1. La vita
Antonietta Giacomelli nasce a Treviso il 15 agosto 1857, nel palazzo di famiglia, in via Tolpada, oggi sede di Unindustria.1 È figlia di Angelo Giacomelli e di Maria Rosmini. La sua è una famiglia nobile, originaria del Friuli. Il nonno di Antonietta, Luigi (1787-1886), si stabilisce a Treviso nel 1823. Ha importanti incarichi politici, è podestà dal 1852 al 1866, anno in cui riceve in consegna la città nel passaggio tra la dominazione asburgica e l’annessione al regno d’Italia.2 Con i due figli, Angelo e Gianbattista ed il fratello Sante, mette insieme un notevole patrimonio, costituito da possedimenti terrieri nei pressi di Ceggia e di Caorle e dalla fonderia a Treviso, in Santa Maria del Rovere. Nel 1850 acquista la villa Barbaro a Maser allora di proprietà della famiglia Manin, quella dell’ultimo doge Daniele Manin, e la riporta all’antico splendore tra il 1854 e il 1857. Angelo, nato nel 1816 a Trevignano d’Udine, si diploma alla Scuola Superiore di Commercio a Vienna (titolo che equivale alla laurea in ingegneria). A Vienna partecipa ai moti insurrezionali quarantotteschi iniziati nella capitale asburgica il 13 marzo 1848. Rientra a Treviso sin dalla fine di marzo dello stesso anno per schierarsi a fianco degli insorti e combattere negli scontri tra le formazioni dei corpi franchi, che egli stesso aveva contribuito a reclutare, e l’esercito dell’imperial-regio governo.3 Sin da giovanissimo aderisce al programma di Giuseppe Mazzini e nel 1850 fa parte del comitato mazziniano fondato a Mantova e presieduto dal Tazzoli. Sotto pressione da parte della polizia asburgica — la casa di Treviso è perquisita nel 1851 — fugge a Torino attraverso la Svizzera. Torna a casa, forse convinto dal padre, ma viene arrestato e condotto nella prigione veneziana di S. Severo e amnistiato nel gennaio 1852. Nello stesso anno è nuovamente arrestato e imprigionato; tradotto nelle carceri di Mantova è compagno di detenzione di Tito Speri. Può ritornare a Treviso nel 1853, per la sospensione del processo dopo le ‘esemplari’ condanne (i martiri di Belfiore), ma sempre sotto stretta sorveglianza della polizia.
Nel 1854 Angelo sposa Maria, figlia di Pietro, cugino di Antonio Rosmini; il filosofo roveretano, non potendo celebrare personalmente il matrimonio per veto del governo asburgico, compone Ricordi per Maria che si fa Sposa. Dopo tre anni, il 15 agosto, nasce Antonietta nel contesto di una famiglia di nobili origini, cui non mancano un solido patrimonio, impegni politici di tutto rilievo in città, frequentazioni importanti, mentalità aperta alle nuove idee. Sin dai sei-sette anni ha un’istitutrice alsaziana, che le insegna perfettamente il francese, poi una insegnante tedesca e infine una inglese, il che le consente, poco più che adolescente, un’ottima conoscenza delle lingue europee. Preparazione eccezionale, per gli standard del tempo, che, unita alla formazione umanistica (italiano, latino, filosofia e storia) impartitale da Giovanni Milanese, professore al seminario di Treviso,4 mette Antonietta nelle condizioni di avere ottimi strumenti a disposizione. Si tratta certamente di un privilegio, riservato alla figlia di una famiglia nobile e facoltosa, che di per sé non spiega l’eccezionale modernità di Antonietta senza il concorso delle sue doti naturali e dell’impegno profuso che non saranno mai lasciati inattivi nella lunga e operosissima esistenza.
Tra il 1875 ed il 1880 la fortuna dei Giacomelli conosce un rovescio insanabile: la fonderia di Santa Maria del Rovere fallisce; i Giacomelli decidono di pagare integralmente fornitori e debitori. Questo comporta la vendita di tutti i loro averi: la casa di via Tolpada, i terreni, l’amatissima villa di Maser. A 66 anni, nel 1882, Angelo accetta l’incarico di prefetto a Cremona e lì si trasferisce con la famiglia. Per Antonietta inizia la peregrinazione in varie città italiane, seguendo il padre negli incarichi prefettizi: Siena, Reggio Calabria, Piacenza e infine Roma, dal 1892 al 1898. Questo le consente esperienze umane e culturali varie ed interessanti che sfrutta adeguatamente. A Cremona conosce il vescovo, monsignor Geremia Bonomelli, esponente di primo piano del riformismo cattolico. A Roma entra in contatto con Paul Sabatier, autore di una Vie de Saint François d’Assise, pubblicata nel 1893 e posta all’Indice l’anno successivo. Con lui intrattiene, in francese, una lunga ed intensa corrispondenza.5
Nell’ambiente della capitale, tra scandali bancari, crisi politiche, degrado dei quartieri sorti dalle speculazioni edilizie e rampantismo della borghesia, che aveva fatto fortuna nel periodo crispino e poi nei primi anni giolittiani, Antonietta fa conoscenze che saranno fondamentali per la sua formazione culturale. Nella casa romana dove vive con i genitori, in via Arenula, tra largo di porta Argentina e ponte Garibaldi, Antonietta, in collaborazione con un circolo di amici i cui nomi più noti sono quelli di Tommaso Gallarati Scotti, Giovanni Genocchi, Giovanni Semeria, Romolo Murri, Brizio Casciola, dà vita ad una Unione per il bene e lavora assiduamente nella redazione del periodico mensile «L’ora presente», diretto da Giulio Salvadori.6 Il periodico, stampato in migliaia di copie, ha una diffusione notevole, suscita numerose adesioni, soprattutto tra quanti insistono per l’assunzione di nuove responsabilità morali e ‘civiche’, cioè sociali, da parte dei cattolici. L’iniziativa si ispira alla Union pour l’action morale fondata in Francia da Paul Desjardins, che dava voce alle esigenze di rinnovamento morale e di riscossa spirituale. Anche Antonio Fogazzaro, impegnato a Roma al Collegio Romano in una serie di conferenze sull’evoluzionismo, è spesso ospite del gruppo: la sua amicizia con la Giacomelli sarà molto solida e continuerà sino alla morte dello scrittore vicentino, che si ispirerà alla figura di don Casciola per il protagonista del Santo e alle riunioni di casa Giacomelli per le riunioni nell’alloggio dei Selva .7
L’Unione per il bene non è un circolo letterario. L’associazione avvia un numero considerevole di opere di assistenza sociale: una cassa di ‘piccolo prestito’ senza interesse, un asilo infantile, doposcuola, assistenza sanitaria e farmaceutica, un laboratorio di falegnameria, una scuola di cucito. Le iniziative sono rivolte ai bisognosi, in particolare ai residenti nei degradati quartieri, vittime dell’urbanesimo e della crisi edilizia. Si tratta di un centro fervido di iniziative filantropiche, il cui carattere interclassista e interconfessionale ha destato l’interesse degli storici, che hanno approfondito le peculiarità di questo vero e proprio laboratorio democratico.8
Nel 1898 Antonietta si trasferisce a Venezia e, nel 1902, torna a Treviso. Nel Veneto tenta di riprendere quanto iniziato nel periodo trascorso a Roma; in particolare a Treviso fonda la «Società per il bene morale», divenuta poi «Protezione della giovane», e la «Scuola libera popolare», che nel suo programma si prefigge di «raccogliere l’appoggio degli uomini di ogni partito»,9 guadagnandosi le simpatie anche degli ambienti laici e socialisti cittadini, in particolare quelle di Giangiacomo Felissent, sindaco liberal-democratico di Treviso, di Cleanto Boscolo e di Piero Martignon, fondatori dei primi nuclei socialisti a Treviso.10
Nel 1908 partecipa al primo Congresso delle donne italiane, a Roma, e l’anno successivo, a Milano, durante un Congresso nazionale organizzato dall’Unione femminile, tiene una conferenza molto criticata in ambienti ecclesiastici, dal titolo La donna nella famiglia, poi pubblicata.11
In questi primi anni del ’900 inizia il lavoro che porterà alla stesura di Adveniat Regnum tuum12, libro di preghiere con amplissima scelta di passi scritturali. L’opera prevede quattro volumi, in piccolo formato, di cinque-seicento pagine. L’iniziativa, ideata da p. Genocchi, è dovuta alla Pia Società di San Girolamo, in Roma, nell’ambito di un vasto piano di diffusione dei testi sacri in edizione popolarissima, su auspicio dello stesso Leone XIII. L’iniziativa, davvero ‘pionieristica’, anticipa lo spirito del Vaticano II per la diffusione dei testi scritturali e patristici all’interno delle comunità cattoliche. Dei quattro volumi previsti, dal 1904 al 1907, ne sono pubblicati tre, anonimi, anche se tutti sanno chi sia l’autrice.13 L’opera, con l’imprimatur del Maestro dei Sacri Palazzi p. Alberto Lepidi14 e del vicegerente di Roma, patriarca Giuseppe Ceppetelli,15 ha una vasta diffusione nelle famiglie e nelle scuole, fino a quando, nel gennaio 1912, viene posta all’Indice. Nel 1913 la Giacomelli pubblica Per la riscossa cristiana, che appare come una risposta alla condanna; nello stesso 1913 anche quest’opera viene iscritta all’Indice. A Treviso la Giacomelli si ferma sino alla fine del 1909, anno in cui, a causa delle restrizioni, se non delle palesi vessazioni che contro di lei furono messe in atto ancor prima della doppia condanna, si trasferisce a Rovereto.
