Senza il gusto di vivere, colpita alla sorgente stessa dello slancio che la sorregge, l’Umanità si disgregherebbe e cadrebbe in polvere, per nausea o ribellione. — Pierre Teilhard de Chardin
Dove trovai cose viventi trovai pure volontà di potenza. — Friedrich Nietzsche, Cosi parlò Zarathustra
1. Introduzione
Dinanzi al dinamico processo vitale di creazione e distruzione, dinanzi alla precarietà e all’imprevedibilità dell’esistenza, due soli atteggiamenti sono possibili. Il primo è quello della fuga di fronte al flusso inarrestabile degli eventi, della rassegnazione e della negazione progressiva della voluntas, che mette capo all’ascetismo: questo è l’atteggiamento che assume Schopenhauer. Il secondo è l’atteggiamento di Nietzsche, ovvero quello dell’accettazione e dell’esaltazione della vita, che significa liberazione e salvezza. Se costui accetta la visione pessimistica che Schopenhauer ha del mondo non sente tuttavia di poterne accettare le conseguenze, l’abbandono cioè di ogni speranza dell’uomo. La filosofia nietzschiana, pur muovendo dal pessimismo, s’avvierà ad essere una filosofia affermativa che invita ad affrontare la vita senza rifiutare nessuna delle possibilità da essa offerte. Il simbolo divinizzato dell’esaltazione e dell’accettazione della vita è Dioniso, il dio dell’estasi, dell’ebbrezza, della musica sfrenata, della danza; il dio dei misteri della vita, dell’eterna rinascita, nonché dell’istinto, della volontà e della passione; il dio, infine, che bandisce da sé ogni rinunzia di fronte al mondo, sostenuto e spinto da un’incontenibile impulso vitale. Sia che diciamo con Schopenhauer: volontà di vivere, o con Nietzsche: volontà di potenza, o con Bergson: slancio vitale, o ancora con P. Nunn: horme, non facciamo che esprimere la stessa idea, non facciamo che denominare quell’impulso prepotente, quell’energia che genera la vita, che spinge l’individuo ad agire, ad affermare se stesso, ad accrescere la propria potenza.
A questa impetuosa energia vitale Célestin Freinet (1896-1966) assegna il nome di «potenziale massimo di vita». Tale concetto rappresenta uno dei più profondi presupposti della riflessione freinetiana. Secondo l’educatore francese, l’essere umano cerca costantemente di realizzare l’essenza che incarna, di auto-affermarsi, di conservare il proprio equilibrio, dominando gli ostacoli che si oppongono alla sua ascesa, in virtù di un principio unico e generale rappresentato dal bisogno di potenza, quella «luce permanente che […] ci permette di seguire l’uomo nella sua lotta per la conquista di quella pienezza di vita che è la sua ragion d’essere, nonché la garanzia della sua affermazione, della sua crescita».1 Tale bisogno di potenza è posto al servizio dell’istinto universale di vita, di quell’energia fluttuante, da cui tutto emerge e in cui tutto ricade, di quella universale volontà di vivere che, nelle parole di Teilhard de Chardin, sorregge l’intera Umanità.
La volontà o gioia di vivere è espressione di quella forza vitale che guida l’essere durante la sua crescita e che in P. Nunn2 prende il nome di horme (in greco «slancio»). Horme è lo spirito greco che personifica l’attività energetica, l’impulso a mettersi in movimento, la brama di agire, l’impeto della battaglia. Tale termine viene adottato da Nunn in riferimento a tutti i comportamenti e/o processi intenzionali di un organismo, consapevoli o meno; in riferimento agli incessanti aggiustamenti che costituiscono il tessuto della vita, in cui egli ravvisa un elemento di spinta o di stimolo, una tendenza verso un fine. Il filosofo inglese parte dalla concezione finalistica della psiche di C. G. Jung, quindi dal concetto di libido inteso come energia psichica in generale, come l’equivalente dell’energia vitale, scorgendo nel concetto di horme un più ampio significato rispetto all’idea di Jung3 di collegare tale termine a valori esclusivamente psicologici.
