica), in contrapposizione all’altrettanto continuo avvicinamento a quel Dio personale che si mostra e si fa conoscere che è invocato dalla fede rivelata (cfr. K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., pp. 651-657). ↩︎
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Viene da chiedersi se questa impostazione sia riferibile solo alla tradizione occidentale o se includa l’umanità intera. Da un punto di vista concettuale la questione è aperta, mentre in senso storico-filosofico è agevole affermare che Jaspers pensa alla seconda risposta. Con il progetto di filosofia mondiale il filosofo di Oldenburg rinnova l’idea di una philosophia perennis, tipica non di questa o di quell’altra eredità storicamente determinata ma propria del genere umano in quanto tale. Di questi temi si occupa F. Miano, Appropriazione e dialogo. La storia della filosofia in Karl Jaspers, LER, Napoli-Roma 1999; vedi anche Aa.Vv., Karl Jaspers. Philosophy on the way to «World Philosophy» / Philosophie auf dem Weg zur «Weltphilosophie», Brill, Würzburg-Amsterdam 1998, e il numero VI (2018) di Studi Jaspersiani, dedicato al dialogo interreligioso. ↩︎
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I due termini compongono per Jaspers lo scheletro metastorico senza il quale non si può dare una certa immagine della storia. In particolare, si veda sul concetto di origine S. Achella, Senso o fine della storia? L'idea di origine nella concezione storica jaspersiana, in Studi Jaspersiani III (2015), pp. 11-26. ↩︎
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F. Costa, La filosofia della religione in K. Jaspers, in K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., p. 770. ↩︎
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Questo è naturalmente il tema essenziale non solo (e non tanto) dell’ermeneutica, ma dell’intero filosofare jaspersiano maturo, in particolare delle pubblicazioni comparse dal secondo dopoguerra in avanti. Si vedano allora, del nostro autore, in particolare Cifre della trascendenza, a cura di G. Penzo, Marietti, Genova 1974 (ed. or. Chiffren der Transzendenz, Piper, München 1970) e La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., pp. 186-252 (fermo restando che l’intero testo è «abitato» dal movimento oscillatorio delle cifre e da quanto sta al di là di esse). Significativo, infine, è che se il concetto di cifra è concentrato in pochi passi nel lungo trattato Della verità, tali pagine sono forse le più decisive: sono quelle finali, dedicate al compimento dell’esser-vero inteso in quanto amore (cit., pp. 2041-2105). ↩︎
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Nessuno sfondamento, infatti, produce una cifra definitiva, stabile: ogni cifra ritorna invece a oggettivarsi, invitando così al Durchbruch ulteriore. Nella periecontologia jaspersiana dietro all’orizzonte penetrato non si dà mai direttamente l’Umgreifende: si dà soltanto un altro orizzonte, che come il primo evoca l’Umgreifende senza consegnarlo, ma limitandosi ad evocarne la traccia. ↩︎
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Costa parla a questo proposito di una filosofia trascendentale della religione (F. Costa, La filosofia della religione, cit., p. 770). ↩︎
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La posizione è particolarmente evidente, come sottolinea lo stesso Costa, nell’occasione dello scontro con Bultmann, là dove le posizioni di fede filosofica e fede rivelata (in questo caso declinata in pensiero teologico) sono effettivamente incarnate. Si veda dunque K. Jaspers, R. Bultmann, Il problema della demitizzazione, a cura di R. Celada Ballanti, Morcelliana, Brescia 1995 (ed. or. Die Frage der Entmythologisierung, Piper, Monaco 1954). ↩︎
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F. Costa, La filosofia della religione, cit., p. 773. ↩︎
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L. Ehrlich, Karl Jaspers: Philosophy As Faith, Massachusetts University Press, Amherst 1975, p. 14. Con le parole di Costa: «si può domandare se la liberalità sia atto interno del filosofare o condizione a priori per esso. Si giustifica la liberalità per se stessa, sì da garantire il molteplice ascolto delle cifre, oppure è la trascendenza come tale a rendere necessaria la comunicazione e di conseguenza la liberalità?» (Ivi, p. 775). ↩︎
