Il ressentiment. Max Scheler interprete e critico di Nietzsche

1.

«La prima guerra mondiale trasformò uomini e convinzioni». La vita di guerra del 1914-1918, per Piet Tommissen, segna un mutamento storico per il sorgere di una mentalità nuova, nel momento in cui «i rapporti politici di forza si prestavano a mutamenti decisivi». «Ad esempio, produsse certamente i suoi effetti il lavoro iniziato nel 1903 da Karl Muth e dai collaboratori di Hochland, per avviare il cattolicesimo ad un atteggiamento di apertura culturale. C’era poi Max Scheler. I suoi colleghi Peter Wust e Dietrich von Hildebrand hanno chiaramente dimostrato l’attrazione e l’influenza, che egli esercitò su molti giovani intellettuali negli anni decisivi 1914-1921» .1

Si pone, allora, il problema e il tema del sorgere di «una brillante pleiade di giovani e promettenti forze», persino di una élite cattolica tale da conciliare armonicamente fede e scienza, dopo la fine del «summus episcopus del protestantesimo tedesco», al di là di quel che ne pensa Piet Tommissen, specialmente dopo che l’art. 137 della costituzione di Weimar dichiarava che in Germania non esisteva alcuna chiesa di Stato.

L’interesse per Max Scheler nasce dalla consapevolezza che ogni suo discorso sull’etica non resta mai confinato in una dimensione individualistica, ma sfocia sempre in un più vasto ambito politico e sociale. Nella nota opera del 1912, Il risentimento nella edificazione delle morali (ora in Vom Umsturz der Werte) Scheler è convinto che la molla più forte e potente che ha generato il moderno “spirito” (Geist) risiede nel ressentiment. Non esente da influenze della cosiddetta Konservative Revolution, Scheler vede nello spirito un elemento teso a dominare la natura, volto al benessere economico e all’ordine politico e sociale, persino nel processo di razionalizzazione della gnoseologia. Proprio in quegli anni Scheler aveva sostenuto che il termine vita ormai, per l’opera di autori quali Friedrich Nietzsche e Wilhelm Dilthey, aveva aperto una vera e propria “svolta vitale”, un vitalismo al quale davano il loro apporto pure autori come Simmel e Klages, autore nel 1913 di Mensch und Erde.

Ma già il maestro di Scheler, Rudolf Eucken, premio Nobel nel 1908, sin dal 1890 aveva avuto la sua degna influenza sulla rivalutazione, contro ogni sorta di rigidità categoriale, dell’immediatezza del vissuto. Nella cosiddetta crisi dell’Occidente europeo degli anni della “grande guerra” e del primo dopoguerra si affermava quella tendenza al “livellamento” dell’uomo che aveva fatto già capolino alla fine dell’Ottocento e ai primi del Novecento, quasi a riprova di un destino dell’umanità dinanzi al conflitto tra spirito e vita. Nella “struttura dell’epoca” del mondo (Weltalter), il termine Weltpolitik era divenuta la parola d’ordine delle élites dell’imperialismo tedesco che definivano polemicamente imperialismo la politica coloniale britannica.2 Nell’età della modernità avviene non solo una distinzione tra“ordine dei fatti” e “ordine dei valori”, ossia tra ordine naturale e ordine umano, ma anche, quindi, per la “svalorizzazione” della natura, una netta distinzione, una sorta di “sradicamento culturale” tra Weltanschauung e Lebensanschauung. La conseguenza è stata di riproblematizzare le categorie fondanti della politica e delle élites politiche della modernità, rilevandone la storicità e proponendo, attraverso le reinterpretazioni più varie nel coniugare ricostruzione storica e ricerca teoretica, nuove tavole di valori o elementi decisionali, in quell’ampio quadro di pensatori che, nella Germania d’inizio ’900, si snodano da Wilhelm Dilthey e Friedrich Meinecke, Georg Simmel e Ernst Troeltsch, Werner Sombart e Max Weber, sino a Carl Schmitt, Hannah Arendt, Leo Strauss, Max Scheler, Hans Kelsen, Eric Voegelin, Ernst Cassirer e tanti altri ancora.

Nietzsche definiva col termine “nichilismo” la riapertura di tutte le infinite possibilità sul terreno fragile del linguaggio. Nietzsche, per Scheler, aveva di mira la costruzione di una “nuova élite europea”, con la realizzazione di “nuove tavole di valori”, che «emergevano dalla sua critica poderosa delle “morali” storiche tramandate».3 Nell’età del “livellamento” (Ausgleich), del livellamento delle forze come del livellamento di «quasi tutti i connotati caratteristici e specifici della natura, che riguardano i gruppi umani in quanto tali, in cui si può suddividere l’umanità», al pari di «un livellamento delle tensioni razziali», «livellamento di capitalismo e socialismo e, con ciò, delle logiche di classe e delle situazioni e dei diritti di classe fra classi superiori e classi inferiori», questa tendenza avviene «in compresenza di una sempre crescente differenziazione dell’individuo spirituale uomo», cioè dinanzi a «un poderoso rafforzamento delle differenze spirituali, individuali e relativamente individuali». Tuttavia questo “livellamento” «è un destino al quale non si può sfuggire», non può sottrarsi a tale destino «un’umanità che nella prima guerra mondiale ha vissuto la sua prima effettiva esperienza corale — perché solo qui comincia l’unica storia comune della cosiddetta umanità». Ed allora il compito di nuove élites politiche sarà quello di «guidare e dirigere questo livellamento delle proprietà delle forze dei gruppi», un livellamento delle razze, un livellamento dei sessi, un livellamento tra l’uomo “apollineo” e l’uomo “dionisiaco”, tra “lavoro manuale” e “lavoro intellettuale”, un livellamento “vitalistico” dei grandi movimenti politici, come il fascismo ed il sovietismo, un livellamento delle classi e delle nazioni, «un destino prodotto dagli effetti della guerra mondiale», ma altresì un livellamento tra l’Europa ed i “tre grandi centri asiatici”, India, Cina e Giappone, «mediato attraverso il mondo dell’Islam».

È un «compito dello spirito e della volontà», o meglio un vero e proprio compito politico che «consiste oggi, di fatto, nel guidare e dirigere questo livellamento in maniera tale che possa procedere con un minimo di distruzione, di esplosione, di sangue e di lacrime».4 Le epoche del livellamento, dopo le epoche di tensione di forze, sono proprio «le epoche più pericolose per l’umanità, quelle più piene di morte e di lacrime… [infatti] ogni processo, nella natura e nella storia, che noi definiamo esplosione, catastrofe, è un processo di livellamento non guidato o non guidabile sensatamente da parte dello spirito e della volontà». Ma lo spirito nuovo delle élites può tentar, se non di guidare, almeno di mitigare un destino?