La spinta interiore che conduce la vita a destini sempre più alti assume in Bergson il nome di élan vital. L’idea bergsoniana di slancio vitale che rimanda a «un’esigenza di creazione»4 libera e imprevedibile è suggerita dall’osservazione di una sorta di flusso interno allo sviluppo evolutivo che esprime la capacità di tale sviluppo di cercare le proprie strade in modo creativo, non arrestandosi davanti agli ostacoli. Il filosofo francese definisce la vita come una corrente lanciata attraverso la materia, come uno sforzo per accumulare energia e liberarla, come creazione e progressione continua. Freinet rielabora tale concetto di «slancio vitale» senza riferirsi a una causa primaria spiritualista, ma includendo in questa espressione quel dinamismo che assicura il trionfo della vita. Egli si avvicina al pensiero bergsoniano attraverso la lettura delle opere di A. Ferrière il cui pensiero eserciterà su di lui un’influenza decisiva. Il pedagogista e filosofo svizzero riprende le teorie filosofiche di Bergson5 e di James incentrate sul divenire inquadrandole ed approfondendole nel suo studio dell’Io.6 Egli, sulla scia della filosofia bergsoniana, afferma che esiste un flusso vitale volto alla completa realizzazione della potenza dell’Io la cui tendenza costruttiva si contrappone a quella distruttiva del non-io, che è staticità assoluta. Nel suo pensiero ciò che principalmente caratterizza la vita è il fatto che puntualmente l’essere viene a contatto con qualche cosa che, donandogli energia, è suscettibile di determinare un suo accrescimento. Quando Bergson, nella sua Evoluzione creatrice, paragona l’essere vivente a una macchina che profonde continuamente dell’energia per acquistarne di nuova, egli lascia intendere che questo continuo scambio non avviene in vista di un fine: si tratta di uno scambio ateleologico. Tuttavia Ferrière scorge questo fine nella volontà dell’essere vivente di accrescere le proprie possibilità di vita, di agire, senza lasciarsi distruggere dalle forze avverse dell’ambiente. Per Bergson la vita è uno slancio continuo, uno sforzo irregolare nella sua intensità e nella sua direzione, ma permanente. «Conoscere questo slancio vitale, conoscere la sua meta, conoscere i suoi mezzi, ecco il dovere essenziale dello spirito umano».7 Lo slancio vitale dello spirito sta alla radice della vita, è la sorgente di ogni attività degna di questo nome. Il suo sviluppo è un fine da raggiungere e, al tempo stesso, rappresenta il solo mezzo che l’uomo possiede per affermare e potenziare se stesso.
Abbracciando la concezione filosofica di Ferrière, Freinet tende ad esaltare la vita ponendo alla base di essa una forza energetica un indomito desiderio di cose più lontane ed elevate, un forte vento vitale che spinge l’individuo a salire sempre più in alto, al fine di realizzare il suo destino di essere unitario,8 o, per usare un’espressione bergsoniana, di «unità molteplice».9
2. Il concetto di «potenziale massimo di vita»
Secondo la concezione psicopedagogica freinetiana, ciascun individuo è animato da un’inesauribile volontà di vita, da una tensione di ricerca, da un irrefrenabile impulso che lo spinge a superare costantemente se stesso, a perfezionarsi, ad acquisire quegli apprendimenti che assicurano il suo equilibrio e la continuazione della sua vita; una vita potenziale che si rigenera continuamente tramite un processo generale di apprendimento, posto alla base della conoscenza, dell’intelligenza e della ragione: il tâtonnement10 sperimentale, processo generale di adattamento, senza il quale la vita non sarebbe possibile. Tale processo, attraverso cui l’individuo realizza i diversi stadi della sua evoluzione, consiste nel procedere mediante continui tentativi, nonché nella ripetizione automatica delle esperienze riuscite, che si fissano come atti riflessi per poi trasformarsi in regole di vita talvolta inestirpabili. L’importanza di tale processo è avvalorata dal fatto che soltanto attraverso l’atto riuscito l’essere consegue lo scopo che gli ridona l’energia potenziale indispensabile per la continuità della vita. Tale concezione costituisce la pietra angolare della psicologia di Freinet, il quale arriverà ad affermare che tutti i nostri atti sono il frutto del tâtonnement sperimentale,11 processo unico e universale che presiede a tutti gli atti della vita. Ritengo rilevante osservare che Teilhard de Chardin considera la tecnica del tâtonnement come la grande legge del mondo, come un’arma specifica di ogni moltitudine in espansione. A suo avviso, «l’Universo in via di avvolgimento […] progredisce passo a passo, attraverso miliardi e miliardi di tentativi»;12 il mondo, «considerato sotto l’aspetto sperimentale, è un immenso andare a tentoni, un’immensa ricerca».13
Nella prospettiva freinetiana, l’uomo è il risultato di un susseguirsi di numerose esperienze e di infiniti tâtonnements atti a ristabilire l’equilibrio vitale alla cui base Freinet pone il dubbio, o, meglio, l’insoddisfazione, che rappresenta, a suo avviso, il primo ed essenziale gradino dell’ascesa dell’uomo, quell’eterno insoddisfatto perennemente alla ricerca di una nuova soluzione agli insondabili problemi della conoscenza e dell’azione. In questa permanente insoddisfazione il maestro francese scorge la particolare misura dell’essere umano. L’individuo che occupa il livello più elevato nella scala dell’umanità è colui che avverte il più profondo inappagamento di fronte ai problemi della vita, colui che non smette mai di dubitare, di esperire, inseguendo il suo sogno di potenza.
