L’intersoggettività temporale nelle analisi husserliane sul presente vivente

Intersoggettività e temporalità sono due nuclei tematici di fondamentale importanza nel pensiero di Edmund Husserl, che tuttavia si presentano in modo fortemente problematico nel momento d’una analisi collettiva. La dimensione temporale interna della coscienza sembra infatti rappresentare, più che un momento di comunanza intersoggettiva, un aspetto individuale assolutamente incondivisibile. Da questo punto di vista l’intersoggettività temporale viene concepita da Husserl essenzialmente come costituzione d’una temporalità oggettiva comune, esito di una sintesi che ha la sua origine nell’immanenza di ogni singola monade.

Quello che cercheremo di mostrare in questo articolo rappresenta il rovesciamento di questa impostazione; l’indagine infatti riguarderà, piuttosto che la costituzione della relazione temporale intersoggettiva, l’originaria pre-costituzione di questa. L’analisi sulla temporalità originaria, che aprirà la dimensione del «presente vivente», farà così nuova luce sull’idea fenomenologica di empatia e di relazione intersoggettiva. Per fare questo dovranno essere presi in considerazione, oltre ai testi del Nachlass in cui Husserl affronta in modo diretto queste tematiche, soprattutto i manoscritti dell’ultimo periodo sulla temporalità, i C-Manuskripte, pubblicati nel 2006, in cui si sviluppano nel modo più lucido e articolato le analisi sul tempo originario e sul presente vivente.

1. Temporalità immanente e coessere intermonadico

La durata immanente soggettiva, la temporalità della monade nel suo fluire «interno» aperto dall’epochè fenomenologica, è il presupposto per la costituzione d’una forma temporale più ampia e oggettiva, una temporalità intermonadica come forma di coesistenza di «grado superiore». Come si legge in un testo del 1931 dedicato a questa tematica,1 una forma universale di coesistenza implica, in quanto coesistenza oggettiva di individui separati, un radicamento spazio-temporale, in cui ogni monade, come entità inserita in un mondo oggettivo comune, possiede la propria estensione e situazione spaziale, assolutamente differente dalle altre, e rispettivamente la propria durata oggettiva. Il processo di costituzione monadica, che Husserl definisce «monadizzazione», trova infatti nella conseguente «naturalizzazione» della monade il modo di inscrizione nell’oggettività spazio-temporale: «la monadizzazione, la costituzione monadica, è tale essenzialmente da implicare la naturalizzazione [Naturalisierung] d’ogni monade, la temporalizzazione stessa nella spazio-temporalità».2 Questa dimensione di condivisione oggettiva, in cui «si costituisce per me e per noi un punto-temporale oggettivo come identicamente lo stesso»,3 rappresenta tuttavia l’esito finale di un processo che trae la propria valenza dall’immanenza di ogni singola monade: come Husserl afferma, «tutto l’oggettivo si costituisce ultimamente nell’immanenza».4

All’immanenza, alla temporalità immanente soggettiva, si lega direttamente l’idea di individualizzazione. La comunanza intersoggettiva costituita nello spazio-tempo, non potendo essere una forma che unisce «fondendo» in sé ogni singolarità soggettiva, presuppone infatti l’individualizzazione delle monadi. Non è però sulla base della separazione spaziale dei corpi-fisici che si deve costituire il tempo individuale; ogni monade, prima ancora della naturalizzazione come entità unica dello spazio-tempo oggettivo, si individualizza nell’immanenza della temporalità costantemente «riempita». Ogni monade, riempiendo il proprio tempo, lo costituisce come forma incondivisibile. Per questo Husserl può affermare che ogni monade è un mondo-a-sé, «una unità concreta che, per così dire, è un mondo essenzialmente chiuso per sé».5

Ogni «mondo-a-sé» monadico è quindi il principio per la sintetizzazione della forma «inter-temporale» di coesistenza: infatti, se «le monadi singole hanno la loro temporalità immanente e il loro essere immanente, le monadi nel loro insieme hanno una temporalità intermonadica, una forma di coesistenza».6 La domanda fondamentale che Husserl si pone nel testo del 1931 sopra menzionato è se la durata interna d’ogni monade non debba essere considerata allora come una porzione di tempo inscritta all’interno di questa forma di grado superiore; viene così messa in questione la possibilità dell’«autonomia» del tempo oggettivo al di là di ogni singola durata immanente. Ma la risposta di Husserl su questo non lascia spazio a equivoci:

la «durata-vitale», che è essenzialmente propria a un’anima monadica, non può essere una parte d’un tempo avvolgente il tutto, non può essere condivisa con la durata-vitale delle altre monadi, non può essere appresa come se fosse una durata all’interno d’un tempo universale, in cui le altre monadi perdurano.7

Come osserva Piana, non si può parlare d’un tempo unico che ci trascende e ci contiene;8 la relazione temporale intermonadica non trascende il tempo individuale il quale, prima ancora di costituire il «nostro» tempo, la durata intersoggettiva del «Noi», è il mio tempo in quanto «durata-vitale», Lebensdauer. Se ogni monade, come «mondo-a-sé», è separata essenzialmente da ogni altra sulla base del proprio tempo immanente, la relazione inter-temporale sarà allora una relazione di simultaneità;9 nessun Io pertanto può includere una durata vitale differente dalla sua:

Il tempo della mia vita fluente e quello del mio vicino sono quindi separati abissalmente […] Non appena quindi tale tempo (con il senso di tempo che si fonda essenzialmente nella monade come tale) divenisse uno con il vicino, entrambi saremmo un Io, con una vita, un flusso di vissuti, una capacità etc.10

La singola durata di vita può essere riempita da una sola monade nel suo tempo proprio, e non può essere altrimenti; il «commercio» effettivo tra monadi, come relazione di simultaneità, è un rapporto nella «contemporaneità temporale».11 In questo modo viene così a costituirsi quello che Husserl definisce, in un testo del 1933, il «presente intersoggettivo»: «Qui è costantemente costituito un presente intersoggettivo come simultaneità sintetica intersoggettiva di flussi-di-vita in quanto flussi-del-presente».12

