Martin Heidegger ne Il problema dell’ateismo di Augusto Del Noce

L’incontro con la filosofia heideggeriana

Di fronte all’estensione teoretica di un testo come Il problema dell’ateismo ci si potrebbe chiedere perché la riflessione di Martin Heidegger appaia in una posizione così marginale. Una marginalità che sembra testimoniata anche dal numero di occorrenze del pensatore tedesco in uno scritto di quasi seicento pagine: circa una ventina, alcune delle quali prettamente circostanziali;1 una cifra nettamente inferiore rispetto alle citazioni di un Croce, di un Goldmann o di un Laporte. Si noti come la quasi totalità delle citazioni di Heidegger si registri nella lunga introduzione dedicata all’analisi strutturata del concetto di ateismo e come, invece, manchi completamente qualsiasi riferimento nei due saggi del 1946 e del 1948 dedicati al marxismo. Si sottolinei anche come il nome di Heidegger compaia nella fatidica domanda sulla problematizzazione dell’ateismo che apre l’opera2 e nell’ultima pagina della conclusione posposta al testo in relazione alla storia della filosofia gentiliana.3

Tanto l’esordio quanto la conclusione del testo, quindi, sembrano promuovere una diversa valutazione sulla rilevanza della teoresi heideggeriana. L’incedere della riflessione delnociana, infatti, spinge verso l’esigenza di un confronto con il pensiero di Heidegger che si realizza in due momenti differenti: da un lato la filosofia heideggeriana viene valorizzata nell’ottica di un’effettiva comprensione del “significato rigoroso” di ontologismo nella storia della filosofia contemporanea; dall’altro viene messo in rilievo il suo convergere con la lettura idealistica e neo-idealistica dello sviluppo della storia della filosofia moderna.

In primo luogo Del Noce evidenzia come «la capitale importanza della questione della «storia della filosofia come problema» sia stata già avvertita dallo stesso Heidegger».4 A partire dagli anni sessanta del ’900, si registra in Del Noce un’attenzione verso la valutazione heideggeriana dell’evoluzione della storia della filosofia moderna, testimoniata ne Il problema dell’ateismo in diversi luoghi: oltre all’indicazione della conoscenza diretta di varie opere del filosofo,5 Del Noce esprime un giudizio significativo sul pensatore tedesco definendolo il «profeta del nostro tempo, quale punto finale dell’oblio dell’essere, del conseguente dispiegamento della volontà di potenza e della sua espressione nella tecnica».6 In questo passo si mostra una reale consuetudine con il Nietzsche di Heidegger7 (pubblicato solo tre anni prima dell’uscita de Il problema dell’ateismo (1964) che Del Noce contrappone all’interpretazione irrazionalistica di Nietzsche del Lukács svolta ne La distruzione della ragione.8

È proprio a partire dall’interpretazione heideggeriana del pensiero di Nietzsche che Del Noce può guadagnare uno sguardo ermeneutico nuovo sulla filosofia contemporanea: si pensi alla definizione dell’alternativa assoluta tra il nichilismo antimetafisico di Nietzsche ed il pensiero rivoluzionario di Marx,9 come anche alla comprensione del nesso tra Nietzsche e Gentile. Relazione, quest’ultima, riproposta in tutte le elaborazioni successive, compresa la brillante monografia dedicata al filosofo di Castelvetrano, nella quale si legge ad esempio: «si ha il cedimento di Gentile rispetto a Nietzsche, pensatore che egli aveva frequentato assai poco: questo incontro non sembra confermare la tesi di Heidegger, sulla conclusione nietzschiana della metafisica occidentale?10». Come è stato notato, da tale giudizio Del Noce deriva «una rinnovata lettura di Gentile, resa possibile dall’approfondimento di Heidegger»11 che gli consente di illuminare in maniera decisiva lo sviluppo della storia della filosofia moderna. Ovviamente gli obiettivi teorici di Del Noce ed Heidegger sono strutturalmente diversi. Eppure per il filosofo italiano nel pensiero heideggeriano «è possibile distinguere una parte (la completezza del nichilismo raggiunta da Nietzsche e la sua profezia del mondo contemporaneo) che può essere accolta anche da punti di vista diversi dal suo».12 Le tesi heideggeriane rappresentavano per Del Noce un’insperata conferma della propria interpretazione del moderno e giungevano proprio da chi aveva fatto del rifiuto di ogni trascendenza platonico-cristiana un postulato irrinunciabile.13

D’altronde, Del Noce non si limita a prendere in considerazione la lettura unitaria della storia della filosofia per come si presenta nel pensiero di Heidegger, ma tenta anche una collocazione teoretica della filosofia heideggeriana all’interno del pensiero contemporaneo. Determinare la portata dello scacco heideggeriano, infatti, avrebbe significato ricondurre anche l’esistenzialismo ontologista al nichilismo nietzschiano: tale cedimento di Heidegger rispetto a Nietzsche potrebbe essere considerato il contraltare di quello gentiliano.

All’interno dello sviluppo del pensiero filosofico contemporaneo Del Noce ritiene Heidegger il «filosofo della grandezza tragica di una finitezza senza redenzione»:14 l’impasse che conclude Sein und Zeit spinge Del Noce a valorizzare la categoria di tragedia in relazione al rifiuto assoluto di ogni alterità trascendente. Ma il momento tragico è proprio il carattere distintivo della filosofia nietzschiana:15 si intende allora come l’inadeguatezza della pars costruens del secondo Heidegger appaia agli occhi di Del Noce come la certificazione di un insuccesso inevitabile che dimostra, una volta in più, la profezia della nietzschiana Volontà di potenza.16

Secondo Del Noce ciò è confermato dalla pretesa di «cercare la vera formulazione oggi di una filosofia religiosa in un prolungamento del secondo Heidegger, rappresenti o no la nuova forma del suo pensiero l’esplicazione di ciò che era già intrinseco nella prima».17 L’impossibilità di tale formulazione religiosa ratifica la problematicità della filosofia heideggeriana che, nel tentativo di ricostruire in senso antimetafisico la connessione essenziale tra l’esserci e l’Essere, conclude in quella solitudine teoretica che tanto ha caratterizzato l’autocomprensione del filosofo tedesco.

