Recensione a Emanuele Marini, Vita, corpo e affettività nella fenomenologia di Michel Henry

Emanuele Marini, Vita, corpo e affettività nella fenomenologia di Michel Henry, Cittadella, Assisi 2005, 240 pp.

La questione fondamentale su cui poggia il testo di Emanuele Marini è l’analisi delle implicazioni ontologiche dell’io nella prospettiva aperta da Michel Henry. L’autore valuta e sintetizza i diversi momenti attraverso cui si riscopre la singolarità e l’unicità dell’io in quanto vivente, in quanto corpo, nell’ambito di un ripensamento fenomenologico che prende avvio dal ruolo determinante dell’affettività, così come viene intesa da Henry che ne fornisce un’ampia trattazione nel suo testo fondamentale L’essence de la manifestation.

Per quanto riguarda la struttura del testo di Marini si possono rintracciare tre direttrici essenziali all’interno dell’opera: una sintesi del pensiero del filosofo francese attraverso i nuclei tematici dell’Essence de la manifestation; un approfondimento della tematica del corpo che si relaziona e per certi versi critica la speculazione di Main de Biran; infine una ripresa del concetto di vita, che si articola sia da un punto di vista fenomenologico sia da un punto di vista cristiano.

Nello specifico, nella prima parte del lavoro, si nota come al centro della trattazione dell’autore trovino spazio tutte quelle tematiche che caratterizzano l’ambito più prettamente fenomenologico del pensiero di Henry. L’articolazione del testo segue fedelmente la scansione presente nell’Essence: si definisce il concetto di «monismo ontologico» e le sue implicazioni sul piano speculativo, si prende in esame la cosiddetta «filosofia della coscienza», viene approfondita la questione dell’immanenza analizzandone la struttura e le relazioni con ciò che Henry caratterizza come l’ambito dell’invisibile; si approfondisce inoltre il senso e lo statuto ontologico dell’affettività nei suoi diversi aspetti: affettività immanente e intenzionale, affettività e affezione, sensazione e affettività, affettività e azione, affettività e pensiero. Questa prima parte, come giustamente sottolinea l’autore, evidenzia le difficoltà di una filosofia della coscienza concepita esclusivamente nel solco della coscienza intenzionale husserliana, dal momento che conduce irrimediabilmente a una aporia di principio, anzi di fondamento, che la fenomenologia tradizionale non sembra in grado di risolvere attraverso i soli strumenti della coscienza. Per quanto riguarda l’analisi fenomenologica della questione inerente al fondamento, nel testo di Marini vengono in questa prima parte approfondite le argomentazioni principali fornite dalla speculazione ontologica henriniana, si prende in considerazione una possibile via che risolva le aporie legate al monismo ontologico attraverso una nuova fenomenologia, anzi una fenomenologia radicale, che riconduca l’essere all’originarietà della manifestazione, all’apparire dell’apparire stesso che si manifesta a partire da sé, attraverso una modalità nuova: l’immanenza.