Messa in luce la necessaria separazione d’ogni monade, si deve in seguito mostrare il modo in cui si attua effettivamente la relazione. Anche se «mondi-a-sé», le monadi hanno pur sempre delle «finestre», identificate, in un testo dei primi anni Venti, con gli atti empatici.13 Secondo Husserl infatti il modo originario dell’incontro, della relazione, è l’empatia, l’atto attraverso cui si compie l’esperienza dell’estraneo14 e viene a costituzione l’alter ego. Tale atto, com’è noto, è essenzialmente «appresentante», poiché non dona il vissuto estraneo nel modo della presenza originaria; l’afferramento dell’esperienza estranea avviene attraverso l’analogia: «l’empatia, l’appresentazione dell’essere della soggettività estranea, è una appercezione analogizzante».15

Volendo tuttavia porre l’attenzione sull’origine della relazione intersoggettiva, la domanda fondamentale che dobbiamo porci è la seguente: messa in luce l’imprescindibilità del ritorno all’immanenza per la costituzione di un’oggettività comune, dobbiamo allora pensare all’esser-l’un-per-l’altra delle monadi soggettive, al loro essere-assieme, semplicemente come una formazione sintetica derivante da ogni singolarità individuale? È attraverso la relazione empatica che si costituisce in modo definitivo e autenticamente l’essere assieme delle monadi nell’intermonadicità? È questo il fenomeno fondamentale e la fonte dell’intersoggettività? Non è forse possibile che sussista una relazione precedente all’atto empatico, una forma di coessere, di comunanza, non fondata sulla costituzione dell’alter ego ma da questa presupposta? Non dovremmo forse dire, con Heidegger, che «l’empatia non costituisce per prima cosa il coessere [Mitsein] bensì è resa possibile sulla base di questo»?16 Ciò che cercheremo di mostrare attraverso l’approfondimento del rapporto tra intersoggettività e temporalità, è proprio il modo in cui si caratterizza, nel pensiero di Husserl, questa precedenza dell’essere-assieme sull’effettiva relazione.

Nel §26 di Sein und Zeit Heidegger afferma che l’essere-assieme proprio dell’Esserci non può essere pensato come semplice somma di soggetti, poiché «l’essere per gli altri non è solamente una relazione d’essere indipendente e irriducibile, esso infatti si dà già, in quanto coessere, con l’essere dell’esserci».17 In questi passi, in cui il Mitsein viene presentato come struttura co-originaria all’Esserci stesso, risuona in modo paradigmatico quella critica al pensiero husserliano sull’intersoggettività che vede in esso un dispiegamento dell’essere-assieme a partire dalla costituzione egologica, sulla base della riduzione primordiale al «proprio», come mostrano le Meditazioni Cartesiane.18 D’altra parte, molti testi del Nachlass husserliano lasciano intendere come questa impostazione non fosse considerata dallo stesso Husserl definitiva; la continua e vastissima riflessione del filosofo su questi temi, riflessione che spesso è stata trascurata in quanto immersa negli inediti ancora in corso di pubblicazione, ci fa capire come la sua idea di intersoggettività vada oltre le formulazioni classiche e in un certo senso dogmatiche, oggetto di critica per diversi fenomenologi posteriori. Il tema della temporalità in questo senso aiuterà a mostrare il sussistere di una relazione originaria, di un essere-l’un-per-l’altra delle monadi che non sottostà al modello di costituzione intersoggettiva derivante dall’appresentazione empatica.

Essendo partiti dalla constatazione dell’oggettività temporale come forma di comunanza, e avendo altresì affermato la necessità di un ritorno all’immanenza per la costituzione di ogni oggettività, osserviamo ora che, come sottolinea Husserl in un testo del 1925,

la relazione fondamentale dell’essere nell’essere-l’un-per-l’altro [Füreinander-sein] è evidentemente, in quanto relazione della coesistenza, in un tempo intersoggettivo. Questo tuttavia non è oggettivo, bensì tempo immanente-intersoggettivo del coesistere.19

L’immanenza temporale delle monadi infatti, non potendo attestarsi come un regno solipsistico d’esperienza, porta già in sé il fondamento della relazione, dell’esser in relazione con l’altro: «Ogni monade ha la sua temporalità immanente, e in essa si dà un inizio in quanto inizio dell’entrare-in-relazione con altre monadi nella mondanizzazione, nel tempo oggettivo».20 Come detto prima, è chiaro che la monade, in quanto unità vivente monadizzata, non può uscire da se stessa, abbandonare la sua vita vivendone un’altra; la riflessione husserliana sul rapporto intermonadico presuppone in modo imprescindibile una «fenomenologia dell’individualità monadica»,21 in cui ogni soggettività entra in rapporto con le altre con il «proprio» flusso temporale non-unificabile a quello estraneo. D’altra parte, quello che a noi interessa è il presupposto originario di tale relazione; e questo, abbiamo detto, trova nell’immanenza la sorgente fondamentale. Già nell’essenza della monade individuale, nella sua temporalità originaria, sussiste una relazione primordiale con altre monadi, una relazione che precede quella effettiva, una forma intersoggettiva in cui il tempo proprio non è isolato, ma implica co-esistenzialmente altre temporalità:

Le anime [monadi] non sono solamente in sé e per sé, ovvero le anime sono ego-soggetti umani nella concrezione della vita fluente, considerata in modo puramente psichico; e tuttavia non sono essenti semplicemente in sé e per sé, quindi essenti nella loro temporalità monadica. Esse sono anche, ed essenzialmente, in una comunità attuale o potenziale, in connessione attuale o potenziale.22

Il riferimento alla «potenzialità» è qui di fondamentale importanza. Esso si scontra in un certo senso con il processo di costituzione dell’esperienza dell’altro descritto nella Quinta meditazione cartesiana come costituzione in me della monade estranea per appresentazione e appaiamento, che si produce, afferma il §51, solo quando l’altro entra nel mio campo percettivo. È chiaro che l’empatia, in quanto appresentante, è l’atto effettivo in cui si compie propriamente l’esperienza dell’estraneo e si entra in relazione con un’altra coscienza, con un altro flusso di vissuti; ma la coesistenza intersoggettiva, afferma sempre Husserl in un testo del 1931/32, ha «dietro di sé» l’essere l’un-per-l’altra e l’un-con-l’altra delle persone in empatia attuale e potenziale.23 Prima ancora di ogni scambio empatico sussiste perciò un modo dell’essere insieme, del co-essere, in cui non necessariamente attuo l’esperienza empatica della vita estranea; l’empatia non si pone qui come atto fondante, ma si immerge in una dinamica più originaria, una dinamica di comunizzazione co-vivente:

Tutti i modi di questo Con (Mit) sono modi d’una archicomunizzazione (Urvergemeinschaftung), nella quale, vivendo la mia vita (primordiale, archioriginale), io co-vivo (mitlebe) contemporaneamente l’altra vita, con colui che è coessente per me empaticamente.24

La vita della monade porta in sé originariamente il riferimento all’altra monade; per questo Husserl, in particolare nei manoscritti degli anni Trenta, parla di «comunità-di-vita» (Lebensgemeinschaft), e afferma che «noi viviamo in una unione-vitale»,25 in cui la mia vita, come monade, implica già la vita dell’altro, in una «connessione» presupposta per ogni effettivo scambio interrelazionale.