Molto addolorata e colpita, ma indomita come sempre, nei mesi precedenti il primo conflitto, si avvale di un regolare passaporto per Rovereto, allora territorio asburgico, e porta lettere per i fuggiaschi dalle terre dell’impero verso l’Italia, lasciapassare e piani militari cuciti nelle fodere delle vesti. Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, abbandona Rovereto e si trasferisce di nuovo a Treviso, dove si dedica alla cura dei feriti e all’assistenza dei bisognosi. Nel 1916, con l’aiuto di Giuseppe Corazzin, grande figura di sindacalista cattolico, e del medico e psichiatra Luigi Zanon del Bo, fonda una Alleanza per la morale sociale che, pur nella sua breve vita, si occupa dell’infanzia abbandonata, delle minorenni, delle carcerate.
L’impegno diventa quasi eroico dopo la rotta di Caporetto, nel momento in cui Treviso diventa città di prima linea, gli uffici e le istituzioni vengono trasferite in altre regioni, la città bombardata e quasi tutti gli abitanti sfollati in ogni parte d’Italia. Anche lei è obbligata a trasferirsi a Milano, dove entra in contatto con la Croce Rossa per continuare a prestare soccorso a feriti e sfollati, ma non cessa di recarsi nelle città venete martoriate dai bombardamenti.
Dopo la guerra si ferma a Rovereto e qui fonda, nel marzo 1920, la «Sezione di Rovereto delle Giovanette Esploratrici», da lei chiamate «Volontarie», presieduta da Amelia Filzi, madre di Fabio Filzi, della quale Antonietta si occupa con l’attivismo che la contraddistingue fino al 1927, anno in cui il regime fascista decide per lo scioglimento di tutte le associazioni giovanili che debbono confluire nella GIL. Quella di Rovereto è una delle prime sezioni dello scoutismo fondate in Italia ed è motivo, anche oggi, di commemorazioni e di giornate di studio dedicate dai roveretani ad Antonietta Giacomelli.16 Nella città del Trentino Antonietta risiede stabilmente fino alla morte, attiva, nonostante i quasi novant’anni, anche durante tutto il periodo del secondo conflitto mondiale. Basti pensare che, dopo la spaventosa incursione aerea del 7 aprile 1944, quasi novantenne, torna a Treviso per aiutare i feriti e i senza tetto. Dopo il ’45, alla fine della guerra, a Rovereto, ospite delle Sorelle della Carità, si dedica di nuovo allo scoutismo con la costituzione della Federazione Italiana Guide Esploratrici (gennaio 1946). Nel 1948 è attiva nella fondazione di un’iniziativa «Per un fronte degli Onesti» e ne scrive il programma. Nel novembre 1949, per le conseguenze di una caduta, viene ricoverata in ospedale, dove, in seguito ad un’embolia, si spegne il 10 dicembre. È seppellita a Rovereto nel famedio dei roveretani illustri. .17
2. La produzione
La produzione di Antonietta Giacomelli è davvero notevole per qualità e per quantità. Il Michieli riferisce 75 titoli di pubblicazioni dovute a lei, da un breve racconto comparso nella «Gazzetta di Treviso» del 1880, resoconto di un viaggio sul monte Grappa, sino all’ultimo lavoro, una silloge di articoli pubblicati a Trento nel 1949 cinque mesi prima della morte.
La tipologia di produzione riguarda sostanzialmente: romanzi-diari, quasi romanzi di formazione, largamente autobiografici, molto voluminosi (500-600 pp.), cioè Lungo la via, Sulla breccia e A raccolta, pubblicati tra il 1889 e il 1899, ai quali si deve aggiungere Vigilie (1919) ;18 parecchi articoli apparsi sia nelle riviste di cui era fatta promotrice o a cui aveva collaborato; articoli patriottici pubblicati durante il primo conflitto mondiale; numerosi programmi di iniziative che aveva realizzato o promosso nell’arco di quasi sessant’anni di impegno civile e religioso; ricordi di amici; opuscoli dedicati ai genitori e ai familiari; libri di preghiere come Adveniat Regnum tuum (3 voll. ugualmente di 500-600 pp.) e Per la riscossa cristiana (400 pp.).
A parte una esigua minoranza di pubblicazioni edite a Treviso, le opere più corpose e gli interventi più significativi, che conobbero più ristampe, sono editi a Roma, a Firenze, a Milano e, nell’ultimo periodo, a Rovereto oppure a Trento.
Per questo motivo, e per altre ragioni che diremo subito, si può affermare che Antonietta Giacomelli non è autrice che abbia una collocazione regionale o locale, ma piuttosto che la sua opera si situa nell’ambito della cultura nazionale. A fronte di un giudizio positivo di Croce, che ne rileva la personalità più cristiana che cattolica, la fedeltà alle memorie del risorgimento espresse in opere di commossa partecipazione pur «senza assurgere né alla trattazione teorica, né all’opera d’arte»,19 la storiografia trevigiana poco o nulla si è occupata di lei.20 Al contrario di lei si sono occupati gli studi letterari che la collocano tra le scrittrici più significative tra ’800 e ’900 in grado di affrontare con sensibilità i temi delle trasformazioni sociali con particolare attenzione alla condizione femminile.21 «I suoi romanzi — diario, risposta laica alla narrativa ciclica di ascendenza verista, furono letti come opere letterarie che trasgredivano i confini tra i generi avvicinando il mondo interiore della protagonista al grande tesoro della vita narrata da un personaggio-donna pienamente protagonista nella città moderna».22
I saggi sul modernismo che sono apparsi a livello nazionale si occupano di lei mettendo in evidenza gli aspetti più interessanti della sua opera in rapporto ai temi ‘modernisti’. I giudizi espressi nelle monografie più recenti sono davvero lusinghieri. Riferiamo, a modo di esempio, quanto dice Maurilio Guasco, storico del modernismo: «Si pensi alle iniziative e agli scritti di Antonietta Giacomelli, così poco apprezzati dalle autorità del tempo, ma che dovevano avviare alla comprensione della liturgia intere generazioni di credenti. Una liturgia vivificata, dove il laicato non fosse solo spettatore di riti compiuti dai sacerdoti, ma protagonista di una preghiera che doveva coinvolgere tutta la sua vita, e prima di tutto coinvolgerlo in prima persona nel rito stesso, doveva gradualmente modificare la lex orandi in lex credendi. E la nuova fede che stava germinando implicava anche una visione di una Chiesa che non si esaurisse soltanto nella gerarchia ed esigeva una ecclesiologia che non fosse, usando una espressione ben nota di Congar, soltanto una gerarcologia».23
«Molto più coerente [di altri modernisti] e ansiosa di un’azione riformatrice è invece la Giacomelli, con la sua instancabile attività. Le sue preoccupazioni spaziano in diversi campi, così come le sue pubblicazioni. Forse è lei la più ardente fautrice del rinnovamento liturgico e del conseguente ritorno al cristocentrismo; è lei che parla di fratelli separati, che sogna continuamente opere e iniziative a favore del popolo, che immagina e fonda riviste, che lancia proclami e manifesti».24 Non un’intellettuale o un’erudita chiusa nel suo mondo, ma “apostola e paladina del bene” come la definisce il Michieli, consapevole che la vita della Chiesa è quella della comunità, vissuta e consapevole.
3. Il modernismo e la condanna papale
Prima di affrontare il “modernismo” di Antonietta Giacomelli si porrebbe come necessaria una breve premessa in grado di precisare le principali caratteristiche del complesso movimento. Il condizionale è d’obbligo perché i più importanti storici del periodo sono concordi nel manifestare l’impossibilità dell’impresa.25 Fare la storia del modernismo significa in realtà trattare dei singoli modernisti.26
I temi ricorrenti nelle opere di coloro che vengono indicati come modernisti si possono così sintetizzare: critica dell’apparato dogmatico, condotta anche tramite l’analisi critico-filologica della Bibbia e avvio di una storia ‘scientifica’ della Chiesa; interpretazione antropologica della dimensione umana di Cristo; visione della religione come esperienza umana; uso teologico della filosofia moderna, che permetta anche la sostituzione dell’apologetica classica con metodi e considerazioni derivate dalle ricerche filosofiche, esegetiche, teologiche contemporanee; scissione tra ragione e fede in nome del valore della religiosità dell’esperienza morale; da ultimo forte polemica antiecclesiastica.
Le caratteristiche del movimento sono definite nell’enciclica di Pio X, Pascendi dominici gregis (8 settembre 1907, pubblicata il 16), che condanna le dottrine, presentandole come corpus unitario, mentre sino a quel momento le singole espressioni del movimento non avevano affatto il carattere di una scuola o di un’organizzazione. Il modernismo, seguendo molto sinteticamente il testo dell’enciclica, è definito come la «sintesi di tutte le eresie». Questi i capi di imputazione: al concetto tradizionale di Chiesa voluta da Cristo, luogo di trasmissione della parola di Dio sotto il controllo e la direzione della gerarchia, si contrappone una Chiesa frutto della coscienza collettiva, germinata dal basso; nella comunità che si organizza l’autorità è solo un servizio e non può intervenire in materia che non sia espressamente religiosa. Ne deriva quindi una radicale convinzione della democraticità della Chiesa stessa, una netta separazione tra scienza e fede, tra Stato e Chiesa, autonomi nei loro rispettivi ambiti. L’origine divina della Chiesa va ricercata nello Spirito che è presente nella coscienza collettiva e che viene elargito a tutti in modo simile, senza privilegi particolari e attribuisce ai laici ruoli preminenti, pari a quelli della gerarchia. Con tale condanna l’enciclica interviene come un fulmine nella cultura italiana ed europea colpendo persone e opere, agendo come un farmaco che stronca indifferentemente pericolosi agenti di infezione e forze vive e vitali.
