Il mistero del tempo come «quarta dimensione» in Pavel A. Florenskij

1. Introduzione

Il tema del tempo non è sconosciuto alla teologia di tradizione orientale ortodossa. Anzi, si può parlare di una sua concezione tipica, in quanto il concetto di tempo viene compreso alla luce dell’idea del progressivo movimento della storia verso la sua pienezza escatologica (divinizzazione) — e cioè verso la rivelazione di Cieli e Terra nuovi (il tempo dell’ottavo giorno di Gregorio Nisseno) —, una pienezza in qualche modo già anticipata e sperimentata nella celebrazione liturgica.1

Tra gli esponenti di questa tradizione particolarmente attenti al tema del tempo, occorre nominare senz’altro Pavel A. Florenskij (1882-1937), fisico e matematico, filosofo e teologo, studioso di questioni scientifiche, di teoria dell’arte e filosofia del linguaggio, una delle figure più singolari del pensiero religioso russo dei primi decenni del XX secolo. Anche se Florenskij non dedicò a questo tema nessuna opera in particolare, esso viene richiamato nelle pagine di molti dei suoi scritti e affrontato in rapporto ad ambiti di studio spesso diversi: filosofia e teologia, gnoseologia e critica dell’arte, e così via.

A un primo contatto con gli scritti florenskijani potrebbe sembrare che la riflessione del nostro Autore riguardo al tema del tempo sia piuttosto frammentaria e incompleta. E ciò per il fatto che in essi si può rilevare la presenza di diversi approcci, ossia di diversi livelli di comprensione apparentemente non complementari. Il presente saggio si propone di dimostrare l’inconsistenza di una simile opinione mettendo in rilievo alcuni tratti originali dell’idea florenskijana di tempo. Essi sono legati alla sua concezione platonica della realtà (l’idea dei due mondi) e, soprattutto, alla convinzione che al centro delle questioni più fondamentali della filosofia e della teologia — e quindi anche di quella del tempo — sta la questione formulata già nell’antichità come il problema dell’«uno e molti»,2 una questione che trova la sua soluzione definitiva solo se viene affrontata in chiave ontologico-trinitaria.3

È da sottolineare soprattutto quest’ultima intuizione di Florenskij, in quanto essa, pur apparendo solo in pochi casi in maniera esplicita, rappresenta il filo rosso di tutta la sua opera.4 Per il nostro Autore, infatti, il dogma trinitario e la sua comprensione in chiave ontologica devono essere il punto di partenza e la norma che permettono non solo alla filosofia e alla teologia, ma anche alle discipline di scienza naturale5 di giungere a una concezione integrale del mondo e di sviluppare le loro teorie ed elaborare i loro concetti fondamentali — tra i quali non può mancare quello del tempo — in una chiave che metta in risalto la struttura e le dinamiche fondanti della realtà. Una tale convinzione scaturisce da un’altra: quella che in Dio-Trinità riconosce l’Origine di un «ordine metafisico» cui partecipa ogni esistenza creata.

2. Il tempo come dimensione costitutiva della realtà

Che il tempo rappresenti, assieme allo spazio, una dimensione costitutiva e perciò innegabile della realtà, è la tesi che Florenskij cerca di approfondire negli anni dell’insegnamento agli Ateliers superiori tecnico-artistici di Stato a Mosca. Una tesi per niente ovvia, in quanto — constata il nostro Autore ne L’analisi della spazialità e del tempo nelle opere di arte figurativa (1925-26) — nonostante il fatto che le nostre percezioni e valutazioni della realtà sono connesse con il tempo, tuttavia quasi a tutti sfugge quanto sia sostanziale questa connessione. Di solito non ci rappresentiamo il tempo sull’esempio delle altre tre coordinate spaziali della realtà (lunghezza, altezza, profondità). Esso, al contrario, viene considerato come una sorta di malinteso, e il tentativo di liberarsene come l’avvicinarsi a una conoscenza più esatta della realtà. Una tale idea, però, non è che il frutto di una consapevolezza che consiste nel voler reinterpretare i processi della nostra conoscenza come conoscenza divina. Infatti, sebbene nessuno si sogni di attribuirsi l’onnipresenza divina, e di conseguenza, l’onniscienza — vale a dire la possibilità di trattenere nel proprio intelletto tutta la realtà del mondo —, non di rado si accetta in modo semiconscio la premessa di carattere metafisico della propria conoscenza ritenendo, senza rendersene completamente conto, che i processi fisici che prendono parte alla conoscenza siano qualcosa di accettato per debolezza, come una stampella della conoscenza. Per Florenskij si tratta di una consapevolezza del tutto falsa, «in contraddizione con una concezione religiosa del mondo e insieme incompatibile con una testimonianza diretta della realtà».6 Falsa, perché dimentica che qualsiasi processo reale scorre nel tempo e ha la sua durata, sia essa grande o piccola — ciò non importa. Quel che importa è che essa esiste. Un oggetto di durata zero, di spessore nullo rispetto al tempo,

è un’astrazione e in nessun modo può essere considerato parte della realtà. Tanto più che un oggetto di questo genere, oltre all’impossibilità di essere effettivamente percepito nell’esperienza, non potrebbe essere pensato, perché i processi stessi del pensiero, del pensiero reale, avvengono nel corso del tempo e hanno essi stessi una loro durata e una certa sequenza dei loro elementi.7

Uno degli esempi di concezione atemporale della realtà è il darwinismo, caratterizzato dal rifiuto del processo in quanto tale. Per esso la vita della specie, in se stessa, si presenta come assolutamente indipendente dal tempo e la specie come senza storia. Qualsiasi cambiamento avviene in forza di una spinta esterna, non collegata con la vita della specie e quindi causale.