I fondamenti della teoria psicopedagogica freinetiana sono riassunti in quattro opere essenziali: L’Éducation du travail (1949); L’École Moderne Française (1946); Essai de psychologie sensible (1950); Les dits de Mathieu (1952). Ma è soprattutto nel Saggio di Psicologia sensibile14 che emerge il pensiero psicologico di Freinet. In quest’opera l’autore, immergendosi profondamente nel comportamento intimo degli individui e collegando in maniera naturale e definitiva la pedagogia alla psicologia, ha tentato di dimostrare che la costruzione della personalità, unità dinamica tesa sempre alla migliore realizzazione di sé, si fonda su quella che è per lui la più decisiva delle leggi della natura: il tâtonnemen sperimentale, processo attraverso cui l’individuo si adatta dinamicamente all’ambiente. Nella prima parte del Saggio Freinet prende in esame i processi dinamici con cui la vita si manifesta cogliendo quest’ultima nel suo movimento e constatando che l’essere vivente è portato dalla natura stessa a percorrere il suo ciclo normale di vita, a realizzare il suo destino, parola che non esprime in lui alcuna idea trascendentale, spiritualista o religiosa, ma che rimanda ad una piena e consapevole autorealizzazione.
Nel compimento di questo processo vitale, l’individuo, animato da uno «slancio invincibile», mobilita un «potenziale massimo di vita» reagendo e adattandosi dinamicamente ai cambiamenti dell’ambiente interno ed esterno, al fine di ristabilire il suo indispensabile equilibrio vitale. Tutto si compie come se l’individuo — e d’altronde ogni essere vivente — avesse dentro di sé un potenziale di vita che tende non soltanto a conservarsi e rafforzarsi, ma a crescere, ad acquisire la massima potenza, a schiudersi e a trasmettere sé agli altri esseri che ne costituiranno il prolungamento e la continuazione. E tutto ciò non a caso, ma secondo le linee di una specificità che è inscritta nel funzionamento stesso del nostro organismo e nella necessità dell’equilibrio senza il quale la vita non potrebbe compiersi. Tutte le costrizioni, tutti gli ostacoli che intralciano e impediscono questa realizzazione dinamica del destino intimo dell’essere, sono avvertiti come una pericolosa rottura dell’equilibrio indispensabile.15 Nella visione freinetiana, l’abbassamento del potenziale di vita suscita un sentimento d’inferiorità e d’impotenza che provoca a sua volta nell’essere un dolore e uno squilibrio profondi; la ricarica della forza vitale origina, invece, un sentimento di potenza, il cui mancato appagamento genera un forte senso di oppressione e la cui soddisfazione è, all’opposto, come un’esaltazione dell’istinto di vita, «senza il quale niente esisterebbe».
L’essere umano, lo abbiamo visto, è impulso di autorealizzazione, di autoaffermazione, di autosuperamento, ma spesso non riesce a soddisfare da solo questo bisogno. Chiuso entro le mura individuali, l’uomo non giunge a soddisfare il bisogno di affrontare e di conquistare la vita. Per autorealizzarsi l’uomo deve incontrare l’altro uomo, deve entrare in relazione con quel «Tu» che, nell’ottica buberiana, consente all’«Io» di esistere. Le potenzialità di ciascun individuo si accrescono nella misura in cui egli interagisce con l’ambiente esterno, nella misura in cui si intensificano i rapporti con gli altri esseri sociali i quali rappresentano gli strumenti che consentono al singolo di avanzare, di riconoscere e di affermare se stesso.
Di primo acchito sembrerebbe possibile soddisfare l’universale bisogno di potenza che anima ciascuno di noi attraverso la messa in atto di una ricerca meramente individuale; tuttavia, gli individui, pur essendo autonomi, pur essendo in grado di condurre le proprie vite individualmente, pur potendo, come le molecole dei liquidi, scorrere gli uni sugli altri, risultano perennemente in contatto reciproco: in virtù di forza attrattiva, essi non riescono ad allontanarsi definitivamente dalla “massa-società” di cui costituiscono le particelle coese ma libere di muoversi. Le migliori condizioni per la realizzazione dell’individuo risiedono nella comunità. Del resto, se è vero che l’uomo non è un essere che si omologa alla folla, ma un essere che deve affermare la propria individualità, la propria unicità, è altresì vero che non è un individuo da concepire solipsisticamente. Egli è un essere la cui consistenza ontologica è determinata dal rapporto con l’alterità, è un essere inserito in una comunità alla quale apporta i frutti della sua creatività individuale. La realizzazione dell’uomo è subordinata dunque al moltiplicarsi delle sue interazioni con gli altri esseri sociali e con l’ambiente — primaria fonte di stimoli per lo sviluppo della personalità — in cui egli si trova immerso.