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Un possibile confronto fertile con le posizioni di Maria Zambrano ne L’uomo e il divino, a cura di A. Savignano, Morcelliana, Brescia 2022 (ed. or. El hombre y lo divino, Fondo de Cultura Economica, México 1955). ↩︎
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Per quanto ardito, sarebbe pertinente un confronto non solo – come si è già verificato spesso – con Heidegger, ma anche con l’originalissima interpretazione della sua filosofia proposta da R. Schürmann, Dai principi all’anarchia. Essere e agire in Heidegger, Neri Pozza, Vicenza 2019 (ed. or. Le principe d’anarchie. Heidegger et la question de l’agir, Editions du Seuil, Paris 1982). Particolarmente feconda è la tesi secondo cui «l’origine si dice in molti modi», ed è possibile perciò distinguere tra esordio (Beginn) o inizio (Anfang) da una parte, e origine (Ursprung) dall’altra, al fine di porsi al di qua o al di là della differenza ontologica. ↩︎
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Non a caso nel titolo della ricerca weltgeschichtlich Jaspers evoca lo Ziel della storia, lo scopo, che tuttavia implica che in questa si possa ricercare un senso, giustificando così la traduzione italiana finale in Origine e senso della storia. ↩︎
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Naturalmente per questa strada si presenta il tema inesauribile della secolarizzazione. In questa sede essa può essere definita come quel contenuto che è dopo le fedi rivelate senza esserne totalmente altro, conservandone una traccia e una impronta pur nell’operazione stessa del trasfigurare e del differenziare. Si segnalano alcuni contributi più ampi, utili per un inquadramento generale: G. Marramao, Potere e secolarizzazione, Bollati Boringhieri, Roma 2005; M. Foessel, J-F. Kervegan, M. Revault d'Allonnes (a cura di) Modernité et sécularisation: Hans Blumenberg, Karl Löwith, Carl Schmitt, Leo Strauss, CRNS, Paris 2007; I. Gaddo, E. Tortarolo, Secolarizzazione e modernità. Un quadro storico, Carocci, Torino 2017; P. Costa, La città post-secolare. Il nuovo dibattito sulla secolarizzazione, Queriniana, Brescia 2019. ↩︎
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Cfr. R. Celada Ballanti, Filosofia del dialogo interreligioso, cit., e soprattutto Pensiero religioso liberale, cit., pp. 245-289. ↩︎
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R. Celada Ballanti, Pensiero religioso liberale, cit., p. 255. ↩︎
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K. Jaspers, La fede filosofica di fronte alla rivelazione, cit., p. 667. ↩︎
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Ivi, pp. 681-692. Nelle pagine successive Jaspers discute inoltre «il possibile mutamento delle Chiese protestanti nel quadro del cambiamento della fede biblica in generale». ↩︎
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Ivi, p. 668. ↩︎
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Su tutti si veda X. Tilliette, Karl Jaspers, cit., pp. 124-132. Il testo è particolarmente utile anche perché ricostruisce e commenta le prime critiche avanzate dai teologi alla posizione jaspersiana (vedi pp. 189-232). ↩︎
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Di «operazione filosofica fondamentale» Jaspers parla espressamente nella parte preliminare di Della verità, cit., alle pp. 79-89, esattamente per caratterizzare quella dinamica che caratterizza la periecontologia differenziandola dalla tradizionale ontologia: la domanda attorno all’essere che però non mira ad afferrarlo (oggettivandolo), ma a esserne avvolto proprio nel penetrare orizzonte dopo orizzonte. ↩︎
