Antonio Rosmini, Opere Filosofiche. Antologia sistematica commentata, a cura di Giovanni Chimirri, Milano, Mimesis, 2020, 1280 pp.
Per la prima volta nel panorama editoriale si pubblica un’antologia sistematica delle Opere Filosofiche del beato Antonio Rosmini (Rovereto 1795–Stresa 1855), autore alquanto bistrattato sia dai comuni manuali di storia della filosofia in commercio (che gli dedicano poche righe), sia in altre storie tematiche della filosofia (dove è citato raramente), a motivo forse di un pregiudizio anti-ecclesiastico secondo cui un prete (com’era Rosmini) abbia poco nulla da dire sul terreno della speculazione filosofica. Eppure, G. Gentile ebbe a dire che le opere di Rosmini sono «una miniera di alte idee, che male una moda della nostra recente filosofia leggerina e brillante viene istigando a mettere da parte come filosofia di vecchio stile, retta da uno spirito teologale e dunque ormai sorpassata». Rosmini è invece «più vivo oggi del secolo scorso […] e come cosa viva possiamo ancora studiarlo con le sue vitali esigenze nella scienza del pensiero. Rosmini, dopo Kant, ha costruito la filosofia e noi vorremmo che sia studiato di più e meglio di quanto oggi si fa».
Rosmini è stato uno dei più grandi filosofi di ogni tempo e senz’altro il più grande filosofo cristiano insieme ad Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino; autori di cui sfrutta le opere citandole migliaia di volte e integrandole con paradigmi più moderni, come per esempio le corrette esigenze della soggettività, il valore dell’autonomia della scienza e della ragione, la tutela giuridica della persona, la coscienza morale, il bene comune e sociale, ecc.
Per questi motivi, Giovanni Paolo II lo ha definito un «dotto maestro per il terzo millennio»; Benedetto XVI l’ha riabilitato sul piano ecclesiale (dopo incomprensioni e interdetti durati un secolo e mezzo); papa Francesco nella Veritatis Gaudium (2018) lo cita come esempio di educatore e formatore, nella misura in cui propugnò l’unità della scienza, il superamento della divisione fra teoria e pratica, lo spendersi nella comunicazione della verità e nell’amore (p. 50).
Non si creda tuttavia che Rosmini sia stato un semplice pensatore cristiano che ha speculato solamente all’intero della fede (per quanto molteplici siano tali riferimenti nelle sue opere). Basti leggere, infatti, il Nuovo saggio sull’origine delle idee, la Teosofia, l’Antropologia, la Psicologia, la Logica, la Filosofia del diritto e altre opere ancora, per rendersi conto di quali alte vette speculative abbia egli scalato, lasciandoci in eredità un’opera davvero immensa ed enciclopedica, un tesoro per tutti (credenti e no); come se poi tutti gli altri grandi filosofi osannati dalla storia umana non si siano mai posti il problema di un Assoluto, di una Trascendenza, di uno Spirito, di un Bene, di un Uno originario, ecc. Cartesio, Spinoza, Vico, Malebranche, Cusano, Kierkegaard, Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Schleiermacher, Jung, Scheler, ecc. erano tutti credenti!
Ma, detto ciò sulla figura di Rosmini, entriamo nel merito di questa antologia, curata da uno studioso che da quarant’anni si dedica al suo pensiero e sul quale ha già pubblicato recensioni, articoli, antologie e monografie (materiale confluito e rielaborato in questa nuova opera).
Il volume si apre con una serie di epigrammi rosminiani: «La filosofia è una pedagogia dello spirito in cui, trovate le ragioni ultime, la mente si soddisfa e si riposa» (Sistema filosofico); «Il mondo necessita di una causa creatrice che lo estrae dal nulla: è impossibile un ente temporale senza quello eterno» (Sistema filosofico); «La filosofia è l’amore per l’essere, quel cibo divino infusoci nell’anima dalla sapienza eterna» (Teosofia); «Senza ontologia, la teologia cade nel misticismo e fanatismo; ma senza la teologia, l’ontologia cade nel razionalismo ed entrambi cadono nel panteismo» (Teosofia); «Il vizioso è infelice e si punisce da sé, mentre il virtuoso è felice perché il bene lo appaga». L’intera filosofia rosminiana si può riassumere in queste poche sentenze, che nel corso delle opere sono ampiamente illustrate, discusse, difese dagli avversari con le armi della ragione, della dialettica e persino del semplice senso comune.
Ma davanti alla mole degli iscritti rosminiani composti di un centinaio di volumi per oltre 50 000 pagine, è facile provare un senso di smarrimento, disorientamento. Infatti, quale Rosmini bisognerebbe studiare? Su quale Rosmini converrebbe soffermarsi? Sul Rosmini metafisico? Sul Rosmini teologo? Sul Rosmini antropologo e psicologo? Sul Rosmini politico, diplomatico e giurista? Sul Rosmini maestro spirituale, pedagogista e fondatore di scuole? Rosmini ha dedicato tutta la sua vita alla scrittura, e dunque chi vuole conoscerlo deve armarsi di una buona dose di pazienza e coraggio. Ma oltre la quantità delle sue opere, c’è un altro motivo che potrebbe allontanarci dallo studio: il suo linguaggio, spesso disagevole per il nostro modo di parlare e scrivere oggi, per tralasciare infiniti corollari, indagini troppo analitiche e riferimenti a personaggi della sua epoca oggi caduti nell’oblio o in ogni caso insignificanti (pp. 38ss.).