L’acquisizione di potenza è funzione dell’equilibrio tra l’essere e il suo ambiente, dell’aiuto e delle possibilità che tale ambiente gli offre. L’ineludibile dialettica individuo-ambiente rappresenta uno dei motivi salienti della riflessione di Freinet, il quale ritiene che il fattore decisivo nel processo educativo e formativo sia proprio l’ambiente,16 la cui struttura crea e predetermina le condizioni dalle quali dipende l’elaborazione del comportamento individuale. Le relazioni del soggetto con l’ambiente sono da lui analizzate tenendo conto dell’ineluttabile processo di adattamento del primo al secondo; processo che influenza, anzi determina lo sviluppo dell’individuo. L’adattamento agli imperativi dell’ambiente costituisce, agli occhi dell’educatore francese, una legge costante di vita. Se l’ambiente nel quale l’essere è inserito evolve, qualunque sia il senso di questa evoluzione, l’individuo deve adattarsi alle nuove condizioni; deve divenire capace di dirigere e controllare l’ambiente, di catturare ed utilizzare i suoi sostegni positivi.
Ogni essere vivente possiede una tecnica di vita derivante dall’esperienza e dall’adattamento avvenuto nel corso di migliaia di anni. Tale tecnica di vita, la cui acquisizione è indispensabile in vista della realizzazione del ciclo vitale dell’essere, è l’istinto, parte integrante dell’essere. Tuttavia, precisa Freinet, se l’ambiente cambia la tecnica istintiva non arriva più a soddisfare i bisogni propri delle nuovi condizioni di vita. L’istinto costituisce la traccia che gli infiniti tâtonnements hanno lasciato in ogni essere, la cui riuscita ha garantito la sopravvivenza della specie. L’individuo, a causa delle variazioni avvenute nell’ambiente, è obbligato a modificare queste tracce attraverso nuove esperienze. L’adattamento che ne consegue costituisce l’essenza stessa della vita, che può essere definita, sulla scorta del funzionalismo educativo di Claparède, come il continuo ristabilimento di un equilibrio continuamente rotto.
Secondo Freinet, il dramma della vita, così come dell’educazione, deriva dallo squilibrio permanente fra l’ambiente interno da una parte, che ha bisogno di conservare un minimo di equilibrio e di armonia, e l’ambiente esterno in continua evoluzione, dall’altra. Gli individui fanno fatica ad adattarsi alle repentine modificazioni ambientali e a ritrovare l’imprescindibile equilibrio, senza il quale è impossibile realizzare l’efficienza dell’essere.17 L’essere si realizza nella misura in cui l’ambiente esterno facilita l’espressione e la soddisfazione del suo bisogno di potenza. L’individuo posto in un ambiente favorevole, costituente un fattore di sviluppo positivo, riesce a realizzare appieno il suo io, a conseguire la miglior vita possibile, superando gli ostacoli che essa presenta ed affermando se stesso.
Al contrario, l’individuo posto in un ambiente ostile, in un ambiente che ostacola lo sviluppo delle sue potenzialità e la realizzazione dinamica del suo destino, egli si indebolirà. Tuttavia non smetterà di tentare, di ricercare i principi indispensabili per la sua ascesa al fine di rafforzare un dinamismo ancora in corso e di ridare al suo essere un massimo di potenza. Il bambino nasce e cresce come il chicco di grano. Se l’ambiente in cui si trova gli assicura i principi essenziali alla sua alimentazione, né troppo diluiti, né troppo concentrati, in un’atmosfera favorevole illuminata da viva luce e da attento affetto, il giovane essere cresce anche lui come il chicco di grano, con la massima potenza di cui è capace. Egli compie il suo destino che è proprio quello di accrescere le sue cellule in un’organica armonia e di aprirsi alla vita; ma se i bisogni organici non sono soddisfatti, come esige la sua natura, l’individuo inquieto e turbato cerca ostinatamente il modo per far fronte alle sue deficienze che gli procurano un’oscura sofferenza. Il suo corpo languisce, la sua intelligenza si chiude, ma persisterà fino all’ultimo soffio di vita quell’incessante sforzo che lo spingerà a realizzare l’ordine inespresso, ma impetuoso, del suo destino.18
Nella sua ascesa, l’individuo, secondo un principio di economia dello sforzo che gli è connaturale, allo scopo di andare il più lontano possibile con un minimo dispendio energetico, ripercorre meccanicamente i sentieri che ha tracciato o che hanno tracciato i suoi predecessori, appropriandosi dell’esperienza altrui. In breve, l’individuo tende naturalmente ad acquisire il massimo di potenza con un minimo consumo di energia. In virtù della legge dell’economia dello sforzo, non appena l’attività umana, nel corso del suo tâtonnement sperimentale, scopre una breccia, ovvero un’apertura praticata nell’ostacolo che si oppone al suo cammino, si produce in tutto l’organismo una «tendenza» a utilizzare questa breccia aperta per realizzare il proprio destino: si genera in lui un richiamo di potenza verso la breccia. Se l’ambiente in cui l’individuo agisce si oppone alla sua crescita, viene a crearsi una tendenza verso gli atti che sono riusciti ad aprire una breccia. Tali atti riusciti, lasciando nel comportamento una traccia più o meno chiara a seconda dell’importanza dell’esperienza e della permeabilità ad essa, tendono a riprodursi automaticamente, come se questo successo lasciasse una traccia favorevole per un altro successo, e a trasformarsi in «tecniche di vita» che si inscrivono profondamente nel comportamento dell’individuo assicurandogli l’acquisizione di equilibrio e di potenza.