Non c’è niente da dire sulla falsità di simili costruzioni — commenta il teologo russo —. Alla specie biologica è propria una storia, cioè una linea temporale, allo stesso modo in cui è propria a ciascun singolo membro della specie. Condizioni esterne possono causare la deformazione della linea temporale interiormente predestinata a una data specie e possono deviarla come devia il tronco di un albero se trova una roccia o il gambo di una pianta per la pressione di una pietra. Ma la legge di sviluppo, cioè la forma della linea temporale, ha la sua invariante, e la specie non la calpesta, e non può a essa rifiutarsi se non a prezzo della sua stessa fine. La legge del tempo non è propria soltanto ai fenomeni viventi, ma a tutto ciò che vi è al mondo.8

Di conseguenza, sbaglia chi pensa che il tempo e lo spazio si possano staccare l’uno dall’altro, che essi si possano dare ognuno per conto proprio. «Il tempo e lo spazio non sono divisibili: non si può affermare che ci sia prima il tempo e poi lo spazio. Essi si danno sempre congiuntamente».9 Non è perciò possibile parlare astrattamente del tempo, come esistente in modo indipendente. Un tempo del genere non esiste, così come non esiste lo spazio separato dal tempo. «C’è una sola realtà, che è una realtà spazio-temporale, e non esistono due realtà, due mondi, temporale e spaziale».10

In fondo è la stessa esperienza di vita a confermare, spesso in modo angoscioso per la fragile esistenza umana, queste affermazioni. Ogni vita umana, infatti, dà ragione al lamento «tutto passa, nulla rimane» di Eraclito, sperimentando che il tempo è la forma dell’esistenza di tutto ciò che è. Dire: «esisti» significa dire: «nel tempo».

Perché il tempo — scrive Florenskij ne La colonna e il fondamento della Verità (1914) — è la forma della transitorietà dei fenomeni. […] Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo, chrónos, produce fenomeni, ma come Chrónos, il suo archetipo mitologico, divora i propri figli. L’essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica.11

Una transitorietà e dimenticanza che, da parte dell’uomo, vengono avvertite come un doloroso confronto con la sua fine sempre più prossima: la morte. La realtà di morte ricorda all’uomo il suo esistere nel tempo, così come la coscienza della temporalità della vita ricorda l’esistenza della morte. Florenskij a questo proposito scrive:

L’esistenza nel tempo è per natura sua un morire, un’avanzata lenta ma ineluttabile della morte. La vita nel tempo è un’inevitabile sottomissione alla rapace. Vivere e andar morendo è la stessa cosa, e la morte non è altro che un tempo diverso, più teso, più effettivo, che attira maggiormente l’attenzione su di sé. La morte è un tempo istantaneo, il tempo una morte prolungata.

Insomma:

La nascita e la morte sono i poli di un’unica realtà, chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale.12

Ma che il tempo sia una vera e propria «quarta dimensione» o «coordinata» della realtà viene confermato anche da un altro fatto: solo prendendo in considerazione la dimensione del tempo l’uomo è capace di una visione più integrale della realtà. Perché una realtà è conoscibile nell’insieme della sua esistenza solo quando vengono prese in considerazione tutte le singole tappe della sua linea temporale di sviluppo.

Partendo da questa constatazione, Florenskij nota giustamente che l’uomo tende a conoscere e pensare un determinato oggetto guardando solo una sua parte, spesso quella che muta relativamente poco nel tempo, mentre trascura i settori di cambiamento sostanziale. Il che porta a identificare l’oggetto con lo stadio più significativo del suo processo, quello dominante su tutti gli altri che, nel linguaggio degli antichi, può essere chiamato akmé o entelécheia. Così, fin dai primordi dell’umanità, si usava riconoscere la pienezza umana di un individuo a quarant’anni, l’età in cui viene raggiunto il punto di massima armonia della personalità, l’espansione più completa delle sue possibilità. In questo senso si tratta di un’età che, pur essendo un determinato periodo, rappresenta l’intera sua vita. Anche nel mondo delle piante il fiore viene considerato il culmine di tutto lo sviluppo della pianta. Con chiarezza ancora maggiore quest’idea si manifesta nell’immagine quadrimensionale della farfalla con tutte le sue mutazioni. L’uovo, il baco, la larva e infine la farfalla, non sono quattro immagini diverse, ma una sola immagine con quattro linee temporali molto bizzarre. Comunque sia, Florenskij è convinto che una tale visione della realtà, pur essendo per certi versi lecita, non è sufficiente.