«Il capitalismo, anzitutto, non è un sistema economico di distribuzione dei beni, bensì tutto un complesso sistema di vita e di cultura»,5 individuando poi nel borghese “un determinato tipo biopsichico di uomo”. «È chiaro pertanto che ogni modificazione del capitalismo è possibile solo in quella misura in cui il tipo di uomo borghese ed il suo “spirito” perdono il loro predominio».6 Il rovesciamento non può esser opera del “semplice aumento numerico del proletariato”, anche perché «lo spirito di classe del “proletariato” non rappresenta altro che una certa deformazione dell’“ethos” di tipo borghese». Quindi, è lo stesso ethos borghese ad animare borghesia e proletariato, “le unità confliggenti”. Nel saggio del febbraio 1914, Der Bourgeois, matura quel “risentimento” delle masse che ha finito per impregnare persino le “minoranze dominanti” di ethos democratico, malgrado la sempiterna ferrea legge dell’oligarchia. Questo tema richiama non solo il coevo saggio sul “risentimento”, che dall’edizione iniziale del 1912 nella “Zeitschrift für Pathopsychologie” (la rivista diretta da Wilhelm Specht, alla quale collaboravano Ach, Pick, Janet, Bergson e Liepmann) si snoda con aggiunte e variazioni attraverso le edizioni del 1915 e del 1919, in prospettiva un tema decisivo per Scheler: il vero “compito politico” di quella “nuova élite europea” auspicata da Nietzsche, non a caso punto di riferimento d’ogni tematica del “risentimento”, per la realizzazione di “nuove tavole di valori”, come nel noto saggio del 1927, Der Mensch im Weltalter des Ausgleichs .7 Ora tale rinnovata élite generata «da movimenti spirituali nuovi ed insieme mossi da un nuovo sentimento di vita, per trapassare poi crescendo nella sfera politica» per “guidare e dirigere” l’epoca del livellamento, evitandone tutte le forme di catastrofismo, dovrebbe mirare a realizzare “l’unificazione di spirito e vita, di idea e potenza”. Il saggio sul “risentimento” muove dallo scarto tra oggetto dato e oggetto percepito, ma già Simmel nel 1908, in La metropoli e la vita dello spirito, aveva trattato del passaggio delle emozioni da uno status all’altro. Negli scritti dal 1910 al 1920, ma sino alla seconda edizione del 1922 di Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle (1913), l’oggetto non è più come dato, ma è in dipendenza dell’attività dell’immaginazione (riproduttiva), quasi come un recare alla visibilità l’idea insita, la forma plasmatrice. Una soggettività che anela all’oggettività (assoluta) ?

Scheler è attento alla presenza/assenza dei popoli asiatici, dei quali attende il ritorno sulla scena fuor d’ogni cattura dell’“europeizzazione” ben al di là d’ogni stereotipo, pur tenendo conto dello jüngeriano Der gordische Knoten nel confronto tra l’Asia, che privilegia quel nodo quale emblema del destino di un’esistenza soggetta a forze naturali o divine, e l’Occidente, che si identifica nella spada d’Alessandro quale elemento “spirituale” di un mondo che «conosce la libertà, la legge, una grandezza che non può ridursi a semplice potere». È in giuoco quasi l’antitesi tra “poteri titanici” immensi e informi, scaturiti da un substrato di forze elementari, e “poteri olimpici” forieri di ulteriori progressi ed in eterna lotta contro i primi. Scheler vi contrappone il “livellamento” tra l’ideale occidentale dell’“eroe attivo” e l’idea dell’Asia del “saggio che sopporta”. Max Scheler non fa altro che ricondurre le teorie gnoseologiche a formulazioni di trasformazione dell’assetto sociale di una politica o di un’economia, come di una cultura. A fronte di dottrine panvitalistiche, da Nietzsche a Bergson, verso i valori si danno solo preferenze “emozionali”?

Ora per Nietzsche l’intiero svolgimento storico è attraversato da uno scontro tra signori e servi (non a caso, al termine della vita, pare proprio che Nietzsche sognasse un “colpo di Stato” anticristiano ed antisocialista). Per Nietzsche la categoria di individuo non è affatto universalizzabile, anche perché ci si ritrova dinanzi ad una “eccedenza” (Ueberschuss) di casi di malriusciti, ossia storpi, schiavi, plebei, “sacrificabili” in nome della conservazione di un universale di cui non sono parte, mentre invece proprio nell’individuo si potrebbe assistere allo sbocciare di quell’individualità autentica e geniale dei “ribelli solitari”, per taluno una sorta di “radicalismo aristocratico”.8 Ed allora dove finisce l’animale e dove comincia l’uomo?

«Nietzsche parte da una constatazione sociale, la contrapposizione di una classe di forti, di dominatori, ad una classe di deboli, di dominati. La morale nasce da questi ultimi, dal loro “risentimento” nei riguardi dei più forti; da essi nasce un sentimento di reazione gravido di conseguenze, delle quali la principale è il depotenziamento della vita e del sentimento della realtà. […] La morale, quindi, come luogo di nascita della contrapposizione degli strumenti di offesa e di difesa, che nella sua evoluzione raggiunge il forum interiore dove si cristallizza in concetti e sentimenti».9

2.

La filosofia della vita di Max Scheler, per Antonio Banfi, pur accettando da Nietzsche la critica della mentalità borghese «come tipica forma di compromesso tra l’ideale e il reale, l’eterno e il temporale, ne rifiutò i motivi positivistico-romantici», ne discusse criticamente quella che Nietzsche definiva la “morale degli schiavi”, alfine “concepì la Vita se non come l’atto, in una sfera di finità dell’infinità libera dell’idea che ha la sua verità in Dio”.10 Per Banfi, Scheler assurse a paradigma di «un umanismo eroico ed attivo, fondato su una visione tragica e dinamica insieme della vita». Ma non va dimenticato che il saggio scheleriano si basa su un’affermazione paradossale di Nietzsche, la sua “scoperta del risentimento” quale fonte dei giudizi morali di valore sino a definire la morale cristiana come “il più raffinato fiore del risentimento”. Per Nietzsche, infatti, che si è dichiarato «favorevole a una organizzazione sociale crudelmente aristocratica e ferocemente antistatalista»,11 «il compito è di formare una casta dominante con le anime più vaste, capaci dei più diversi compiti del reggimento della terra».12 Un tema, quello delle élites, peculiare “opera di una società aristocratica”, anzi Nietzsche scrive che «un giorno gli operai vivranno come oggi vivono i borghesi». La società umana, per Nietzsche, rischia di esser sovvertita dal “risentimento” dei deboli e dei decadenti. «Ma come hanno potuto i deboli contaminare i forti al punto da fare della decadenza la malattia della civiltà umana nel suo complesso? ».13

La Genealogia della morale, un’opera “inquietante”, deve poter condurre ad una “tipologia della morale” conseguente alla decadenza della modernità, nella quale si è andata definendo la situazione esistenziale di un tipo umano definito: “l’uomo del risentimento”, «sospinto dal desiderio morboso di vendicarsi della vita e che crede di riuscirci glorificando un ideale repressivo»,14 infatti per Nietzsche «sono gli esauriti ed i diseredati che a questo modo si vendicano e fanno i padroni». Tale volontà negativa tenta di degradare e distruggere la vita: «odio e disprezzo sono il primum mobile in tutti gli ideali di risentimento». In Der Wille zur Macht e nei Frammenti postumi 1887-1888, “tipologicamente” si snodano “l’istinto del gregge” contro i forti, “l’istinto dei sofferenti” contro i felici, “l’istinto dei mediocri” contro gli uomini eccezionali e straordinari. La “volontà di potenza” favorisce la vita contro ogni sorta di “volontà del nulla”. Per Pareto, Nietzsche, col suo “radicalismo aristocratico”, è l’unico teorico del “controannientamento” teso a fronteggiare l’attacco diretto delle masse alle classi dominanti. Ma la Vita deve esser tale «da ricevere senso ed unità da un atto di vita vissuta, non già da una separazione e connessione artificiosa».15 Per Scheler, Nietzsche ha coniato il termine francese ressentiment “a termine scientifico” in base a due elementi: «in primo luogo il risentimento verte attorno all’esperienza vissuta e rivissuta di una determinata reazione emozionale di risposta ad un’altra esperienza dalla quale quell’emozione ricava un approfondimento ed una penetrazione incrementati nel centro della personalità. […] È un rivivere l’emozione stessa: un andarle dietro col sentire, un risentire. In secondo luogo la parola dice implicitamente che la qualità di questa emozione è negativa, implica cioè un moto di ostilità. Forse il termine tedesco Groll (rancore) è ancor il più adatto a coprire una parte fondamentale del significato».^[16]

