Hegel e l’Aufhebung del segno

1. L’intreccio fra sapere e ragione

Il tema di questo colloquio riguarda la domanda originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero che, fin dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio di controllo e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento su sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno esistenziali e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima. Dalla consapevolezza dell’incombere della morte nel primo stasimo dell’Antigone al costituirsi, per così dire, di un’«interiorità» nella Sofistica e in Platone, l’anima ha funzionato come principio originario in una forma diversa che il dominio. Principio che annoda e che manifesta, secondo vie non solo immediate e speculari, il logos, il noein come conoscenza e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso Aristotele, acquista tutto il suo sviluppo concettuale e strategico, nel pensiero tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed è ribadita come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo stesso nous, cioè con il formularsi dell’originario (Uno, Bene o Atto che sia).

Scelgo di leggere Hegel. Scelta motivata da miei interessi attuali di ricerca, ma anche, più ampiamente, dall’attualità di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto di tale sapere. Su un io, che, nella esplicita strategia hegeliana, articola e raddoppia il ruolo dell’anima. Sapere su di un io è comunque per Hegel un sapere sulle strutture di un chi, che è in grado di formulare una domanda originaria.

Il testo, di cui intendo proporre alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi dal 440 al 458 della Psicologia, sezione della Filosofia dello Spirito contenuta nella edizione dell’Enciclopedia del 1830.1

A differenza della Antropologia, in cui l’anima è considerata come l’aspetto immediato della vita dello spirito (anima considerata come il sonno dello spirito, problemi del rapporto dell’anima con il corpo, questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia non è scienza dell’anima, ma scienza del sapere intorno all’anima, cioè scienza veramente tale, nella sua portata concettuale. Per Hegel scienza, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia, è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e che ha come oggetto la sua stessa genesi. Scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto e al suo stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del suo stesso sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo e mai astrattamente speculare, in cui la conoscenza si costituisce. Così, nel caso del testo che stiamo per commentare, i contenuti della psicologia hegeliana sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da una psicologia in senso moderno e scientifico. La psicologia non è scienza delle leggi della psiche, ma del movimento generativo delle leggi della psiche.

I testi che sono oggetto del mio commento sono, come è noto, estremamente difficili. Prima di cominciare vorrei fare qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione del testo. Ad esempio l’Enciclopedia delle scienze filosofiche, nel nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per gli studenti. In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda, d’un colpo solo, autore e lettore. Questioni, dette altrimenti, di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo di lavoro di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento generativo del significato di ciò che Hegel dice. Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi del testo, il suo significato risulta inevitabilmente incomprensibile o appiattito. Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni del lettore, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita del nesso fra il significato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo di tale significato.. Così si può separare perfino il concetto di negativo dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente, anzi malessere spesso diffuso anche nei commenti «professionali».

Iniziamo la lettura partendo dalle prime righe del par. 440.

Lo spirito si è determinato divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè la verità di quella totalità semplice e immediata e di questo sapere.

Adesso il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da quel contenuto, non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è sapere della totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva.2

ll problema del rapporto fra il sapere e la ragione inaugura qui il dibattito sulla scienza della psiche. L’intreccio fra sapere e ragione inizia a dipanarsi nel paragrafo seguente:

L’anima è finita nella misura in cui è determinata immediatamente, cioè determinata per natura.

La coscienza è finita nella misura in cui ha un oggetto.

Lo spirito è invece finito (insofern ist endlich) nella misura in cui esso, nel suo sapere (in seinem Wissen) non ha più un oggetto, ma una determinatezza, nel senso che è finito per via della sua immediatezza e — che è la stessa cosa — perché è soggettivo, è cioè come il Concetto.3

Lo spirito è finito nella misura in cui esso, nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una determinatezza. Lo spirito sembra essere quell’attività in grado di contenere e controllare l’intreccio fra la ragione e il sapere, anche se ora solo nella forma dell’immediatezza. L’intreccio si organizza su due poli: la ragione e il sapere. Essi si implicano reciprocamente . A seconda che si consideri come concetto la ragione o il sapere.