Se un lettore prendesse in mano una pagina a caso di un testo rosminiano, potrebbe imbattersi in frasi del tipo: «imperciosiacché, eglino, notomizzandoli in guisa della cagione di conghietturare simigliamente ai savi, ecc.»; oppure «poscia si dee l’appetito del bruto per lo iudicio, ecc.»; oppure: «il dirò spacciamente all’uopo dell’affettazione»; oppure si troverebbe davanti a termini e costrutti oggi in disuso e non più riportati dai dizionari, del tipo: «sentimentazione», «assaissimo», «tortamente», «potenza locomotiva», «forza sensifera», «cotale», «unizzare», «sensione», «flussibilità», ecc. (p. 40). Ora, tutto questo, se può risultare innocuo allo specialista e all’amante dei classici e all’appassionato dell’italiano di altri tempi, sconforta senza dubbio tutti gli altri, che si troverebbero in mano dei testi poco simpatici da leggere.
Da qui la prima utilità del lavoro compito dal curatore: superare gli scogli linguistici e formali di un periodare arcaico, «traducendo» i testi rosminiani in italiano corrente/attuale/contemporaneo; cosa questa che ha comportato insieme una diversa punteggiatura e grafia, termini di raccordo, adattamenti, ripuliture, piccole sintesi, velocizzazione dello stile, ecc.
Si noti che la modernizzazione di testi classici, cioè di scritti nella vecchia lingua italiana, è già stata più volte compiuta, per esempio, con Dante o Boccaccio. Ovviamente, per quanto riguarda le opere letterarie, si perde la metrica, lo stile e la liricità del testo originale, ma in filosofia contano di più i significati e i contenuti anziché la matematica purezza della forma letteraria. Pensiamo anche alle traduzioni compiute dei testi rosminiani in altre lingue moderne (inglese, spagnolo, polacco, tedesco, russo, rumeno, ecc.): una semplice trasposizione o traduzione meccanica risulterebbe semplicemente impossibile e/o incomprensibile a chiunque e dunque non servirebbe. Ma oltre a questa prima utilità dell’antologia, dobbiamo registrane altre:
i testi antologici sono preceduti da un’Introduzione generale (pp. 9-54) che ripercorre la vita del beato, indicandone a grandi linee il pensiero, l’eredità culturale e le vicissitudini fino ai giorni nostri;
oltre la versione di quei testi in greco, latino e altre lingue citati da Rosmini senza traduzione, sono selezionate le pagine più importanti delle opere rosminiane più famose sopra menzionate, sfrondate da temi oggi superati o poco interessanti, permettendo di evitare la lettura diretta di ben 9.000 pagine;
un ricco commento a piè di pagina (anche questa, una novità negli studi rosminiani), compendiato in oltre 3000 note di vario genere (note filologiche, note storiche, di spiegazione, di rimandi interni ed esterni, ecc.);
un capitolo finale (l’ottavo, pp. 1243-1268) dove, oltre a riportare un testo prezioso e raramente citato di Rosmini (cioè un «Tesario Filosofico»), lo completa approntando un altro tesario filosofico relativo alle opere dell’antologia che Rosmini aveva tralasciato (cioè, i sunti relativi all’antropologia, alla morale, alla politica e al diritto);
una serie di ricche e aggiornate bibliografie che accompagnano tutto il volume.
Ma dai tempi in cui furono scritte le opere di Rosmini, sono trascorsi ormai quasi due secoli, per cui la presente antologia non può e non vuole limitarsi a una semplice riproposizione storica del suo pensiero. Pur riportandone le perenni e preziose verità, precisa il curatore nella sua Introduzione, non s’intende ripetere pedissequamente Rosmini o memorizzarlo scolasticamente ma, più in profondità, si vuole filosofare «con Rosmini oltre Rosmini» (p. 44); e questo, premettendo a ogni capitolo antologico ampi saggi introduttivi che mentre anticipano le principali tesi rosminiane, le contestualizzano in orizzonti più ampi e in serrati confronti con altri filosofi contemporanei, come per esempio il rapporto Rosmini/Gentile (che del beato volle farne il Kant italiano), e più in genere il rapporto tra Rosmini e l’idealismo e insieme il rapporto tra logica e metafisica, dottrina del conoscere e dottrina dell’essere, ecc. (cfr. pp. 206-218).
Studiando Rosmini e di là di ogni contenuto, si apprende un modello maieutico di pensare; ci s’innamora di quella dialettica votata alla scoperta della verità, sia questa primariamente razionale o tendenzialmente sovra-razionale. Da qui l’aggancio della filosofia alla fede non solo cristiana, ma anche ebraica e islamica, con la dottrina di quel Dio creatore comune ai tre grandi monoteismi (vedi gli ampi paragrafi dedicati dal curatore alle celeberrime dimostrazioni dell’esistenza, pp. 462-486).
