Recensione a Giuseppina De Simone, La rivelazione della vita. Cristianesimo e filosofia in Michel Henry

Giuseppina De Simone, La rivelazione della vita. Cristianesimo e filosofia in Michel Henry, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, pp. 187.

La rivelazione della vita è uno studio di grande interesse per chiunque desideri approfondire e meglio comprendere la fenomenologia di Michel Henry. Attraverso un’analisi lineare e insieme complessa dello sviluppo fenomenologico delle opere di Henry, la De Simone conduce il lettore alla riscoperta e al disvelamento del ruolo centrale che la vita, l’interiorità e il cristianesimo assumono nell’intera filosofia dell’autore, e soprattutto focalizza l’attenzione e apre a nuovi spunti di studio e riflessione sul delicato rapporto tra filosofia e teologia oggi.

La prima parte dell’opera ripercorre l’intero sviluppo della filosofia henryenne, a partire dalle riflessioni sulla vita — che viene posta al centro dell’intero percorso speculativo — secondo un filo logico-temporale che permette di individuare anche le fonti principali di Henry, da Spinoza a Maine de Biran a Meister Eckhart; da quest’ultimo in particolare, «espressione altissima della mistica medievale», Henry riprende la focalizzazione dello sguardo verso l’interiorità quale luogo di eccellenza per la rivelazione dell’assoluto, di dio. La rivelazione della vita è costruito in modo da poter rileggere i passaggi urgenti della fenomenologia henryenne alla luce dell’approfondimento sul cristianesimo che interessa la seconda parte dell’opera e in un certo senso la seconda stagione del pensiero dell’autore.

Così L’essence de la manifestation, opera cardine del nostro autore, ci appare in questa lettura della De Simone come il punto di partenza di questi studi, come le pagine in cui la manifestazione del sé diventa fulcro del rapporto tra l’essere e la soggettività, secondo una struttura monadica di unità originaria. Va delineandosi una filosofia dell’immanenza, che si poggia sull’affettività quale espressione della vita stessa.

La fenomenologia della vita, quale fenomenologia dell’originario, è fenomenologia materiale ed è di conseguenza una «fenomenologia dell’invisibile»: oggetto del suo esistere è quel pathos inafferrabile, l’invisibile di cui siamo pervasi, l’invisibile di ogni visibilità. Questa essenza pura della vita è ciò che ritroviamo anche nell’arte, unica attività capace di riprodurre non già la realtà ma la vita. E la filosofia condivide con l’arte proprio la ricerca della vita nel suo essere assoluto.

Anche il linguaggio, in una prospettiva fenomenologica materiale, ritrova la propria valenza ontologica ed è grazie alla lettura giovannea del mistero del Verbo che Henry coglie quella identificazione tra vita e Verità che sta alla base della sua filosofia del cristianesimo qui analizzata, alla luce di una convergenza tra filosofia e teologia legate dalla comune radice del proprio sapere, dalla ricerca dell’essere e della verità, una convergenza che rappresenta anche la sfida aperta allo sviluppo del pensiero cristiano e filosofico insieme.

La seconda parte del testo della De Simone è completamente pervasa dall’analisi della svolta cristiana nella filosofia di Henry, a partire proprio dalla coincidenza tra vita e Verità. Il cristianesimo però condivide con la fenomenologia anche la fondamentale percezione del darsi della vita, da cui derivano questioni di primaria importanza e fondatezza: come, per esempio, viene a configurarsi la relazione tra la Vita e il Vivente? Io sono la verità è la prima opera di Henry in cui si approfondisce il ruolo del cristianesimo, in una sorta di commento al vangelo di Giovanni, ritenuta opera fondamentale per queste elucubrazioni. Il ruolo del linguaggio è primario: Giovanni riporta esattamente le parole di Cristo come furono pronunciate e in questa eccezionale sovrapposizione tra parola e soggetto sta la sovrapposizione di vita e verità. Dio è vita assoluta e il suo darsi genera il Figlio, da cui comprendiamo che l’atto di nascita non è un venire al mondo, ma un venire alla vita. Cristo è il Verbo, la sua manifestazione pura, si è fatto carne: questo processo di incarnazione che per la fede cristiana testimonia la presenza di Dio, in Henry assume un altro significato: il filosofo non necessita di dover confermare e provare il dato storico, quanto piuttosto di dover comprendere e identificare un Archi-Carne, ossia la possibilità che Dio potesse farsi carne attraverso il corpo di Cristo. Qui è il nodo dei legami tra gli uomini e non solo, in questo processo di incarnazione che consente la rete di relazioni di quella che è in realtà un’unica vita, la vita di Dio, da cui la relazione tra Figlio e Padre, tra Figlio e gli uomini e degli uomini tra loro. La carne, quindi, non appare più come elemento del mondo, ma della vita a cui radicalmente appartiene.

L’Incarnazione è nel cristianesimo di importanza capillare, perché sinonimo di salvezza per il genere umano, ma in Henry essa rappresenta il nodo di una questione prettamente filosofica che pone domande sulla possibilità di Dio, e quindi della Vita e quindi della Verità, di rendersi visibili a noi. L’Incarnazione non può essere solo un divenire carne in un corpo, perché essa è vincolata al manifestarsi dell’assoluto. A questo proposito sono state mosse delle critiche ad Henry, riportate dalla De Simone, in merito all’annullamento del corpo, come se appunto l’Incarnazione avvenisse non in modo storicamente visibile e dimostrabile ma restasse nell’invisibile della vita. Di più: l’uomo appare non come indipendente dal Dio, ma come sua diretta emanazione, come se l’unità di uomo e Dio fosse all’origine e non al termine di un divenire.

Dopo un’analisi così dettagliata del pensiero henryen da parte della De Simone, l’autrice evidenzia alcune possibilità critiche: Henry trascura il rapporto con il mondo esterno, ridotto a pura esteriorità rispetto alla Vita che pulsa nell’uomo e questo appare in contrasto anche con la dottrina cristiana; non pone attenzione alla storia della salvezza né al ruolo del peccato, rifugiandosi nel proprio argomentare filosofico. Inoltre, pur riconoscendo al cristianesimo un ruolo particolare tra le religioni monoteiste per il rapporto trascendentale dell’uomo con Dio mediato da Cristo, si avverte come elemento sorprendente la connessione tra etica e salvezza, spiegato dalla De Simone con l’analisi dell’agire secondo misericordia considerato come agire secondo etica, là dove l’etica si manifesta come un agire per l’altro reso possibile unicamente dall’immanenza della vita di Dio in noi.

La comprensione della fenomenologia di Henry passa però anche attraverso le riflessioni sull’ambiente che circonda l’autore: una cultura della modernità, della tecnica, dove tutto, persino le emozioni sono oggetto di una riproduzione virtuale, di una menzogna. E proprio quando tutto appare ridotto all’esteriorità, la filosofia è chiamata a ritrovare se stessa come fenomenologia della vita, dell’interiorità e quindi di Dio. Si apre qui, nelle pagine più belle di questo saggio, il confronto con la teologia, preceduta, come la filosofia, dalla rivelazione della verità, e sollecitata a ritrovare il rapporto con la vita vissuta, a ripensare all’uomo e al ruolo della fenomenologia quale materia di studio dell’espressione dei fenomeni.