Già la classificazione delle piante secondo i fiori — spiega — pecca di univocità, univocità che, forse, non è nociva e non distrugge la biologia nella sua forma attuale ma che senza dubbio priva l’immagine unitaria della pianta di quella completezza e concretezza dovute. La rosa, anche la più lussureggiante, non è la stessa cosa che l’intero cespuglio di rose e tanto più ne è lontano un ramo di rosa tagliato. Ma anche il cespuglio fiorito non è la stessa cosa che tutta la vita del cespuglio, dal seme alla sua nascita, fino al suo seccarsi attraverso il processo di crescita: il mutarsi delle foglie, l’apparire dei boccioli, il loro schiudersi, la caduta dei petali, e, infine, la maturazione di nuovi semi. Chiunque capisce quanto unilaterale e povera sarebbe la rappresentazione di un organismo vegetale se non sapessimo nulla della sua crescita e del suo seccarsi, e se la pianta fosse un immutabile cespuglio fiorito da operetta. Il suo ritmo vitale, il suo inverdire e il suo letargo invernale, l’apparizione e la scomparsa dei fiori, tutto questo processo, come una musica dell’immagine, è infinitamente più completo e più bello che un fiore preso separatamente.13

Ciò che si è detto della rosa vale per qualsiasi altro oggetto: «Un singolo momento strappato non ci mostra l’immagine intera di una cosa, come non ce la mostrano molti di questi momenti quando si prende ciascuno di essi singolarmente e non si coglie la forma del fenomeno secondo la quarta coordinata».14

Proseguendo nella logica di questo ragionamento, il nostro Autore giunge a un’altra conclusione importante: ogni singola realtà ha una sua coordinata temporale in modo che il tempo è organizzato in essa come qualcosa che le è proprio, avendo in essa il suo principio e la sua fine.

Questo tempo non è un tempo esteriore, vale a dire un tempo delle cose senza vita privo di chiara individualità. E perciò il tempo di questa immagine non può essere giudicato in base ad altri tempi a esso estranei, e per avvicinarsi a esso con la sua misura è necessario o entrare nel tempo proprio dell’immagine data ed esaminarla come un’unità chiusa in sé, o invece elevare la nostra contemplazione sino all’immagine che unisce attraverso sé quell’immagine e le altre dalle quali vorremmo partire. Allora questa nuova immagine in rapporto a quelle, particolari, sarà il loro spazio generale, con un suo tempo particolare, cioè lo spazio a quattro dimensioni, e queste immagini particolari, in rapporto all’immagine generale, saranno le cose che in essa si trovano, connesse fra loro da un’interazione di forze e di energie.15

3. Conoscere nel tempo la profondità quadridimensionale della realtà

Queste ultime parole di Florenskij sono senz’altro d’importanza fondamentale. Esse fanno capire che vi è un modo particolare di affrontare l’angoscioso pánta reî del fiume del tempo, di cui l’uomo fa quotidianamente esperienza a contatto con la realtà della propria esistenza e di quella del mondo circostante: contemplare una data realtà non solo nel suo hic et nunc, ma «organizzando» il suo tempo, facendo cioè la sintesi nella propria coscienza della successione temporale di tutti i suoi momenti di sviluppo. E ciò è possibile se lo sguardo si eleva verso quell’immagine della realtà osservata che, come un’indissolubile unità atemporale, contiene in sé tutte le fasi temporali della sua esistenza. Per spiegare meglio quest’idea, il nostro Autore prende l’esempio dell’ascolto della musica.

Accade, infatti, che ascoltando per la prima volta un’opera musicale difficile e molto ricca, la musica ci passa davanti frase per frase e il pezzo si disgrega nella coscienza in pezzi ciascuno dei quali esiste in sé senza avere nessun legame con il successivo. Ascoltato però più volte, il pezzo inizia a riunificarsi. Quando quest’unità si è stabilita nella coscienza, ci sembra che la musica cessi di essere soltanto nel tempo, ma si solleva al di sopra del tempo. Con ciò accade che i «toni musicali o le loro combinazioni, che, dal punto di vista fisico, risuonano l’uno dopo l’altro, nell’intera coscienza si fanno simultanei, senza tuttavia perdere il loro ordine».

In un ascolto attivo — spiega Florenskij — il tempo dell’opera musicale viene superato, perché esso è già stato superato nella creazione stessa, e l’opera si trova nella nostra anima come qualcosa di unitario, istantaneo e insieme eterno, come un istante eterno, seppure organizzato, e anzi un istante eterno proprio perché organizzato. Questo è un unico punto, un’unica monade, che contiene in sé una pienezza organizzata di suoni, ma il mondo di tale varietà si concentra qui, una prima volta attraverso l’atto creativo, e poi, in un secondo tempo, attraverso la coscienza che percepisce in un solo punto, in una sola percezione, in un solo atto appercettivo.16

Qualcosa di simile si può sperimentare quando si vuole conoscere una persona o un qualsiasi essere vivente. Tutto ciò che nasce nel tempo vive, da un determinato momento fino a un altro momento di tempo del suo ambiente, la propria «eternità biografica». «Ognuno ha una sua eternità biografica».17 Di conseguenza diventa evidente che una personalità unica e identica a se stessa si può conoscere solo entrando nello spazio della sua «eternità biografica», altrimenti si corre il rischio di ridurla a un particolare momento isolato della sua esistenza. Questo modo di conoscere integralmente richiede che la personalità sia pensata in astratto come una sintesi incognita di tutti i momenti della sua biografia. «Quest’unità non è nel tempo o, per lo meno, non è nel tempo come l’intendiamo noi, ma in quella dimensione temporale che, paragonata con la nostra, si chiama eternità, sebbene questa non sia l’eternità in senso assoluto».18