Quello che abbiamo presentato fino a questo momento appare tuttavia ancora insufficiente e non privo di ambiguità. Mostrando la necessità del ritorno all’immanenza quale fondamento di ogni relazione intersoggettiva, non rischiamo forse di rimanere bloccati al modello della modificazione intenzionale, descritto nel §52 delle Meditazioni, in cui l’altro si dà come modificazione di me stesso, del mio ego costituito originario? Quella che noi cerchiamo è una relazione pre-costitutiva, per cui non può fondarsi sulla costituzione egoica. Dobbiamo pertanto far luce su una forma di immanenza più originaria, forma che Husserl definisce, nel 1932, immanente-vivente (Immanent-Lebendige); la riduzione a questa apre la dimensione del presente vivente.

2. La vita nel presente vivente

La tematica della riduzione al presente vivente, lebendige Gegenwart, è di fondamentale importanza per il passaggio della fenomenologia costitutiva (con le relative implicazioni egologiche) verso le analisi «radicali» sulla temporalità originaria, elaborate da Husserl in particolare negli anni Trenta, appartenenti all’ambito della cosiddetta fenomenologia genetica. La lebendige Gegenwart, tema cardine dei manoscritti del gruppo C, viene definita come «l’ultimo terreno assoluto di tutte le mie validità»;26 pertanto la ricerca sulla genesi della relazione intersoggettiva non può prescindere da questo ambito d’analisi.

Com’è noto, Husserl utilizza fin dalle sue prime indagini il modello della rimemorazione, del ricordo, come riferimento fondamentale per l’empatia, per l’esperienza dell’estraneo; in che senso allora la sfera del presente diviene ora essenziale per la genesi fenomenologica dell’intersoggettività?

Ciò che deve essere chiaro da subito è che il presente vivente, nelle analisi husserliane, non si identifica con il presente come modo specifico dell’essere temporale. Il presente vivente precede infatti il presente come forma temporale immanente, il quale rappresenta, così come il passato, una temporalizzazione di un fluire originario costantemente presente, non costituito ma «costituente»:

La riduzione al presente vivente è la riduzione più radicale a quella soggettività nella quale ogni valenza-per-me ha il suo compiersi originario […] . Questa è la riduzione alla sfera dell’architemporalizzazione (Sphäre der Urzeitigung) […] Ogni altra temporalità, […] riceve da essa il suo senso d’essere e la sua validità.27

Come osserva a questo proposito Klaus Held, il presente vivente si pone come l’origine genetica di ogni percepire e percepire-possibile.28 Husserl lo definisce, in un manoscritto del 1931/32, come «il fenomeno di tutti i fenomeni»,29 e lo caratterizza pertanto, proprio per questa originarietà assoluta, come l’archifenomeno (Urphänomen). Esso possiede la particolarità d’essere un fluire originario radicale, in cui ogni cosa, il tempo, il mondo, gli oggetti, trovano la loro origine;30 e in quanto archifluire non può essere considerato «già temporalizzato», non può corrispondere quindi a quel «flusso di coscienza» o «flusso di vissuti»,31 che si dispiega nel campo dell’epochè trascendentale. Questo infatti è temporalità immanente «temporalizzata», con una propria estensione temporale costituita nella forma del passato-presente-futuro; la riduzione all’archifluire, invece, è essenzialmente riduzione alla sfera pretemporale, che Husserl descrive altresì come «pre-grado del tempo».32 Ciò non significa che la dimensione fenomenologica venga abbandonata, giacché questa riduzione radicale si compie pur sempre all’interno dell’epochè fenomenologica, nella sfera trascendentale.33 Tuttavia, pur compiendosi nell’epochè, il ritorno al presente vivente non è una riduzione egologica all’Io immanente;34 essa parte dall’Io, dal suo flusso di coscienza come «tempo-flusso dispiegato con un presente, passato, futuro»,35 per poi raggiungere quel fluire originario in cui non si dà ancora nessuna rigida divisione temporale. Spingendosi alle radici dell’egologia, la riduzione alla lebendige Gegenwart apre la dimensione del fluire della vita. Qui l’ego non si dissolve, ma trova la sua forma originaria che rende possibile la sua vita trascendentale:

questo Io trascendentale e questa vita trascendentale che gli è propria sono già una formazione costituita da mettere come tale entro parentesi. Questo vuol dire che noi perveniamo ultimamente, attraverso questa riduzione, a un Io originario trascendentale e a una vita originaria trascendentale, in cui ogni Io trascendentale concreto […] è temporalizzato.36

Ciò che caratterizza il fluire originario del presente vivente è una continuità primaria che non si divide in parti, continuità «fungente» nella sfera pretemporale (antecedente alla temporalizzazione) come forma essenziale per le determinazioni del tempo nelle sue modalità. Questo scorrere è caratterizzato, afferma Husserl, da un «ora archi-impressionale» che scorre nella «continuità unitaria»:

il presente fluente è anche presente del perfluire [Verströmens], defluire [Abströmens] e affluire [Zuströmens] . Questi modi sono nel contempo coscientemente un Ora, la continuità dell’esser-stato e dell’orizzonte protenzionale vivente — e questa contemporaneità è contemporaneità fluente.37

L’archifluire è la fonte del passato e futuro, ma nella sua essenza non comporta nessuna divisione, scorre come «archicoesistenza» fluente (strömende «Urkoexistenz») ;38 perciò «in ogni momento del suo fluire totale, si può parlare di architempo (Urzeit)».39 Precedendo le «estasi» del tempo, il presente vivente le porta in sé nella coesistenza unitaria pretemporale, per poi determinarsi nell’estasi-presente, estasi-passato, estasi-futuro,40 nel flusso di coscienza immanente:

Qui poi abbiamo anche il presente il passato e il futuro, abbiamo un «flusso di coscienza» — ma il «presente vivente fluente» non è flusso di coscienza. […] — Archimutamento (Urwandlung) del tempo, origine del tempo, nel quale viene oggettivato il tempo mondano. Poi l’archifluire si oggettiva come flusso di coscienza dell’uomo e con tutto ciò che in esso è oggettivo, e così iterativamente.