Ne Il problema dell’ateismo questi due livelli interpretativi complementari si avvicendano nel progressivo determinarsi dell’interpretazione delnociana di Heidegger: la definizione del pensiero heideggeriano in termini di esistenzialismo, di cui rappresenterebbe il ripiegamento tragico-nichilistico-solipsistico di matrice metafisica,18 si alterna alla valorizzazione del momento ontologista del secondo Heidegger e alla sua valutazione della storia della filosofia moderna. Nonostante la frammentarietà della ricostruzione di Del Noce, si comprende l’intenzione di fondo: mostrare la necessità del fallimento heideggeriano a partire dall’identificazione della sua dipendenza teorica dalla comprensione idealistica della storia della filosofia. In questo modo, per Del Noce, si evidenzia come solo un’apertura verso la trascendenza garantirebbe una riuscita del tentativo di Heidegger.

Heidegger e l’esistenzialismo

Per Del Noce, come per gran parte del panorama culturale italiano dell’epoca, appare ovvio l’accostamento tra Heidegger e l’esistenzialismo. Come è noto, l’esistenzialismo svolge una funzione di primo piano all’interno della struttura teoretica de Il problema dell’ateismo: il filosofo italiano riconosce all’esistenzialismo il merito storico di aver ricentrato l’interesse del pensiero filosofico sulla finitezza dell’individuo senza la pretesa di promuovere modelli teorici di compimento-dissoluzione del particolare nell’universale, dell’esistenza in un’essenza metastorica già compiuta. Tutti quei tentativi di ricomprensione del singolare nell’universale, definiti a ragione escatologie immanentiste,19 cedono di fronte agli eventi storici inconciliabili dell’inizio del XX secolo e iniziano a mostrare il fianco a quelle teorie che dichiarano l’assoluta autoprogettualità dell’esistenza umana.

In quest’ottica l’esistenzialismo viene a configurarsi come la cifra del fallimento del tentativo hegeliano di unificazione di essenza ed esistenza secondo la categoria di autocoscienza dello Spirito: eppure, inizialmente, per Del Noce la filosofia dell’esistenza non può che delinearsi come una «filosofia della crisi, della dissociazione tra ragione ed esistenza, dell’esistenza contro l’astrazione filosofica».20 Nel periodo 1945-50 Del Noce non poteva fare a meno di considerare l’esistenzialismo «espressione di una sofferta crisi storica della cui storicità si è inconsapevoli, e che perciò viene considerata come naturale e insuperabile, e quindi rivelativa della natura ontologica dell’uomo. […] nella prospettiva di un esistenzialismo semplice paziente della crisi, destinato ad essere oltrepassato dal marxismo […]».21 In questo senso il filosofo italiano giunge alla definizione di un necessario superamento del movimento esistenzialista nel marxismo, essendo quest’ultimo capace di sussumere la critica all’idealismo metafisico e di funzionalizzarla verso una nuova riconciliazione tra essenza ed esistenza: evitando di concludere nella teologizzazione dell’empirico, il marxismo procedeva all’affermazione di una non-filosofia (prassi) che avrebbe conseguito, attraverso l’atto rivoluzionario, la realizzazione di un nuovo mondo nel quale l’uomo avrebbe vissuto un regime effettivo di libertà. Ne deriva che la non-filosofia marxiana possa essere intesa come un hegelismo post-esistenzialistico:

Effettivamente il rapporto Marx-esistenzialismo è insieme rapporto di assoluta vicinanza e di radicale opposizione. Dal punto di vista marxista l’esistenzialismo non è che il necessario processo di esplicazione del fallimento della riconciliazione con la realtà hegeliana: che deve portare alla dichiarazione dell’irrealtà del razionale e proseguire il processo di teologizzazione dell’empirico sino alla teologizzazione dell’esperienza del singolo. […] Si potrebbe dire che il marxismo è ciò che l’hegelismo deve diventare per mettersi in grado di superare la critica esistenzialistica.22

Nell’ottica del «passaggio dalla gnosi contemplativa alla gnosi rivoluzionaria»,23 il marxismo perverrebbe a correggere il necessario limite dell’esistenzialismo inteso nei termini di una teoria della crisi dichiarante «quella rescissione del singolo dalla comunità che è stato il suo non intenzionale risultato».24 La crisi postulata caparbiamente dall’esistenzialismo contemporaneo presentava sé stessa come incontrovertibile e guidava la filosofia verso quel disimpegno etico-politico che ha spinto molti, da Croce,25 a Bobbio26 ad utilizzare nei suoi riguardi l’etichetta di decandentismo. Si chiarisce ora l’immediatezza dell’associazione Heidegger-esistenzialismo per Del Noce: essendosi confrontato con Sein und Zeit e avendo riscontrato la totale assenza del momento politico, il filosofo italiano vedeva nel pensiero heideggeriano (almeno quello del primo Heidegger) il simbolo di quella «crisi» che scaturiva dalla dissoluzione dell’hegelismo.