3. La «vita-torrente»: il dinamismo complesso dell’azione vitale
Freinet attribuisce alla vita un senso totalmente dinamico: «la vita non è uno stato, ma un divenire. È questo divenire che deve animare la nostra psicologia al fine di influenzare e orientare la pedagogia».19 L’assidua ricerca di elementi vitali, suscettibili di soddisfare il sentimento di potenza, la lotta perenne contro gli ostacoli che intralciano l’affermazione dell’essere, i tentativi instancabili volti a raggiungere un’elevata esistenza, l’impellente bisogno di agire, di andare avanti, di salire in alto, esprimono la dinamicità della vita. Nel Saggio freinetiano, tale dinamicità è raffigurata in una sorgente che, divenuta torrente, inizia il suo viaggio impetuoso. Ciascun essere vivente è esattamente come l’acqua del torrente che tende a seguire con veemenza il suo corso. In origine, la potenza del torrente, come quella dell’uomo, è ancora una potenzialità la cui realizzazione è condizionata dalle circostanze naturali che hanno portato il fiotto sul lato di una montagna da dove scenderà a precipizio acquisendo sempre più potenza e slancio. Per continuare il suo «torrente di vita», per andare sempre più lontano, per esaltare la propria forza, l’individuo ricorre a tutte i rimedi che sono alla sua portata.
La sorgente, divenuta torrente, comincia il suo viaggio. E la forza potenziale della sorgente, come il potenziale di vita dell’essere umano, ha questo di particolare e di straordinario: che il suo procedere in avanti, anziché logorarlo, rappresenta per lui un’occasione di esaltazione della sua forza. Il torrente continua meccanicamente la sua corsa sempre più impetuosa man mano che avanza, fino a sembrare formidabilmente invincibile. Verso quale meta? Esso non si pone questa domanda, e anche se se la ponesse, ciò non cambierebbe affatto il suo bisogno imperioso di realizzare, con una vitalità perennemente accresciuta, le esigenze materiali della sua corsa verso la valle. Non è che quando il torrente sfocia nella pianura e il suo corso si quieta e si ramifica che dà dei frutti: i suoi canali laterali diminuiscono e regolano la sua forza naturale, ma amplificano il suo irraggiamento; si tratta, in definitiva, di una nuova esaltazione della sua potenza. E nello stesso tempo, da destra e da sinistra, gli arrivano altri affluenti che gonfiano quindi il suo letto, ridonandogli una nuova forma di potenza che compensa in parte l’impetuosità precipitata. Poi, quando il torrente ha così concluso la sua corsa, quando è disceso giù per la china, ha rafforzato e ingrandito il suo corso, ha ricevuto energia dalle sorgenti vicine, ha rifornito nella pianura i canali da lui sorti, si annienta nell’immenso ed eterno equilibrio del mare.20
Freinet ricorre alla metafora del torrente di vita per far meglio comprendere il processo attraverso il quale l’individuo riesce a superare gli ostacoli che gli impediscono di soddisfare i suoi bisogni essenziali e di conquistare la sua potenza massima. Lontano dal torrente l’individuo può smarrirsi in zone che non gli sono più familiari. Avendo perso la direzione si dirige verso un crescente squilibrio, verso uno stato di lotta e disarmonia generante errori e sofferenze. Può anche accadere che l’individuo rifiuti di seguire la direzione principale e decida di adottare regole di vita che si oppongono ad altre correnti di vita parallele e alla direzione originaria. Bisognerà allora intervenire per far seguire all’individuo disorientato la direzione normale della corrente, poiché «l’uomo deve fare l’impossibile per affrontare la complessità del torrente di vita. Il mettersi anche solo per poco al di fuori della corrente rappresenta sempre un errore che conduce a un ritmo di vita rallentato, volto a scopi che non sono più essenziali».21 Ne deriva che l’individuo deve cercare di rimanere sempre e il più possibile nel complesso e dinamico torrente di vita, tentando di realizzare se stesso.