L’archimutamento non è, detto in modo assoluto, in nessun tempo.41

L’analisi della temporalità originaria e della dimensione pretemporale comporta chiaramente grandi difficoltà; innanzitutto a livello linguistico, dato che, come osserva Brough, la profondità che Husserl indaga implica una ambiguità nell’utilizzo di termini «temporali» per definire la pre-temporalità del flusso (donde l’uso frequente dei prefissi «Vor-», «Ur-») ;42 poi, di fondamentale importanza, la difficoltà relativa alla possibilità dell’Io stesso di cogliersi in questo archifluire. Nella riduzione al presente vivente l’Io deve retrocedere fino alla dimensione dell’archipresente trascendentale (transzendentale Urgegenwart), che tuttavia precede l’atto che dovrebbe renderlo esplicito, ovvero l’atto di riflessione come atto che avviene nel tempo: ne consegue che l’uscita da questo flusso permanente, il darsi nella riflessione, sia un oggettivarsi del presente vivente, quindi un oggettivarsi nel flusso di coscienza. Con quale certezza potremmo allora dire che il presente fluente oggettivato nella riflessione corrisponde effettivamente alla dimensione archifluente? Se la riflessione è un atto temporale, com’è possibile portare all’evidenza il pretemporale-architemporale? In questa sfera l’Io non è un semplice polo cosciente di atti, bensì un «archipolo» (Urpol) che opera costantemente in modo passivo al di là della presenza evidente, ovvero funge nell’anonimato; il presente vivente, osserva Brand, è proprio la «modalità temporale» dell’Io fungente.43 È possibile fare luce su questo anonimato, su questa dimensione sempre fungente al di là della riflessione, dato che anche il metodo esplicitante è «un avvenire trascendentale, e coappartiene esso stesso alla sfera archifenomenale, quindi anonima»?44

Sprofondando retrospettivamente «oltre se stesso», l’Io oltrepassa la sua vita immanente temporale, e perviene a una dimensione primordiale che gli appartiene in modo essenziale ma che può esser detta «sua» solo in senso relativo; questa non è la sfera della vita di coscienza, ma quella della vita fluente assoluta: «così, retrospettivamente, io arrivo al mio essere concreto assoluto e alla mia «vita» assoluta».45 Questa vita archifluente non coincide con il mio «Io-sono», anche se io sono ciò che sono solamente in essa:

Io sono nella mia vita fluente, io non sono […] questa stessa vita fluente; tuttavia solamente in questa forma d’essere di vita fluente […] io sono ciò che sono.46

Al tempo stesso è necessario osservare che solo a partire dal regno dell’evidenza e dell’attualità egoica, attraverso la riflessione, posso venire a conoscenza di tutto ciò; come osserva Paci infatti, io posso partire solo dalla riflessione per scoprire poi ciò che era prima e ha permesso la riflessione stessa.47 Afferma Husserl, sempre in un testo degli anni Trenta: «tutto ciò che è per me, ed è per me così, è un’operazione del mio pensiero», e proprio in questo «fissare» del pensiero, nell’operare dell’Io, «esso mette in evidenza ciò che rende possibile la fissazione, il pre-essere del mio flusso come essente nell’archifenomenale, la struttura di questo flusso».48 È chiaro allora che il pre-essere non potrebbe «nemmeno essere», non si manifesterebbe, se non ci fosse l’Io-penso fenomenologizzante.49 Ma al tempo stesso dobbiamo dire che, nonostante l’assoluta preminenza della dimensione «temporalizzata» dell’Io-sono, questa sfera evidente dell’operare riflessivo-apodittico dell’ego non può essere posta geneticamente in precedenza:

Il mio essere nell’architemporalizzazione vivente non estensiva precede, in quanto flusso di vita archifenomenale, l’essere trascendentale, il mio in quanto essere-identico nella mia vita trascendentale, questa nella forma estensiva del tempo immanente. […] La vita precede sempre il metodo esplicitante, e questo metodo è esso stesso vita.50

Da una parte, nell’operare dell’Io e del pensiero troviamo una forma di precedenza nel senso che «il pre-essere dell’essere fluente è costantemente da rendere oggettuale, e solo così è da descrivere trascendentalmente»;51 dall’altra però, il pensiero riflessivo stesso trova una presupposizione fondamentale in ciò che Husserl chiama, in un testo del 1931, «lo strato più basso della vita dell’Io», strato ponentesi come presupposizione originaria per la riflessione stessa, come «avere-coscienziale senza-riflessione» (reflexionlosen Bewussthabens) .52

Sulla base di quanto è stato esposto, compresa quindi la difficoltà di portare alla luce una dimensione essenziale e primaria dell’Io che, in quanto vita archifluente, sfugge alla chiarezza della riflessione, può essere compreso infine un passo importante d’un manoscritto del 1934, in cui Husserl mostra la necessità di una via astrattiva per poter accedere fenomenologicamente, attraverso l’Io, alla dimensione pretemporale53:

Il fluire originario è un costituire costante originario; in ciò viene costituito il «flusso di coscienza» nella sua temporalità originaria. Naturalmente questo è da comprendere così: c’è un pre-tempo che non è ancora forma oggettuale per l’Io vivente in questo flusso di coscienza, […] sebbene presentabile dall’Io fenomenologizzante nella domanda-retrospettiva in una particolare astrazione […] . Questo è, come pre-essere [Vor-Sein], inesperibile e indicibile; non appena l’inesperibile, ovvero l’indicibile, si presenta, quindi diviene esperienza e tema d’un contenuto, esso è ontificato [ontifiziert] .54