Ma chi erano i principali ispiratori di un movimento di idee tanto difficile da definire? Gli studiosi sono abbastanza concordi nell’indicarli in Maurice Blondel, nella sua filosofia dell’azione e nel metodo dell’immanenza, che influenza in particolare il cosiddetto modernismo filosofico, in George Tyrrel per quanto riguarda la teologia, in Alfred Loisy per la questione biblica e per gli studi di esegesi. In Italia sono due i centri di diffusione delle idee: Roma con la presenza di un buon numero di personalità, tra cui spiccano quelle di Ernesto Buonaiuti e di Romolo Murri, e Milano, in cui i modernisti sembrano trovare protezione nientemeno che nell’arcivescovo cardinale Andrea Ferrari.27 Il modernismo italiano, rispetto a quello europeo, rivela risvolti nuovi. Se in Francia, Germania, Inghilterra sono soprattutto studiosi, eruditi, docenti universitari ad alimentare il dibattito, «in Italia vengono coinvolti movimenti e gruppi di diverse categorie sociali, preoccupati non solo da problemi intellettuali, ma anche pastorali».28 Anche il problema politico, che deve superare l’ostilità pontificia alla partecipazione dei cattolici alla vita politica con un movimento autonomo, viene posto in primo piano con l’opera di Romolo Murri.
4. Ostilità e ripetute critiche
In tale contesto europeo quale la situazione a Treviso? Nel 1903, a pochi mesi dalla sua elezione a pontefice, Pio X nomina vescovo di Treviso il giovane ministro provinciale dei Cappuccini, mons. Andrea Giacinto Longhin, che per tutto il pontificato è in corrispondenza con il Papa e in totale sintonia con le direttive pontificie in fatto di pastorale e di dottrina cristiana. Già nell’aprile 1906, cioè prima della Pascendi, Longhin così si lamenta con il segretario di Pio X, il trevigiano Giovanni Bressan: «Anche a Treviso in questi giorni si è tentato di spargere il seme del modernismo. È venuto qui certo don Brigio Cassiola [sic per Brizio Casciola], alloggiato presso la Giacomelli, e tenne conferenze clandestine con socialisti e signorine più o meno isteriche. Ebbe il coraggio di venire insieme alla Giacomelli a farmi visita prima di partire, ma credo che siasi pentito giacché gli feci capire abbastanza chiaro che a Treviso non sarò mai disposto a permettere nessuna propaganda di idee nuove, anzi queste le combatterò sempre in virga ferrea».29
Il modernismo, infatti, ancor prima di essere condannato dalla Pascendi, era stato al centro delle critiche di giornali “integralisti” e “intransigenti” come «La riscossa» dei fratelli Scotton, che polemizzarono contro il card. Ferrari e «L’Unità cattolica» di Firenze diretta tra il 1905 e il 1915 da don Alessandro Cavallanti. Gli attacchi al modernismo erano iniziati dunque ben prima dell’enciclica pontificia.30 Nel 1900 la Giacomelli era stata attaccata per le sue idee dal gesuita p. Ilario Rinieri che, dalle colonne della «Civiltà Cattolica», critica duramente i romanzi Lungo la via, Sulla breccia e A raccolta per le loro idee patriottiche e «per morale larga, religione male intesa, ridotta ad uso liberalesco e quasi protestantico».31 Le critiche di Rinieri erano continuate nel pamphlet Pro Patria. Le amazzoni del cattolicesimo puro, «testo ben noto agli studiosi del modernismo e volto a stroncare la doppia presunzione di questo libro [A raccolta]: pericolosità della dottrina proposta e presunzione femminile nell’entrare nel terreno proibito della discussione religiosa» .32
Riprendendo queste argomentazioni «La difesa», giornale veneziano, calca la mano in un articolo di mons. Apollonio: «D’uno di questi tipi (che per farla meglio è anche un tipo di femmina) di cattolici cristiani che appestano ora la borghesia ignorante dei più elementari principii del catechismo, parla stupendamente, col documento in mano, la Civiltà Cattolica nell’odierno fascicolo, p. 204. Dà una necessaria ramanzina a quella signora Antonietta Giacomelli, che in libri di forma noiosissima, semina il verbo di una fede e di una morale che non è cattolica se non nella sua testa, e che trova la parola del disprezzo per il Papa, per i Vescovi, per tutti i ministri del Signore, tutta gente ignorante che “fraintende” la parola di Cristo, secondo cotesta novella teologhessa, innamorata del suo Gesù moderno».33
Proprio questo attacco frontale spinge Antonio Fogazzaro a scrive a Filippo Crispolti, senatore del Regno, fondatore nel 1896 di «Avvenire d’Italia», pregandolo di prendere le difese della Giacomelli, in quanto l’articolo, come scrive Fogazzaro, è «indegno di un prete, di un cattolico, di un cristiano».34
Le aggressioni riprendono nell’aprile 1907, nell’«Unità cattolica», che definisce la Giacomelli «cavalieressa dello Spirito Santo, fida compagna di Fogazzaro, Murri, Semeria, Sabatier e compagnia, autrice di libri pericolosissimi confutati dall’egregio pubblicista p. Ilario Rinieri nel volumetto Le amazzoni del cattolicesimo puro».35
Nello stesso 1907 il padre benedettino Mauro Serafini è incaricato di una speciale visita antimodernista a Treviso, voluta dal vescovo Longhin, approvata da Pio X. La relazione sulla visita consta di varie parti: una relazione scritta a mano, un riassunto a stampa, un quadro statistico delle associazioni cattoliche della diocesi, un quadro prospettico della situazione amministrativa della curia e del seminario e infine un prospetto B che riguarda Antonietta Giacomelli.36 In essa traspaiono le preoccupazioni del Vescovo, volte a minimizzare le influenze della Giacomelli in Treviso, che dallo stesso Longhin in una lettera viene presentata come un’isolata: «ivi non gode stima, né può fare propaganda, perché comunemente la si ritiene una povera esaltata. Mesi fa temevo che rovinasse le più buone e brave giovani della città, a mezzo di un circolo di lettura e di istruzione che aveva fondato. Per grazia di Dio durò assai poco perché le rispettive mamme non si fidarono di lasciare le loro figlie in compagnia di quella povera donna, sempre col timore che le possa rovinare con le sue idee ultramoderniste».37 Longhin si riferisce ad una scuola femminile che la Giacomelli cercò in ogni modo di realizzare a Treviso, senza riuscirvi, e che oggi suscita tanta ammirazione nella storiografia.38
Questi i principali attacchi alla Giacomelli da parte della stampa cattolica cosiddetta ‘integralista’ e non mancano vari interventi e strali polemici nella «Vita del Popolo».39 Ma ormai appare chiaro che ci si avvia a provvedimenti ben più gravi.
Longhin, preoccupato, scrive a Pio X: «Siccome si va dicendo che l’Adveniat corre pericolo di esser posto all’Indice, bramo conoscere per mia norma il desiderio e il pensiero della Santità Vostra, perché non m’avvenga di prendere una determinazione imprudente».40 Il Vescovo aveva già cercato una mediazione con la Giacomelli, proponendole di emendare il testo in vista di una futura edizione: «Considerando lo smercio grande che ebbe finora il libro, e quindi il male che si impedirebbe se una seconda edizione fosse veramente degna dell’imprimatur, pensai se non fosse opportuno cogliere la buona disposizione dell’Autrice, e vedere se cerca sinceramente il bene delle anime».41
La risposta è di mano di Bressan: «Quanto alla sig. na Giacomelli, sua Santità gode assai che riconosca il suo torto nella pubblicazione dell’Adveniat, ma vede difficile la correzione di quel lavoro, non tanto per lo spirito, che vi aleggia e per le inesattezze, ma assai più per quello che vi manca, per cui avrebbe bisogno di essere rifatto da capo a fondo. Sarà poi laborioso trovare chi si occupi per la compilazione».42 Dal che si deduce, come è stato scritto,43 che probabilmente l’opera giunge al vaglio del tribunale dell’Indice per volere dello stesso Pontefice.
5 La macchina censoria.
L’Adveniat arriva sui tavoli della Congregazione dell’Indice il 13 agosto 1911, definito libercula — tre volumetti sulle cinquecento pagine — e femina quaedam la sua autrice. I volumi furono affidati al p. Gioacchino Corrado per essere analizzati.44
Significativa l’introduzione all’opera: «Da lungo tempo era desiderato un libro nel quale la preghiera fosse unita a cenni, storici ed esplicativi, del nostro culto; un libro il quale, almeno in qualche parte e modo, rinnovasse la primitiva unione del popolo fedele, con quelle letture e que’ canti che son l’eco perenne delle voci antiche, — profetiche, ammonitrici, oranti nella speranza; un libro il quale, colla meditazione e colla preghiera, assiduamente richiamasse l’annunzio, la legge, del Maestro divino. Il programma era di troppo superiore alle forze di chi ha composto il presente volume e i tre che seguono: ma nel “grande amore” ha trovato il coraggio di almeno tentare — coll’aiuto di maestri nella fede, — qualche cosa di approssimativo, che sproni altri a fare assai meglio. Intanto, possano queste pagine — il cui maggior numero è tolto alle sacre Carte e alla Liturgia, e sulle quali chi scrive supplice implora le benedizioni di Quegli che non disdegna alcun umile strumento, — essere un aiuto di più a taluno di coloro i quali sentono in sé, o bramano, il risveglio della coscienza cristiana; possano essere uno sprone di più a quel progresso degli spiriti e de’ cuori verso la verità, la giustizia, l’amore, che l’ora presente rischiara di divine speranze».45 L’introduzione richiama esplicitamente l’esigenza di un profondo rinnovamento nel culto e nelle preghiere che sia segno di un rinnovamento della fede, interiorizzata e consapevole.