Il filosofo tedesco viene assunto come il simbolo del ripiegamento dell’io su sé stesso che guida l’individuo verso l’abbandono dello spazio dell’intersoggettività e dell’atto politico; nella prospettiva di un solipsismo apolitico che vive dell’idea per cui “la morte è la più propria possibilità dell’esserci”.27 In Heidegger prenderebbe forma un’etica separata dalla politica che spinge l’individuo all’isolamento e al disancoramento dalla complessità della realtà e della storia: quale altra autenticità si rende possibile a questo punto per l’uomo se non quella di un serrato confronto quotidiano con la propria finitezza che alla lunga annienta l’individuo? Si comprende allora il severo giudizio di Del Noce sull’adesione di Heidegger al movimento nazista: «tipica la «passività» heideggeriana come accettazione inconsapevole di un destino irrevocabile in cui è poi la spiegazione ultima del suo atteggiamento nei riguardi del nazismo».28

Da questo punto di vista Heidegger viene visto da Del Noce come il filosofo della crisi del politico, della dissociazione dal mondo e della passività incongruente verso la follia nazista. Ma la rescissione tra individuo e società non appare l’unico sviluppo possibile della filosofia heideggeriana: in più passi Del Noce si rivolge all’indagine del significato dell’evoluzione dell’heideggerismo in Sartre e, seppur in maniera molto concisa, in altri luoghi del testo si confronta con la possibilità di riflettere sul pensiero del secondo Heidegger a partire dalla categoria di ontologismo.29

Heidegger e Sartre

Si parta dal primo elemento. Si dica subito che Del Noce interpreta la relazione teoretica tra Heidegger e Sartre sottolineando ripetutamente la particolare continuità tra i due: «si tratta sin dall’inizio di una trasposizione del pensiero di Heidegger nella filosofia francese, da ciò l’eterogeneità insopprimibile, quella per cui […] la filosofia di Sartre […] non è suscettibile in alcun modo di venir presentata come una continuazione necessaria della novità di Heidegger».30 L’elemento su cui Del Noce vuole portare l’attenzione è l’irriducibilità della filosofia tedesca alla filosofia francese per cui Sartre rappresenta il momento in cui si cerca di concludere l’evoluzione della seconda mediante la conclusione della prima, ovvero con il marxismo. Sartre, cioè, «inverte il problema di Marx: mentre questi voleva inserire lo spirito rivoluzionario francese nel tronco della filosofia tedesca, Sartre invece si serve della filosofia tedesca per ateizzare, erodendola dall’interno, la filosofia francese della libertà».31

Proprio intorno al concetto di libertà nella filosofia sartriana ruota l’analisi delnociana. Per il filosofo italiano si assisterebbe in Sartre alla trasvalutazione della teoria della libertà creatrice del Dio di Cartesio: attribuendo una forma di libertà assoluta all’individuo umano si ottiene un concetto di libertà «che non può non esprimersi che come libertà distruttiva, che perciò non può non accogliere il pensiero rivoluzionario […] cioè il marxismo».32 In questo modo Sartre compirebbe quel tentativo di conciliazione tra Kierkegaard e Marx che mostrerà il suo scacco con la dissociazione tra momento negativo e momento positivo della Rivoluzione durante la contestazione del 1968; certificando la crisi del marxismo che da filosofia della prassi rivoluzionaria diviene pura negazione dei valori della tradizione, rovesciandosi quindi nel nichilismo della società opulenta. Più volte Del Noce ha indicato la causa di questo rovesciamento del marxismo nel nichilismo attraverso la categoria della dissociazione tra materialismo dialettico e materialismo storico, tra momento rivoluzionario positivo e momento dissacratore dei valori: una frattura interna al pensiero marxista che determinerà la sua incapacità di combattere l’affermazione della società opulenta.33

Eppure per Del Noce «il non necessario prolungamento sartriano» della filosofia heideggeriana non rappresenta solo uno degli sviluppi possibili: si è già visto come lo scacco di Sein und Zeit, nella celebrazione di una finitezza senza redenzione, conduca secondo il filosofo italiano alla convergenza tra Heidegger e Nietzsche. Se da un lato l’incontro con il pensiero nietzschiano sembra porsi nella forma del cedimento involontario, dall’altro la rielaborazione sartriana si realizza nei termini di completo stravolgimento del pensiero heideggeriano che, infatti, passa da una sostanziale apoliticità alla prassi rivoluzionaria. Il tentativo sartriano, dunque, andrebbe proprio ad aggiungere l’elemento che più di tutti mancava nell’opera del 1927 di Heidegger: in Sartre, la filosofia heideggeriana trova la sua uscita politica e conclude nell’adesione al marxismo.

Un ontologismo di Heidegger?

Ne Il problema dell’ateismo Del Noce si interroga sull’opportunità di considerare la filosofia heideggeriana come una forma immanentista di ontologismo:34 «ha senso parlare di ontologismo non cristiano? Una simile domanda, ignota fino a qualche decennio fa, assume oggi un particolare significato dopo Carabellese e Heidegger […] Nei riguardi di Heidegger è da osservare come l’ontologismo non fosse mai penetrato […] nella Germania del “Rinascimento dopo la riforma” […] e come oggi inserito in questa tradizione, assuma l’aspetto di ritorno alla prima filosofia greca».35 Del Noce, tuttavia, precisa anche che fino agli inizi del ’900 l’ontologismo era stato una prerogativa dei «paesi cattolici» (se si esclude Von Baader), sottintendendo probabilmente che esso abbisogna di quella trascendenza che in Heidegger, assunta l’essenza interpretativa nietzschiana sul moderno, deve essere rifiutata apriori.

Seppur non precisando chiaramente questa linea interpretativa, Del Noce sembra riconoscere la necessità per la coerenza del pensiero heideggeriano di un’apertura metafisica verso l’Assoluto;36 quell’Essere che Heidegger ci descrive capace di fornire la donazione di senso essenziale affinché si dischiudano nella storia i significati e i valori di ogni nuova epoca. L’idea di una finitezza senza redenzione non può che condurre alla volontà di superare sé stessa, dato che «dalla tragedia bisogna uscire se si vuole vivere – e non parliamo tanto di grandezza, perché la tragedia vissuta è miseria e non grandezza – si cerca una dottrina d’azione».37 Ma tale apertura verso l’assolutamente Altro non conduce Heidegger alla contraddizione di dover pensare l’Essere trascendente nei termini immanenti e antimetafisici dei Contributi alla filosofia?38