Il presente vivente, come forma costituente originaria, non è un processo temporale: esso è il pre-tempo da cui ha origine il tempo. La riflessione allora, come atto temporale, «fissa» questa continuità costantemente fluente, la porta a «ontificazione», rendendo «essente» ciò che in sé è «pre-essente». Per questo motivo l’ontificazione falsifica in un certo senso l’originarietà pre-temporale,55 la rende oggettuale in forma astrattiva solamente come «produzione successiva».56 Tuttavia potremmo osservare, con Bégout, che l’astrazione, anche se apparentemente estranea al processo di ricerca fenomenologico come ritorno alle «cose stesse», permette di non sconfinare nella «non-donazione».57 Il presente vivente infatti, in quanto pre-essere, non è pura non-donazione, ma si pone come l’origine ultima di ogni donazione possibile.58

3. Il fungere anonimo dell’Io nella vita

Lo scarto esistente tra il fluire della vita e l’aver coscienza tematica di questa nella riflessione si dà in quanto la vita e l’Io originario di questa procedono ininterrottamente, fluiscono e operano anche al di là dell’attenzione dell’ego, al di là dell’essere tema-per-la-coscienza; la vita è vita fungente, e l’Io di questa vita, nella presenza vivente, è un archi-Io fungente. La consapevolezza dell’ego, il suo agire, la sua volontà, sussistono sulla base d’un fungere originario, pre-essente e non dato originariamente nell’evidenza; al volere precede un «pre-volere» (Vor-Willen)^[59] radicantesi nella vita e nel suo archifluire. Il fungere vivente è sempre più vasto di ciò che la coscienza può far emergere poiché, in qualche modo, esso è infinito.59

L’Io che affonda le sue radici nel presente vivente non è quindi l’Io del flusso di coscienza immanente; questa forma egoica originaria è chiamata da Husserl, come si è visto, «archipolo, Io originario fungente». La fungenza è così la caratteristica essenziale della vita dell’ego prima ancora d’essere tematizzata, continuamente operante al di là del dominio della riflessione e della volontà:

Io come Io fungente precedo tutto l’essente-per-me, e sono ininterrottamente [immerzu] un Io fungente […] ciò che è per me è, come unità, nel flusso archifenomenale della mia vita fungente [fungierenden Lebens] .60

L’unico metodo attraverso cui posso avvicinare questa dimensione è quello della riduzione fenomenologico-trascendentale.61 Tuttavia tematizzandosi nell’esperienza trascendentale tale fungenza pre-individuale si individualizza, e come abbiamo visto ora, si ontifica; uscendo dall’architempo — quindi temporalizzandosi — essa si situa nel tempo immanente temporalizzato, facendosi tematica. Ma il fungere vivente ininterrotto, proprio per questa sua essenziale latenza e atematicità, permane costantemente nella «anonimità»:

Questa anonimità significa: l’intera percezione fluente, che appartiene a ogni vita e a ogni momento di vita, ha costantemente una parte, soggettiva, la vita costituente dell’oggetto-mondo, che non solo permane inosservata, ma per l’esercizio della riflessione non viene considerata.62

L’accadere della vita si pone sempre in anticipo, e l’atto riflessivo è esso stesso un atto vivente, un atto egoico in cui l’Io, nel cogliere se stesso come Ur-ego della vita, fluisce nel contempo vivendo. L’Io che opera fenomenologicamente la riflessione può afferrare se stesso come Io originario fluente solamente in una determinata modalità temporale, solamente come tematizzazione e fissazione nel tempo, nell’oggettivazione; per questo il risultato della riflessione sul presente vivente non può mai coincidere perfettamente e completamente con il fluire originario stesso. La soggettività costituente allora, anche nei suoi atti coscienti e riflessivi, mantiene sempre una parte fondamentale e originaria di sé nell’anonimato, nella sfera atematica: la soggettività fungente, nella sua vita costantemente fluente, non può identificarsi con l’Io del momento riflessivo, non può cessare di fluire. La fissazione, bloccando il flusso per renderlo evidente alla coscienza, lo cristallizza; ma questo permane alla sua origine sempre fluente, come parte anonima della mia soggettività costituente. Quello che qui si presenta, afferma Husserl, è propriamente un auto-oblio (Selbstvergessenheit) dell’Io,63 una precedenza della vita che l’Io, come riflettente nella propria forma temporale immanente, non riesce a raggiungere nell’autentico fungere originario.64 L’Io non riesce mai a uscire completamente dall’anonimato.

4. La continuità originaria con l’altro nell’intersoggettività fluente

Se il presente vivente, come si è detto, è la dimensione del fungere della vita e il terreno assoluto per ogni valenza, questo porterà in sé anche la radice dell’essere-assieme, la sorgente primordiale dell’intersoggettività. Annota infatti Husserl, in un manoscritto del 1931, a proposito della «comunità monadica» in quanto «comunità fungente»: «Io nel presente-di-vita fluente, fonte del mondo per me valente, fonte inoltre dell’idea di verità e della scienza come pre-avere e degli altri essenti per me».65 Ciò che il mio presente vivente porta in sé è essenzialmente un forma di «essere-con» pre-essente, una forma intersoggettiva non-costituita che non si fonda sull’empatia e sulla relazione intercorporale, ma sussiste passivamente come «archifonte» dell’atto empatico stesso. L’analisi della temporalità e della sua origine ultima ha infatti condotto Husserl a riconoscere l’esistenza di un legame e una continuità primordiale, che precede la costituzione intermonadica nel «mondo», nella forma d’una pre-temporalità intersoggettiva pre-mondana:

«Prima» del mondo si dà la costituzione del mondo, si dà la mia autotemporalizzazione nel pretempo (Vorzeit) e si dà la temporalizzazione intersoggettiva nel pretempo intersoggettivo (intersubjektiven Vorzeit).66

In questa struttura originaria fluente, prima ancora d’ogni forma di esplicitazione, i modi del mio essere si trovano nella forma dell’archimodalità e dell’implicazione;67 così anche il mio essere in relazione con altri ha qui la sua fonte, come valenza co-originaria:

L’implicazione della tipicità estranea, dell’Io-polo estraneo (della monade estranea concreta), nella mia, e relative reciprocità intenzionali […] . Implicazione della totalità dell’universo di monadi con i rispettivi Io-poli, ognuno come identico in ogni implicazione, in tutti gli atti intersoggettivi nella loro implicazione universale interna.68

Come sappiamo la relazione effettiva si concretizza solamente nell’atto appresentante dell’empatia; ma questa non è una forma relazionale ultima. Nell’architemporalità, prima ancora che il mio presente, come quello dell’altro, si costituisca — e quindi anche il mio passato e futuro — si dà già una «unione» originaria, non esplicita,69 una forma primordiale che Husserl definisce altresì come «archi-monade»:

la mia vita fluente come monade è una archi-monade [Ur-Monade], e in essa è già implicata la mia monade come una nella totalità-monadica, in cui si dà ogni mio simile […] ognuno è da sé, in fondo, archi-monade.70

In tal senso, se analizzata sulla base della relazione inter-temporale, l’esperienza dell’altro che si concretizza nell’empatia «rivela» una relazione di copresenza fluente-vivente già presupposta, copresenza precostitutiva che mi lega all’altro, nel fluire del presente vivente, prima ancora di ogni rapporto effettivo.