La Congregazione dell’Indice si riunisce l’11 gennaio 1912 per decidere della ‘ereticità’ dell’opera. Tutti i padri consultori, con l’eccezione di due, si dichiarano contrari alla condanna dell’Adveniat, propendendo, al massimo, per un richiamo o un’ammonizione all’autrice più che altro a causa di qualche «petulanza» antiecclesiastica presente qua e là. Ma il parere solo consultivo di questa prima fase ‘istruttoria’ non viene tenuto in considerazione dalla Congregazione nel momento decisionale che, il 22 dello stesso mese, dichiara i volumi di Adveniat «modernismo undequaque infecta». Il p. Lepidi, che li aveva approvati al momento della stampa, tenta sino alla fine di difenderli — «quamvis non interrogatus» — ma i porporati all’unanimità decidono per la condanna. Pio X, due giorni dopo, il 24, approva il decreto così come era stato formulato dai cardinali.46
Risulta dunque particolarmente interessante analizzare il “voto” del consultore Corrado che sta a monte della condanna e la giustifica. Quali erano le ragioni per cui Adveniat appariva inficiato di eresia?
Seguendo il testo approntato dal consultore della Sacra Congregazione dell’Indice si evince che la prima accusa fosse quella di aver auspicato «una riforma del culto, che si pretende scaduto e superstizioso, per richiamarlo all’antica Liturgia».47 A queste premesse sullo ‘scadimento’ del culto «s’intona subito la patetica esortazione modernistica per recarvi rimedio», ossia «ravvivare la fede nei divini misteri, ravvivare lo spirito di fraternità»; preparare «i trionfi di Cristo, i trionfi della verità nella giustizia e nella carità»; unire «la navata al presbiterio»; avvicinare il popolo agli altari secondo gli ideali della Chiesa primitiva; «rifare il popolo cristiano»; unirsi al sacerdote nelle preghiere della messa e non leggere «durante la messa preghiere che troppo spesso dimenticano la liturgia e lo spirito della Chiesa»; togliere «l’abuso, ormai antico, delle comunioni fatte all’infuori della messa»; combattere «la falsa pietà, egoistica e infeconda» di tante anime, aprendole piuttosto «all’amore universale cui l’ora presente, tra sforzi e lotte incomposte, aspira senza posa»; risalire alle origine, all’agape fraterna.48 A questo si aggiunga un elenco di tutte le «mende» rituali, presenti in Adveniat: «omissioni nell’ordine rituale dell’amministrazione dei sacramenti, modi esagerati e nuovi di pregare, traduzioni e interpretazioni forzate di testi scritturistici».49
Le contestazioni, almeno per noi che leggiamo dopo il Vaticano II, che accoglie in parte lo spirito di quanto auspica Antonietta Giacomelli, appaiono poca cosa, anche se è presente il rischio di utilizzare categorie contemporanee per cercare di capire eventi antecedenti.50
5. Da Adveniat Regnum tuum a Per la Riscossa cristiana
Come è stato ben notato, la Giacomelli aveva di sicuro in mente Le Cinque Piaghe della santa Chiesa di Antonio Rosmini (che, ricordiamo brevemente, erano: la divisione del clero dal popolo nel culto pubblico, l’ignoranza del clero, la disunione del Vescovi, la loro nomina abbandonata al potere temporale, l’asservimento dei beni della Chiesa al potere politico), ma non recepisce gli atteggiamenti di aspra critica nei confronti del clero propri dei modernisti dei primi anni del secolo.51 Rosmini non era davvero benvisto dalla censura ecclesiastica. Condannato una prima volta nel 1849, anno in cui venne proibita la lettura delle Cinque piaghe e della Costituzione secondo la giustizia sociale, occasione in cui pesarono non poco le ben note vicende del biennio 1848-49 che videro Rosmini in primo piano,52 subisce nuova condanna nel 1888 con il decreto Post obitum. Nel 1888 sono poste all’Indice 40 proposizioni rosminiane estratte dalle opere edite ed inedite. La «Civiltà Cattolica», voluta da Pio IX nel 1850, dà adeguato spazio alla condanna e alle polemiche contro Rosmini.53 Rosminianesimo e neotomismo appaiono scelte filosofiche contrapposte, quasi antitetiche, soprattutto dopo la leoniana Aeterni Patris (1879), che ripropone lo studio di Tommaso e dà luogo, di fatto, alla corrente neotomista degli studi filosofici italiani ed europei.
Anche Treviso non è immune da polemiche. Nel Seminario vescovile insegna Giovanni Zardo, appassionato cultore del pensiero rosminiano, rimosso dall’insegnamento nel 1858.54 A questo proposito la pubblicazione di una lettera dell’allora giovane Luigi Bailo mette in evidenza la campagna denigratoria contro «quel grande e pio che fu Rosmini», che doveva portare alle accuse di panteismo, unite a quelle di ontologismo e di traducianesimo. In questo Bailo vide molto lontano .55 Dopo il 1888 il vescovo di Treviso, mons. Giuseppe Apollonio, in più occasioni non mancò di approvare la condanna.56 Anche il vescovo Longhin nel 1905 scrive a Pio X per lamentarsi che «i Rosminiani alzano di nuovo la testa e si fanno forti».57 L’“ombra lunga” di Rosmini si stende anche nella diocesi trevigiana.
Dopo queste brevi osservazioni su Rosmini, che rivelano molto di tensioni interne alla cultura cattolica, è spontaneo chiedersi come reagisse la Giacomelli ai continui attacchi alle sue posizioni e poi alla condanna definitiva di Adveniat. Bisogna dire che non si piega alle decisione del Santo Uffizio progettando, per sé e per gli amici, un distacco dalla Chiesa Cattolica e pensa di dare origine ad una «Chiesa Cattolica Apostolica Evangelica». Stende anche un manifesto programmatico, «rivolto a quanti sentono giunta l’ora di scegliere tra il Vaticano e Cristo».58 «I nostri preti ripristinerebbero, assieme a noi, l’antica Assemblea, il banchetto eucaristico tornerebbe ad essere il convito fraterno; la predicazione non sarebbe vana retorica, ma predica commento del Vangelo, e sostituirebbe pure il catechismo. Eleggeremmo fra gli anziani un vescovo il quale ordinerebbe i nuovi sacerdoti, che crescerebbero non in seminari, ma intorno ai preti in cura di anime. La nostra Chiesa — oltre alla riforma dei costumi e dei principi sociali — dovrebbe effettuare nel proprio seno tutte le riforme del culto che lo spirito cristiano chiedeva alla Chiesa ufficiale».59 Nello stesso manifesto afferma ancora: «Noi quindi non intendiamo essere né eretici né scismatici, giacché più che mai ci sentiamo parte della Chiesa di Cristo, in comunicazione con i suoi Apostoli, obbedienti — almeno nell’intenzione che è assai migliore di noi — al Vangelo».60
Affermazioni forti: quel che appare ad una lettura attenta è la certezza che l’autentico cristianesimo si debba vivere in comunione col Cristo con ma non in funzione delle istituzioni e il desiderio di percorrere fino in fondo la strada intrapresa.61 Come è stato detto non è facile per la Giacomelli giungere ad una decisione — lo scisma — che sembra in aperto contrasto con il comportamento tenuto fino ad allora. Non si sa se nella decisione abbia pesato di più l’utopismo o l’ingenuità politica di lei, che sempre l’avevano contraddistinta; è certo che ambedue gli aspetti spiegano il fallimento dell’iniziativa. Furono tuttavia gli amici a fermarla, da don Brizio, a Salvadori, a Sabatier, a Genocchi che, interpellato, le rispose telegraficamente: «È un’illusione. Praticamente sarebbe un fiasco. Dogmaticamente un assurdo».62 Anche Fogazzaro si dichiara contrario, nonostante sia incorso nelle condanne papali.63 È ben nota l’iscrizione all’Indice del Santo, pubblicato nel 1906 e condannato pochi mesi dopo, e di Leila, pubblicato nel novembre 1910 e condannato nei primi mesi dell’anno successivo, fatti che amareggiarono profondamente e intimamente gli ultimi anni di vita dello scrittore vicentino, mancato nel marzo 1911.64
Antonietta soffre molto dei dispiaceri dell’amico, ma Fogazzaro non esita a rispondere duramente al progetto di distacco dalla Chiesa in una lettera pubblicata di recente e che non compare negli usuali epistolari: «Gli errori dell’attuale governo della Chiesa, infinitesima frazione della somma di errori che quel governo poté commettere da Cristo in poi, non può farmi dimenticare che noi viviamo un atomo di tempo nella vita della Chiesa, ma non può togliermi la fede profonda».65 È l’atteggiamento di sconforto che domina nel periodo successivo a quello della Pascendi e dei primi provvedimenti censori, quando, secondo Scoppola, «ogni giorno di più si impone ai modernisti la scelta fra la ribellione aperta o la sottomissione e il silenzio».66
Se la Giacomelli, dissuasa dagli amici, abbandona il progettato distacco dalla Chiesa, la sua scelta non è del silenzio tout court, ma quella di rispondere alla condanna con Per la riscossa cristiana, pubblicato a Milano (Libreria Editrice Milanese) nel 1913. La macchina della censura si mette subito in moto un’altra volta e il p. Enrico Rosa, gesuita, collaboratore e poi direttore della «Civiltà Cattolica», viene incaricato di elaborare il “voto”, cioè l’analisi censoria del testo.67 Anche questo scritto, nell’unico volume pubblicato di quattrocento pagine, è una raccolta di passi tratti da testi sacri e da autori di varia provenienza, come Dante, Pascal, Sorel, Rosmini, Mazzini, sino alle citazioni esplicite degli autori ‘modernisti’, tra i molti altri Tyrrel, Paul Sabatier, Gallarati Scotti, Semeria e lo stesso Fogazzaro.68
La macchina censoria, che in questo secondo caso si è messa in movimento subito dopo la pubblicazione del libro, una volta presentato il documento del p. Rosa il 16 agosto, conclude i suoi lavori con la messa all’Indice del volume il 13 novembre 1913.69
Se per Adveniat ci potevano essere dubbi a proposito dell’ortodossia dello scritto, per la Riscossa appaiono più tenui e il libro, pubblicato senza imprimatur e composto proprio per rispondere alla condanna del primo, mostra subito «tutto il veleno del modernismo, di cui l’autrice è una nota maestra e paladina».70
Questi, in sintesi, i capi di accusa.71 Per la censura con riscossa cristiana si intende quella del modernismo; per ottenerla si esalta questo movimento e la schiera dei suoi ‘fedeli’; si riconoscono in esso delle deviazioni, ma per attribuirle agli stessi mezzi tentati per arrestarlo; si scredita e si riprova, persino con invettive, la condanna che ne fece la Chiesa, la repressione che ne ordinò, i rimedi che dispose, come il giuramento contro gli errori modernisti; si mira a togliere ogni fiducia nella Chiesa ufficiale, cioè nella gerarchia; si lodano e si citano eretici, razionalisti, nemici della Chiesa come ad esempio Mazzini; si esalta la bandiera di una “libera democrazia cristiana”, già condannata; si travisa come blasfema l’interpretazione del Tu es Petrus quasi interpretazione di deificazione dell’autorità; si difende lo spirito di ribellione, con disprezzo anche della scomunica; si fomenta la confusione delle idee, l’errore e l’aperta eresia con la citazione di autori eterodossi ed eretici.72 La condanna è senza appello e definitiva in meno di tre mesi.