Il borghese, che ha quali “sentimenti” di vita “avidità di denaro e spirito d’intrapresa”, si forma nel ressentiment nei confronti del mondo signorile, infatti per Scheler il “risentimento” è alla base dell’ethos borghese: «anche oggi il virtuoso borghese si consola volentieri col ragionamento della volpe sotto la pergola dell’uva» .16 Nietzsche, pur avendone individuato la portata innovativa, ha avuto però il torto di “designare l’idea cristiana dell’amore” come “il fiore più raffinato del risentimento”.17 La ragione decisiva della valutazione nietzschiana sta «nel misconoscimento della natura della morale cristiana ed in particolare dell’idea cristiana dell’amore, … in secondo luogo in un effettivo sfiguramento che la morale cristiana ha subito ben presto per l’azione storica di reciprocità con i valori di un terreno storico di tutt’altra natura… Non c’è dubbio: l’ethos cristiano è inseparabile dalla concezione religiosa che il Cristiano ha di Dio e del mondo» (19).18 Commenta Scheler: «Nietzsche, proprio perché concepisce il Cristianesimo in partenza unicamente come una “morale” dotata di una “giustificazione” religiosa e non in primo luogo come “religione”, misura i valori cristiani con un metro che questi consapevolmente rifiutano, ossia con un metro della quantità massimale di vita, è costretto cioè a interpretare in generale come segno di una morale del declino già l’ipotesi di un livello di essere e di valore estendentesi oltre la vita… L’idea del bene non può, come non può l’idea di verità, esser ridotta ad un valore biologico».19 Max Scheler si affanna a chiarire e ribadire che «l’amore fraterno cristiano non è inteso come un principio né biologico, né politico, né sociale», in quanto rivolto essenzialmente «al nocciolo spirituale dell’uomo, alla sua personalità individuale, in cui soltanto avviene la partecipazione immediata al regno di Dio». Persino la “pacem in terris” di Gesù non è altro che “una beata quiete finale”, ove «non si intende però che abbiano a cessare le guerre e venire meno gli impulsi che portano ad esse […] al contrario nella predica dell’amore per il nemico è presupposto che c’è l’inimicizia, che ci sono nella natura umana forze costituzionali non trasformabili storicamente che in certe circostanze producono necessariamente l’inimicizia».20

3.

Per Nietzsche «nella morale la rivolta degli schiavi incomincia dal momento in cui il ressentiment diventa esso stesso creativo e genera valori: è il ressentiment di quegli esseri ai quali è negata la reazione autentica dell’agire e che si consolano mediante una vendetta immaginaria».21 Ma la volontà di vendetta è anche una modalità della “volontà di potenza”, ma negativa, antitetica alla “volontà di potenza”, che è autenticamente fedele alla natura, al “naturalismo morale”, cioè “ogni morale sana dominata da un istinto della vita”. Nietzsche è persuaso che la morale esiste in quanto esistono due classi contrapposte, quella dei “signori” e quella degli “schiavi”, sì che la morale, da un lato, è il prodotto del “risentimento” dei “deboli” e degli “schiavi”, dall’altro è il prodotto della “volontà di potenza” dei “forti” e dei “signori” per sottolineare il carattere passivo, eteronomo della morale degli schiavi, “fondamentalmente non altro che reazione”, o meglio l’incapacità dei “risentiti” di elaborare principi e valori morali “autonomi”.22 I sistemi morali, quindi, non son altro che interessi profondi espressi in un linguaggio altro detto morale, ragion per cui diviene necessario operare una critica “genealogica” dei valori morali, a partire dall’asse colpa-punizione-pena. «Unico tra gli animali, l’uomo ha voluto separarsi “dal suo passato di animale”».23 Nietzsche scopre che nell’ascesi si annida un’attiva e precisa “volontà di potenza”, «una vita ascetica è infatti un’autocontraddizione: domina qui un ressentiment senza pari, quello di un insaziato istinto e una volontà di potenza che vorrebbe signoreggiare non su qualcosa della vita, ma sulla vita stessa, sulle sue più profonde, più forti, più sotterranee condizioni; qui si tenta d’usare la forza per ostruire le sorgenti della forza […] qui lo sguardo si rivolge, astioso e perfido, contro la stessa prosperità fisiologica, in particolare contro la sua espressione, la bellezza, la gioia» .24 Attraverso una critica “genealogica” dei valori morali, Nietzsche ridisegna “l’uomo del risentimento”, sospinto dal desiderio morboso di vendicarsi della vita, che ritiene di riuscirci glorificando un ideale repressivo: «odio e disprezzo sono ad esempio il primum mobile in tutti gli ideali di risentimento», con conseguente, secondo Scheler, «travisamento dei valori operato dal risentimento»,25 a cominciare da“certe tipiche relazioni familiari e coniugali”, per finire a quelle generazionali. Sin dal 1912 Scheler aveva scritto che «la forma del risentimento è una tensione particolarmente violenta tra impulso di vendetta, odio, invidia e sviluppo».

Dopo esser riuscito persino a definire il suo Blaise Pascal “un uomo colmo di risentimento come pochi”,26 ma abile a nascondere tale suo stato d’animo, Scheler può giungere a sostenere, in aperta polemica con Nietzsche, “indiscutibilmente in etica relativista e scettico”, che ogni autentica morale non può fondarsi sul risentimento o sulla “cattiva coscienza”, bensì “poggia su una gerarchia dei valori eterna”, mentre «il risentimento è al contrario una delle cause del rovesciamento di quell’ordine eterno nell’ambito della coscienza umana».^[28]

Eppure «il risentimento è in grado di renderci comprensibili grandi processi complessivi nella storia delle intuizioni etiche» nell’“epoca del livellamento” foriera di grandi sviluppi e possibilità per il genere umano. Insomma, la teoria del ressentiment svolge per Scheler una funzione euristica, come in buona sostanza lo è tutta la rivalutazione di quelli che potremmo definire in toto “sentimenti” di relazione tra gli uomini, come compassione, misericordia, pentimento, pudore, rimorso, simpatia, umiltà, “gioia simpatetica”, o persino i cosiddetti “buoni sentimenti” in genere, non solo espressioni dell’intiera stagione della “filosofia della pienezza della vita” tra Otto e Novecento, da Simmel a Pareto, da Eucken a Misch, da Janet a Ribot, una sorta di “vitalismo” nel quale si poteva intravedere una “trasformazione della visione europea del mondo” (Scheler), ma altresì elementi della vita emozionale dell’uomo, per Scheler atti a dar corpo al tentativo di una sorta di “nuovo pensiero” in fieri capace di riclassificare l’essenza dei fenomeni espressivamente decisivi della vita dell’uomo, che ha un rapporto di ordo amoris nei confronti del suo ambiente naturale e morale. Il recupero dell’emozionale si pone come un significativo tentativo di ampliamento del campo della razionalità oltre taluni esiti della fenomenologia.27 Nel 1902 già Alois Riehl intendeva aggiungere al rigore della scienza il coinvolgimento del complesso dei “valori spirituali”, e sin da Ueber Scham und Schamgefühl (1913) Scheler mirava a creare una sorta di “schema spirituale”, d’ascendenza sia pascaliana, sia diltheyana, ben distante dal “rigorismo” fenomenologico husserliano, la cui essenza stava nella relazione partecipativa verso uomini e cose sulla base di valori intuiti emotivamente nella loro oggettività rispetto ai beni materiali o empirici.