Per comprendere al meglio questa idea di continuità originaria dobbiamo tuttavia tenere ben presente le differenze implicite nella terminologia che Husserl usa. Innanzitutto, come abbiamo ormai chiarito, quella relativa all’idea di «presente»; scrive infatti Husserl: «doppio significato di presente — presente costituito e soggettività costituente come vivenza archisorgente».71 La soggettività costituente è la soggettività del presente archifluente, che tuttavia non deve essere identificata con la mia soggettività come uomo, come Io-psichico-corporale. Leggiamo pertanto, in un testo del 1930:

Se, meditando, pervengo al mio presente vivente fluente nella sua piena concrezione, quella in cui esso è suolo e sorgente originaria di tutte le validità d’essere attuali per me presenti, esso non è mio per me in opposizione a quello degli altri uomini, e non è mio come quello dell’uomo che si dà in modo corporale-psichico, dell’uomo reale.72

Il mio presente è quello mondano-immanente costituito, che si oppone a quello dell’altro; ma il presente vivente non è semplicemente un essere-per-me, esso è l’origine dell’essere-per-me.73 Nel pre-tempo che precede il mio flusso immanente di coscienza non si dà ancora una determinata separazione dell’Io-Tu; ma tale separazione ha qui la sua origine. È solo grazie alla continuità tra me e l’altro nel fluire della vita, antecedente alla costituzione individuale del mio tempo e del suo, che può prendere forma l’esperienza dell’estraneo, un’esperienza empatica appresentativa. Portare in sé l’altro non vuol dire coincidere con lui, avere un’esperienza originaria del suo flusso di vita, ma poterne fare esperienza, come Io immanente, in modo appresentativo. Per questo Husserl può affermare che

l’altro è copresente in me. Io ho assolutamente il suo presente, in quanto presente concreto essente vivente, come copresente, come manifestantesi-esso-stesso-in-me-appresentativamente.74

Il rapporto tra il mio presente e quello dell’altro nell’esperienza empatica è un rapporto di co-presenza costituita, che presuppone però una co-presenza originaria fluente. Prima della separazione nell’individualizzazione temporale, la pre-individualità architemporale rappresenta l’essere-con originario; questo è il fondamento sulla base del quale ogni esperienza dell’estraneo può costituirsi,75 e così anche l’intersoggettività mondana:

L’essere dell’altro è, in quanto essere d’un altro presente vivente, riferito al mio presente. Il coessere dell’altro è inseparabile dal mio presente-esso-stesso vivente, e tale copresente dell’altro è fondante per il presente mondano.76

Nel coessere l’altro, prima ancora di essere costituito, si dà come co-costituente, all’interno di quella che Husserl chiama anche «comunità-empatica»; nella Einfühlungsgemeinschaft gli altri si danno inizialmente in quanto copresenti nel presente vivente primordiale, e poi a partire da qui nel mio presente concreto umano.77 In tal senso dunque l’intersoggettività originaria, propria della dimensione fluente, è definita nel 1931 «intersoggettività essente archifluente» (urströmend seienden Intersubjektivität) .78

È possibile quindi considerare la continuità con l’altro allo stesso modo della continuità con il mio passato? Il ricordo, come atto appresentante, presuppone infatti una unione essenziale immanente, una «comunità con me stesso», da cui si origina ogni rimemorazione. Cosa dire tuttavia della coincidenza del mio Io-polo, dell’unità egoica tra il mio presente e passato, rispetto al rapporto inter-egoico della «comunità con l’altro»? Chiaramente, nell’esperienza intersoggettiva, nella costituzione temporale intemonadica, non può esserci nessuna continuazione originaria tra il mio ego e quello estraneo. Questa separazione, in quanto separazione temporale, presuppone delle durate differenti e simultanee; ma nel presente vivente, origine di ogni estasi del tempo immanente, non c’è spazio per nessuna «distanza estensiva temporale». Così come tra il mio Io-attuale e quello passato, prima ancora di ogni temporalizzazione formantesi nell’atto del ricordo, non si dà fondamentalmente nessuna distanza, allo stesso modo «anche il mio Io e quello dell’altro, nella comunità dell’uno-con-l’altro, non hanno nessuna distanza estensiva».79 La comunità immanente-vivente pre-temporale precede non solo la costituzione dell’altro come ego con la propria dimensione temporale estensiva, ma anche la mia come ego del mio tempo immanente. In tal senso, l’essere-assieme delle monadi è all’origine un essere-assieme nel fluire originario pretemporale.

Vista alla luce delle riflessioni sulla temporalità originaria degli anni Trenta, la nota analogia empatia-ricordo (Einfühlung-Erinnerung), sempre utilizzata da Husserl per mostrare il carattere non-originario dell’esperienza empatica (definita proprio per questo, come il ricordo, esperienza presentificante), viene così affiancata dall’analogia passato-comunità sulla base del presente vivente;80

Qui tale passato non è nulla senza il presente vivente […], così è anche l’essere-copresente dell’altro nell’originarietà dell’empatia, un corimemorare al posto della rimemorazione, una autorimemorazione dell’altro.81

L’empatia effettiva appresentante implica l’originarietà del fluire della vita nel presente vivente; essa rende esplicita una forma di comunione pre-effettiva che è già data, permanente, una continuità primordiale che lega ogni monade nell’archifluire, nello stesso modo in cui la rimemorazione rende esplicito il legame originario con il mio passato. È questa l’idea che emerge dall’utilizzo di termini, apparentemente disorientanti, come «corimemorazione» e «autorimemorazione dell’altro».