6. Treviso e Antonietta Giacomelli
I provvedimenti nei confronti della Giacomelli, tuttavia, non sono soltanto quelli, gravi, di iscrizione all’Indice delle due opere. Nel 1909, a Treviso, le viene impedito di entrare in chiesa e di accostarsi ai Sacramenti. Il motivo è quello di aver partecipato, il 19 settembre, a Venezia al convegno della Lega Nazionale Democratica alla presenza di Romolo Murri, «scomunicato vitando», sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato nel 1909 perché eletto deputato nelle file del partito che aveva fondato, cioè la Lega Nazionale Democratica .73 Pio X scrive a Longhin: «Mi duole nell’animo che la Signorina Giacomelli trovi chi le apre la via alla S. Comunione, dopo che si è dimostrata in intima relazione con lo scomunicato vitando; ma spero che Voi lo potrete prudentemente impedire anche per togliere il grave scandalo».74 Tre giorni dopo Longhin comunica a Pio X che «in seguito agli ultimi atti deplorevolissimi della Signorina Giacomelli i sacerdoti della città hanno deliberato di negarle i sacramenti».75 Pio X risponde: «Non posso che approvare la determinazione presa dai buoni Sacerdoti di Treviso a chi in modo così ributtante fa pompa di modernismo. Speriamo che rientri in sé, e faccia ammenda con una conversione sincera».76
Il 22 novembre dello stesso anno Murri è a Treviso per tenere una conferenza al teatro Garibaldi, invitato dalla locale Lega Operaia socialista.77 Scrive Longhin a mons. Bressan: «Ieri dunque l’infelice Murri ha tenuta in Teatro Garibaldi la sua conferenza con enorme concorso di curiosi. […] Dimorò presso la solita Giacomelli la quale, in seguito alla specie di scomunica che le venne inflitta dal clero di Treviso, ha pensato bene di emigrare altrove. Andrà a Rovereto all’ombra del monumento del suo parente Rosmini».78
L’amicizia con Murri si romperà in occasione del congresso di Imola del 1910 e il distacco durerà trent’anni.79
Alla fine di quel 1909 la Giacomelli viene trascinata anche in una dolorosa polemica a proposito di un suo articolo, composto in occasione della morte del suo antico maestro, Giovanni Milanese dove aveva scritto: «L’ultima volta che ci eravamo visti per via, Egli [mons. Milanese] mi aveva detto: “Io non capisco più altro che Cristo, Cristo solo”».80 Il Capitolo della Cattedrale la accusa pubblicamente di aver travisato le parole del vecchio sacerdote, quasi per farlo apparire in contrasto con la gerarchia e di non aver reso pubblico il contenuto di una lettera in cui Milanese precisava il senso delle sue affermazioni. Antonietta risponde con un altro articolo — Nessun equivoco — in cui precisa che la lettera che le era stata indirizzata da mons. Milanese era la risposta ad una sua lettera, «nella quale — sapendo il mio amato maestro dolente per la mia attuale posizione di fronte all’autorità ecclesiastica — gli avevo esposto i motivi di coscienza della mia resistenza all’autorità, — motivi che sono quegli stessi di don Romolo Murri e di quanti altri si trovano nel nostro campo. È vero che avevo cominciato la lettera ripetendo quelle parole di Lui: ma non si tratta di una interpretazione, la quale sarebbe stata impossibile da parte di chi ben conosceva l’ossequio professato da Mons. Milanese all’autorità del Papa. Si trattava invece di una applicazione mia per dire che, ove si senta — sia pure erroneamente — lo spirito e la legge di Cristo in contrasto con una data direzione del Papa, credo si debba agire secondo detta la propria coscienza».81
Con questo articolo, che suscita immediatamente reazioni sia nella stampa laica che in quella integralista, la Giacomelli intende rendere pubblica la sua adesione alle idee di Murri e rivendicare l’autonomia di giudizio della sua coscienza per scegliere tra la legge di Cristo e quella del Papa.
Al centro di polemiche velenose e di attacchi continui, mai difesa da alcuno, nemmeno dagli ambienti laici e socialisti che pure frequentava, sceglie di andarsene da Treviso.
Il 21 dicembre 1909 Longhin scrive a Pio X: «La Signorina Giacomelli se ne va, dopo aver fatta professione aperta di modernismo e dopo aver manifestato idee profondamente eretiche. Si vede che le censure della Chiesa e la privazione dei S. S. sacramenti hanno sempre l’antica efficacia. Si ritira nel paese nativo di sua mamma, a Rovereto».82 E Pio X risponde subito: «Ho letto con piacere che la Signorina Giacomelli abbia deciso di abbandonare Treviso: è tanto di guadagnato e preghiamo Iddio, che raddrizzi quella povera testolina».83
Nel 1916 Antonietta Giacomelli fece atto di sottomissione alla Chiesa e di ritrattazione dei suoi libri davanti a mons. Longhin,84 che cercò di aiutarla a ripubblicare Adveniat, opportunamente emendato, come le aveva già proposto negli anni ‘caldi’ delle condanne.85 Grazie all’interessamento di alcuni amici che riescono a far mutare l’atteggiamento delle autorità ecclesiastiche e dello stesso Santo Uffizio, con le modifiche richieste, in un solo volume e con il titolo In Regno Christi, Adveniat viene riedito nel 1942.86 L’avvenimento, caso unico tra le opere già condannate, appare alla Giacomelli «quasi come un miracolo»87 e chiude definitivamente una vexatissima quaestio.