Nietzsche aveva descritto una morale quale “meccanismo di dominio”: «per necessità di natura i forti tendono tanto a dissociarsi, quanto i deboli ad associarsi». Questo “travisamento del sentimento del valore” ha fatto sì che valori positivi si convertano in valori negativi, infatti «l’uomo risentito converte il suo sentimento del valore nella direzione secondo cui “tutto ciò non conta proprio nulla” e proprio nei fenomeni opposti risiedono valori positivi e preminenti che guidano l’uomo a salvezza (povertà, dolore, male, morte) ». In questa “sublime vendetta” (Nietzsche), «il risentimento si dimostra di fatto creativo per la storia dei valori e dei sistemi di valori umani», il mondo è governato dalla “cattiva coscienza” ed a prevalere è un dis-valore come il “calcolo di utilità”. Se in Der Bourgeois Sombart aveva rilevato nel moderno imprenditore sentimenti che ne governavano l’esperienza come l’avidità di denaro e lo spirito d’impresa, Scheler ne svaluta l’operato dando, per il tramite del ressentiment, un carattere “nichilistico” al conclamato “spirito del capitalismo”.28 «Scheler finisce col dare un’interpretazione antiweberiana della tesi weberiana della nascita del capitalismo dall’etica protestante. Il mondo moderno, con le sue radici nello spirito imprenditoriale, è espressione non già dell’emancipazione dai valori della tradizione, ma di una caduta dell’uomo nell’estraneazione».29 Ma se un Weber pare non saper cogliere la natura “extrarazionale” del mondo moderno, non è forse ai valori-vincoli della tradizione che guarda Scheler?

Se il capitalismo è “un sistema di vita e di cultura complessivo”, il ressentiment non è altro che il sentimento devastante di un “senso di colpa collettivo”, da cui si potrà riemergere solo attraverso un processo di emancipazione interiore, come appunto da una sorta di “male radicale”. Fuoruscire da tale “sistema di vita” negativo, che ha schiacciato i valori supremi sul valore dell’utilità, è possibile forse solo comprendendo che il ressentiment non è un mero sentimento individuale, bensì un referente collettivo, comunitario?!?

Il ressentiment coinvolge sia le relazioni tra gli individui, sia ancor più quelle tra collettività, anzi ne partecipa alla genesi storica. Scheler nota pure che anche quando nella modernità si sono intraviste e poi teorizzate diverse morali, persino in quel che s’usa definire “relativismo etico” dei vari Comte, Mill, Spencer ed altri, resta pur sempre un valore di fondo, “ad esempio il benessere”, al di là delle “regole di preferenza tra i valori stessi”, sì che «i cosiddetti ‘relativisti’ etici sono di fatto pur sempre stati soltanto gli assolutisti del loro tempo». Scheler si schiera per l’assolutismo etico, ossia «la dottrina secondo cui ci sono leggi eterne di preminenza evidenti ed un corrispondente eterno ordine gerarchico tra i valori».30 Se per morale Scheler intende «le regole di preferenza vigenti di epoche e popoli prese in sé stesse», «il risentimento realizza la sua massima prestazione quando diventa determinante di tutta una “morale” al punto che le sue regole di precedenza si pervertono alla loro volta ed appare “buono” ciò che prima era un “male”» .31 Nella storia d’Europa, nota ancora Scheler, si vede «il risentimento impegnato ad edificare morali in sorprendente attività» ed occorre allora chiedersi sino a che punto ha partecipato all’edificazione della “morale cristiana” come all’edificazione della “moderna morale borghese”, ed in tal senso Scheler «si allontana assai dal giudizio di Nietzsche», che «designa l’idea cristiana dell’amore il fiore più raffinato del risentimento». «Il nocciolo dell’etica cristiana non è cresciuto sul suolo del risentimento. Crediamo al contrario che abbia la sua radice nel risentimento il nocciolo della morale borghese, che dal XIII secolo ha cominciato a sostituire sempre di più la morale cristiana fino a compiere nella rivoluzione francese la sua massima prestazione» .32 Ma il ricusare l’interpretazione nietzschiana definita falsa da Scheler, eppure «tanto profonda e degna di più seria considerazione quanto altra mai formulata in questa direzione», non ci induce forse a ritenere che comunque sia il risentimento non giungerà mai ad intaccare l’intima natura della “morale cristiana” e quindi del corrispondente “eterno ordine gerarchico tra i valori” cui Scheler si ispira?!? Partendo dal rilevare la differenza tra l’amore pagano nell’antichità (che si definisce come «aspirazione, tendenza dell’“inferiore” al “superiore”, del “meno perfetto” al “più perfetto”, dell’“informe” al “formato”, dell’“apparenza” all’“essenza”, del “non sapere” al “sapere”: “un medium tra avere e non avere”, come dice Platone nel Simposio, ove l’oggetto amato attrae l’amante»),33 e l’amore cristiano (che, per dirla in breve, è un vero e proprio “moto di ritorno dell’amore”, ad imitazione di Gesù Cristo, dal “più perfetto” all’“imperfetto”, dal “più nobile” al “non nobile”) conclude Scheler: «ne è davvero il risentimento la forza motrice? ».34

«In tutto questo non troviamo traccia di risentimento: soltanto un amoroso abbassarsi ed una capacità di abbassamento che procede da una sovrabbondanza di forza e di altezza! ».35 In ciò «l’incremento del valore sta quindi originariamente sempre dalla parte dell’amante non da quella di chi viene aiutato».36 Ma «non c’è errore più abissale che concepire il movimento cristiano in base a confuse analogie con certe forme del movimento sociale e democratico moderno e di vedere in Gesù —come hanno fatto socialisti cristiani e non cristiani — una specie di“capopopolo”, di “politico socialista”, di “uomo che sa come siano calpestati i poveri e gli emarginati”, di “avversario di Mammona” nel senso di nemico della finanza come forma sociale ecc. ».37 Scheler si fa qui cassa di risonanza della polemica corrente contro la concezione allora in voga del cosiddetto “Gesù socialista” che faceva esclamare al teologo Leonhard Ragaz, esaminando la celebre Bergpredigt di Matteo, 5-7, che la religione «non era oppio, bensì dinamite».38 Tale concezione, per Scheler, ha influenzato persino l’immagine che ne ha ricavato Nietzsche, «perchè sarebbero in Gesù e nella sostanza del Cristianesimo prefigurate “le tendenze ed i criteri socialistici e democratici dell’età moderna”, giacchè tale supposizione, che Nietzsche ha in comune con quella specie di “socialisti” è assolutamente falsa e fuori strada».39 «Anche una “parità delle anime innanzi a Dio”, a cui Nietzsche sempre rimanda come alla radice della democrazia, non è mai stata affermata dal cristianesimo… », infatti «tale visione è radicalmente contraddetta dalle immagini di “Cielo”, “Purgatorio”, “Inferno”, dalla struttura interiormente ed esteriormente aristocratica della società ecclesiale cristiana che si estende e culmina continuamente nell’invisibile regno di Dio».40 La stessa curvatura dell’idea cristiana di caritas, o forma d’amore in senso “sociale”, «presuppone in ogni modo l’ordinamento individualistico della proprietà». Scheler si dice d’accordo con Nietzsche sul dato di fatto che persino la “filantropia universale moderna” ha la sua autentica radice nel ressentiment,41 ma ne ricusa l’equiparazione, o meglio la “confusione” con l’amore cristiano. «Il nocciolo della filantropia universale moderna poggia sul risentimento», in quanto non si riconnette ad un “valore positivo”, bensì ad una “protesta”, ad una «reazione (odio, invidia, vendicatività, ecc.) nei confronti di minoranze dominanti, che si sa in possesso di valori positivi», quindi «questa filantropia è espressione di un rifiuto represso, di una reazione nei confronti di Dio», dettata dal ressentiment nei confronti del Signore supremo. La filantropia, per Scheler, non è “l’idea cristiana dell’amore”, ma l’“amorevole chinarsi” verso l’uomo “in quanto essere di Natura”, in nome dell’altruismo, contro l’“amor di patria” ed ogni tipo di comunità organizzata. Ricompare, allora, sulla scena il tema della “natura umana” individuale? Non a caso, nell’ora del richiamo ai sentimenti “vitalistici” per poter rispondere alla domanda “cos’è l’uomo? ” in tutta pienezza, a obbligata integrazione degli elementi razionalistici?