Queste e simili esperienze confermano che per conoscere una cosa fino in fondo, nella sua integrità, occorre entrare nel suo «spazio quadridimensionale» dove viene vinta la suddivisione del tempo sensoriale, spazio che permette di vedere che tutto è correlato a tutto e che ciascuna parte viene determinata dalla totalità. Il che non significa che l’uomo debba rinunciare alla conoscenza concreta, e non si faccia interpellare più dalla realtà circostante, per rifugiarsi in un idealismo astratto. Perché se, da una parte, è vero che una realtà può essere contemplata empiricamente solo in successione, come una serie di momenti separati del suo essere, è altrettanto vero che bastano questi momenti a fornirci un concetto astratto di un tutto unico di essa, di cui i momenti contemplati non sono che l’immagine. «E proprio la successione del percorso di questa serie di momenti unisce lo spazio pluridimensionale con il tempo, che in questo modo risulta essere una specie di equivalente della quarta dimensione e, se si vuole, della quarta coordinata».19 Una quarta dimensione/coordinata che ha il valore dell’«eternità», di un’eternità che, secondo gli esempi da noi riportati, è solo istantanea. Ma questa, per Florenskij, come già accennato, è solo un’eternità di ordine inferiore.

Vi è, infatti, uno spazio quadridimensionale di un ordine più alto che giace nel cuore del nostro mondo tridimensionale, la cui presenza è stata enunciata e studiata da molti filosofi, tra i quali Platone, F.W.J. Schelling e J.W. Goethe. Gli antichi racconti sul mistero «della caverna», riproposti nel mito di Platone (La Repubblica VII, 514-520), la nascita della teoria delle Idee e il suo ulteriore approfondimento da parte di molti pensatori del passato ma anche della modernità, la costante attrazione per alcuni miti, come per esempio quello delle Madri (cfr. Faust di Goethe), tutto questo tradisce l’antica fede dell’uomo nell’esistenza di una profondità trans-empirica o ideale del mondo,20 in una realtà, insomma, compresa e sentita da A. Comte come un’entità viva, un organismo unitario, il Grand Être, dalla Cabala come l’Adam Qadmôn, da F. Nietzsche come l’Übermensch.21 Florenskij, da parte sua, aderisce a questa fede senza un minimo di resistenza, convinto che la realtà del mondo viene sorretta da un’Idea viva la quale, come un’Immagine Primigenia di Dio, una Forma di tutto l’essere creato, porta a compimento tutte le altre singole realtà. Ma per lui, fedele al tempo stesso alla spiritualità e mistica della cristianità orientale, quest’Idea viva della creatura non può essere altro che «la Chiesa Annunziata, o la Sofia, la Sapienza Divina nella creatura».22 Ebbene, da una tale visione mistica della realtà non può che scaturire una concezione del tutto particolare del tempo.

Florenskij stesso ne è del tutto convinto. L’esistenza (nelle profondità noumenali della realtà creata) della Realtà divina presuppone o implica l’esistenza di una sfera di vita che ha una sua propria coordinata temporale con una sua misura del tempo, diversa da quella che normalmente adoperiamo per misurare la successione temporale. Il fatto che l’uomo possa almeno in parte assaporare una tale misura viene confermato dalla percezione del tempo che a volte si può fare nel sogno.

È noto — scrive il nostro Autore —: in un intervallo che è brevissimo secondo la misura esterna, il tempo del sogno può durare ore, mesi, perfino anni e in certi casi particolari, secoli e millenni. In questo caso nessuno dubita che il dormiente, isolato dal mondo visibile esterno e passando con la coscienza in un altro sistema, acquista anche una nuova misura del tempo in forza del quale il suo tempo, rispetto al tempo del sistema da lui abbandonato, trascorre con incredibile velocità. Ma se tutti sono d’accordo, anche senza conoscere il principio di relatività, che nei singoli sistemi, come nel caso osservato, il tempo trascorre secondo una sua velocità e una sua misura, non tutti, però, e nemmeno molti, hanno meditato sulla possibilità che il tempo trascorra a una velocità infinita e perfino rovesciandosi su se stesso, e che, col passaggio alla velocità infinita, il suo corso prenda il senso inverso. Ma intanto il tempo davvero può essere istantaneo e fluire dal futuro al passato, dagli effetti alle cause, teleologicamente, e ciò avviene appunto quando la nostra vita passa dal visibile all’invisibile, dal reale all’immaginario.23

Questo passaggio, però, con il cambio della percezione del tempo si può sperimentare non solo nel sogno, ma anche in un’esperienza mistica. Colui che viene rapito verso le misteriose cime dell’Invisibile non pensa più di essere entrato in un mondo immaginario o capovolto. Trovandosi al centro del «mondo spirituale», che si lascia scoprire come più autenticamente reale di tutta la realtà, il mistico entra in una nuova dimensione di vita, quella di Dio.24 Il quale «è transtemporale», è «Colui che è nell’Eternità». Per Dio «il tempo è un unico «adesso» dato immediatamente in tutti i suoi momenti».25 Ecco perché grazie all’esperienza mistica viva, in cui accade che «l’uomo e Dio si scambiano di posto»,26 l’uomo inizia a percepire il tempo e la sua suddivisione sensoriale diversamente, «dall’alto» o, per dirla con B. Spinoza, sub specie aeternitatis. Guardando il tempo in questa prospettiva esso appare — come venne lucidamente colto già da Platone — come «un’immagine mobile dell’eternità» (Timeo 37 D).27