Qui è indifferente ciò che viene determinato come concetto dello spirito e ciò che viene invece determinato come realità (Realität) di questo concetto. Se infatti la ragione assolutamente infinita, oggettiva, viene posta come concetto dello spirito, allora la realità è il sapere, cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a essere considerato come il concetto, allora la realità del concetto è questa ragione e la realizzazione (Realisierung) del sapere consiste nell’appropriarsi della ragione.

La finitezza dello spirito pertanto consiste in ciò: il sapere non comprende l’Essere in-sé-e-per-sé della sua ragione. In altri termini: la ragione non si è manifestata pienamente nel sapere.4

C’è un dislivello dunque strutturale con la ragione che funziona nel sapere. Dislivello strutturale che per i greci era invece costituito dal rapporto fra il sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata come realtà del sapere o come realtà della ragione, si costituisce e funziona per Hegel come un farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e verginità dell’origine è introvabile.

La questione di un sapere dello/sullo spirito si articola ulteriormente nel paragrafo 442:

Il procedere dello spirito è sviluppo (Entwicklung) nella misura in cui la sua esistenza, il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé, cioè ha per contenuto (Gehalte) e per fine (Zweck) il razionale (Vernunftige); l’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno entro sé (Rückkehr in sich).

Nella misura in cui il sapere, affetto dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la meta dello spirito è quella di produrre il riempimento oggettivo (die objective Erfüllung hervorzubringen) e quindi, a un tempo, la libertà del suo sapere.5

2. La via della psicologia come scienza della libertà

In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura dello spirito che, hegelianamente, è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere e coincide con l’avventura della libertà.

Il cammino dello spirito consiste pertanto:

  1. nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere a che fare con il Razionale nella sua determinatezza immediata, e di porlo adesso come il Suo; in altre parole: il cammino consiste innanzi tutto nel liberare il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere è

  2. volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso formale: ha un contenuto che è soltanto il suo: esso vuole immediatamente, e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività che la condizionava come forma unilaterale del proprio contenuto. In tal modo lo spirito

  3. diviene come spirito libero, nel quale è rimossa quella doppia unilateralità.6

Lo scorcio teorico fornito in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza accennato alla cornice della Psicologia hegeliana come progetto scientifico: scienza della psiche che si pone come scienza dei fattori generativi della psiche.

Il percorso dello spirito che si sforza di conoscere se stesso, che tenta di comprendere l’esperienza della sua libertà, che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza della libertà Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi di sé: la strategia hegeliana implica che l’originario, per il soggetto e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto di questo appropriarsi che è etico, pratico.

Se non si pensa il significato del sapere e del suo soggetto come etico, pratico, il soggetto del sapere si dibatte «in una doppia unilateralità»: la rappresentazione che il soggetto fa di sé come suo e l’immediatezza di tale rappresentazione.

Anticipiamo. La libertà è pensabile come lo spiazzamento in cui il soggetto del sapere conosce il suo essere fatto, nonostante e attraverso il suo fare, impossibilitato a cogliere l’identità fra sé e la sua immagine. Questa divisione e dislivello interno che è l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per Hegel l’Intelligenza.

Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione fra il dentro e il fuori.

L’intelligenza, in quanto è questa unità concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, (1) di essere ricordata entro sé in questo materiale esteriormente essente, e (2) di essere immersa nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio ricordo —, è intuizione.7

3. La centralità della parola nella vita dell’intelligenza

Il cammino dell’Intelligenza sta proprio nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori.

L’intelligenza, quando ricorda inizialmente l’intuizione, pone il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel suo proprio spazio e nel suo proprio tempo In tal modo il contenuto è immagine, liberata dalla sua prima immediatezza e dalla singolarità astratta rispetto ad altro, in quanto essa è accolta nella singolarità dell’Io in generale.8

Questo battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è ll’immagine. L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza — dice Hegel — è il Quando e il Dove dell’immagine.