Uno dei tanti errori commessi dagli adulti nei confronti dei fanciulli consiste nel pretendere di regolare o frenare la loro corsa precipitosa. Così facendo si contribuisce a far diminuire la potenza originaria del torrente, a limitare l’esuberanza di vitalità, «ad abituare la piccola auto nervosa a camminare dietro il camion, che nasconde l’orizzonte chiaro e inebriante della strada libera».22 Poiché la vita è un torrente e poiché non ci si può opporre a questo dirompente fiotto, il compito dell’adulto deve consistere nel facilitare l’ascesa del giovane essere verso la potenza e l’equilibrio, dirigendolo senza timore verso il travolgente «torrente di vita». Servite e rafforzate sempre la vita. Temete più lo sballottamento delle rive insicure o la calma anormale dello stagno, lontano dal flusso della corrente, che l’impetuosità della vita. Servite la vita. È avanzando secondo la corrente che si hanno maggiori possibilità di orientarla e dominarla.23
4. Riflessioni conclusive
L’esame dei principi della pedagogia freinetiana (libero sviluppo del bambino in un clima umano favorente al massimo la spontaneità creatrice; dialogo del bambino con il mondo degli uomini e delle cose; opposizione alla scolastica, autentica pietrificazione dello spirito e del cuore; apertura alle espressioni originali della vita) porta a riconoscere quanto l’opera pedagogica di Freinet, irradiata da una sorta di fuoco, da un intimo amore per la vita, sia imperniata sulla salvaguardia e sul potenziamento dell’energia vitale, sulla costante valorizzazione di tutto ciò che coincide con il vivente. Coltivare e utilizzare lo slancio vitale presente nei bambini, al fine di favorire il loro armoioso sviluppo e di prepare il loro futuro, è una preoccupazione costante nel nostro maestro. Quella di Freinet è una pedagogia «viva», una pedagogia che celebra una sorta di culto della vita e che considera il fanciullo nella sua totalità affettiva e intellettuale. Qui risiede probabilmente la fecondità della pedagogia freinetiana: l’essere non è più scisso (da una parte l’affettività, dall’altra la razionalità), bensì è accettato e accolto in tutta la sua complessità, in tutta la sua ricchezza. Una pedagogia di questo tipo è eminentemente umanistica. Si tratta di un umanesimo vitalista, opposto all’umanesimo razionalista della tradizione accademica francese, il quale pone l’accento su una cultura intellettuale che si acquisisce essenzialmente tramite il contatto con i libri. L’educazione umanista, nel senso classico, mira a formare degli esseri liberi nella misura in cui libertà e razionalità coincidano esattamente; degli esseri virtuosi, ovvero degli esseri che agiscano secondo i lumi della ragione.
Tale visione dell’uomo la ritroviamo proiettata nello schema generale dell’insegnamento primario tradizionale: culto dei libri; morale razionale (teorica); estetica accademica (rivolta al passato, aperta ai soli valori comunemente ammessi); predilezione per le idee generali (quelle che riguardano l’uomo in sé); valorizzazione esclusiva della funzione intellettuale, valutata secondo la curva dei successi o degli insuccessi scolastici; trionfo dell’equilibrio formale sullo zampillare irrazionale di forze vive e sensibili.
La pedagogia freinetiana è riuscita a stabilire un giusto rapporto, un giusto connubio tra sfera emotiva e sfera razionale, tra sentimento e ragione. Il riconoscimento del valore essenziale della vita implica la radicale trasformazione della visione dell’uomo e del mondo, nonché della concezione e della struttura scolastica. Lo spazio della classe o della scuola diviene uno spazio di gioia e di creazione, un campo di esplorazione e di scoperta. Il dinamismo del corpo cessa di escludere quello dello spirito. Dal punto di vista dell’essere in crescita, dell’essere alla ricerca di sé, materia e spirito non appaiono più come degli assoluti che si scontrano, ma come delle pietre miliari, come punti di riferimento suscettibili di illuminare la nostra comprensione del mondo.
Freinet sottolinea l’importanza che nel rapporto educativo ha la dimensione affettiva. Amore, empatia, amicizia, vicinanza umana, comprensione, sono questi i valori su cui si basano le tecniche freinetiane; tecniche all’insegna della libera espressione, naturale processo di creazione e di rinnovamento dell’essere. L’esperienza della libera espressione ha insegnato al «maestro di Bar-sur-Loup» che per partire dal bambino bisogna prima di tutto avvicinarsi a lui rispondendo al suo impellente bisogno di affetto.