4. La struttura trinitaria del tempo e la dinamica trinitaria della sua percezione

Ma allora che cosa è, per Florenskij, il tempo? Prima di rispondere a questa domanda occorre ricordare che il pensiero del nostro Autore, dai tempi di studio della matematica fino alle ricerche filosofiche (filosofia del linguaggio, estetica), teologiche e scientifiche, nasce e si sviluppa nella costante ricerca delle possibili soluzioni di un unico problema: quello dell’«uno/molti», ossia delle antinomie o, più concretamente, quello del rapporto tra l’Infinito e il finito, l’Assoluto e il relativo. Egli, infatti, come matematico, viene attratto dalla possibilità di sviluppare, con l’aiuto della teoria degli insiemi di G. Cantor, l’idea dell’«infinito attuale»; come filosofo, dalla riflessione sul legame tra «mondo superiore» e «mondo inferiore» e dalla ricerca delle condizioni della visione dell’Idea nella multiforme realtà creata; come teologo, dal tema del rapporto tra Dio e l’uomo e, soprattutto, della «discesa» di Dio (kenosi divina) e della «salita» dell’uomo (divinizzazione).

In questo senso, tornando alla nostra domanda, si deve dire che per Florenskij la riflessione sul tempo scaturisce, in fondo, da una riflessione molto più ampia e complessa: quella riguardante il rivelarsi dell’Intero (Celoe), cioè dell’Idea, della Verità, della Vita, nel mondo empirico.28 Un rivelarsi che ha come effetto la rifrazione dell’Intero nella moltitudine dei frammenti che, pur essendo da una parte indissolubili, sono dall’altra diversi al punto che, nei casi limite, due di essi possono apparire come due poli completamente antinomici. Come tali i due poli, il «sì» e il «no», rappresentano l’inizio e la fine del rivelarsi del mondo sovraempirico nel mondo empirico e ciò sia nel senso dello spazio che del tempo. Quanto allo spazio i due poli si rivelano come entrata e uscita, quanto al tempo, come inizio e fine, nascita e morte. Il rivelarsi dell’Intero, a questo punto, si deve immaginare «come un’azione che riempie l’area tra i due poli sia nel senso del tempo che dello spazio», paragonabile all’azione di un turbine o di una qualsiasi linea di forza. Dal momento in cui un turbine sta entrando in un determinato ambiente e ne sta uscendo si può verificare che esso «esiste non solo in quell’ambiente, ma, in un’altra forma, anche fuori dei suoi confini». Lo stesso si può dire dell’Intero: «nonostante il suo apparire nello spazio e nel tempo come un semplice frammento, esso è, in realtà, un’unità compatta, permeando di sé le sfere sopra il tempo e sopra lo spazio, non avendo, in questo modo, né inizio né fine».29 Quello che importa è che l’uomo con un’unica percezione colga la moltitudine dei frammenti come un unico insieme, che dal numero infinito dei frammenti elevi il suo sguardo a quella che è l’infinità di tutte le infinità: l’Idea. Facendo così, egli è in grado di intravedere nel fluido scorrere dei frammenti del tempo il volto armonioso di un unico Insieme, di intravedere cioè nel tempo il Tempo stesso.30

Ponendosi in questa prospettiva, Florenskij, già nella sua prima grande opera, La colonna e il fondamento della Verità, offre la sua originale interpretazione della «molteplicità» temporale che, in fondo, rivela la sua idea del tempo. È un’interpretazione che parte da un importante presupposto gnoseologico: la pluralità degli elementi si trova nella Verità assoluta sintetizzata «in modo assoluto», così che — sub specie aeternitatis — ciascun «altro», sia nell’ordine spaziale che temporale, è allo stesso tempo «non-altro», giacché «la heterótes, l’alterità, l’estraneità dell’«altro» è solo l’espressione e la manifestazione del tautótes, dell’identità dell’«identico» [dello “stesso essere”]».31 Lo stesso presupposto vale nel caso della molteplicità/alterità temporale: ogni «altro» momento di tempo, pur diverso da «questo di adesso», è anche lo stesso momento «di adesso», poiché quello che si manifesta «come nuovo» è «vecchio» nella sua eternità. Tutto questo è possibile perché la dimensione/struttura interna delle «profondità noumenali» della Verità (dell’Intero) è quella dell’Eterno e perciò sia «quello» che «questo», sia il «nuovo» che il «vecchio» non sono che l’espressione o la manifestazione di un’unica Realtà.32

Occorre subito aggiungere che una tale interpretazione della molteplicità temporale non è priva di un fondamento teologico. Essa, infatti, scaturisce dalla concezione florenskijana del dogma trinitario. Una concezione che — formatasi alla luce della tradizione patristica, ma, allo stesso tempo, nel dialogo con la filosofia moderna, in particolare con l’idealismo e la filosofia di Schelling — afferma: vi è un unico Soggetto della Verità, ma la sua identità (il suo Io) viene fondata nella/attraverso la relazione. Nel senso che attraverso «il Tu, l’Io soggettivo si fa Lui oggettivo e in questo trova la propria affermazione e oggettivazione come Io». Di conseguenza si può dire: «la Verità contempla Se stessa attraverso Se stessa in Se stessa. Ogni momento di questo atto assoluto è assoluto, è la Verità». Per dirla in termini teologici: «la Verità è la contemplazione di Sé attraverso l’Altro nel Terzo: Padre, Figlio, Spirito».33 In sintesi, secondo Florenskij il Soggetto della Verità non può essere pensato se non come una relazione, «ma una relazione che è sostanza, relazione-sostanza». «E siccome la relazione concreta è un sistema di atti di attività vitale, nel nostro caso un sistema infinito di atti sintetizzati in unità (oppure un atto unico infinito)», si può concludere che «l’ousía della Verità è l’Atto infinito di Tre nell’Unità», «un atto infinito della Vita».34