4.

È la compiuta delineazione in Scheler di “una sfera emozionale della natura umana” (G. Ehrl) con la diretta implicazione di una serie di considerazioni e di riflessioni sulla società borghese moderna.42 Ci si ritrova ora dinanzi all’uomo della modernità, fragile e nevrotico, facile preda di mediocri “buoni sentimenti” filantropici e di enormi dosi di risentimento, in balìa di forme di rivolta di valori servili. «L’uomo non sarebbe come tale che un animale maggiormente sviluppato» sino a che non sia stato accolto come membro del “regno di Dio”, sullo sfondo dell’“ordine gerarchico feudale ed aristocratico della società civile ed ecclesiastica”, contro tutte le degenerazioni del cosiddetto “socialismo cattolico” e della sedicente “democrazia cristiana”, tutte manifestazioni della “torbida amalgama di utilitarismo e morale cristiana”. La teoria del ressentiment non è forse «configurata dall’invidia delle classi lavoratrici nei confronti dei gruppi che hanno ottenuto la proprietà non per via di lavoro? » .43 Il ressentiment «ha in un certo senso una doppia valenza, di valore e di fatto […] Il risentimento non è un sentimento individuale, ma una modalità del con-essere»,44 presuppone non solo il dato di fatto dell’esistenza di signori e di servi, ma l’esistenza del mondo borghese con la sua ratio calculandi a discapito del mondo della vita, che ne alimenta il dis-valore. Scheler è categorico nello schierarsi con Weber contro Sombart nel ricondurre la cultura dello “spirito d’intrapresa” all’etica protestante piuttosto che al tomismo, in quanto «l’etica di Tommaso non è un manuale per imprenditori capitalistici».

Attacca, pertanto, il significato politico-storico dell’“industrialismo unilaterale”, che tende “a danneggiare durevolmente i valori vitali” di un uomo naturaliter “differenziato”, come hanno insegnato sia il mondo greco-latico, sia il Medioevo cristiano. In tal senso «la teoria moderna dell’eguaglianza invece è una palese operazione del risentimento».45

Posto che “la richiesta di eguaglianza è sempre una speculazione al ribasso! ”, Scheler pone un problema ulteriore strettamente legato alla sua teoria emozionale dei valori: «l’idea dell’“eguaglianza” come idea puramente razionale non sarebbe mai in grado di muovere volontà, desideri, affetti». Chi effettivamente svolge tale ruolo è il ressentiment, «vuole unicamente la decapitazione dei portatori di quei valori superiori che lo disturbano! ».46

Colui che Ernst Troeltsch ebbe a definire il “Nietzsche cattolico” sottolinea che «i “valori” sono fenomeni ultimi sussistenti per sé, che non hanno nulla a che fare con i “sentimenti”», quindi i valori sono tutt’altro che “immagini umbratili del nostro desiderare e sentire”.47 È proprio l’uomo pieno di ressentiment che «inverte l’idea del valore stesso negando un ordinamento oggettivo di esso», affermando che «tutti i valori sono “soggettivi”! », anzi relativi e soggettivistici, per poter riuscire a scardinare l’intramontabile “eterno ordine gerarchico tra i valori”. Vi è la convinzione che i valori non sono fondati sulla realtà delle cose e delle umane vicende, ma soltanto su “bisogni umani soggettivi mutevoli”. Ora, pur nella consapevolezza che «il valore vitale viene evidentemente prima dell’utile», il valore dell’utilità diviene preminente, sì che, come è accaduto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, “i valori della morale guerriera” vennero subordinati ai valori della morale mercantile.48 I “valori” di industriali e commercianti, con “il loro gusto, il loro giudizio e le loro inclinazioni”, con i simboli della loro “mentalità commerciale capitalistica”, «divennero i motivi determinanti di scelta anche della produzione culturale spirituale». Avveniva, allora, «la subordinazione dei valori vitali ai valori dell’utilità», o meglio «la subordinazione del “nobile” all’“utile”». I valori industriali e commerciali, in virtù dei quali l’uomo d’affari riesce ad arricchirsi, «vengono eretti a valori morali universali, anzi a valori “supremi”». Nuovi valori come “prudenza”, “intelletto calcolatore”, “accortezza, parsimonia, capacità di pronto adattamento”, diventano le nuove “virtù cardinali” al posto di valori tradizionali come “ardimento, coraggio, nobiltà d’animo, vigore vitale, capacità di sacrificio, senso di conquista, uso distaccato dei beni commerciali, amor di patria, fedeltà alla famiglia, alla stirpe, al signore, forza di governo”. Non solo, «ma ottengono un significato nuovo ad esempio anche i termini “giustizia”, “fedeltà”, “veracità”, “parsimonia”». Ora «la vita stessa di un individuo, di una famiglia, di una stirpe, di un popolo deve ormai essere giustificata dall’utile, che ne risulta per il resto della comunità». Scheler, a tal punto, tira in ballo l’ordinamento per caste dell’India, “l’ordinamento gerarchico greco”, “l’ordinamento medievale per ceti” in aperta polemica con il costituzionalismo della modernità capitalistico-mercantile, ove «viene gettato a mare anche l’ultimo avanzo di un ordinamento per ceti della comunità, in quanto consapevole selezione dei migliori, immagine dell’aristocrazia signoreggiante in ogni natura vivente, e la società viene atomizzata».49 Viene, allora, “rimembrata” la società corporativa medioevale in funzione anticapitalistica per la “ricostruzione culturale” dell’Europa, un motivo ricorrente in Scheler attento al ritorno sulla scena di forme di corporativismo in Austria pel tramite dei cristiano-sociali, in Germania con lo Zentrum, in Portogallo coi clerico-corporativisti, ecc. .50 «Al posto del “ceto” — un concetto in cui l’unità di gruppo è determinata dalla nobiltà del sangue e dalla tradizione — subentra la mera “classe”, cioè il gruppo unificato dal possesso, da certi costumi folkloristici esteriori e dalla così detta “cultura”».^[53] La stessa biologia finisce per considerare il vivente alla stregua dell’immagine di una “macchina” in piena concezione meccanicistica della vita, tipica della filosofia utilitaristico-meccanicistica da Bacone in poi, ricusando una visione del “vitale” come originario. Insomma l’ethos dominante dell’industrialismo non fa altro che ribadire «il primato dei valori dell’utile e dei valori strumentali nei confronti dei valori vitali ed organici», che si radica «nel risentimento dei disadattati vitali nei confronti dei più dotati, dei parzialmente morti nei confronti dei viventi! ».51 In modo colorito Scheler critica la civiltà della modernità capitalistico-mercantile e del “democratismo”, un mondo governato dalla “falsa coscienza”, ove è prevalente un disvalore: il “calcolo d’utilità”, ma con lo sguardo rivolto all’indietro, al Medioevo della società corporativistica, “all’ordinamento per ceti della comunità”, dell’“aristocratismo del valore”, con nostalgici richiami persino al ruolo primario dell’agricoltura, pronto a plaudire, come poi farà, ai tentativi di Ständestaat in Austria ed in altre parti d’Europa: «al posto della “comunità” e della sua struttura [comunità per ceti: “le comunità unificate da sangue, tradizione, destino storico”] subentra ora la “società”, il collegamento deliberato, artificioso tra uomini fondato su promesse e contratti».52 «In tutto ciò si manifesta la vittoria del risentimento in campo morale». In questo fondamentale “rovesciamento del giudizio di valore”, «tutta quanta la Weltanschauung meccanicista non è che l’immane simbolo intellettuale della rivolta degli schiavi nella morale».53 Contro “l’errore fondamentale della biologia meccanica”, citando l’estone barone von Uexküll di Umwelt und Innenwelt der Tiere, ripreso ampiamente per aver coniato il termine “ambiente” da Gehlen e Plessner, «i fenomeni vitali debbono esser colti e spiegati con concetti e forme dell’intuizione, propri di un’“intelligenza”che si è formata a sua volta soltanto al servizio dell’attività vitale propria dell’uomo» .54 Altrimenti “lo spirito della civiltà moderna”, piuttosto che il progresso, rappresenterà il declino, la decadenza nella storia dell’umanità, con “il predominio dei deboli sui forti, dei furbi sui nobili, delle mere quantità sulle qualità”.55