Tra le principali qualità richieste ad un educatore figurano l’amore per il bambino e la simpatia, sentimento positivo in grado di porre l’individuo nella giusta disposizione d’animo verso gli altri. Simpatia intesa come apertura profonda, come comprensione, come capacità di accogliere e di partecipare ai sentimenti degli altri; in breve, simpatia intesa come capacità empatica. L’educatore deve compiere uno sforzo di penetrazione nella soggettività altrui considerata nella sua inscindibile unità funzionale; ciò è possibile solo se egli riesce a mettersi nei panni dell’allievo, avendo la capacità di «sospendere» qualsiasi giudizio su di lui. Ciascun bambino deve avvertire intorno a sé un clima di accoglienza, di comprensione, di libertà, di partecipazione attiva e responsabile, al fine di divenire l’artigiano di se stesso. Questa assunzione di libertà, carica di responsabilità e ricca di iniziative, non può compiersi che in un duplice movimento di dialogo e di dialettica con l’ambiente esterno, ovvero con la vita.
Poiché il mondo straripa di vita, la scuola deve aprire le sue porte a tutto ciò che è espressione dello slancio vitale, che ciascun bambino racchiude in sé e che bisogna pertanto utilizzare come forza educativa: essa deve aprire le sue porte alla vita, che batte incessantemente contro le sue mura. Essa deve tener conto, al fine di non dissaldarsi dalla vita, dell’istinto di potenza che alberga nel fanciullo, dell’aspirazione di costui all’accrescimento delle proprie virtualità, favorendo quindi la conservazione e l’incremento del suo potenziale di vita, che lo spinge incessantemente a progredire e a superare se stesso aiutandolo a superare gli ostacoli che intralciano tale conquista di potenza.
Fin dalla nascita l’individuo è un essere ricco di potenzialità che avverte l’esigenza di soddisfare un imperioso bisogno di potenza al fine di crescere e realizzare il suo destino. Equilibrio, salute e felicità sono il risultato della soddisfazione del bisogno di potenza. Se questo potenziale di vita non può tradursi in realtà positiva, nell’essere si produce uno squilibrio che si qualifica come malessere o come sofferenza. Gli ostacoli che si oppongono all’espansione del potenziale di vita possono essere di natura interna, ovvero dovuti a una disfunzione di origine sia congenita sia accidentale, oppure di natura esterna, ossia dovuta all’intervento dell’ambiente che è determinante in quanto costituisce un fattore di sviluppo, che può avere valenza positiva (di aiuto) o negativa (di freno o di rifiuto). Occorre pertanto organizzare la realtà in funzione del bambino rendendo l’ambiente il più possibile favorevole alla sua crescita.
Concludendo, il ruolo della vera educazione consiste nell’aiutare l’individuo a comprendere e a realizzare la sua destinazione, nell’aiutare il torrente a inseguire il suo destino con un potenziale massimo di energia, nel guidare il giovane essere lungo quel tortuoso percorso che conduce alla conquista della vita esortandolo a vivere il più intensamente possibile, che è, come suggerisce Elise Freinet, lo scopo di tutti i nostri sforzi.
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Célestin Freinet, Essai de psychologie sensible, 3ª ed., Delachaux et Niestlé, Paris, 1978, vol. I, p. 30. ↩︎
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Si veda: Percy Nunn, Education. Its data and first principles, Edward Arnold, London, 1920. ↩︎
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Rifiutando il pansessualismo freudiano, Jung interpreta la libido come l’equivalente dell’energia psichica e vitale, ossia come una «spinta» (egli stesso la paragona all’élan vital di Bergson) che non si limita al solo ambito sessuale. Nello psicanalista svizzero (Trasformazioni e simboli della libido, 1912) il termine libido rimanda all’energia che si manifesta nel processo della vita e che viene percepita soggettivamente come aspirazione e desiderio. Ad ogni modo, il primo a rifiutare la sessualistica concezione freudiana della vita psichica è lo psicanalista austriaco A. Adler, il quale sostiene che la libido sessuale rappresenta solo una parte di quell’universale tendenza alla propria auto-affermazione, all’acquisizione di forza, di abilità e di conoscenza, di quella spinta energetica, da lui definita «volontà di potenza», intendendo con quest’ultima l’aspirazione a superare l’inferiorità rispetto agli altri uomini e alle cose, e a raggiungere quindi una condizione di superiorità. Nella visione adleriana (Prassi e teoria della psicologia individuale, 1920), la tendenza all’auto-affermazione si concretizza in uno «stile di vita», inteso come l’insieme delle motivazioni e convinzioni propulsive dell’intera esistenza individuale. ↩︎
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Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, BUR, Milano, 2012, p. 241 (ed. or. L’évolution créatrice, 1907). ↩︎
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Bergson, insieme con James, ha ispirato profondamente il movimento di rinnovamento pedagogico sorto agli inizi del XX secolo, con la proposta di una concezione della vita psichica come un «flusso di idee» e di «coscienza». Opere come il Saggio sui dati immediati della coscienza (1889) di Bergson e i Principi di psicologia (1890) di James hanno rivoluzionato il modo di concepire la vita mentale dell’uomo. ↩︎
