Massimo De Carolis, Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 187.
Rispetto ai mutamenti sociali e psichici cui dobbiamo far fronte nella società contemporanea, in via di rapida trasformazione, sempre di più si avverte l’esigenza di dover superare l’idea di identità umana che ha strutturato la nascita dell’Europa sotto l’insegna della Modernità. In questo senso, la filosofia già da alcuni decenni si confronta apertamente con questa nuova condizione antropologica definita come post-modernità: il pensiero, allora, viene richiamato ad un rinnovato sforzo per cercare di comprendere le dinamiche e le strutture che continuano a sostenere l’uomo in vista di una ontologia del presente. All’interno di questo impegno, possiamo inserire Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica di Massimo De Carolis che si interroga proprio sulla rottura di quell’equilibrio di forze e di pulsioni che sorreggeva l’intera Modernità.
Come efficacemente illustrato nell’Introduzione, il testo esordisce riflettendo sull’insopprimibile paradosso che ha luogo nell’umano per cui, mentre l’uomo si espone all’infinita contingenza della sua costituzione biologica per catalizzare le proprie capacità creative, cerca nel contempo di proteggersi dall’incertezza e dal pericolo che tale condizione produce, ritagliandosi una nicchia culturale e simbolica ben distinta dal mondo naturale. Senza pretendere di risolvere tale paradosso, ma assumendolo come funzione costitutiva dell’umano, c’è da interrogarsi su cosa siano tali nicchie e sulle loro modalità costitutive. Il richiamo all’antropologia del primo Novecento non può, quindi, sorprendere se si riflette su come l’uomo, oggi, possa continuare ad essere un «formatore di mondo», un mondo che sempre di più è un mondo di nicchie.
Da qui nasce l’interesse di De Carolis per i fenomeni di dissociazione psichica che illuminano alcune caratteristiche della cosiddetta condizione post-moderna. Sul piano della costruzione identitaria, se nella modernità classica si osservava la dinamica della scissione orizzontale che, secondo la tradizione psicanalitica, si consumava nella lotta tra conscio ed inconscio, oggi, invece, si osserva una scissione verticale che isola e separa una pluralità di spazi circoscritti e disseminati senza alcuna gerarchia e, addirittura, portati alcune volte ad ignorarsi. Ciascuno di questi spazi è interpretato da De Carolis come nicchia: «un confine simbolico che sopravvive all’estinzione di tutti i motivi estrinseci che potrebbero giustificarne l’esistenza; un limite, in altre parole, che non ha alcuna ragione sostanziale che non sia l’esigenza stessa di tracciare un limite distinguendo un interno da un esterno» (p. 27).
A partire da questa intuizione, l’Autore s’impegna nell’analisi delle psicopatologie contemporanee che, attraverso il caso delle “personalità multiple”, ci indica come oggi il meccanismo della rimozione, che tende a sospingere i contenuti psichici nell’inconscio tracciando così un linea orizzontale e di conflitto con l’Io, sia stato sostituito da una dissociazione, da una vera propria scissione che opera in senso verticale: venendo meno i contatti tra queste nicchie psichiche si elimina anche la possibilità stessa di un conflitto, originando una vera e propria «lacerazione dell’Io, che può mantenere la presa sulle regioni dissociate dell’esperienza psichica solo a condizione di scindere se stesso» (p. 72). L’Io, quindi, viene abitato e lacerato da nicchie psichiche che, pur nella negazione e nel diniego con cui viene mascherato tale fenomeno, avanzano una qualche pretesa di realtà per non scomparire semplicemente nell’orizzonte del mentale. In questo senso, allora, la nicchia è sempre in bilico tra realtà e rappresentazione alla ricerca di un atto di riconoscimento da parte di un interlocutore che stia al gioco.
Ma, se è vero che le dissociazioni contraddistinguono molto spesso personalità patologiche, De Carolis rimanda al concetto di dissociazione primaria che, invece, assolve a una funzione costruttiva e fondamentale nell’evoluzione della mente in generale: essa, infatti, viene attivata nel momento in cui l’Io ha la necessità di proteggersi da un flusso indifferenziato di stimoli in cui niente ha un significato biologico prescritto, ma tutto è in grado di acquistarne uno. Da tale esposizione ad una contingenza illimitata, secondo l’Autore, nasce il paradosso antropologico, il continuo scontro tra interno ed esterno, tra fatti del mondo e rappresentazioni dell’Io che neanche il linguaggio, pur affinandone le difese, riesce a dirimere.
Tuttavia De Carolis, analizzando i meccanismi del gioco, si accorge di come esso, in realtà, abbia enormi affinità proprio con le meccaniche di creazione della nicchia. Il gioco, infatti, compie una perimetrazione che, pur esibendo i caratteri tipici di una dissociazione patologica, non comporta la negazione della realtà ma il suo padroneggiamento. Allora, «lo spazio logico istituito dal gioco è destinato così ad assorbire al proprio interno questa dinamica paradossale» (p. 94), mostrando come la dissociazione in sé non sia un fattore patogeno ma, semmai, il suo fallimento. Nello stesso tempo, però, l’informatizzazione crescente della nostra società, che non riesce a simbolizzare la complessità del reale, proietta l’uomo in un micromondo nel quale l’esterno, invece di essere padroneggiato, viene costitutivamente escluso. La dialettica tra nicchia e micromondo, oggi, rappresenta dunque una dinamica fondante dell’identità psichica e sociale dell’uomo.
Non resta, allora, che prestare attenzione alle modalità con cui le varie civiltà sono riuscite a darsi un mondo come avveniva, per esempio, attraverso la pratica di ritualizzazione: la prassi del rito, infatti, trasforma il mondo in paradigma e, nello stesso tempo, in eccezione, incarnando una dinamica che De Carolis interpreta come un caso di dissociazione “felice”, capace di giungere ad una vera e propria apertura di mondo. Nell’epoca moderna, invece, le attitudini dissociative sono state declassate a derive patologiche e hanno perso tutta la loro forza costitutiva. Insomma, per evitare sia una “fuga dal mondo”, a cui la società nata dal Moderno sembra condannarci, sia una “perdita di mondo”, ventilata come pericolo massimo dall’antropologia novecentesca, è indispensabile il ritorno ad una sorta di dissociazione “felice”. Essa, infatti, esprime la riuscita composizione di un pluralismo capace anche di eliminare le barriere imposte dai nazionalismi (soprattutto quelli europei, che non a caso sono stati i più feroci) sfociando, così, in un vero processo di democratizzazione. L’Autore è dell’opinione che «solo un’identità psichica che abbia imparato a convivere con le sue possibili forme di scissione possa offrire un contributo positivo a questa sfida» (p. 179).
Il paradosso antropologico, in ultima analisi, ci impegna in un viaggio molto originale tra autori anche distanti tra loro, come Heidegger, Gehlen, Schmitt e Foucault: un viaggio che, attraverso le varie modalità con cui si dà la formazione di un mondo, cerca di arrivare ad una antropologia caratterizzata da un pluralismo possibile e non solo teorizzato. Alla fine di questo percorso tra nicchie, micromondi e dissociazioni psichiche, De Carolis non ci offre solo un’interpretazione della contemporaneità nella prospettiva di una dissociazione originaria da dover recuperare, ma un vero e proprio strumento con cui poter riscoprire quella dinamica fondamentale che abbiamo dimenticato nell’epoca appena trascorsa del moderno.