Il legame tra l’idea dell’unità «noumenale» della molteplicità temporale e l’idea dell’Unità assoluta dei Tre diversi, compresa come Realtà fondante e originaria (ideale) di tutto il creato, è indiscutibile. In fondo, la «triadicità del tempo» ne è conferma più che sufficiente. La divisione del tempo in passato, presente e futuro è talmente essenziale «che nessuno, nemmeno in forma logico-astratta, ha mai pensato di immaginare il tempo con un numero diverso di sottodivisioni».35 Ma Florenskij evidenzia questo legame soprattutto quando si interroga su quella che è la giusta percezione della molteplicità temporale.

Ne L’analisi della spazialità e del tempo annota che l’uomo è capace di una «sintesi temporale» solo grazie a una coscienza attiva. Quanto più «la coscienza è capace di attività, tanto più profondamente e con ampiezza essa realizza questa sintesi, e cioè in modo tanto più intero e compatto il tempo viene vissuto da essa».36 Al contrario, la passività della coscienza disgrega il tempo, producendo «parti singole, autosufficienti, ciascuna delle quali aderisce all’altra soltanto esternamente, ma dalla cui percezione separata non si può in questo caso presentire che cosa ci dirà l’altra».37 Nel caso in cui la coscienza diventa del tutto inattiva,

l’uomo, come una cosa in mezzo alle cose del mondo, viene trasportato insieme alle altre sulla superficie del fiume del tempo. Ma egli non sa niente di ciò, perché non è cosciente in generale di quello che avviene in lui. Il tempo si è disgregato, e ciascun suo momento nella coscienza esclude del tutto qualsiasi altro. Il tempo è diventato per la coscienza soltanto un punto, ma non un punto di pienezza, che assorba in sé tutto il tempo, bensì un punto di svuotamento dal quale è stato estratto e cacciato via qualsiasi tipo di varietà, movimento, forma.38

È evidente che con l’attività della coscienza Florenskij intende non tanto un’attività di carattere psicologico quanto piuttosto un’attività spirituale caratterizzata da un concreto impegno di vita che coinvolge tutte le sfere dell’esistenza umana. Un impegno che, come viene spiegato con grande maestria teologica e rara sensibilità spirituale nelle pagine de La colonna, ha come modello la vita trinitaria di Dio, che ci è stata rivelata e comunicata nella/attraverso la persona di Gesù Cristo. In Lui, umile Agnello di Dio, in particolare nella sua morte e risurrezione, si rivela la duplice dinamica che caratterizza l’Atto-sostanza dei Tre nell’Unità. Esso, da una parte, viene definito dal reciproco dono di sé delle Persone divine, ossia da un amore che si sacrifica fino al rinnegamento di sé per un altro da sé. Dall’altra parte, esso viene definito come elevazione ed edificazione eterne dell’una Persona da parte delle altre, ossia da un amore che celebra e glorifica l’Amato.39 Appena gli uomini, affidandosi con umiltà a Dio, iniziano ad amarsi reciprocamente secondo l’esempio delle tre Persone divine, il Cielo si abbassa ed essi, uscendo dalla limitatezza spazio-temporale, entrano nello spazio di una nuova percezione e comprensione di sé e di tutta la realtà: l’Eternità. Là tutto partecipa a un unico Atto eterno e infinito dell’unisostanzialità, là «ogni Io è un non-Io, cioè un Tu, in forza della sua rinuncia a se stesso per l’altro, e allo stesso tempo è un Io in forza della rinuncia a se stesso dell’altro Io a favore suo».40

Partecipare all’Atto eterno dell’unisostanzialità dei Tre significa entrare e vivere nello spazio dell’eterna memoria, in uno spazio che i torrenti del tempo mai potranno portare via.41 Colui che vi entra sale al di sopra del tempo, grazie a ciò può percepire tutto il tempo, cioè passato, presente e futuro, come un unico «adesso». Tutto viene visto sotto l’angolazione dell’Eternità. Al punto che lo sguardo stesso diventa memoria. Una memoria che non è passività, ma attività nel senso più profondo della parola: «la creazione nel tempo di simboli dell’Eternità».42

La creazione «nel tempo»: perché la vita continuerà a essere vissuta nello spazio e nel tempo. D’altronde, il mistico o l’asceta non è più come gli altri uomini, in quanto possiede una natura e forma di vita qualitativamente diverse. La sua vita è quella dell’abitante «dei Cieli e della Terra nuovi». Per lui finisce il tempo e la storia del laggiù e inizia il Tempo del lassù: il tempo di una «società originaria», della «nuova creazione».43

5. Conclusione: P.A. Florenskij, testimone della «quarta coordinata»

Come emerge con chiarezza soprattutto dalle ultime parole, il tema del tempo viene compreso da Florenskij non tanto in astratto, come fosse riservato solo a chi si occupa di questioni filosofiche e teologiche. Esso, al contrario, attrae la sua attenzione durante l’intera sua vita come uno dei temi principali di portata innanzitutto esistenziale.