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La fonte dell’impostazione complessiva filosofica e pedagogica di Ferrière è — come afferma lui stesso — La legge del progresso in biologia e in sociologia (1915). ↩︎
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Adolphe Ferrière, La scuola attiva, Marzocco, Firenze, 1958, p. 5 (ed. or. L’école active, 1922). ↩︎
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Il punto di partenza delle teorie psico-pedagogiche di Freinet è la concezione unitaria dell’essere, quindi il rifiuto della visione semplicistica di un organismo separato in due parti antagoniste, fisiologica e psichica. A suo avviso gli elementi somatici e psichici sono irrimediabilmente integrati nell’unità dell’organismo. Monistica o unitaria è anche la visione che il maestro francese ha dell’ordine vitale — da lui costantemente valorizzato — che ingloba la sfera spirituale e la sfera biologica; l’energia psichica e l’energia materiale risultano costantemente associate. In questo senso si può parlare di una sorta di vitalismo monista freinetiano. ↩︎
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Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, cit. alla nt. 4, p. 247. ↩︎
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Letteralmente: brancolare, andare a tentoni. ↩︎
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Secondo la concezione freinetiana il bambino è, per sua natura, sperimentatore. Ciò significa che egli procede spontaneamente attraverso un tâtonnement che evolve dalla sua forma primaria, meccanicistica e casuale (“prove ed errori”, al di fuori di un’attività intellettuale specifica), verso forme superiori, ovvero più elaborate, che Freinet designa come tâtonnement sperimentale o intelligente (processo intellettuale globale che permette di risolvere un problema: ragionamento ipotetico-deduttivo). I primi atti dell’individuo consistono in reazioni meccaniche volte all’acquisizione della potenza vitale. Ne deriva che la forma primaria di tâtonnement costituisce una reazione meccanica suscitata da un bisogno innato di vita che spinge l’essere ad avanzare per affermare se stesso. Quando l’individuo non è sensibile che alle esigenze imperiose del suo essere, le reazioni si producono meccanicamente. Tuttavia nell’essere più evoluto, grazie all’intervento della permeabilità all’esperienza, le reazioni puramente meccaniche evolvono rapidamente in forme intelligenti di esplorazioni. È bene precisare che in Freinet il termine meccanico, in riferimento al tâtonnement, non deve essere inteso in senso assoluto. A suo avviso, infatti, la ripetizione automatica delle esperienze riuscite, che si fissano come atti riflessi per poi trasformarsi in regole di vita, rappresenta la norma del comportamento di tutta la vita organica. La trasformazione del comportamento dell’individuo in riflessi meccanici è la condizione stessa della sua sopravvivenza e di ogni suo sviluppo ulteriore; è la condizione sine qua non della preservazione del suo equilibrio e della sua integrità. ↩︎
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Pierre Teilhard de Chardin, Il Fenomeno Umano, (3ª ed. it.) Queriniana, Brescia, 2010, p. 281 (ed. or. Le phénomène humain, Éditions du Seuil, Paris, 1955). ↩︎
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Pierre Teilhard de Chardin, L’Inno dell’Universo, citato in P. Teilhard de Chardin, Il Fenomeno Umano, cit. alla nt. 12, p. 21. ↩︎
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Il Saggio è composto di due volumi: il primo tomo (Acquisizione di tecniche di vita costruttive) è imperniato sullo sviluppo normale dell’individuo il quale è portato dalla natura stessa a percorrere il suo ciclo naturale di vita; il secondo tomo (Rieducazione di tecniche sostitutive di vita) è incentrato sulle alterazioni dello sviluppo dell’individuo il quale tende a formarsi delle regole di vita sostitutive per far fronte allo squilibrio causato da ostacoli che impediscono la crescita del suo potenziale di vita. ↩︎
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Célestin Freinet, Essai de psychologie sensible, cit. alla nt. 1, vol. I, p. 16. ↩︎
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In Freinet il termine ambiente (milieu) assume la duplice accezione di natura e società. ↩︎
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Questo serio problema, messo in luce da Freinet nella seconda metà del secolo scorso, risulta oggi ancor più evidente ed esacerbato. Quella odierna è una società in perenne movimento, una società che cambia in fretta e in modo imprevedibile, una società in cui si ha l’angosciante sensazione di pattinare sopra il ghiaccio sottile, di avanzare troppo lentamente, o, ancor peggio, di rimanere sempre nello stesso posto, di non riuscire a gestire situazioni che si modificano prima che i nostri modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini, in tecniche di vita. Una società che Bauman ha emblematicamente definito «liquido-moderna». ↩︎
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Célestin Freinet, Essai de psychologie sensible, cit. alla nt 1, p. 14. ↩︎
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Ivi, p. 20. ↩︎
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Ivi, p. 17. ↩︎
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Ivi, p. 151. ↩︎
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Ivi, p. 20. ↩︎
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Ivi, p. 169. ↩︎