La riflessione del secondo Heidegger deve riuscire, infatti, a delineare l’Essere all’interno di un modello metafisico immanentista per non alimentare ulteriormente quell’entificazione dell’Essere tipica del pensiero filosofico occidentale. Ad Heidegger si pone inoltre il problema teoretico di temporalizzare l’Eterno senza eguagliarlo alla temporalità degli enti della realtà o della realtà stessa. Questo tema essenziale lo guida nei Contributi alla formulazione di espressioni di questo tipo: «L’Essere è la vibrazione dell’accadere divino […] Questa vibrazione allarga il gioco dello spazio-tempo in cui esso stesso viene all’aperto come rifiuto. L’Essere è così l’evento (Er-eignis) dell’appropriazione (Er-eignung) del Ci, quell’aperto in cui esso stesso vibra».39 La torsione costante, alla quale Heidegger deve sottoporre il linguaggio nel tentativo di significare l’essenziale presentarsi dell’Essere, riflette la difficoltà di guadagnare teoreticamente la designazione di un’alterità assoluta all’interno di un modello metafisico immanentista. Tale giudizio, non elaborato in maniera palese da Del Noce, sembra confermato da questo passo decisivo:

Ora, che forma deve assumere l’ontologismo per potersi riaffermare dopo Gentile? Si incontrano in questa ricerca il problema Carabellese e il problema Heidegger; ma in entrambi il ritrovamento dell’ontologismo è associato alla conservazione dell’orizzonte storico gentiliano, certamente riformato dal primo nel senso del primato del pensiero italiano, e rovesciato dal secondo, ma non criticato né dall’uno né dall’altro nel suo presupposto immanentistico. Può essere questo il segno dei limiti della loro ripresa dell’ontologismo.40

Il non detto di questo passo appare fondamentale: non è proprio l’adesione a-problematica alla concezione dello sviluppo della storia della filosofia moderna in termini di processo verso l’immanenza assoluta il fattore determinante per lo scacco heideggeriano? In altro modo: se è vero che Gentile ha realizzato «la filosofia del primato del divenire, chiarendone l’esito antimetafisico»,41 quale altra opzione per Heidegger, per affermare un effettivo ontologismo, se non procedere ad una negazione del principio di immanenza ed aprirsi ad un modello metafisico della trascendenza?

Proprio in relazione alla comprensione della storia della filosofia moderna come processo di immanentizzazione Del Noce giunge all’accostamento tra la filosofia gentiliana e la riflessione di Heidegger: tanto l’attualismo quanto l’esistenzialismo-ontologismo heideggeriano, in fondo, non si presentano come due tentativi di riconfigurazione della metafisica in termini immanentisti che ricadono necessariamente nella figura del nichilismo nietzschiano?

Heidegger e la storia della filosofia

A questo punto l’interpretazione delnociana di Heidegger sembra aver assunto lineamenti ben precisi. Del Noce compie un passo ulteriore rivolgendo la propria attenzione all’opera dedicata da Heidegger a Nietzsche nel 1961. All’inizio dell’introduzione de Il problema dell’ateismo Del Noce aveva ricordato come già in Heidegger si fosse posta la centralità della domanda sulla storia della filosofia: per il filosofo tedesco tutta la metafisica da Platone42 in poi è segnata da un incremento del momento soggettivistico che troverà la sua esaltazione massima nel pensiero moderno, preparando la contemporaneità all’affermarsi del dominio della tecnica pura.43

L’interpretazione heideggeriana si nutre di una visione decadente della filosofia moderna che si avvale di una determinata ermeneutica del pensiero cartesiano44 come punto di svolta per l’assolutizzazione del momento soggettivistico nel pensiero occidentale. Tale processo si compirebbe secondo Heidegger in due filosofie definitivamente alternative: la soggettività assoluta dello Spirito hegeliano45 e la volontà di potenza di Nietzsche. Questa valutazione conduce Heidegger ad una posizione fortemente critica rispetto al pensiero filosofico moderno che lo spinge verso «un ritorno alla prima filosofia greca»:46 il decisivo «passo indietro» nasce dall’esigenza di superare la crisi della metafisica moderna; ma «il giudizio sulla crisi da chi può essere pronunziato se non da una filosofia che si costituisca e sia valida indipendentemente dalla storia della filosofia?47». Si riporti ora un passo fondamentale:

La condanna radicale del mondo moderno non può non cercare, per essere coerente, la sua espressione politica. Ora, in questa espressione, non ha potuto raggiungere la realtà storica che nella forma del fascismo – inteso come termine unificante le sue tre tappe, Action française, fascismo italiano, nazismo […] – in una forma misurata filosoficamente, nel suo esito ultimo, dal tipo irrazionalistico dell’ateismo, cioè dal nichilismo e, dal punto di vista sociale, esprimente la forma borghese della reazione […] Così che la condanna del «nichilismo del mondo moderno» si sarebbe tradotta necessariamente […] nel concorso a una posizione che dà luogo alla più assoluta delle forme di nichilismo! Non c’è, per chi parte da questa condanna, che un’alternativa: la dichiarazione che la catastroficità è irreparabile, e non oltrepassabile praticamente: ma allora il risultato sarà una forma di passività assoluta, che non può tradursi, che nel dir sì a qualunque cosa e a chiunque, che si connette a un’aspirazione, a un «Dio venturo», che resta però assolutamente senza forma, che dunque è il nulla, o la nostalgia di un «Dio passato» non restaurabile; in ogni caso a quella contraddittoria condanna atea dell’ateismo.48

Come evitare qui di pensare al pensiero heideggeriano, tanto nel suo momento esistenzialista, quanto nel suo sviluppo nella forma della Seinsgeschichte? Come già osservato, la domanda sulla storia della filosofia moderna conduce al riconoscimento di un progressivo processo di immanentizzazione al quale ci si deve necessariamente opporre se ci si vuole collocare oltre la modernità. Tuttavia il rifiuto a priori della possibilità della trascendenza conduce il pensiero contemporaneo verso l’impossibilità di indicare un’alternativa effettiva. In tal modo il superamento della modernità viene a realizzarsi come nichilismo strutturale; ma il nichilismo, si è visto, richiede un superamento per non diventare disperazione. Si assiste allora alla mistificazione di alcune categorie teologiche: si arriva a prospettare un Dio futuro (che tanto somiglia ad un nulla)49 o un Dio passato ormai troppo distante per essere recuperato. Agli occhi di Del Noce tutto ciò realizza quello contraddittoria “condanna atea dell’ateismo” che manifesta la propria contraddittorietà nello scadere in posizioni irrazionalistiche destinate a misurare fenomeni politici di matrice fascista. È questa, infatti, secondo Del Noce, una delle conclusioni possibili per il pensiero heideggeriano: incapace di collocarsi oltre l’assolutizzazione del momento immanentistico della storia del pensiero moderno, Heidegger si ritrova invischiato nella celebrazione dell’irrazionalismo politico del nazismo che, a sua volta, intendeva promuovere una società completamente liberata dalla tradizione e dal cristianesimo.