Vi sono in particolare due periodi della vita di Florenskij, quasi i due poli della sua biografia, nei quali viene sperimentato ciò che egli, riguardo al tema del tempo, ha cercato di elaborare concettualmente. Il primo periodo è la sua infanzia, vissuta a contatto con la natura del Caucaso con l’animo dei «ragazzi estatici», di cui parlano Novalis (cfr. I discepoli di Sais) e Hesse (Iris) nei loro racconti. Il piccolo Pavel viveva in una continua agitazione interiore davanti ai fenomeni della natura, guardandoli con una «percezione mistica» che superava il frazionamento del mondo dal di dentro, scoprendo che nelle radici del tutto giace l’«unitemporalità». Osservando, per esempio, gli strati del suolo, parzialmente nascosti sotto il tappeto di aghi di pino, era convinto di vedere il «tempo pietrificato», cosa che suscitava in lui l’impressione che i tempi passati non sono mai irrevocabilmente fuggiti, ma che dormono soltanto, come tanti strati uno sull’altro, e che in qualsiasi momento il tempo può svegliarsi e tornare di nuovo vivo.

Il passato non è passato — questa sensazione — ricorda Florenskij — era per me più che evidente, ma nella prima infanzia la sentivo in modo ancora più persuasivo rispetto agli anni successivi. Percepivo la realtà vischiosa del passato e crescevo con la sensazione che in realtà toccavo quello che esisteva tanti secoli fa e che con l’animo entravo in esso. […] La quarta dimensione — quella del tempo — mi è apparsa così viva che il tempo ha perso il suo carattere d’infinità cattiva; è divenuto accogliente e circoscritto, si è reso più vicino all’eternità.44

Il secondo periodo è quello degli ultimi anni della sua vita trascorsi in vari lager di concentramento (prima in Siberia, poi sulle isole Solovki). Questa volta non è stato più il fascino della natura a spalancare il suo sguardo verso le profondità quadridimensionali della realtà, ma il fuoco della sofferenza di un innocente che, durante gli anni del doloroso allontanamento dall’amatissima famiglia e dell’interruzione definitiva del lavoro di tutta una vita, ha invaso, con intensità sempre maggiore, il suo cuore. Di questo sguardo raccontano molte delle sue lettere, come per esempio quella scritta alla moglie dalle Solovki (27.5.1935):

Cara Annulja,45 il passato non è passato, ma custodito, e rimane per sempre; siamo noi che lo dimentichiamo e ci allontaniamo da esso, ma poi, a seconda delle circostanze, esso si rivela di nuovo come eterno presente. Come scrisse un poeta del XVII secolo: Die Rose, den dein ausser Auge sieht, Sie ist von Ewigkeit in Gott geblüht. La rosa che il tuo occhio esteriore vede, è fiorita in Dio dall’eternità.46

E un anno prima della sua morte (22/24.11.1936) scrive alla figlia Ol’ga:

Il passato non è passato, esso si conserva eternamente da qualche parte e in qualche modo continua ad essere reale e ad agire. Questo lo sento a ogni passo, i ricordi stanno davanti agli occhi come dei chiari e distinti quadri. Insomma, si stanno perdendo i confini tra mio padre, me, voi, il piccolo. I confini della persona sembrano distinti solamente nei libri, ma in realtà tutti e tutto sono intrecciati così strettamente che la distinzione è solo probabile, perché sta nel continuo passare da una parte dell’insieme all’altra.47

Con la condanna a morte e la sua esecuzione, nel 1936, nel cortile di uno dei monasteri situati nei pressi di Leningrado, finisce la vita di Pavel Florenskij. Ma non finisce — come il governo sovietico avrebbe in quei tempi desiderato — la sua memoria nei cuori di chi lo aveva conosciuto. Oggi si può solo constatare che Florenskij, costantemente attratto e spiritualmente e intellettualmente nutrito dal mistero della «quarta dimensione», viene ricercato e ascoltato come vivo testimone di un’appassionata ricerca del senso della vita, uno che è riuscito a lasciare «nel tempo la propria immagine che permane, come la scia infuocata dietro una stella cadente».48


  1. Cfr. P. Evdokimov, L’ortodossia, Bologna 1981, pp. 350-351; G. Mantzarides, Il tempo liturgico, Magnano (BI) 1996; P.A. Florenskij, Il culto e la filosofia [L’eredità teologica del sac. P. Florenskij], in russo, in Bogoslovskie trudy 17 (1977), pp. 133-134. ↩︎

  2. Cfr. P.A. Florenskij, Il significato dell’idealismo, a c. di N. Valentini, Milano 1999, p. 65. ↩︎

  3. Cfr. L. Zak, «Einheit und Vielheit», zur Geschichte eines Problems und seines trinitarischen Lösungsversuchs im Werk von P. Florenskij, in A. Rauch (ed.), Auf dem Weg ins dritte Jahrtausend, Mosca 1999, pp. 170-179. ↩︎

  4. Di questo aspetto del pensiero florenskijano mi sono occupato in P.A. Florenskij: progetto e testimonianza di una gnoseologia trinitaria, in P. Coda — A. Tapken (edd.), La Trinità e il pensare, Roma 1997, pp. 193-228; e, soprattutto, in Verità come ethos. La teodicea trinitaria di P.A. Florenskij, Roma 1998. ↩︎