La massima “espressione” del ressentiment in età moderna è stata la rivoluzione francese, che non a caso par coincidere “con la più confessata signoria della concezione meccanicistica del mondo”, infatti rileva Scheler, citando il Sombart di Luxus und Kapitalismus (1912), che lo “stile di vita” della nobiltà, durante la rivoluzione dell’’89, aveva subito un tracollo dopo esser stata contaminata dal “marciume borghese” in nome di un “nuovo senso di parità”. Infatti, «soltanto un cedimento, un indebolimento divenuto costituzionale della signoria della vita nei confronti della materia, della signoria dello spirito e prima ancora della volontà nei confronti dell’automatismo della vita può spiegare la genesi e la diffusione della concezione meccanicistica e dei giudizi di valore relativi che la hanno creata» .56

Ora il saggio-conferenza del 1927 si chiude dopo aver trattato del “livellamento” delle classi, e delle nazioni, con un curioso appello al metternichiano “spirito della politica della ‘Santa Alleanza’”, che ha già visto il sorgere di “nuovi strati sociali trasversali internazionali”, auspice di “un pacifismo grande-borghese-capitalistico” dominato da élites capaci di “livellare” pacificamente la contrapposizione “tra ordinamento economico capitalistico e socialistico”, non “a prezzo di sanguinose lotte di classe” o di “una sorta di guerra civile di carattere spirituale”. «L’europeismo oggi sorretto tanto dal basso quanto dall’alto è, appunto, un destino… non una scelta».57

Ma ben curiosa è l’affermazione scheleriana che «non ci si illuda di poter mai più riconquistare la massa poderosa del proletariato a favore di qualche chiesa. […] Le idee cristiane relativamente a un Dio creatore puramente spirituale, al peccato originario e a una costituzione dell’uomo fondamentalmente corrotto per eredità e insuperabile —alle quali il cristianesimo riconduce una quantità di mali naturali e sociali, come la guerra, la violenza degli Stati, la prostituzione ecc., in quanto in una certa misura mali inevitabili e non riformabili — sono, in base alla loro origine, … esclusivamente ideologie delle classi superiori».58

Non solo ogni forma di teismo, ma anche le «concezioni panteistiche di Dio in quanto “spirito puro” (Hegel) sono, in fondo, ideologie della classe superiore», perciò alle classi inferiori non resta altro che “una concezione puramente naturalistica dell’uomo”. Eppure dopo la discussa sua svolta del 1924, Scheler sembra voler poggiare «una suprema unificazione e riconciliazione, metafisica e religiosa e, pertanto, anche politico-sociale, degli strati sociali… soltanto sul terreno di una metafisica, che abbracci luci e ombre, lo spirito e l’elemento demoniaco dell’impulso all’esistenza e alla vita, che determina i destini — che radichi l’uomo tanto come essere spirituale quanto come essere pulsionale nel fondamento originario divino».59 Insomma Scheler auspica che possa finalmente realizzarsi “l’unificazione di spirito e vita, di idea e potenza”, che è il compito storico del futuro (del capitalismo?) della nuova élite politica, che dovrà misurarsi con la religione e con la metafisica senza “una sorta di guerra civile di carattere spirituale”, ancor più dopo aver riproposto il problema della “posizione metafisica dell’uomo nel cosmo” con l’avvenuta rimozione della celebre frase spinoziana che “la religione è la metafisica delle masse, la metafisica è la religione dei pensatori”. Conclude allora Scheler: «la mia convinzione si muove nella direzione per cui l’élite, in quanto gruppo che deve guidare per la retta via il livellamento che sta per giungere, in quanto tale non si potrà iscrivere a nessuna chiesa positiva», anche se «tale élite guarderà alle grandi tradizioni religiose e alle istituzioni ecclesiastiche con spirito di rispetto», evitando ogni tipo di “discordie confessionali” per mirare a dar spazio «all’intera pienezza delle vedute, che la storia della religione e della metafisica le offre».60 Livellando spirito e vita, élites e masse, giunge alla fine a scrivere che «si può osservare una crescente e quasi stupefacente convergenza delle vedute fondamentali fra le élites spirituali dei pensatori di tutti i popoli». Ma altro non aggiunge Scheler su come riuscir a livellare pensiero delle élites ed “aspirazioni” delle masse, anche se par proprio convinto di aver offerto con le “grandi tradizione religiose” l’unico terreno valido di confronto e d’incontro. Scheler è profondamente convinto che la spiegazione del divenire storico di un’epoca è sempre riferibile alla “trasmutazione integrale” del sentimento dei valori e delle preferenze emozionali per gli stessi valori. In una nota conferenza a Colonia, presso l’Associazione degli accademici cattolici, Scheler sosteneva che la decadenza della modernità, che ha condotto l’uomo dell’Occidente alla “sopravvalutazione” del lavoro, trova pur sempre la sua motivazione originaria nella Riforma protestante che è riuscita a disancorare l’individuo dalle strutture gerarchico-comunitarie medioevali, nelle quali la Chiesa cattolica era riuscita a preservare l’ethos della “comunità per ceti” segnata dall’amore per le tradizioni.61

Scheler indica il fine del lavoro nel tempo dell’otium, della vita contemplativa, ispirata da profonde motivazioni religiose, tali da innalzare l’uomo ad imitatore della creatività di Dio per riuscir a conferire una forma spirituale alla natura materiale.