L’immagine è per sé transeunte, e l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio — il Quando e il Dove — dell’immagine.

L’intelligenza però non è soltanto la coscienza e l’Esserci delle proprie determinazioni, bensì, in quanto tale, ne è anche il soggetto e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza, perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.9

Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine, mettendo in azione uno stile agostiniano alla De magistro. Anche la nozione, classica, di rappresentazione entra, ricompresa e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.

La nozione di memoria è anch’essa ripercorsa, nella sua struttura classica, come movimento attivo e imprendibile, funzionante nell’intelligenza e produttiva di essa, in una svolta decisiva del paragrafo 456.

L’intelligenza è la potenza che domina sulla riserva di immagini e rappresentazioni che le appartengono; essa è quindi congiunzione e sussunzione libera di questa riserva sotto il contenuto peculiare. L’intelligenza si ricorda ed interiorizza in modo determinato entro quella riserva, e la plasma immaginativamente secondo questo suo contenuto: essa è quindi fantasia, immaginazione simbolizzante, allegorizzante o poetante.

Questa formazioni immaginative più o meno concrete, più o meno individualizzate, sono ancora delle sintesi nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto soggettivo conferisce un Esserci alla rappresentazione, proviene dal Trovato (dem Gefundenen) dell’intuizione.10

Passività, evidenza, sorpresa di fonte al darsi originario (?) delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento che ha come suo elemento lo scenario dell’interiorità. Il trovato dell’intuizione, incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile in un registro che è già una traduzione. È nel registro di una traduzione che nel percorso di questo testo di Hegel, di una traduzione del fuori nel dentro e viceversa, che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà.

Quando l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza trovata entro sé (par. 445; cfr. par. 455 Anm.), cioè la determina come Universale, ecco allora che la sua attività razionale (par. 438) procede dal punto attuale (dem nunmehrigen Punkte) a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato in autointuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere, Cosa.11

L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa Cosa.

Quando è attiva in questa determinazione, l’intelligenza si estrinseca (aussernd), produce (produzierend) intuizione: è fantasia che si esprime in segni (Zeichen machende Phantasie).12

L’intelligenza esiste in quanto fantasia… Tesi non immediatamente prevedibile nel dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi «scientifica» della psiche. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente una polemica ed anche una riformulazione metodologica radicale nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac e degli ideologues.

Attraverso le scorribande dell’intelligenza fra sapere e segno, scienza e realtà, attraverso e al di là della dialettica fra il positivo e il negativo, fra il soggetto e la verità ecc, Hegel afferma che l’intelligenza è il suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un che rispetto a se stessi, ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato, l’intelligenza si rapporta a se stessa.

La fantasia è il punto centrale in cui l’Universale e l’Essere, il Proprio e il Trovato, l’Interno e l’Esterno, sono perfettamente unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione, del ricordo ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia si tratta pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza non è più come il pozzo indeterminato e come l’Universale, bensì è come Singolare, cioè come soggettività concreta nella quale l’autorelazione è determinata sia come Essere sia come Universalità.13

L’intelligenza è intelligenza di un individuo, di un singolo, è soggettività concreta solo nella fantasia. Tale questione è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung:

Tutti riconoscono che le immagini della fantasia costituiscono tali unificazioni del Proprio e dell’Interno dello spirito con l’elemento intuitivo. Il loro contenuto ulteriormente determinato appartiene ad altri ambiti, mentre qui questa fucina interna va intesa soltanto secondo quel momento astratto.

In quanto attività di questa unione, la fantasia è ragione, ma è ragione formale, solo nella misura in cui il contenuto in quanto tale della fantasia è indifferente. La ragione in quanto tale, invece, determia a verità anche il contenuto.14

Nell’Anmerkung successiva nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel breve percorso che qui ci interessa:

In particolare bisogna ancora rilevare questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno a immagine e a intuizione — e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina come essente-, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo cui l’intelligenza si farebbe essente, si farebbe Cosa. Il contenuto dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto la determinazione che essa gli conferisce.