7. Ragioni di una condanna
Perché ci si accanisce tanto nei confronti della Giacomelli? Perché la macchina censoria si mette in moto quasi subito nei suoi confronti? Va precisato che provvedimenti censorii e disciplinari furono adottati nei confronti di tutti i modernisti e molti di essi scelsero la via dell’esilio. Per la Giacomelli, tuttavia, sembra che motivo non lieve e non secondario sia stato il fatto di essere donna. Da teologhessa, ad amazzone, a femina quaendam del censore, alle signorine più meno isteriche, povera esaltata e povera donna di Longhin, alla povera testolina di Pio X i numerosi commenti malevoli di cui fu gratificata insistono molto sulla sua condizione femminile. La misoginia della società italiana dei primi del Novecento è nota e anche quella delle gerarchie ecclesiastiche del tempo, per le quali il paolino mulieres in Ecclesia taceant (1 Cor., XIV, 33-36) è sempre sottinteso. Lei stessa l’aveva messo in conto e previsto già prima di iniziare la compilazione di Adveniat, cui era stata sollecitata e incoraggiata da tutti, manifestando le sue perplessità al proposito. Scrive il Michieli: «Vedeva le difficoltà del lavoro, si sentiva incapace e non nascondeva (ricordo) il timore che la sua qualità di donna … potesse suscitare diffidenze e dispetti».88
Ecco come, a trent’anni di distanza, nelle sue Ultime Pagine89 la Giacomelli ricorda i fatti drammatici della Pascendi e delle condanne che ne derivarono: «Qualcuno, leggendo questi miei ricordi del passato, penserà che io non possa dimenticare quelle vicende che furono parte sì dolorosa della mia vita, ma l’argomento è troppo delicato, specie per chi ha dichiarato piena sottomissione al Capo della Chiesa. Inoltre ho tutto — doverosamente — perdonato, anche quanto di enorme e di inverosimile è stato pubblicamente detto e scritto contro di me e specialmente contro gli scritti miei. E ricordare è pericoloso. Del resto, i più si sono ormai pienamente ricreduti. M’è poi caro dare qui un’equa e grata testimonianza al mio buon Vescovo di Treviso, Mons. Andrea Giacinto Longhin, e a Monsignor Celestino Endrici, Principe Arcivescovo di Trento. Ad una cosa sola tengo: a distinguere e far distinguere fra gli errori degli uomini e la divina autorità della Chiesa. E tengo pure a dire che, se ho potuto, per un breve periodo, errare, — non nel campo della fede, ma in quello della disciplina — è stato unicamente per il grande amore alla religione cattolica e il gran desiderio di attirarvi i lontani o trattenervi i pericolanti; sì che potei ben dire al Signore: “Lo zelo della tua casa mi ha divorata” (Salmo 68) ».90
Il «grande amore» per la religione, una fede schietta corroborata da impegno quotidiano nelle opere di assistenza e di carità, permettono alla Giacomelli di riflettere così su quel periodo travagliato: «Ripenso il tempo in cui nel campo cattolico è sorto il movimento che fu chiamato modernismo. A questo nome, certamente, hanno dato origine coloro che improvvidamente tendevano a modernizzare il cattolicesimo; mentre per altri si trattava di ricondurlo all’antico, riavvicinandolo ai primi secoli. Amica com’ero di anime nobilissime e di eletti ingegni (rimasti nel grembo della Chiesa) i quali a questa parte del modernismo lavoravano con un intento di elevazione della Fede che, in pari tempo, la rendesse più accessibile ai lontani, e animata io stessa da questo ideale — nel quale s’è approfondita e corroborata la mia fede cattolica — rammento quanto, in quegli anni, si sia sofferto e come la ferrea repressione sembrasse improvvida. Ma poi, quando si vide che per molti il movimento era divenuto una via sdrucciolevole, sì che già andavano varcando i confini del Cristianesimo, mentre in altri, ai motivi puri se ne fossero aggiunti di impuri, si comprese come quella repressione fosse stata necessaria. Il rationabile ossequium vestrum di Paolo non significa indisciplina in quella Chiesa ch’egli, con Pietro, ha fondata e che Cristo raffigurò in se stesso, alla vigna della quale noi siamo i tralci, che, da essa staccati, non possono dar frutto (Giov., XI, 5) ».91
Vorrei concludere riferendo due testimonianze, fra le tante, che, a pochi giorni dalla sua morte, le dedicarono due personalità tra loro molto diverse: Ernesta Battisti, la vedova dell’irredentista Cesare Battisti, laica, che sul «Corriere Tridentino» del 15 dicembre scrive: «La penna avevi agile, efficace, eloquente ma ogni tuo scritto, fosse di rampogna o di plauso, di narrazione o di educazione, fu sempre una battaglia; una battaglia di carità, di una carità che proclamavi sempre e fermamente cristiana. La tua fede? Della fede cristiana e cattolica la tua mente ereditò ed acquisì nell’educazione i principi come intangibili, in un’unità intangibile. Non sfiorò la tua mente una critica (la turbò forse un giorno un dubbio?). Ma la religione fu pascolo al tuo ardore di carità, ne suggesti dolcezza di mistico abbandono, e ad essa un giorno ti umiliasti per non discuterla, per non perderla. Erano gli anni del movimento cattolico “modernista”».92
La seconda è di un prete ‘cristiano’, don Primo Mazzolari: «Era schietta, trasparente e salda come un diamante, sceglieva sempre la via più diritta e la più aspra; conosceva il sì e il no, usandolo senza diplomazia, senza riguardo di persone, pronta però a ricredersi con generosa umiltà appena s’accorgeva d’aver sbagliato o fatto soffrire. Pari alla schiettezza e alla volontà ebbe l’ingegno ch’ella seppe mettere a servizio della religione e della patria, in lei mirabilmente congiunte. Molte idee e molte iniziative che sembrano oggi una scoperta, ricordo di averle lette quarant’anni fa in certe sue pagine. […] Antonietta Giacomelli è la donna più forte che io abbia conosciuto, la più distaccata e la più ferma, la più umile e la più fiera, la più operosa e la più povera. Non le mancarono incomprensioni, accuse, prove e dolori di ogni genere, da vicini e da lontani, che ella superò virilmente e virtuosamente: i farisei con l’intrepidezza della sua fede; gl’indifferenti con l’ardore della sua parola; i lontani con la luce della sua carità; gli avversari con la sua aristocratica magnanimità».93
Il tempo e le mutate circostanze delle vicende umane hanno restituito alla Giacomelli quello che provvedimenti censori, critiche astiose e ingenerose, attacchi palesi le avevano tolto, anche se a distanza di parecchi decenni. «La fama postuma — come dice molto bene la Arendt a proposito di Walter Benjamin- è un dono raro e tra i meno ambiti, anche se è meno casuale e spesso più solida delle altre poiché solo raramente si fonda sul semplice fattore commerciale. Colui al quale la fama dovrebbe procurare maggior profitto è morto e quindi non si lascia comprare».94 Non so se per Antonietta Giacomelli si possa parlare di «fama postuma» vera e propria o meglio di ampia ripresa e rivalutazione delle sue esigenze, delle sue tematiche, dei suoi progetti: certamente non si è mai «lasciata comprare» e di lei ci rimangono, attualissime, l’opera vigorosa e la condotta esemplare.
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Tutte le notizie sulla vita di Antonietta Giacomelli sono tratte da: A.A. Michieli, Una Paladina del Bene Antonietta Giacomelli (1857-1949), a cura dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, Arti Grafiche Manfrini, Rovereto 1954 (da cui deduco anche le informazioni sulla sua famiglia); C. Brezzi, sub voce, in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, 1860-1980, Marietti, Torino 1981-84, con relativi aggiornamenti (per la Giacomelli vol. II, I protagonisti, pp. 233-240); A. Proietti, sub voce, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 54, pp. 129-132; R. Binotto, sub voce, in Personaggi illustri della Marca Trevigiana. Dizionario bio-bibliografico. Dalle origini al 1996, presentazione di G. Simionato, G. Netto, E. Brunetta, Edizioni Fondazione Cassamarca, Treviso 1996 e S. Chemotti, Ritratto di Antonietta Giacomelli, in La terra in tasca. Esperienze di scrittura nel Veneto contemporaneo, Il Poligrafo, Padova 2003, pp. 113-138. ↩︎
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Come scrive il Netto: «Anche se giuridicamente il regno lombardo-veneto fu creato solamente il 7-4-1815, la dominazione austriaca ebbe inizio a Treviso già il 2 novembre 1813, per terminare il 13 luglio 1866, quando l’ultimo I.R. Delegato provinciale convocò il podestà di Treviso Luigi Giacomelli per consegnargli la città. Fu la prima ed unica volta che un podestà di Treviso ebbe ad esercitare sia pure per pochi giorni funzioni di stato» (G. Netto, I reggitori di Treviso, Treviso 1995, pp. 68-69). Dagli ottantant’anni ai novantanove Giacomelli fu consigliere provinciale. ↩︎
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Lo stesso Angelo Giacomelli fa un resoconto della sua attività politica in Reminiscenze della mia vita politica negli anni 1848-1893, Barbera, Firenze 1893. Alla sua morte Antonietta gli dedica A mio padre (Tip. Turazza, Treviso 1907) che riprende in Angelo Giacomelli — Maria Rosmini Giacomelli, Editrice Tridentina, Trento 1929. ↩︎
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Sulla figura di Giovanni Milanese cfr.: L. Ronzani, Mons. Giovanni Milanese, in Sitientes venite ad aquas. Nel giubileo sacerdotale di Mons. Antonio Mistrorigo, Edizioni «La Vita del Popolo», Treviso 1985; I. Tolomio, Alle origini del neotomismo a Treviso, in Vetera novis augere. Studi in onore di Carlo Giacon, La Goliardica Editrice, 1982, pp. 35-58 cui rinvio per la relativa bibliografia. Ormai anziano viene coinvolto in una polemica con l’allieva (cfr. infra), da cui prende le distanze perché le accuse di modernismo nei confronti di lei sono ormai pesanti: cfr. I. Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo. Filosofia e cultura censoria nell’età di Pio X, Cleup, Padova 2007, pp. 205-217. ↩︎
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C. Brezzi, Carteggio Giacomelli-Sabatier, «Fonti e documenti», II, 1973, pp. 296-473. ↩︎
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Per tutte le indicazioni sugli esponenti del modernismo rinvio a: Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, 1860-1980, direttori F. Traniello - G. Campanini, Marietti, Torino 1981-1984, voll. 3 in 5 tomi, aggiornamento 1980-1995, Torino 1997; Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1960 ss.; Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano 1948-1954, voll. 12; Enciclopedia Filosofica, ristampa aggiornata della seconda edizione, Edipem, Roma 1979, voll. 8.; recentemente riprodotta Bompiani, Milano 2010. ↩︎
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Lettere di Antonietta Giacomelli ad Antonio Fogazzaro, a cura di D. Alesi, Accademia Olimpica, Vicenza 2008. ↩︎