Interessante anche la parte del lavoro che sviluppa e focalizza l’ambito più sensibile della fenomenologia di Henry, che si assegna come compito un ripensamento in chiave fenomenologica del corpo. Marini fornisce gli elementi essenziali utili a comprendere in che senso Henry si riferisce al corpo ridefinendone lo statuto ontologico non più relegato al semplice statuto della res extensa, ma da considerare piuttosto come corpo vivente, come corpo umano che si relaziona originariamente alla vita e si riscopre come costituente l’originario stesso dell’io. L’analisi di questa tematica richiede all’autore un confronto tra la corporeità materiale, così come è intesa da Henry, e il pensiero di Main de Biran, il cui merito come è stato rilevato dallo stesso Marini è di aver tematizzato la corporeità come elemento trascendentale per la costituzione ontologica della soggettività, peculiarità notata anche dallo stesso Henry per il quale il «biranismo» è una delle rare filosofie, che si propone di fornire una teoria ontologica dell’io. Gli altri aspetti trattati nel testo si riallacciano alle problematiche originarie del pensiero di Henry tematizzate nell’opera Philosophie et phénoménologie du corps, in cui prende vita un’analisi fenomenologica del corpo, della sua realtà, del rapporto tra l’anima e il corpo, del valore gnoseologico del corpo che è sapere immediato di sé prima di qualsiasi tematizzazione razionale. Inoltre si constatano la triplicità del corpo stesso (corpo soggettivo, corpo organico, corpo oggettivo), la relazione tra corpo e movimento e infine l’esplicitazione del concetto di passività che Marini affronta per strutturare le dicotomie presenti tra il corpo soggettivo prospettato da Main de Biran e la ripresa henriniana del corpo, che diventerà nei suoi scritti successivi «carne impressionale» trasportando la riflessione sulla corporeità dal piano sensibile al piano dell’incarnazione fenomenologica del Cristo. L’elemento messo in luce nel testo è la mancanza nella riflessione ontologica sul corpo svolta da Main de Biran di una «ontologia della passività», che viene invece introdotta da Henry come elemento co-appartenente e co-definente intrinsecamente l’essenza dell’io.

Il terzo aspetto che emerge nel testo di Marini è l’universo riguardante la vita, nell’assolutezza attraverso cui è definita sin dall’Essence de la manifestation dallo stesso Henry, ma che riceve una caratterizzazione più specifica a partire dalle opere più spiccatamente cristiane, relative all’ultima fase della produzione filosofica henriniana. Ben articolato il modo in cui viene affrontato nel saggio il rapporto tra Vita e Verità, intesa come Logos originario, che si relaziona anche alla verità così come è concepita dal cristianesimo: la Verità è Vita.

Gli elementi analizzati dall’autore focalizzano e chiariscono le posizioni prese da Henry nel suo testo C’est moi la vérité. Pour une philosophie du christianisme. A partire da questo lavoro Henry inizia un ripensamento del cristianesimo indagato sotto e attraverso la metodologia fenomenologica. Le problematiche che vengono prese in considerazione nel testo di Marini sono: il rapporto tra il Padre e il Figlio, la condizione dell’essere-figlio, la salvezza intesa nella prospettiva cristiana come Vita assoluta, la Parola della Vita che viene reinterpretata attraverso il Prologo di Giovanni in cui si approfondisce il discorso sulla via, la verità e la vita. Tutto ciò gravita nell’ambito di ricerca che Henry stesso pone come problema originario della «generazione del Primo vivente» e del suo rapporto con l’uomo che risulta compartecipe del «mistero» originario della vita.

Oltre al valore introduttivo di questo lavoro è interessante sottolineare anche gli spunti critici che emergono nella parte conclusiva rispetto alle prospettive e alle possibilità aperte dalla fenomenologia della vita di Henry, di cui si intravedono i possibili limiti. La via della singolarità propugnata con forza dal filosofo francese genera interrogativi riguardanti: la valenza gnoseologica del sapere dell’io singolare su di sé; le limitazioni che un’ontologia diretta impone all’ambito prettamente fattuale del reale; la possibile identità che la riflessione henriniana prospetta tra il soggetto e l’essenza stessa della vita e che si può intendere come Dio; l’unilateralità della proposta di Henry focalizzata nell’ambito prettamente affettivo della vita; la presunta indeterminazione del concetto di passività; e il problema riguardante lo statuto ontologico della libertà che Henry deriva dalla originarietà della non-libertà. Tutti questi elementi forniscono numerosi spunti di riflessione rispetto al pensiero di un autore che attraverso la sua proposta filosofica riporta all’attenzione della fenomenologia l’ambito soggettivo che si allaccia, in modo nuovo rispetto ad Husserl, alla sfera dei vissuti. Questo elemento rintracciato dallo stesso Marini rappresenta un buon punto di partenza per verificare le conclusioni di aporeticità che l’autore del testo rivolge alla proposta fenomenologica dello stesso Henry.