L’immagine prodotta dalla fantasia è solo soggettivamente intuitiva, mentre è nel segno che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica intuibilità (eigentliche Anschaulichkeit); nella memoria meccanica, poi essa completa in sé questa forma dell’Essere.

L’immagine solo nel segno è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile come segno, non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili, ma neppure sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi (che, in termini hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come segni.

L’elemento imprendibile, enigmatico della conoscenza è il segno e non il dato, .il dono. Nella struttura di questo testo Hegel afferma che il non proprio, il non mio sovrasta e spiazza nella forma del segno, non nella forma del dono.

In questa unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione autonoma (selbständiger Vorstellung)) e di una intuizione, la materia dell’intuizione è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato e di dato (ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes) (per esempio il colore della coccarda e affini).

In questa identità però l’intuizione non ha il valore di rappresentare positivamente e di rappresentare se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’immagine che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma dell’intelligenza come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo significato. Questa intuizione è il segno.15

L’intuizione, rapportata «scientificamente» alla sua origine, ha la forma del segno. Tale forma ha una struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza sembra funzionare in una deriva di cui il segno costituisce una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.

L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato e di spaziale (gegebenes und raumliches) una volta impiegata come segno riceve la determinazione essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza.

Perciò la figura più autentica dell’intuizione, che è un segno, è di essere un Esserci nel tempo: un dileguare (Verschwinden) dell’Esserci mentre l’esserci è.

Inoltre, secondo la sua ulteriore determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla naturalità propria (antropologica) dell’intelligenza stessa: è il tono (Ton), cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.

Il tono che si articola ulteriormente in vista delle rappresentazioni determinate è il discorso, e il sistema del discorso è la lingua. In questo ambito il tono conferisce a sensazioni, intuizioni e rappresentazioni un secondo Esserci, più elevato dell’Esserci immediato: in generale conferisce loro un’esistenza che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa.16

Questo progetto hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto funzionante come segno, «riceve la determinazione essenziale di essere soltanto come intuizione rimossa» (zu einem Zeichen gebraucht wird, die wesentliche Bestimmung nur als aufgehobene zu sein). In questo esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza. La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione di tempo. L’intuizione non è dominabile da un soggetto se non nella forma del dopo: «un dileguare dell’Esserci mentre Esserci è».

Quell’altro intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra il dentro e il fuori si esprime nel tono, suono articolato (Ton). Il tono, visto in rapporto ad una rappresentazione determinata, è il discorso (Rede) e il sistema del discorso è la lingua (Sprache).

A questo punto del suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio greco e platonico accordato alla parola, al logos in quanto vivente pronunciato, detto. Come in Platone anche in Hegel la parola è centrale nella vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo di un movimento originario ed imprendibile.


  1. Per un commento critico ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia» nella sezione sullo «Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e la saggistica relativa, cfr. Rossella Bonito Oliva, La «magia dello spirito» e il «gioco del concetto». Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia di Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1995. ↩︎

  2. Uso la recente traduzione di Vincenzo Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, ed. 1830, Milano, Rusconi, 1996) che ritengo puntuale ed avvertita delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare traduzioni familiari e consolidate. ↩︎

  3. Par. 441. ↩︎

  4. Ibidem. ↩︎

  5. Par. 442. ↩︎

  6. Par. 443. ↩︎

  7. Par. 449. ↩︎

  8. Par. 452. ↩︎

  9. Par. 453. ↩︎

  10. Par. 456. ↩︎

  11. Par. 457. ↩︎

  12. Ibidem. ↩︎

  13. Par. 457, Anmerkung↩︎

  14. Par. 457, Anmerkung I. ↩︎

  15. Par. 458. ↩︎

  16. Par. 459. ↩︎