  5. Cfr. P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, tr. it. di P. Modesto, Milano 19982, p. 337. ↩︎

  6. P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, a c. di N. Misler, Milano 1995, p. 135. ↩︎

  7. Ivi, p. 136. «[…] il tempo è sempre presente nel modello della realtà che noi ci costruiamo. Esso costituisce sempre una certa profondità della realtà, ma, a differenza dello spessore, questa profondità è qualcosa che appertiene alla quarta, non alla terza, dimensione, Il tempo costituisce la quarta coordinata della realtà»: ivi, p. 319. ↩︎

  8. Ivi, p. 144. ↩︎

  9. Ivi, p. 319. ↩︎

  10. Ivi, p. 323. ↩︎

  11. P.A. Florenskij, La colonna…, p. 54. ↩︎

  12. Ivi, p. 594; P.A. Florenskij, Sulla collina Makovec, in Id., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, a c. di N. Valentini e L. Zak, Casale Monferrato 1999, p. 261. ↩︎

  13. P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo…, p. 145. ↩︎

  14. Ivi, p. 146. ↩︎

  15. Ivi, p. 154. ↩︎

  16. Ivi, p. 156. ↩︎

  17. P.A. Florenskij, Sezione aurea applicata alla scomposizione del tempo (Il tutto nel tempo. L’organizzazione del tempo. I cicli di sviluppo), in Id., Opere in quattro volumi, vol. 3 (1), in russo, Mosca 1999, p. 480. ↩︎

  18. P.A. Florenskij, Il significato…, p. 112. ↩︎

  19. Ivi, p. 110. ↩︎

  20. Cfr. ivi, p. 105. ↩︎

  21. Cfr. ivi, p. 109; P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo…, p. 153. ↩︎

  22. P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo…, p. 153. ↩︎

  23. P.A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, a c. di E. Zolla, Milano 1977, p. 21. Nel 1922 Florenskij teorizzò, in termini matematici, la possibilità di una simile esperienza ne Gli immaginari in geometria (Moskva 1991, a c. di L.G. Antipenko, pp. 50-51). ↩︎

  24. P.A. Florenskij, Le porte regali…, pp. 31-32. ↩︎

  25. P.A. Florenskij, La colonna…, p. 389; cfr. ivi, p. 245. ↩︎

  26. P.A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuore cherubico…, p. 163. ↩︎

  27. P.A. Florenskij, Il significato…, p. 106. ↩︎

  28. Cfr. P.A. Florenskij, Divina sive aurea sectio, in Id., Opere…, vol. 3 (1), p. 462; Id., Sezione aurea applicata…, in ivi, pp. 469-476; Id., Dialettica, in ivi, p. 136; Id., La colonna…, pp. 191-194. ↩︎

  29. P.A. Florenskij, Sezione aurea applicata…, p. 470; cfr. La lettera del sacerdote P. Florenskij all’ieromonaco Antonio (Bulatovic), in Id., Opere…, vol. 3 (1), p. 319. ↩︎

  30. Cfr. P.A. Florenskij, Dialettica…, p. 136; Id., La colonna…, p. 767, nota 11. ↩︎

  31. P.A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, in russo, Moskva 1990, p. 46 [tr. it. p. 81]. ↩︎

  32. P.A. Florenskij, La colonna…, tr. it., pp. 81-82. ↩︎

  33. Ivi, p. 84. ↩︎

  34. Ivi, p. 84. ↩︎

  35. Ivi, pp. 654-655. ↩︎

  36. P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo…, p. 157. ↩︎

  37. Ivi, p. 159. ↩︎

  38. Ivi, p. 160. ↩︎

  39. Ivi, p. 184. ↩︎

  40. Ivi, p. 134. ↩︎

  41. Del rapporto tra la memoria e il tempo in Florenskij si è occupato A. Joos, La nouvelle Création, in Iénikon 3 (1990), pp. 350-358, e soprattutto N. Valentini, Memoria e risurrezione in Florenskij e Bulgakov, Verucchio 1997, pp. 47-69. ↩︎

  42. P.A. Florenskij, La colonna…, p. 252; cfr. ivi, pp. 54, 244-255. ↩︎

  43. P.A. Florenskij, Sul fine e sul senso del progresso, in Id., Opere in quattro volumi, vol. 1, in russo, Moskva 1994, pp. 203-204. ↩︎

  44. P.A. Florenskij, Ai miei figli. Ricordi dei giorni passati, in russo, Moskva 1992, pp. 46 e 99. ↩︎

  45. Vezzeggiativo di Anna. ↩︎

  46. P.A. Florenskij, Opere in quattro volumi, vol. 4, in russo, Moskva 1998, p. 237. La citazione è da Angelus Silesius, Cherubinischer Wandersmann, a c. di G. Ellinger, Halle 1895, p. 23. La citazione, evidentemente riportata da Florenskij a memoria, è imprecisa. Il testo originale recita: «Die Rose, welche hier dein äußres Auge sieht, / Die hat von Ewigkeit in Gott also geblüht (idealiter)». Cfr. A. Silesius, Il pellegrino cherubico, a c. di G. Fozzer e M. Vannini, Cinisello Balsamo 19922, p. 126. ↩︎

  47. P.A. Florenskij, Opere in quattro volumi, vol. 4, …, p. 600. ↩︎

  48. P.A. Florenskij, La colonna…, p. 248. ↩︎