In questo senso, per Del Noce, l’irrazionalismo vitalistico-attivistico gentiliano troverebbe espressione nella teoria politica del fascismo italiano in un modo esattamente opposto a come l’irrazionalismo anti-vitalistico destinale di Heidegger troverebbe un’uscita politica nel nazismo tedesco: se per Gentile l’adesione attiva al fascismo rappresenta la definizione di «una rivoluzione ulteriore alla rivoluzione marxista, di cui la sua filosofia sarà la coscienza critica, in quanto superiore forma spiritualistica della filosofia della prassi»;50 per Heidegger l’adesione passiva (seppur parziale e temporanea) alla politica nazista si potrebbe definire nei termini di una «accettazione consapevole di un destino irrevocabile»51 che si definisce a partire dal rifiuto della metafisica, di ogni valore tradizionale e del cristianesimo, ovvero a partire dall’adesione all’assunto centrale del pensiero di Nietzsche.

Tale somiglianza nella differenza tra Heidegger e Gentile comporta l’interrogazione sul processo evolutivo della storia della filosofia da Cartesio a Nietzsche: «in sostanza Heidegger dà un’interpretazione soggettivistica della storia della filosofia moderna, che è assai simile a quella del Gentile, salvo naturalmente la trascrizione in senso pessimistico, anzi catastrofico».52 L’incontro con l’interpretazione della storia della filosofia heideggeriana, pertanto, consente la definitiva valutazione sulla filosofia gentiliana: «se si volesse scrivere su Heidegger e Gentile, bisognerebbe dire che il primo conferisce alla storia della filosofia gentiliana il suo reale significato: il processo della storia del pensiero descritto da Gentile non va verso la vera filosofia, come egli pensava, ma verso il nichilismo».53 Emerge in questi termini la grandezza filosofica di Giovanni Gentile che si porrebbe come il filosofo della conclusione nichilistica necessaria del pensiero moderno per come è stata sviluppata da Heidegger nel suo Nietzsche: «penso sia possibile dire che la filosofia di Heidegger è la verità della filosofia di Gentile, quella verità di cui Gentile non si accorse, o che la filosofia di Gentile è la conferma ante litteram della diagnosi di Heidegger».54

Tesi che si può comprendere solo se si riconosce la dipendenza teoretica di Gentile da Nietzsche. Del Noce è estremamente convinto che l’esaltazione del momento del divenire nel filosofo dell’attualismo non possa che condurre ad una forma di attivismo vitalistico che segna la sua convergenza verso la categoria nietzschiana di volontà di potenza (e su questo elemento si compie l’incontro con l’attivismo irrazionalista fascista). Del Noce è convinto che in Gentile si esprima il momento massimo della negazione di ogni possibile metafisica: quale altra connotazione teorica se non l’individualizzazione assoluta del concetto di volontà di potenza sradicato da ogni suggestione schopenhaueriana?

Posizione questa che si ritrova ancora nel Giovanni Gentile dopo più di venticinque anni: «la nietzscheana volontà di potenza è ciò in cui deve tradursi l’inquietudine e il ritorno all’interiorità di S. Agostino quando l’agostinismo venga completamente separato dal platonismo e dal teismo trascendente. L’attualismo ne è la riprova […] e non può non venire in mente la tesi di Heidegger sulla conclusione in Nietzsche della filosofia occidentale, così che l’attualismo servirebbe da riprova della tesi heideggeriana».55 Per Del Noce l’attualismo, inteso come agostinismo separato da platonismo (inquietudo senza trascendenza), non può che ricadere nella figura della volontà di potenza e nella celebrazione del nichilismo: «in questo agostinismo completamente separato da platonismo, in questo idealismo che vuole essere congedo radicale del mondo delle idee, nel ritorno all’interiorità, anziché le verità eterne, si incontra la volontà di potenza».56

È su questo piano che si realizza la strana convergenza tra Heidegger e Del Noce: il filosofo italiano si rende conto di condividere la valutazione heideggeriana sul significato della filosofia di Nietzsche57 e sul valore della filosofia moderna nel suo percorso immanentista che da Cartesio conduce al pensiero tecnico. Eppure Del Noce non può fare a meno di chiedersi se l’interpretazione della contemporaneità come degenerazione incontrovertibile non rifletta in Heidegger quel giudizio sulla “irreparabilità” della crisi che caratterizza l’esistenzialismo in toto: infatti, precisa Del Noce, «l’esistenzialismo non è consapevolezza o superamento della crisi perché è proprio mancanza della consapevolezza di essa a permettere il suo costituirsi come filosofia […] crisi in quanto sofferta e vista come naturale e insuperabile (e perciò rivelativa della condizione ontologica dell’uomo)».58

Si intuisce allora quale sia per Del Noce l’errore di Heidegger: partito da una forma peculiare di esistenzialismo anti-cristiano, il filosofo tedesco sarebbe caduto nell’esaltazione tragica della finitezza che lo ha condotto all’affermazione dell’insuperabilità del pensiero nietzschiano. In questo modo all’escatologismo della modernità si sarebbe sostituito quel nichilismo della contemporaneità di cui Heidegger è stato il profeta: ci si potrebbe chiedere se ciò che Heidegger ha contestato a Nietzsche, non valga anche per il filosofo di Meßkirch; ovvero se il non rendersi conto di essere totalmente all’interno della storia del nichilismo caratterizzi tanto il pensiero di Nietzsche quanto quello di Heidegger. E se questo è vero, si potrebbe pensare che la ridefinizione delle proprie posizioni, dal primo al secondo Heidegger, venga a certificare l’esito nichilistico di un pensiero filosofico che, da Sein und Zeit in poi, ha testimoniato l’esigenza di una trascendenza senza poterla in alcun modo affermare.