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Riprendendo le già accennate distinzioni di R. Schürmann, Dai principi all’anarchia, cit., e discernendo tra Ursprung e Anfang (o Beginn) si potrebbe porre un’ulteriore questione, qui solo menzionabile: la domanda se la fede delle religioni rivelate possa effettivamente valere da origine, accentuando dunque il versante ontologico, o meramente da inizio, ponendo in primo piano l’elemento storico. L’una e l’altra interpretazione avrebbero implicazioni molto diverse. ↩︎
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Ricordiamo che l’età assiale è collocata da Jaspers tra l’800 e il 200 a.C., ma non è affatto estranea al portato biblico. Se in questa cronologia, infatti, non può rientrare l’evento cristologico (che pure è riconosciuto nella sua importanza, non appena diventa la vicenda di un individuo straordinario ed esemplare e non la venuta sulla terra del Figlio di Dio), un ruolo preminente hanno invece i grandi profeti di Israele come Isaia e Geremia (cfr. K. Jaspers, Origine e senso della storia, cit., pp. 19-42). ↩︎
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In questo senso troviamo stimolante la direzione mostrata da E. Mazzarella in alcuni dei suoi ultimi lavori, in particolare Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale, Neri Pozza, Vicenza 2022 ed Europa, cristianesimo, geopolitica. Il ruolo geopolitico dello «spazio» cristiano, Mimesis, Milano-Udine 2022. Per un prezioso termine di confronto si veda il recentissimo contributo di V. Costa, L’assoluto e la storia. L’Europa a venire, a partire da Husserl, Morcelliana, Brescia 2023. ↩︎
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K. Jaspers, Ragione e antiragione nel nostro tempo, a cura P. Chiodi, Sansoni, Firenze 1978 (ed. or. Vernunft und Wiedervernunft in unserer Zeit, Piper, München 1950). ↩︎
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A questo proposito eloquente è la trattazione jaspersiana sulla tecnica, il cui merito sta proprio nel giudizio equilibrato. Si veda a questo riguardo R. Garaventa, Il carattere demoniaco della tecnica in Origine e fine della storia, in Studi Jaspersiani III (2015), pp. 139-165, peraltro corredato da una ricchissima bibliografia utile a restituire il dibattito europeo novecentesco sulla tecnica; e nello stesso volume A. P. Ruoppo, Diffusione planetaria della tecnica: pericolo o chance? Jaspers interprete della crisi contemporanea, pp. 245-253. ↩︎
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K. Jaspers, La bomba atomica, cit., pp. 44-96. Su questo spunto verte il contributo di C. Pasqualin, Il discorso teologico-politico in Karl Jaspers: la fede filosofica come fondamento sovra-politico, in Studi Jaspersiani VI (2017), pp. 73-94. È a partire da qui che ci si potrebbe rivolgere a un’idea di teologia politica, indagandone potenzialità e però anche rischi e fraintendimenti. Pur prendendo avvio da presupposti diversi, particolarmente stimolante al proposito è il recente studio di G. Preterossi, Teologia politica e diritto, Laterza, Roma-Bari 2022. ↩︎
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Su questo aspetto della filosofia jaspersiana si è molto soffermato F. Miano, ad esempio in Esistenza e responsabilità in Karl Jaspers, in Logos, vol. 7/2012, pp. 293-304; Crisi, presente e futuro: la responsabilità nella visione storica jaspersiana, in Studi jaspersiani III (2015), pp.185-196; Esistenza, responsabilità, naufragio. Karl Jaspers e la trascendenza, in Shift. International Journal of Philosophical Studies, 2 (2019), pp. 53-61; Karl Jaspers, la bomba atomica e l’etica della responsabilità, in O. Ombrosi, (a cura di), Il nucleare. Una questione scientifica e filosofica dal 1945 a oggi, Mimesis, Milano-Udine 2020, pp.63-78. Per una panoramica più ampia di questo concetto si veda a cura dello stesso autore Etica e responsabilità, Orthotes, Napoli 2018. ↩︎
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Di recentissima pubblicazione su questi temi è A. Fabris, La fede scomparsa. Cristianesimo e problema del credere, Morcelliana, Brescia 2023. ↩︎
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Cfr. A. Pinotti (a cura di), Costellazioni. Le parole di Walter Benjamin, Einaudi, Torino 2018, pp. 75-78. ↩︎