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P. Gabrielli, Emancipazione, socialiste e femministe a Roma: frammenti per una possibile storia, in «Rivista storica del Lazio», 13-14, 2000-2001, pp. 307-329. ↩︎
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Scuola libera popolare di Treviso. Relazione-programma, Istituto Turazza, Treviso 1905. ↩︎
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L. Urettini, Antonietta Giacomelli nella documentazione curiale, in «Studi urbinati», XLIX, 1975, 2, pp. 453-504. Il saggio contiene il carteggio Longhin-Pio X a proposito del modernismo a Treviso e delle vicende che riguardano in particolare la Giacomelli. Per l’avvocato Martignon Antonietta Giacomelli nel 1924 scriverà Pagine commemorative di Piero Martignon, In Memoria di Piero Martignon, a cura dell’Università popolare di Treviso, Longo e Zoppelli, Treviso 1924, pp. 40-56. ↩︎
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La donna nella famiglia. Relazione al primo Congresso di attività pratica femminile, Milano 1908, Società Tipografica Editrice, Città di Castello 1908. ↩︎
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Adveniat Regnum tuum, Pia Società san Girolamo per la diffusione dei Santi Vangeli Editrice, Roma-Milano 1904-1907. I tre volumi pubblicati si intitolano: Letture e preghiere cristiane, Rituale del cristiano, L’anno liturgico; il quarto, non pubblicato, La vita cristiana. ↩︎
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Michieli, Antonietta Giacomelli, p. 64. Era stata la stessa Giacomelli a non volere che un libro di preghiere fosse da attribuirsi ad uno specifico autore, «perché i nomi sui libri di preghiere mi sembrano una stonatura, quasi una profanazione» (cfr. Brezzi, sub voce, p. 243, Brezzi si riferisce ad una lettera della Giacomelli a Egilberto Martire). Il quarto volume di Adveniat fu perduto da don Casciola, in treno, nei giorni successivi alla rotta di Caporetto e non fu più ritrovato, così come gli ultimi due volumi di Per la riscossa cristiana (cfr. Michieli, Antonietta Giacomelli, pp. 124-125). ↩︎
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Alberto Lepidi (1838-1922) è autore di un poderoso Elementa philosophiae christianae, Parigi-Lovanio 1875-79, (3 voll.), docente alla Minerva, poi Ateneo Angelicum, poi Università di S. Tommaso. Nel cuore della crisi modernista a lui si rivolgono dotti di tutta Europa, tra i quali Maurice Blondel. ↩︎
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Giuseppe Ceppetelli, vescovo vicegerente di Roma, viene nominato commissario per il culto divino e la vita apostolica nel 1912 (Cfr. F. Iozzelli, Roma religiosa all’inizio del Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1985, p. 107). ↩︎
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Wwwtrentoblog.it; wwwcngeirovereto.it; wwwbaden.powell.it/storia. ↩︎
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La sua salma è stata traslata nel Famedio nel febbraio 2010; nello stesso anno alcune giornate di studio vengono a lei dedicate come “protagonista tra due secoli”, pioniera e figura di primo piano dello scoutismo nazionale ed internazionale. La decisione della traslazione della salma dalla tomba di famiglia dei Rosmini al Famedio era stata presa all’unanimità dalla giunta comunale roveretana nell’ottobre 2009, in occasione del sessantesimo anniversario della morte della Giacomelli. Nell’ottobre 2010, in occasione del centesimo anniversario dello scoutismo femminile, la Giacomelli ebbe anche l’onore di un annullo filatelico (cfr. i siti citati nella nota precedente). ↩︎
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La Giacomelli non voleva che questi scritti venissero definiti “romanzi” come precisa in esergo a Sulla breccia. ↩︎
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B. Croce, La letteratura della Nuova Italia, Laterza, Bari 1945, vol. VI, p. 81. ↩︎
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Il saggio di Michieli, già citato, commissionato dalla Accademia degli Agiati di Rovereto, e lì pubblicato, e il saggio di Urettini citato alla nota 10 sono unici esempi. ↩︎
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Cfr. infra nota 37. ↩︎
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D. Alesi, Introduzione a Lettere di Antonietta Giacomelli ad Antonio Fogazzaro, p. 40. Cfr. anche La voce e la parola. Alcuni modelli della narrativa femminile nel Novecento, in La galassia sommersa. Suggestioni sulla scrittura femminile italiana, a cura di A. Arslan e S. Chemotti, Il Poligrafo, Padova 208, pp. 15-43; Verso una presenza femminile: Antonietta Giacomelli, in Donne in-fedeli. Testi modelli, interpretazioni della religiosità femminile, a cura di A. Calapaj Burlini e S. Chemotti, Il Poligrafo, Padova 2005, pp. 191-212. ↩︎
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M. Guasco, Dal Modernismo al Vaticano II, Franco Angeli, Milano 1991, p. 58. ↩︎
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M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, p. 132. ↩︎
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La letteratura critica sul movimento è vasta e complessa. Segnalo solo i testi che mi sono parsi utili e significativi ai fini di questa ricerca. Oltre ai due volumi già citati di Maurilio Guasco, cui rinvio anche per ulteriori indicazioni bibliografiche, è utilissimo l’ormai classico P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961 e G. Verrucci, L’eresia del Novecento. La chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Einaudi, Torino 2010 oltre agli studi, davvero fondamentali, di Lorenzo Bedeschi e Camillo Brezzi segnalati in nota. A G. Colombo, La questione del modernismo italiano, in «La Scuola Cattolica», marzo aprile 1973, pp. 140-159 rinvio per la discussione, da parte cattolica, della storiografia sul modernismo italiano. ↩︎
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«Gli storici sono quasi d’accordo sul fatto che un movimento modernista vero e proprio, con degli ispiratori, dei teorizzatori, dei seguaci, non sia mai esistito. Sono esistite persone, tendenze, ricerche e scritti che possono in qualche modo giustificare l’enciclica: e vale forse la pena di ricordarne alcuni dei più rappresentativi. Anche loro non si sono mai sentiti una scuola, non sono mai riusciti, nonostante qualche timido tentativo, a dare corpo ad un’organizzazione, a dei legami organici, a riviste che non fossero solo espressione di qualcuno, ma di un gruppo». Cfr. Guasco, Dal modernismo al Vaticano II, p. 53. ↩︎
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Per ogni altra precisazione cfr. Scoppola, Crisi modernista, pp. 211-217 e Guasco, Modernismo, citati. ↩︎
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Guasco, Modernismo, p. 127. ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p.131 e P. Giovannucci, Dimenticare l’antimodernismo?, in «Studia Patavina», LV, 2008, pp. 799-827; L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia. Accusatori, polemisti, fanatici, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000; R. DE Mattei, Modernismo e antimodernismo nell’epoca di Pio X, Jaca Book, Milano 2002. ↩︎
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Le Riviste furono roccaforte degli attacchi antimodernisti ancora per anni, tanto che nel 1911 (27 febbraio) Pio X scrive a Longhin: «Quei benedetti Scotton non hanno ancora capito che si fa di tutto per finire La Riscossa e l’Unità che sono un pruno nell’occhio dei modernisti» (Urettini, La diocesi del Papa. Dieci anni di corrispondenza con il vescovo di Treviso A.G. Longhin , in «Venetica. Rivista di Storia delle Venezie», n. 7, gennaio-giugno 1987, pp. 30-126, p. 93). Per le lettere di Pio X cfr. anche A.M. Dieguez, L’archivio particolare di Pio X. Cenni storici e inventario, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2003. Anche cattolici moderati, come il trevigiano Giuseppe Toniolo confidava al Goyau di aver trovato Pio X e «molti altri in Roma preoccupatissimi delle questioni filosofiche fra i cattolici, specialmente in Francia», riferendosi alla cosiddetta «apologetica moderna» promossa da Léon Ollé-Laprune e divulgata da Georges Fonsegrive ed al «pragmatismo religioso» di Maurice Blondel (P. Pecorari, Giuseppe Toniolo e le premesse culturali della “Pascendi”, in Sitientes, pp. 333-346). ↩︎
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I. Rinieri, Pensieri di una «cattolica cristiana», in «La Civiltà Cattolica», 21 aprile 1900, pp. 204-209. ↩︎
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R. Fossati, La casa editrice Cogliati di Milano e la cultura femminile, in «Cultura, religione, editoria nell’Italia del primo Novecento. Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 16, La Scuola, Brescia 2009, pp. 95-104. Roberta Fossati sottolinea come alcune opere della Giacomelli, Lungo la via, Sulla breccia e Adveniat Regnum tuum, «che si diffondevano a macchia d’olio soprattutto fra il pubblico cattolico giovanile» (p. 100), fossero stati ristampati dalla casa editrice milanese Cogliati, la quale, indirettamente, subì attacchi per la loro pubblicazione. Per le invettive di Rinieri contro la Giacomelli cfr. anche Michieli, Antonietta Giacomelli, p. 65 e Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 139. ↩︎
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Cit. in Urettini, Antonietta Giacomelli, pp. 482-483. ↩︎
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Ibidem. La lettera in questione è citata da Brezzi, p. 362. ↩︎
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Cfr. Michieli, Antonietta Giacomelli, p. 65 e Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 139. ↩︎
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G. Sovernigo, Il Movimento Cattolico a Treviso nel primo decennio del ’900 (1900-1910) (tesi di laurea, relatore G. Mantese, anno acc.1970-71), p. 175. ↩︎
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Ivi, documento 2. ↩︎
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R. Murri, Movimento femminile cristiano, in «Cultura sociale», 1902 ora ripubblicato in Femminismo cristiano, a cura di F. Cecchini, Editori riuniti, Roma 1979; F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia, Einaudi, Torino 1975; P. Gaiotti DE Biase, Le origini del movimento cattolico femminile, Morcelliana, Brescia 2003; Ead., Protagonismo religioso ed emancipazione delle donne: una storia di lungo periodo, in Per le strade del mondo. Laiche e religiose fra Otto e Novecento, a cura di S. Bartoloni, Il Mulino, Bologna 2007. ↩︎
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Urettini, Antonietta Giacomelli, p. 465. ↩︎