È chiaro come Del Noce abbia trovato in Heidegger una generale conferma della propria valutazione del moderno: una somiglianza interpretativa che può stupire, ma che nello stesso tempo impone una rivalutazione del valore e del significato della filosofia degli ultimi quattro secoli. Diversamente da Heidegger, però, Del Noce non è disposto ad accettare la visione unitaria della storia della filosofia moderna dato che essa tende «a duplicarsi in due direzioni: quella che va da Cartesio a Hegel, di impronta razionalistica, e quella che va da Cartesio a Rosmini, di impostazione teistico-trascendente».59 È proprio su questo punto che la comprensione della filosofia moderna delnociana si separa da quella di Heidegger: non si può pretendere di condannare in assoluto la totalità del pensiero moderno perché questo significherebbe prendere le distanze da quel fondamentale concetto di libertà60 che emerge a partire dal Rinascimento e che impregna di sé tutta la storia filosofica successiva. Si potrebbe forse dire che il «che cosa», che costituisce la domanda fondamentale della modernità (la richiesta di una reale libertà), vada separato da quel «come» (il razionalismo e l’immanentismo) che ha egemonizzato la riflessione filosofica europea. Va detto anche che Del Noce non può accettare la diagnosi heideggeriana sull’uscita nichilistica della modernità: la genesi del nichilismo contemporaneo non può essere identificata, secondo Del Noce, con l’avanzare della categoria del Soggetto nella storia della metafisica, quanto nell’«opzione prima che sta a fondamento del razionalismo»,61 ovvero nel rifiuto postulatorio di ogni trascendenza. Anche la filosofia heideggeriana dunque è invischiata nel grande presupposto del razionalismo moderno pur volendo in ogni modo contrastarla: ciò è testimoniato dal fatto che lo sviluppo ontologista del proprio esistenzialismo può trovare un’autentica realizzazione solo a partire da una nuova riscoperta della categoria della trascendenza.


  1. Si veda A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Bologna 1964, pp. 27-28. Qui Del Noce cita Heidegger nella nota 20 solo in quanto autore di un «celebre saggio» sul mito di Anassimandro. Più avanti, nella nota n. 112 a p. 178, il filosofo tedesco è ricordato per la sua definizione di Nietzsche come «unico credente del secolo XIX». ↩︎

  2. Op. cit., pp. 9-10: «La problematizzazione del fenomeno dell’ateismo, come dato primo dell’attualità storica, problematizzazione resa necessaria così dalla forma problematica (postulatoria) in cui l’ateismo di oggi è costretto a presentarsi, come dalla chiara consapevolezza, raggiunta negli ultimi decenni, che esso è il momento ultimo di quella direzione filosofica che definirò come razionalismo, importa quale questione teoreticamente prima, quella della visione ordinaria della storia della filosofia […] Nell’apertura di tale questione è la domanda ultima a cui porta l’esistenzialismo teologico, domanda che conclusivamente coincide con quella del significato rigoroso che si deve dare al termine ontologismo (tale essendo, a giudizio di chi scrive, il problema della filosofia dopo Heidegger)». ↩︎

  3. Op. cit., p. 577: «Ora, che forma deve assumere l’ontologismo per potersi riaffermare dopo Gentile? Si incontrano in questa ricerca il problema Carabellese e il problema Heidegger; ma in entrambi il ritrovamento dell’ontologismo è associato alla conservazione dell’orizzonte storico gentiliano […] non criticato né dall’uno né dall’altro nel suo presupposto immanentistico». ↩︎

  4. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 10, nota 1. Si legge a seguire: «Dove dobbiamo noi cercare il punto terminale della filosofia moderna? In Hegel o piuttosto nell’ultima filosofia di Schelling? E che accade con Marx e Nietzsche? Si sono essi già sviati dalla filosofia moderna? Se no, come determinare la loro situazione? […] Ove è chiaro – commenta Del Noce – che se non è detta la mia tesi, che la domanda portata sulla storia della filosofia è il problema primo per la filosofia dopo Marx e Nietzsche (cioè dopo l’ateismo), siamo ad un passo». ↩︎

  5. Ne Il problema dell’ateismo Del Noce cita più volte Heidegger. In particolare dimostra di conoscere il «celebre saggio di Heidegger» dedicato al mito di Anassimandro, Sein und Zeit (1927), Vorträge und Aufsätze (1954), Holzwege (ed. del 1957), ma soprattutto il Nietzsche (1961), tutti ricordati nelle loro edizioni tedesche. Il filosofo italiano cita, invece, in francese il Qu’est-ce que la philosophie? (1957). ↩︎

  6. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 181. ↩︎

  7. M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen 1961, tr. it., Nietzsche, Adelphi, Milano, 1994. ↩︎

  8. G. Lukàcs, Die Zerstörung der Vernunft, Berlin 1954, tr. it., La distruzione della ragione, Torino 1959. Del Noce non manca di sottolineare la parzialità della posizione lukácsiana che, a suo avviso, si limita a configurare il nesso Nietzsche-nazismo, non riuscendo a tematizzare l’essenzialità del pensiero metafisico del filosofo di Röcken per la comprensione della filosofia moderna. ↩︎