In un manoscritto del 1931 possiamo trovare forse la più lucida esposizione di queste analisi. Riflettendo sempre sull’analogia tra empatia e rimemorazione, Husserl osserva che quando entra in scena il ricordo, la continuità col mio passato è già qui (schon da), presupposta come fondamento: pertanto, «quando entra l’empatia, non è forse già qui anche la comunità, l’intersoggettività, e l’empatia dunque non è che una semplice operazione svelante?»;82 allora a questa «archicontinuità» (Urkontinuierung) del presente vivente, «non appartiene anche una archiempatia (Ureinfühlung), o piuttosto, al posto dell’empatia, che è esplicitante, una archi-intenzionalità (Urintentionalität) della manifestazione della continuità con l’altro [. .]?».83 Queste parole confermano in modo inequivocabile quanto abbiamo cercato di mostrare. L’empatia rende esplicita, nel tempo, una relazione che ha la sua origine nel pre-tempo come forma di archi-continuità. Essa costituisce l’esperienza dell’altro non a partire da una solipsistica esperienza che ho di me stesso, ma dal fluire della vita nel presente vivente in quanto essere-con originario. L’origine della relazione intersoggettiva, in questo senso, non è un’origine inter-umana ma pre-umana.


  1. «Konstitution der intermonadischen Zeit», in E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Dritter Teil: 1929-1935, Husserliana, vol. XV (Hua XV), Martinus Nijhoff, The Hague 1973, p. 337. ↩︎

  2. Hua XV, p. 639. ↩︎

  3. E. Husserl, Späte Texte über Zeitkonstitution (1929-1934). Die C-Manuskripte, Husserliana, Materialien, vol. VIII (Ms.C), Springer, Dordrecht 2006, p. 407. ↩︎

  4. «Alles Objektive konstituiert sich letztlich in der Immanenz» (Ms.C, p. 416). ↩︎

  5. Hua XV, p. 338. ↩︎

  6. «Die Monaden einzeln haben ihre immanente Zeitlichkeit und ihr immanentes Sein, die Monaden zusammen haben eine intermonadische Zeitlichkeit, eine Form der Koexistenz» (Ms.C, p. 173). ↩︎

  7. Hua XV, p. 338. ↩︎

  8. G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl, Lampugnani Nigri Editore, Milano 1965, p. 35. ↩︎

  9. «la mia durata-vitale è nel modo della simultaneità con quella delle altre (così come nel tempo-mondano)» [«Ist meine Lebensdauer mit der der anderen Monaden (ganz wie in der Weltzeit) in Modis der Simultaneität»] (Ms.C, p. 22). ↩︎

  10. Hua XV, p. 339. ↩︎

  11. «Lo spazio reale, come anche il tempo oggettivo (reale), è per le monadi, nel disvelamento trascendentale, una forma di contemporaneità monadica» (Ms.C, p. 173). ↩︎

  12. E. Husserl, Die Lebenswelt. Auslegungen der vorgegebenen Welt und ihrer Konstitution. Texte aus dem Nachlass (1916-1937), Husserliana, vol. XXXIX (Hua XXXIX), Springer, Dordrecht 2008, p. 90. ↩︎

  13. E. Husserl, Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, Zweiter Teil: 1921-1928, Husserliana, vol. XIV (Hua XIV), Martinus Nijhoff, The Hague 1973, p. 260. ↩︎

  14. «Unter dem Titel Einfühlung vollziehe ich einen Akt der Fremderfahrung» (Ms.C, p. 317). ↩︎

  15. «Die Einfühlung, die Apprasentation fremdsubjektiven Seins, ist eine analogisierende Apperzeption» (Ms.C, p. 105). ↩︎

  16. M. Heidegger, Sein und Zeit, Max Niemeyer, Tübingen 1967, p. 125. ↩︎

  17. Ibid↩︎

  18. Come osserva Sansonetti, «è su questo terreno che le Cartesianische Meditationen, dove il tema del’intersoggettività trova la più esplicita tematizzazione, rivelano la loro incapacità a superare decisamente il punto di vista deduttivistico ed idealistico nel quale la fenomenologia, a giudizio di molti critici, rimane irretita. Heidegger aveva immediatamente avvertito la tendenza della fenomenologia a ricadere su posizioni idealistiche e tutto lo sforzo di Sein und Zeit ha alla base questa motivazione. Esso è evidente nella fondazione del Mitdasein sulla base dell’ontologia dell’essere finito, in virtù della quale la presenza dell’altro costituisce un dato immediato e non il risultato di una deduzione» (G. Sansonetti, L’altro e il tempo. La temporalità nel pensiero di Emmanuel Lévinas, Cappelli editore, Bologna 1985, p. 47). Su questo punto si veda anche: K. Held,Das Problem der Intersubjektivität und die Idee einer phänomenologischen Transzendentalphilosophie, in: U. Claesges, K. Held (hrsgg.),Perspektiven transzendental-phänomenologischer Forschung, Nijhoff, Den Haag 1972. ↩︎

  19. Hua XIV, p. 360. ↩︎

  20. «Jede Monade hat ihre immanente Zeitlichkeit, und in ihr ist ein Anfang als Anfang des In-Beziehung-Tretens zu anderen Monaden in der Verweltlichung, in der objektiven Zeit» (Ms.C, p. 172). ↩︎

  21. Hua XIV, p. 34. ↩︎

  22. Hua XV, p. 342. ↩︎

  23. Ms.C, p. 316. ↩︎

  24. Hua XV, p. 342. ↩︎

  25. «Wir leben in einer Lebensverbundenheit» (Hua XXXIX, p. 331). ↩︎

  26. «letzte absolute Boden aller meiner Geltungen» (Ms.C, p. 35). ↩︎

  27. E. Husserl, Zur phänomenologischen Reduktion. Texte aus dem Nachlass (1926-1935), Husserliana, vol. XXXIV (Hua XXXIV), Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 2002, p. 187. ↩︎

  28. K. Held, Lebendige Gegenwart: die Frage nach der Seinsweise des transzendentalen Ich bei Edmund Husserl, entwickelt am Leitfaden der Zeitproblematik, Den Haag, Martinus Nijhoff 1966, p. 37. ↩︎

  29. Ms.C, p. 1. ↩︎

  30. Ms.C, p. 4. ↩︎

  31. «Questo presente vivente fluente non è ciò che altrove abbiamo già designato, sempre in modo fenomenologico trascendentale, con flusso di coscienza o flusso del vissuto» (Hua XXXIV, p. 187). ↩︎