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Cit. in Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 140. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ivi, 141. ↩︎
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P. Gioacchino Corrado (1835-1925) dei Chierici Regolari della Madre di Dio, di cui divenne Rettore generale nel 1917, è figura di primo piano negli ambienti curiali della Roma dei primi decenni del secolo, nominato consultore in ben quattro Congregazioni (Propaganda Fide, Concilio, Vescovi e Regolari, Indice) e teologo della Dataria Apostolica (Ivi, p. 147). ↩︎
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Adveniat, pp. Iii-IV. ↩︎
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Ivi, p. 144. ↩︎
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La messa all’indice del manuale liturgico Adveniat Regnum tuum di Antonietta Giacomelli. Il “voto” del consultore Gioacchino Corrado, in Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, pp. 253-274. ↩︎
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Ivi, pp. 151-152. ↩︎
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Ivi, p. 153. ↩︎
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«Certe posizioni, duramente rimproverate ai modernisti, sono ora pacifica acquisizione in ambito teologico» (Guasco, Modernismo, p. 15). ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 153. ↩︎
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Sulla condanna del 1849 cfr. Antonio Rosmini e la Congregazione dell’Indice, a cura di L. Malusa, Edizioni rosminiane, Stresa 1999 (con la pubblicazione dei testi degli archivi vaticani) ed anche Carteggio Alessandro Manzoni Antonio Rosmini, introduzione di L. Malusa, testi a cura di P. DE Lucia, Centro nazionale studi manzoniani, Milano 2003 (si tratta del vol. ventottesimo dell’Edizione Nazionale delle opere manzoniane che ben documenta i rapporti epistolari tra i due grandi della cultura italiana dell’Ottocento). Sul decreto post obitum L. Malusa, L’ultima fase della questione rosminiana e il decreto “Post obitum”, Libreria editoriale Sodalitas, Stresa 1989. ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 73 e l’intero cap. Iii. ↩︎
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Su di lui cfr. J. Zardo (1823-1875), Carmina omnia latina, curavit ac primum edidit Ae. Piovesan, Ex officina «La tipografica», Tarvisii Mcmlxvii (nell’introduzione linee biografiche fondamentali). ↩︎
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Ivi, pp. 63-87. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Urettini, La diocesi del Papa, p. 55. ↩︎
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Chemotti, Introduzione a Sulla breccia, pp. 30-32 e Brezzi, sub voce (p. 236). ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ivi, p. 237. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 158. ↩︎
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Ivi, pp. 107-128 e pp. 219-252 per la pubblicazione dei documenti di condanna dei due romanzi. ↩︎
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Ivi, pp. 158-159. La lettera è datata Vicenza, 9 giugno 1909 ed è conservata alla Biblioteca Ambrosiana, Fondo “Carte Fogazzaro”, dell’Archivio Gallarati Scotti. Vale la pena riportarla per intero: «Cara amica, il mio giudizio sull’opportunità e legittimità del suo atto non è mutato. Il terremoto di Messina e Reggio, infinitesima frazione del dolore inesplicabile che si è manifestato sulla terra dall’origine dell’uomo in poi, non ha potuto farmi dubitare della bontà di Dio. Gli errori dell’attuale governo della Chiesa infinitesima frazione della somma di errori che quel governo poté commettere da Cristo in poi non può farmi dimenticare che noi viviamo un atomo di tempo nella vita della Chiesa; non può togliermi la fede profonda che pure restando noi cittadini di questa Patria, l’opera nostra pubblica e privata di cittadini obbedienti all’Autorità ma propagatori dei doni divini del Vangelo, continuata dalle generazioni che verranno finirà quando che sia col porre l’autorità nelle mani di chi pensa come noi. Sarà lontanissimo quel giorno? Ebbene che importa? Saremo noi degli egoisti che vogliono lavorare per aver subito il frutto? Non avrete neanche la consolazione del martirio. Vi scomunicheranno, sì; ma poi non si occuperanno più di voi, nella soddisfazione loro di essersi liberati della vostra incomodo presenza. Una società non vive senza l’istituto sociale dei suoi membri. E l’istituto sociale consiste nel rispetto all’autorità anche quando ella vi offenda, restando nei soci il diritto di promuovere nei modi loro consentiti dallo Statuto sociale il cambiamento delle persone che sono depositarie dell’autorità. Ci è lecito desiderare riforme, abbiamo anzi il dovere di promuovere quelle che in coscienza crediamo necessarie; ma le possiamo promuovere solamente lavorando nei modi leciti il terreno dal quale continuamente rinnovandosi sorge l’autorità. Ho detto. Trasmetto lettere e bozze alla B. senza aggiungere parola che possa influire sul suo giudizio. Saluti cordiali. Suo Antonio Fogazzaro». ↩︎
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Scoppola, Crisi modernista, p. 328. ↩︎
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Sul gesuita Enrico Rosa (1870-1938) abbiamo la monografia di A.M. Fiocchi, Enrico Rosa S.J., scrittore della “Civiltà Cattolica”. Il suo pensiero nelle controversie religiose e politiche del suo tempo, Edizioni «La Civiltà Cattolica», Roma 1957. Per i rapporti tra Rosa ed Ernesto Buonaiuti, esponente di primo piano del modernismo, in più riprese condannato sino alla scomunica definitiva, cfr.: A. Zambarbieri, Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento: Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Morcelliana, Brescia 1979. P. Rosa fu collaboratore di Gentile nei lavori per l’Enciclopedia Italiana, incaricato di raccogliere le «notizie delle origini e della storia dell’Ordine della Compagnia di Gesù» e di coordinare gli interventi dei gesuiti in tal senso. P. Rosa, inoltre, dichiarerà di essere stato personalmente in grado di ottenere da Pio XI il permesso per i cattolici di collaborare alla Enciclopedia «a cui [Pio XI] era piuttosto avverso» (G. Turi, Il mecenate, il filosofo, il gesuita. L’“Enciclopedia Italiana”, specchio della nazione, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 83 e 87-88). ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, pp. 286-298. ↩︎
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Ivi, p. 163. ↩︎
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La frase è tratta dal testo di censura di E. Rosa (Tolomio, p. 275). ↩︎
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Il documento è pubblicato per intero: La condanna della Riscossa cristiana (Milano 1913) di Antonietta Giacomelli. Il testo di censura del consultore Enrico Rosa, in Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, pp. 275-298. ↩︎
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Tolomio, Dimenticare l’antimodernismo, p. 162. ↩︎
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Sui difficili rapporti tra Murri e l’autorità ecclesiastica cfr. M. Guasco, Il caso Murri dalla sospensione alla scomunica, Argalia, Urbino 1978 (negli ultimi mesi della sua vita si riconcilia con la Chiesa, nel 1943 Pio Xii ritira la scomunica e nel 1944 muore). «La rivendicazione dell’autonomia politica dei cattolici comporta di conseguenza la ricerca di nuove premesse dottrinali: fra queste, l’analisi del rapporto tra autonomia politica e autonomia religiosa, del ruolo e del significato dell’azione del laicato nella Chiesa, del rapporto tra società religiosa e società civile prima, tra Chiesa e Stato in seguito. La Chiesa gerarchica, secondo Murri, si è dimostrata incapace di promuovere e gestire il movimento sociale dei cattolici; tale movimento, d’altronde, non può reggersi se non su un rinnovato spirito religioso, e i cattolici dovranno “conquistarsi contro le pretese del Vaticano, il diritto di agire liberamente nella vita pubblica italiana”» (cfr. Guasco, Modernismo, p. 140). ↩︎
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Urettini, Antonietta Giacomelli, p. 466 (lettera dell’11 ottobre 1909, doc. n.4). ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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Urettini, La diocesi del Papa, p. 77 (lettera a Longhin, 17 ottobre 1909, doc. n. 6). ↩︎
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Urettini, Antonietta Giacomelli, pp. 466-467. ↩︎
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Urettini, La diocesi del Papa, p. 77 (la lettera è del 23 novembre 1909, doc. n. 7). ↩︎
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Il riferimento è in A. Fogazzaro-R. Murri, Carteggio (1885-1910), a cura di P. Marangon, Accademia Olimpica, Vicenza 2004. Per il movimento cattolico cfr. C. Brezzi, Il cattolicesimo politico in Italia nel ’900, Teti, Milano 1979. ↩︎
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Cfr. nota 4; Urettini, Antonietta Giacomelli, p. 469. ↩︎
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Ivi, pp. 470-471. ↩︎
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Ivi, p. 79. ↩︎
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Ivi, pp. 79-80. ↩︎
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Verrucci, L’eresia del Novecento, p.59. A queste dolorose e sofferte ritrattazioni fanno cenno anche le testimonianze di Amalia Filzi e di don Primo Mazzolari riferite infra. ↩︎
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Cfr. nota 41 e la relativa lettera di mons. Longhin. ↩︎
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In Regno Christi, Vicenza, Soc. Tipografica 1942. Aveva per sottotitolo: Manuale di devozione liturgica: per la Fede cristiana, per la Vita cristiana, per l’Anno cristiano, per la Coscienza cristiana, con approvazione ecclesiastica; ha per motto Instaurare omnia in Christo. Il vescovo Longhin era mancato nel 1936. ↩︎
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Brezzi, sub voce, p. 239. ↩︎
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Michieli, Antonietta Giacomelli, p. 65. ↩︎
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Ultime pagine, Bietti, Milano 1938. ↩︎
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Michieli, Antonietta Giacomelli, pp. 66-67. ↩︎
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Ivi, pp. 67-68. ↩︎
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Cit. da Chemotti, Ritratto di Antonietta Giacomelli, p. 14. ↩︎
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Ibidem. ↩︎
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H. Arendt, Il futuro alle spalle, tr. it. Il Mulino, Bologna 1996, p. 43. ↩︎