  9. Sul rapporto Marx-Nietzsche si veda in A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 348, i passi dedicati alla conclusione della filosofia classica tedesca che conduce alle: «due forme assolutamente opposte e inconciliabili di Marx e Nietzsche […] Nella storia abbiamo due posizioni essenziali di ateismo, l’ateismo negativo, o quel che suol dirsi nichilismo, che consiste nella dichiarazione della fine di un mondo sovrasensibile che abbia potere di obbligazione. E un ateismo positivo che vuole appunto essere la critica più rigorosa di questo nichilismo». ↩︎

  10. A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna 1990, p. 40. ↩︎

  11. M. Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, Genova-Milano 2011, p. 332. ↩︎

  12. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 350. ↩︎

  13. Si vedano, ad esempio, i saggi di M. Heidegger, Vom Wesen des Grundes, Frankfurt 1995, tr. it. M. Heidegger, Sull’essenza del fondamento, in Segnavia, Milano 1987 e M. Heidegger, Die Überwindung der Metaphysik, in Gesamtausgabe band 67, Frankfurt am Main 1999, tr. it. M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica, in Saggi e discorsi, Milano 1976. ↩︎

  14. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 144. ↩︎

  15. Op. cit., pp. 181-2: «Si può parlare a proposito di Nietzsche di crisi tragica dell’ateismo nel senso che una negazione totale, senza conservazione, del cristianesimo, la ricerca, insomma, di un anticristianesimo che non abbia più neppure alcun aspetto eretico, vuol dire negazione, oltreché dell’ateismo anche della religiosità; e conclude a una posizione non più vivibile, quindi alla follia». ↩︎

  16. F. Nietzsche, Der Wille zur Macht, Stoccarda 1996, tr. it. F. Nietzsche, La volontà di potenza, Milano, 2001, p. 3: «Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può più venire in altro modo: l’insorgere del nichilismo […] Un tale avvenire parla già per cento segni, questo destino si annuncia ovunque». ↩︎

  17. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 135. ↩︎

  18. Sulla correttezza di questa interpretazione il dibattito è ancora aperto. Lo stesso Heidegger rifiutò l’associazione del suo pensiero all’esistenzialismo, pubblicando nel 1947 Über den «Humanismus» (M. Heidegger, Über den «Humanismus», Frankfurt am Main 2010, tr. it. M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, Milano 1995) nel quale in particolare prende le distanze dalle posizioni dell’Esistenzialismo è un umanismo di J.P. Sartre (J.P. Sartre, L’existentialisme est un humanisme, Gallimard, Parigi 2017). Dovendo rimandare ad altro luogo la discussione di questo tema, si può fare la seguente osservazione: il rifiuto netto dell’accostamento all’esistenzialismo sembra quasi obbligato per Heidegger perché certificherebbe l’insufficienza degli sviluppi teorici successivi al 1927. Un Heidegger esistenzialista, infatti, significa un Heidegger limitato al tentativo di Sein und Zeit che non procede alla configurazione di quella relazione essenziale tra l’Essere e l’Esserci che caratterizzerà il resto della sua vita. Forse si potrebbe legare questa insufficienza teoretica all’impossibilità per il pensatore tedesco di superare Nietzsche all’interno di una prospettiva anticristiana e antimetafisica della pura immanenza. ↩︎

  19. Si vedano tra i tanti J. Taubes, Abendländische Eschatologie, Bern 1947 tr. it. J. Taubes, Escatologia occidentale, Milano 1997, M. Borghesi, L’era dello Spirito, Secolarizzazione ed escatologia moderna, Roma 2008, K. Löwith, Von Hegel zu Nietzsche, Zürich 1941, tr. it K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Torino 1949. Rispetto al nostro autore si sottolinea A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, Torino, 1970. ↩︎

  20. M. Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, op. cit., p. 70. ↩︎

  21. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 97. Corsivo nostro. ↩︎

  22. Op. cit., p. 243. ↩︎

  23. A. Riili, Augusto Del Noce. Interprete del marxismo, Padova 2018, p. 30. ↩︎

  24. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 261. ↩︎

  25. A riguardo Del Noce ricorda l’opinione espressa dal filosofo neoidealista sul Da Hegel a Nietzsche di Löwith in B. Croce, Discorsi di varia filosofia, vol. I, p. 113: «che è quanto di meglio si possegga sull’argomento, se anche non sia rischiarato dalla persuasione che la storia che vi si narra, è storia di una decadenza filosofica o, in ogni caso, di una non-filosofia». ↩︎

  26. N. Bobbio, La filosofia del decandentismo, Torino 1944. ↩︎

  27. M. Heidegger, Essere e tempo, Milano 2006, p. 371. ↩︎

  28. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 97, nota 75. ↩︎

  29. Va precisato che Del Noce non sviluppa ulteriormente questo spunto, fors’anche per una non precisa valutazione del secondo momento della filosofia heideggeriana. Eppure sembra possibile estrapolare dal detto de Il problema dell’ateismo la tesi per la quale l’ontologismo in Heidegger possa realizzarsi solamente attraverso un’apertura metafisica verso la trascendenza. ↩︎

  30. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 41, nota 32. ↩︎

  31. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 39. ↩︎

  32. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 38. ↩︎

  33. Si veda su questo A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, Milano 1970; A. Del Noce, Interpretazione filosofica del surrealismo, in Rivista di Estetica, Anno X – fascicolo 1 – Gennaio-Aprile 1965; G. Nocerino, La filosofia di fronte alla dissoluzione. Il suicidio della rivoluzione nel pensiero di Augusto Del Noce, in Rivista di Filosofia Neo-scolastica, XCIX, Gennaio-Marzo 2007, p. 65-86. ↩︎

  34. L’autore fa riferimento alla definizione di ontologismo di Lalande ricordata in A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 104: «credenza della possibilità di un’unione intima e diretta dello spirito umano col principio fondamentale dell’essere, unione costituente insieme un modo di esistenza e un modo di conoscenza estranei e superiori alla esistenza e conoscenza normale». ↩︎

  35. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 106. ↩︎

  36. In A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 29 si legge: «non si può anche parlare, con una certa ragione, di uno spinozismo di Heidegger?». ↩︎