Rosmini si confronta sempre non solo con le altre religioni, ma anche con tutti i principali filosofi che l’hanno preceduto, dei quali possedeva i testi in lingua originale, molto citati e valorizzati secondo i meriti di ognuno. Ma in tal modo, e questo è un altro punto evidenziato dal curatore (p. 44), studiare Rosmini è utile e conveniente poiché insieme alla sua singola figura si studia inevitabilmente l’intera storia della filosofia (e si ricordi che ogni disciplina non è che il risultato del suo lungo cammino storico), salvo che uno inventi lui stesso un inaudito nuovo sistema con termini mai sentiti prima e dunque in totale dispregio della tradizione (come rimarca Rosmini nelle sue Lettere sulla lingua filosofica, riportate alle pp. 178-184).
In tutte le sue opere, Rosmini, contrapponendosi agli altri filosofi, vuole combattere in modo ancor più incisivo gli errori in se stessi che sempre si ripetono nei diversi autori nascondendo quelle verità di cui l’uomo rimane perennemente assetato. Ma quali sono questi errori? Sensismo, materialismo, scetticismo, ontologismo, agnosticismo, panteismo, emanatismo e immanentismo, monismo e dualismo, individualismo e anarchismo, totalitarismo e statalismo, utilitarismo ed edonismo, ateismo e nichilismo, razionalismo e irrazionalismo, idealismo, ecc., per tralasciare altri errori tipici soprattutto del pensiero orientale che Rosmini ha ugualmente presente e rifiuta, come il reincarnazionismo, il fenomenismo (irrealtà del mondo), il politeismo, la superstizione, ecc. (dottrine poi confluite anche in Occidente).
Gli scopi dichiarati di quest’antologia sono sostanzialmente due. Primo. Servire gli studenti per avviarli al pensiero rosminiano con «un manuale orientativo, una bussola per navigare nel maestoso oceano del suo pensiero» (p. 49). Secondo. Portare la sapienza di Rosmini fuori della cerchia ristretta degli specialisti e farlo conoscere a un pubblico più vasto; cioè, a tutti quelli che non possono sobbarcarsi la fatica di studiare direttamente i suoi numerosi e poderosi volumi; eppure, nondimeno, desiderino filosofare e confrontarsi con un grande classico per conoscerne il suo tesoro sapienziale. Crediamo che quest’antologia abbia raggiunto i suoi fini mettendoci in mano in un unico tomo le dottrine fondamentali dell’intera filosofia rosminiana.
Dopo le censure e le mistificazioni subite da Rosmini, sono ormai sopraggiunti nuovi venti culturali indicanti quel sapere da lui divulgato con indefesso e incommensurabile impegno. Bisogna ricorrere a Rosmini perché «la gente non cerca risposte parziali o spicciole ma cerca un pensiero solido capace di dare risposte adeguate e universali» (p. 51). Occuparsi di Rosmini significa soprattutto esercitare la ragione come tale e speculare in profondità, senza per questo dover accettare in toto il suo sistema, essendo più importante apprendere e condividere quei principi che valgono in ogni caso.
Per quanto la Chiesa citi Rosmini come connubio riuscito di ragione e fede, essa non può più sposare oggi alcuna filosofia (come fece in passato con Platone, Aristotele e Tommaso), ma può solo indicare, suggerire e consigliare quei filosofi che sono in sintonia con le verità da lei professate. In questi tempi di smarrimento filosofico e caduta dei valori, occorre tornare a filosofare con un «pensiero forte» come quello rosminiano, «un’autentica metafisica dell’anima protesa costantemente alla ricerca dell’assoluto» (p. 51).
L’antologia, scandita in sette capitoli che seguono l’ordine stesso dei volumi stabilito da Rosmini per la Collezione Editoriale che stava approntando, s’inserisce in quell’opera di «carità intellettuale» di cui oggi c’è molto bisogno; e intende essere una testimonianza del lavoro di perfezionamento morale al quale tutti siamo chiamati (come vuole Rosmini, p. 52), al fine di poter essere utili al prossimo e portare la propria mattonella (grande o piccola che sia) nell’edificazione dell’umano consorzio (e della comunità ecclesiale per chi crede).
Oggi Rosmini, dopo aver subito quattro processi (con due condanne e due assoluzioni), è stato dichiarato beato (2007) e proposto come modello per tutti. Questo, però, non è un punto d’arrivo per i suoi estimatori, ma deve essere solo un punto di partenza per rilanciare il suo pensiero e imitarne la santità, cioè il suo amore per il prossimo, la Chiesa, Dio. Infatti, la sua prossima canonizzazione, non consisterà per i devoti, gli studiosi e gli stessi sacerdoti rosminiani, di una «medaglietta trionfale» da appendersi al petto, poiché la sua santità, come quella di ogni altra figura, ha senso solo nell’atto in cui ci sforziamo personalmente di imitarne e ripercorrerne le virtù.