  1. Piet Tommissen, Carl Schmitt ed il “Renouveau” cattolico nella Germania degli anni Venti, in “Storia e Politica”, n. 4, 1975, p. 483. L’autore è attento in più punti a Max Scheler ed all’influenza da lui esercitata come testimonia la fortuna del suo motto autobiografico: “Soltanto chi si trasforma, mi è simile”, come sosteneva pure Peter Wust in due articoli su Il rientro del cattolicesimo dall’esilio in “Kölnischen Volkszeitung” (p.487). Cfr. pure B. Bongiovanni, Cantimori, Carl Schmitt e la rivoluzione conservatrice, in “Ventesimo secolo”, a. II, n. 4, 1992. ↩︎

  2. Cfr. P. Schiera, Scienza e politica in Germania da Bismarck a Guglielmo II, in AA.VV.,Cultura politica e società borghese in Germania fra Otto e Novecento, a cura di G. Corni e P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 13-35; pure N.Merker, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Ed. Riuniti, Roma 1994. ↩︎

  3. Cfr. M.Scheler, L’uomo nell’epoca del livellamento, ora in M. Scheler, Lo spirito del capitalismo e altri saggi , a cura di R.Racinaro, Guida, Napoli 1988, p. 292 s. ↩︎

  4. Cfr. op.cit.,p.298 s. ↩︎

  5. M. Scheler, L’avvenire del capitalismo, in M. Scheler, Crisi dei valori, nota introduttiva di A. Banfi, Bompiani, Milano 1936, p. 259. ↩︎

  6. Ibid., p. 260 s. Cfr. sui proletari di necessità servi dello spirito della borghesia persino “nel bel mezzo della lotta contro la borghesia come classe” le pp. 265-269. ↩︎

  7. Conferenza tenuta da Scheler il 5-XI-1927 alla celebre Deutsche Hochschule für Politik di Berlino, ora tr. in M. Scheler, Lo spirito del capitalismo e altri saggi, cit., pp. 289-322. È rilevante che la nuova élite nietzschiana venga pensata, per Scheler, come “l’idea di un nuovo genere di uomo nel senso biologico della parola” (p. 292). ↩︎

  8. Cfr. Georg Brandes, Friedrich Nietzsche o del radicalismo aristocratico (1899), Ediz. di Ar, Padova 1995. Correttamente Colli, commentando Genealogia della morale e Al di là del bene e del male, fa riferimento «ai livellatori, questi falsamente detti “spiriti liberi”…, che sono ridicolmente superficiali, soprattutto per la loro tendenza fondamentale a vedere nelle forme della vecchia società sino ad oggi esistente la causa di ogni miseria e il fallimento…» (G.Colli, Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano 1980, p.129). «La morale del gregge si fonda sull’odio e la vendetta, mentre la sua cultura, che rifiuta il dolore, percorre le strade della decadenza e del nichilismo» (p.130). Del testo di Colli cfr. pure le pp. 131-139. ↩︎

  9. M. Martini, La critica dei concetti morali in Nietzsche, in AA.VV., Nietzsche e la fine della filosofia occidentale, Cittadella, Assisi 1986, p. 101. Vi sono raccolti gli Atti del Convegno del novembre 1985 presso la Biblioteca della Pro Civitate Christiana di Assisi con interventi, tra gli altri, di Antimo Negri, Carlo Sini, Giorgio Penzo. ↩︎

  10. A. Banfi, Nota introduttiva, a M.Scheler, Crisi dei valori, cit., p. II. Banfi sottolinea che trattasi della prima traduzione in italiano di scritti di Scheler. ↩︎

  11. J. Granier, Nietzsche, Feltrinelli, Milano 1984, p. 129. ↩︎

  12. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VII, t. 2, Adelphi, Milano 1986, p. 25 [221]. ↩︎

  13. J. Granier, Nietzsche, cit., p. 35. «Il decadente è l’uomo dalle motivazioni ispirate alla volontà di vendetta» (p. 34). ↩︎

  14. Ibid., p. 75. ↩︎

  15. M.Scheler, Das Ressentiment im Aufbau der Moralen, in M. Scheler, Vom Umsturz der Werte, in Gesammelte Werke, Band 3, Bern, Francke Verlag,1955 (tr. it., a cura di A. Pupi, Vita e Pensiero, Milano 1975, p. 27). Il titolo definitivo veniva assunto nell’edizione ampliata del 1915. Il saggio, apparso nel 1912 quale Contributo alla patologia della cultura, ove la cultura messa in stato d’accusa è quella della modernità,l’età della borghesia e del proletariato, espressasi, per Scheler, dal sec. XV al sec. XX contro il Medioevo cristiano, evita accuratamente ogni possibilità di confronto con il pensiero freudiano. È noto che, invece, Scheler si è confrontato criticamente con Freud in Essenza e forme della simpatia ed in Pudore e sentimento del pudore (cfr. O. Pöggeler, Ressentiment und Tugend bei Max Scheler, in AA.VV., Vom Umsturz der Werte in der modernen Gesellschaft, G. Pfafferott (hrsg.), Bouvier, Bonn 1997. ↩︎

  16. W.Sombart, Der Bourgeois, Longanesi, Milano 1978, p.272. A Sombart Scheler dedica tre saggi nel 1914, un anno dopo la prima edizione del noto libro del Sombart: Il borghese, Il borghese ed i poteri religiosi, L’avvenire del capitalismo, ora tutti in M. Scheler, Lo spirito del capitalismo e altri saggi, cit., pp. 39-110. “Scheler vede il risentimento associato alla denuncia borghese della società stratificata per ceti”, ma polemizza pure con Sombart per salvaguardare il cattolicesimo da ogni possibile influenza sul sorgere dello spirito d’impresa capitalistico (cfr. sul tema V.d’Anna, Max Scheler. Fenomenologia e spirito del capitalismo, Ed.Riuniti, Roma 2006, p.113). Cfr. pure le pp. 114-125. ↩︎

  17. Cfr. M.Scheler, Il risentimento, cit., pp. 29-33, 77-79. ↩︎

  18. Ibid., p.103. Cfr. pure le pp.101,104 -105. ↩︎

  19. Ibid., p.105. ↩︎

  20. Ibid., p. 107. Sulla “natura umana” nell’antichità greco-latina cfr. le pp.78 -79. ↩︎

  21. Cfr. Fr. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, ediz. a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VI, t. 2, Adelphi, Milano 1984, p.25 s. Pure le pp. 23-24, 36-37. Scheler ammette con J.M. Guyau, autore di Esquisse d’une morale sans obligation ni sanction (1885), che «un sentimento di vendetta a lungo insoddisfatto può condurre addirittura all’appassimento ed alla morte interiore» ( Il risentimento, pp. 36, 65, 105). ↩︎

  22. Fr. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., pp.24-29. Questo rovesciamento del giudizio che stabilisce valori- questo necessario dirigersi all’esterno, anziché a ritroso verso se stessi - si conviene appunto al ressentiment: “la morale degli schiavi ha bisogno, per la sua nascita, sempre di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno di stimoli esterni per poter agire: la sua azione è fondamentalmente una reazione”. ↩︎