  37. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 144. ↩︎

  38. M. Heidegger, Beiträge zur Philosophie, Frankfurt Am Main 1994, tr. it. M. Heidegger, Contributi alla filosofia, Milano 2007. Testo considerato da più parti come emblema del fallimento heideggeriano, i Contributi vanno ritenuti «la seconda opera capitale» di Heidegger, secondo la definizione di O. Pöggeler, evoluzione-trasformazione della prospettiva di Essere e tempo. Nei Contributi si indaga la possibilità di quella relazione con l’Essere che si celebra nella forma dell’Evento (Er-eignis), quell’attimo decisivo che realizza «la simultaneità spazio-temporale per l’Essere e l’ente» (p. 40) laddove lo spazio-tempo «è solo il dispiegarsi dell’essenza dell’essenziale permanenza della verità» (376). Qui Heidegger cerca di mostrare l’ambiguità del rivelarsi del fondamento il quale per essenza, nel momento in cui si propone allo sguardo, si cela e indugia nella sua abissalità. ↩︎

  39. M. Heidegger, Contributi alla filosofia, cit., p. 244. ↩︎

  40. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 577. Corsivo nostro. ↩︎

  41. A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano 1978, p. 121. ↩︎

  42. Interessante ricordare come lo stesso Platone venga ricondotto all’interno di questa storia del soggettivismo metafisico in quanto per Heidegger è la «correttezza della visione» del filosofo, e quindi un momento fondato sull’individualità del soggetto, a garantire una presa effettiva della verità nel modello metafisico di Platone. Si veda su questo M. Heidegger, Platons Lehre von der Wahrheit, Frankfurt am Main 1997, tr. it. M. Heidegger, La dottrina platonica della verità, in Segnavia, cit., pp. 159-192. ↩︎

  43. Sono celebri le posizioni catastrofiste che muovono da questo assunto e che condurranno il filosofo tedesco verso una visione drammaticamente apocalittica. Ci si chieda se la fiducia heideggeriana in un possibile nuovo inizio storico-destinale della Seinsgeschichte non venga in questo modo compromesso dall’esaltazione della definitività della tecnica. Si veda su questo le due posizioni alternative di E. Severino, Essenza del nichilismo, Milano 1982 e G. Vattimo, Scritti filosofici e politici, Milano 2021. ↩︎

  44. Si noti come Del Noce valuti «assai poco persuasive» le pagine che Heidegger dedica a Cartesio nel suo Nietzsche. ↩︎

  45. Ci si potrebbe domandare se la «storia dell’essere» heideggeriana, piuttosto, non debba riconoscere la propria dipendenza dalla storia dello Spirito hegeliana della quale potrebbe essere presentata come una trasvalutazione in termini a-razionali e a-logici. Se Hegel ha tentato di ricondurre in unità ogni momento della storia del pensiero filosofico, senza poter lasciare nulla al di fuori; Heidegger ha inteso valorizzare il concetto di Seinsgeschichte a partire da quei rari momenti di espressione dell’Essere che inaugurano una nuova epoca e che si rivelano nel linguaggio poetico. Su questi temi, si vedano M. Vegetti, Hegel e i confini dell’Occidente, Napoli 2005; L. Ruggiu, Lo Spirito è tempo, Milano 2013; F. Chiereghin, Tempo e storia. Aristotele, Hegel e Heidegger, Padova 2000. ↩︎

  46. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 106. ↩︎

  47. Op. cit., p. 75. Questa frase spiega i due diversi modelli di Del Noce e Heidegger: il primo vuole problematizzare la storia dell’ateismo moderno, indagandone i fondamenti, a partire dalla rivelazione cristiana che non si legittima in termini storici; il secondo pretende di ricongiungersi ad un passato arcaico nel quale il pensiero non era ancora stato ridefinito in termini soggettivistici. Da qui la rivalorizzazione dei filosofi presocratici. ↩︎

  48. Op. cit., p. 77. Corsivi nostri. ↩︎

  49. Si noti come Heidegger, per non cadere nella metafisica entificazione dell’Essere, sia condotto all’affermazione di una particolare convergenza tra Essere e Nulla che sembra suggellare questo passo delnociano. Si citi ad esempio M. Heidegger, Contributi alla filosofia, op. cit., p. 268: «Il nulla non è negativo né è una meta, bensì è l’essenziale vibrare dell’Essere stesso ed è perciò più essente di qualsiasi ente». Corsivo di Heidegger. ↩︎

  50. A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna 1990, p. 363. ↩︎

  51. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 97, la già ricordata nota 75. ↩︎

  52. Op. cit., 350. ↩︎

  53. A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, cit., p. 13. ↩︎

  54. Op. cit., p. 123. ↩︎

  55. A. Del Noce, Giovanni Gentile. Per un’interpretazione filosofica della storia contemporanea, cit., p. 343. ↩︎

  56. Op. cit., p. 40. ↩︎

  57. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 349-50: «l’esperienza nietzscheana del nichilismo – secondo cui è svalorizzazione dei valori supremi – è essa stessa nichilista. Però in questo compimento ne mette in luce l’essenza. Quale? È nota la risposta di Heidegger: la metafisica della volontà di potenza è il vero compimento della storia della metafisica occidentale, in quanto essa ha dimenticato l’essere per l’essente. Certo conclusione in primo luogo della cosiddetta filosofia moderna dal ’600 al ’900». ↩︎

  58. Op. cit., p. 261. ↩︎

  59. M. Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, cit., p. 155. Tale duplicità conduce Del Noce alla valorizzazione del pensiero di Giovanni Gentile, il quale avrebbe tentato una conciliazione “assolutamente non eclettica” tra le due. ↩︎

  60. Su questo tema si confronti A. Paris, Le radici della libertà, Genova-Milano 2008; C. Vasale e G. Dessì, Augusto Del Noce e la libertà, Torino 1996. ↩︎

  61. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, cit., p. 17. ↩︎