  32. Ms.C, p. 117. ↩︎

  33. Si veda ad esempio il testo del 1930: «Radikale Reduktion auf die strömend-lebendige Gegenwart ist äquivalent mit transzendental-phänomenologischer Reduktion» (Hua XXXIV, p. 185). ↩︎

  34. «La riduzione all’ego non è ancora riduzione al presente vivente» (Ms.C, p. 342). ↩︎

  35. Ms.C, p. 342. ↩︎

  36. Hua XXXIV, p. 300. ↩︎

  37. Ms.C, p. 12 . ↩︎

  38. Ibid., p. 76. ↩︎

  39. Ibid., p. 12. ↩︎

  40. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bompiani, Milano 1990, p. 127. ↩︎

  41. Ms.C, p. 12. ↩︎

  42. J. B. Brough, Notes on the absolute time-constituting flow of consciouness, in D. Lohmar, I. Yamaguchi (eds.), On Time - New Contributions to the Husserlian Phenomenology of Time, Phaenomenologica 197, Springer, Dordrecht Heidelberg London New York 2010, pp. 32-33. ↩︎

  43. G. Brand, Welt, Ich und Zeit, Nijhoff M., Den Haag 1955, p. 76. ↩︎

  44. Ms.C, p. 7. ↩︎

  45. Ibid, p. 343. ↩︎

  46. Ms.C, p. 33. ↩︎

  47. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, cit., p. 181. ↩︎

  48. Hua XXXIV, p. 175. ↩︎

  49. Cfr. S. Taguchi, Das Problem des «Ur-Ich» bei E. Husserl, Springer, Dordrecht 2006, p. 141. ↩︎

  50. Hua XXXIV, pp. 174-75. ↩︎

  51. Ms.C, p. 342. ↩︎

  52. Ms.C, p. 36. ↩︎

  53. Su questo punto si veda anche: Nam-In Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, Kluwer, Dotrecht Boston London 1993, pp. 114-15. ↩︎

  54. Ms.C, p. 269 (C 13). ↩︎

  55. Cfr. J. B. Brough, Notes on the absolute time-constituting flow of consciouness, cit., p. 33. ↩︎

  56. «Gegenständlichkeit nachkommend schafft» (Ms.C, p. 269). ↩︎

  57. B. Bégout, La généalogie de la logique. Husserl, l’antéprédicatif et le catégorial, Vrin, Paris 2000, p. 108. ↩︎

  58. Cfr. A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, Puf, Paris 1999, p. 212. ↩︎

  59. E. Paci, Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, cit., p. 124. ↩︎

  60. Ms.C, p. 3. ↩︎

  61. «La fungenza e l’Io fungente sono però, mentre sono originariamente viventi, nascosti, atematici. Essi divengono accessibile per prima cosa attraverso una riflessione particolarmente caratteristica, attraverso l’archimetodo d’ogni metodo filosofico, la riduzione trascendentale» (Ms.C, p. 16). ↩︎

  62. Hua XXXIX, p. 24. ↩︎

  63. «L’Io vivente è nell’auto-oblio, non esperisce se stesso e questa sua vita» (A VII 13, in Hua XXXIX, p. 426). ↩︎

  64. «La tensione tra la vita e la riflessione quindi non si lascia ridurre» (A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, cit., p.130). ↩︎

  65. Ms.C, p. 446. ↩︎

  66. Hua XV, p. 597. ↩︎

  67. «il mio presente fluente vivente, quello archimodale, porta in sé tutto il pensabile: esso è ‘temporalità’ architemporale, sovratemporale» (Ms.C, p. 22). ↩︎

  68. Ms.C, p. 20. ↩︎

  69. «Das Impliziert-Sein meiner Vergangenheit in meiner strömenden Gegenwart, das Impliziert-Sein der anderen Monade in meiner Monade, in meiner strömenden Gegenwart» (Ms.C, p. 22). ↩︎

  70. Ms.C, p. 22. ↩︎

  71. Ms.C, p. 58. ↩︎

  72. Hua XXXIV, p. 186. ↩︎

  73. «Ich bin als strömende Gegenwart, aber mein Für-mich-Sein ist selbst in dieser strömenden Gegenwart konstituiert» (Ms.C, p. 56). ↩︎

  74. Ms.C, p. 56. ↩︎

  75. Come osserva Natalie Depraz, si dà qui una comunità primordiale tale per cui l’opposizione tra tempi egologici differenti non è più pertinente (N. Depraz, Transcendance et Incarnation. Le Statut de L’Intersubjectivité comme Altérité a soi chez Husserl, Vrin, Paris 1995, p. 252). ↩︎

  76. «Sein von Anderen ist als Sein einer anderen lebendigen Gegenwart bezogen auf meine Gegenwart. Mitsein von Anderen ist untrennbar von mir in meinem lebendigen Sich-selbst-Gegenwärtigen, und diese Mitgegenwart von Anderen ist fundierend für weltliche Gegenwart» (Ms.C, p. 57). ↩︎

  77. «In Einfühlungsgemeinschaft sind die anderen Personen, Ichsubjekte in meinem Ich, zunächst die mitgegenwärtigen, in meiner primordialen urtümlich lebendigen Gegenwart, und von da aus in meiner menschlichen konkreten Gegenwart impliziert» (Ms.C, p. 317). ↩︎

  78. Ms.C, p. 57. ↩︎

  79. Hua XV, p. 577. ↩︎

  80. Come osserva Lanei M. Rodemeyer, nel pensiero husserliano l’empatia è legata in modo essenziale alla coscienza temporalizzante, e al variare delle analisi relative a questa varia anche il modo d’intendere l’empatia stessa; in tal senso, nel dominio del presente vivente e della sua unità temporale dispiegantesi attraverso la Nahretention (near retention), si dà l’empatia come proto-empatia (proto-empathy), che rivela una connessione primordiale tra me e l’altro (L. M. Rodemeyer, Intersubjective Temporality: It’s About Time, Phaenomenologica, vol. 176, Springer, Dordrecht 2006, pp. 118-119). ↩︎

  81. Ms.C, p. 57. ↩︎

  82. «Wenn Einfühlung eintritt, ist etwa auch da schon die Gemeinschaft, die Intersubjektivität da und Einfühlung dann blos enthüllendes Leisten?» (Ms.C, p. 436). ↩︎

  83. Ms.C, p. 437. ↩︎