  23. Ibid., p.75. «Tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono all’interno - questo è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo: in tal modo soltanto si sviluppa nell’uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua “anima”»(p.74). Cfr. pure G.Colli, Scritti su Nietzsche, cit.,pp.131-132. ↩︎

  24. Ibid., p.111. Cfr. pure le pp. 89-131. L’asceta, incarnante la “volontà di potenza”, «questo nemico apparente della vita fa parte proprio delle più grandi forze conservatrici e creatrici in senso affermativo della vita» (p.133). ↩︎

  25. Cfr. M. Scheler, Il risentimento,cit., pp. 49-54. ↩︎

  26. Ibid., p. 65. Oltre a Pascal, Scheler ritira in ballo Guyau per la storia di un selvaggio che “si rode dentro” risentito al punto da morirne. ↩︎

  27. Per Scheler il sentimento ha valenza unitaria, è realtà psico-affettiva ed insieme si connota come valore (cfr. A.Zhok, Intersoggettività e fondamento in Max Scheler, La Nuova Italia,Firenze 1997, p.59). Scheler intendeva l’esperienza fenomenologica come intuizione d’essenze distante dal “rigorismo” husserliano, volto secondo Scheler esclusivamente alla logica,mentre egli propendeva alla storia ed ai fenomeni della Kultur (cfr. sulla radicale distanza tra i due, M. Lenoci, Autocoscienza, valori e storia, Angeli, Milano1992, pp. 111-115). ↩︎

  28. Cfr. M.Scheler, Il borghese (1914), ora in M. Scheler, Lo spirito del capitalismo e altri saggi, cit., pp. 39-64. Ne Il borghese ed i poteri religiosi (ora pure in Lo spirito del capitalismo, cit., pp.65-91) Scheler esclude un’influenza del cattolicesimo sul sorgere dello spirito imprenditoriale. ↩︎

  29. V. d’Anna, Max Scheler. Fenomenologia e spirito del capitalismo, cit., p. 118. Nota bene d’Anna che per Scheler “il capitalismo è un sistema di vita”, concepito “come una sorta di ‘male radicale’”, esso ha tentato di “integrare l’etica puritana con il riferimento al sentimento del risentimento” (p.119). ↩︎

  30. M. Scheler, Il risentimento, cit., p. 74. «Le morali stanno ad una siffatta etica di valore eterno più o meno come i sistemi cosmologici al sistema ideale a cui aspira l’astronomia» (ibidem). ↩︎

  31. Ibid., p.75. ↩︎

  32. Ibid., p.76. ↩︎

  33. Ibid., p.78. ↩︎

  34. Ibid., p.83. ↩︎

  35. Ibid., p.92. Invece «l’uomo risentito non fa che incaricare Dio della vendetta che egli non è in grado di esercitare sui potenti» (pp. 94-95). ↩︎

  36. Ibid.,p.89. «Nulla è più lontano dal genuino concetto dell’amore cristiano che ogni specie di “socialismo”, di “atteggiamento sociale”, di “altruismo” e di analoghe faccende moderne di carattere subalterno» (pp. 89-90). ↩︎

  37. Ibid., p.108 s. Sul “senso sociale” come dis-valore in funzione anti-socialistica ed anti-altruistica cfr. pure pp. 93-99, ma Scheler vi tornerà ancora in Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle (1915). ↩︎

  38. Su Ragaz e sul movimento dei “socialisti cristiani” cfr. M.C. Laurenzi, Ilsocialismo religioso” svizzero, Cittadella, Assisi 1976. ↩︎

  39. Ibid., p.109. ↩︎

  40. Ibidem. «Anche le forme comunitaristiche di vita delle comunità cristiane primitive non provano che ci sia alcuna connessione di significato tra la morale cristiana ed il comunismo dei beni, inteso secondo gli ideali comunistici dedotti dall’eudaimonismo democratico» (p.110). Scheler critica la teoria del valore-lavoro, come pure la “presupposizione di una eguaglianza degli uomini” (p.145s). Dietro la “volontà d’eguaglianza” «si cela soltanto il desiderio dell’ abbassamento di coloro che stanno più in alto dal punto di vista del valore, di coloro che valgono di più al livello dei più bassi» (p.149). ↩︎

  41. Cfr. ibid., pp. 113-115, 122-127, 132-139. «La filantropia moderna non si rivolge direttamente né alla persona,… né agli esseri “prossimi”[…] al contrario essa si volge piuttosto alla somma degli individui umani proprio in quanto somma» (p.115). ↩︎

  42. Cfr. G. Ehrl, Schelers Wertphilosophie im Kontext seines offenen Systems, Ars Una, Neuwied 2001. ↩︎

  43. Ibid., p.145. Per Scheler nel Sombart di Der Bourgeois trova conferma «la nostra tesi del lento silenzioso rovesciamento falsificatore dei concetti cristiani di virtù e di moralità nell’apprezzamento delle qualità e delle attività umane che fanno fiorire gli affari della borghesia…» (pp.141-142). ↩︎

  44. Cfr. V. d’Anna, op.cit., pp.75-77, 123-124. ↩︎

  45. M. Scheler, Il risentimento, cit., p. 149.Cfr. pure le pp.150-155. ↩︎

  46. Ibidem. Scheler fa riferimento, per rafforzare la sua tesi, agli studi di psicologia di Carl Rath del 1914-1915. ↩︎

  47. Ibid., p.150. ↩︎

  48. Cfr. per questa e per le citazioni successive di Scheler, Il risentimento, cit, pp. 155-169. ↩︎

  49. Ibid., p.168. ↩︎

  50. Cfr. A. Diamant, I cattolici austriaci e la prima Repubblica(1918-1934), Ediz. 5 Lune, Roma 1964; H.Lutz,I cattolici tedeschi dall’impero alla repubblica (1914-1925), Morcelliana, Brescia 1970; come pure le relazioni sul tema dello Ständestaat di E.Bader e P.Pasteur al convegno su “L’Austria degli anni Trenta dinanzi all’Europa”, i cui Atti, a cura di L.Parente, G.Zanasi e F.S.Festa, sono in corso di stampa ad opera dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e dell’Università “L’Orientale” di Napoli. Max Scheler, autore del fortunato Der Genius des Krieges und der deutsche Krieg (1915), ove dominava il tema del confronto tra Händler ed Helden, fu inviato, nel 1917-1918,come già precedentemente Hermann Cohen, dal Ministero degli esteri del Reich in Olanda per un tour di conferenze propagandistiche a favore degli Imperi centrali. ↩︎

  51. Ibid., p. 171. ↩︎

  52. Ibid., p.175. ↩︎

  53. Ibid., p.183 ↩︎

  54. Ibid., p.180. ↩︎

  55. Ibid., p.185. ↩︎

  56. Ibid., p.183. ↩︎

  57. M. Scheler, L’uomo nell’epoca del livellamento, cit., p.315. ↩︎

  58. Ibid., p.318. ↩︎

  59. Ibid., p.319. ↩︎

  60. Ibid., pp.321-322. ↩︎

  61. Cfr. M.Scheler, Arbeit und Weltanschauung, in “Jahrbuch des Verbandes der Vereine katholischer Akademiker”,1920-21, ora in M. Scheler, Borghesia, socialismo e intuizione del mondo, a cura di F. Bosio, La Scuola, Brescia 1982, pp.77-103. ↩︎